di Marco Guastavigna
Nel silenzio dei più, è arrivata la notizia che Google Bard ha abbassato la soglia dei 18 anni per l’accesso – temporaneamente solo in inglese – ai propri servizi.
L’età minima varia da Paese a Paese, in base alle norme locali, ma la proposta globale è chiara: ci si rivolge ai “teens”, gli adolescenti.
E così siamo di fronte a un’altra tappa dell’universalizzazione dei dispositivi tipici del capitalismo cibernetico, che – già dominante da tempo – ha esteso la propria egemonia operativa, professionale e culturale nel periodo del lockdown, della chiusura delle scuole e del distanziamento delle attività didattiche.
Per sfociare nel PNRR, celebrazione della cessione della logistica dell’istruzione alle multinazionali digitali.
Rarissime sono per contro le occasioni per conoscere e apprezzare l’esistenza di altri dispositivi, tipici invece di mutualismo, cooperazione e condivisione conviviale della conoscenza, intesa come risorsa collettiva per lo sviluppo umano e non come voucher individuale per l’auto-imprenditorialità nella competizione globale.
Alla nuova iniziativa egemonica di Google si dovrebbe rispondere non tacendo rassegnati, ma rafforzando il posizionamento critico nei confronti delle concettualizzazioni correnti, ben riassunta dalla diffusissima espressione “il digitale”.
Questo aggettivo assunto a sostantivo, infatti, costituisce una formulazione “ombrello”, che – paradossalmente – accomuna coloro che ne sono fautori e coloro che ne sono oppositori in una (presunta) condivisione ontologica ed epistemologica, consentendo in realtà a ciascun attore di attribuire senso e significato propri e ostacolando perciò qualsiasi ragionamento davvero analitico. Oltre alla ricerca e all’individuazione di eventuali alternative sul piano sia intellettuale sia pratico. Continua a leggere