di Giovanni Fioravanti
Non si chiamano materie, neppure discipline, tanto meno aree disciplinari, anche se a volte rivendicano una non ben precisata interdisciplinarità o transdisciplinarità.
Sono le “Educazioni”. Educazione civica, educazione stradale, educazione alimentare, educazione ambientale, educazione alla salute e potremmo proseguire.
Non hanno vita facile, neppure hanno l’imprimatur dei Programmi o delle Indicazioni nazionali come le loro antenate Educazione domestica e Educazione fisica, tanto da non meritare né una cattedra né un orario, così col tempo finiscono per infrattarsi in qualche ripostiglio scolastico, salvo che non giunga un PTOF a rispolverarle.
È questo il modo in cui a scuola, luogo di apprendimento delle conoscenze e della cultura della propria specie, si esercita l’educabilità, cioè quella disposizione che, pur non essendo esclusiva dell’uomo, costituisce peraltro uno dei caratteri specifici dell’umanità.
Il teorico dell’educazione umanistica, il francese Louis Meylan, definisce l’educazione “come l’attività con la quale gli adulti si sforzano di dare al comportamento, ovvero ai vari modi di pensare, di sentire e di agire del fanciullo e dell’adolescente la forma che ad essi sembri più desiderabile.”[1] Meylan, che scriveva nella prima metà del Novecento, doveva però essere consapevole della crisi che già allora attraversava l’educazione, se un secolo prima l’abate Lambruschini dalla sua tenuta di San Cerbone in Toscana avvertiva: “Ma quel che più merita di essere notato […] è la mancanza di principi direttivi, l’incertezza nella quale gli educatori ondeggiano sopra un tenore ben ordinato e costante di condotta verso i fanciulli […]. Un naturale un poco ribelle, un caso straordinario li coglie alla sprovvista; […] e s’abbandonano a quel partito che un propizio, ma ceco, buon senso suggerisce loro; o a quello che consiglia loro l’insipienza, la noia, l’amor proprio ferito. L’indocilità invece della sottomissione, la scioperataggine e la mala grazia invece della applicatezza e delle composte maniere. […] Cosicché si riducono a dolersi di sé e dei giovani, a non sapere più come condursi e a dare ragione a chi dice che i sistemi moderni di educazione sono inefficaci.”[2]