Fame di vita vera

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone  La vitalità, attitudine a vivere in modo autonomo, serve ad affrontare con grinta difficoltà e imprevisti nella quotidianità, e consente di gustare appieno scoperte, sorprese, conoscenze. Ma cosa l’attiva? Quali trigger la innescano? Ho visto, piuttosto accidentalmente, un video in cui un medico asiatico rianimava un neonato… Quasi ipnotizzata, ho osservato lui e la sua equipe compiere atti rapidissimi, senza fermarsi un attimo, sinché il bimbo non ha cominciato a reagire tossendo ed ha iniziato finalmente a piangere. La vita è esplosa in lui quasi come per incanto, una specie di on/off, prima non c’era e poi d’improvviso è stato, era vivo. In un viaggio caotico in treno verso il mare ho visto due giovani, pieni di desiderio, arrotolati l’uno nell’altro, baciarsi avidamente: la vita pulsava di passione. Quella stessa energia vitale sembrava animasse una piantagione di granturco verdissimo sotto il sole di mezzogiorno. Ma era vita vera, ci avrei giurato, anche quella nei piedi di due anziani per mano, con l’acqua di mare alle caviglie, alla luce della luna, dolcissimi, freschi come teenagers. L’ho avvertita anche nelle foto inviatemi da una giovane paziente: mi rendicontava una piccola vacanza costruita nelle avversità della separazione, conflittuale, dei genitori. Mi descriveva angoli lacustri rintracciati con tenacia nei pressi dell’abitazione di una zia e mi ricordava con ardore d’essere in partenza per una vacanza studio in Scozia, impresa per cui aveva combattuto con i denti sino allo stremo delle forze. Che spettacolo! Vitalità, energia, cercala dove ti pare. Ma cercala. Non smettere mai di cercarla. Il nostro cervello ne ha bisogno per portare il corpo là dove vuole andare, per realizzare i sogni di ogni giorno, per amare, creare, imparare, costruire. Anche questo nessuno ce lo insegna. Forse un tempo non era così necessario ma ora sembra davvero utile, quasi indispensabile, sapere dove e come recuperare vitalità, energia psichica. Continua a leggere

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Lacrime di coccodrillo e sei in condotta

di Giovanni Fioravanti  Ho letto e riletto l’articolo di Eraldo Affinati, L’importanza di un “no”, relativo al voto in condotta, pubblicato su la Repubblica del 20 settembre. Non sono d’accordo. Intanto non ritengo che il sei, come il cinque in condotta, siano una necessità, un provvedimento “necessitato”, anche se accompagnato dall’ammissione muta di una sconfitta come insegnanti. Non abbiamo saputo fare di meglio, è un provvedimento a cui non ci possiamo sottrarre perché abbiamo a cuore la tua crescita. Ti bastono, le bastonate fanno più male a me che a te, ma un giorno capirai che quelle bastonate sono state una cura benefica. Non interviene il sospetto dell’anacronismo? Dell’ombra inquietante di una sorta di pedagogia nera? No, Eraldo cita don Milani, quello di L’equivoco don Milani scritto da  Adolfo Scotto di Luzio, la nuova vulgata di chi vede la così detta “pedagogia progressista” come il fumo negli occhi. L’affetto manesco, semmai senza mani, l’educazione preventiva che si nutre della  stessa sostanza, come ineluttabili. E allora il voto in condotta, portato all’estremo del sei e del cinque, e magari la convocazione davanti al giudice a partire dai dodici anni, il daspo urbano, il carcere preventivo, tutto necessitato, sebbene gli adulti avvertano di essere i veri sconfitti, ma questa è la cura per il bene dei giovani che sgarrano. Se di fronte a provvedimenti punitivi, come sostiene Affinati, sono gli adulti ad aver fallito, equità vorrebbe che a pagare non fosse sempre solo il giovane, il più debole,  ma anche l’adulto. Il giovane punito con il sei in condotta, con la bocciatura e l’adulto, insegnante, o altro che sia, cosa fa, come risponde? Continua a leggere

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Scuola: sorvegliare e punire. Problemi complessi, risposte semplici

disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Mario Maviglia Nel recente decreto Caivano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 settembre scorso per contrastare il disagio giovanile e la criminalità minorile, vi sono alcune misure che riguardano anche la scuola e i minori. In particolare, viene introdotta la pena fino a due anni di reclusione nei confronti di quei genitori che si rendono responsabili dell’abbandono scolastico dei figli; gli stessi genitori possono andare incontro anche alla revoca dell’assegno di inclusione, qualora destinatari. Com’è noto, attualmente i genitori che si rendono responsabili dell’evasione scolastica dei figli rischiano un’ammenda di 30 euro, come previsto dall’art. 731 del codice penale. Una vasta letteratura (anche ministeriale) ha dimostrato che i fenomeni di abbandono scolastico nascono in quelle situazioni caratterizzate da degrado sociale, economico e culturale all’interno delle quali le figure che dovrebbero esercitare una funzione educativa di guida e di sostegno ai ragazzi nel loro sviluppo di crescita (i genitori, in primo luogo) non appaiono in grado di assolvere adeguatamente a tale compito. Pensare che un inasprimento delle pene previste possa risolvere o attenuare un problema così complesso è pura utopia, o, forse più correttamente, astuta demagogia. Continua a leggere

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Questioni intelligenti e per nulla artificiali

di Marco Guastavigna OpenAi – l’azienda di ChatGPT – ha appena dedicato all’insegnamento uno spazio specifico del proprio blog. Tra i vari temi trattati, la questione del plagio. Del resto, questo è stato il vertice della diffidenza di molti docenti: “Con i chatbot gli studenti e le studentesse copieranno in modo ancora più facile che con un motore di ricerca”. La fiducia nelle famiglie, del resto, è la stessa di molti filosofi-opinionisti e/o commentatori di sentenze dei TAR che vanno per la maggiore nella ciclica rissa mediatica sulla scuola. Il fatto che Google Bard sia interdetto prima dei 18 anni e che ChatGPT preveda la soglia dei 13 e successivamente il permesso dei genitori o del tutore per utilizzare la piattaforma, infatti, in genere non è noto e comunque è considerato una barriera insufficiente. Il problema dell’attribuzione, per altro, è questione generale, non di carattere tecnico, ma etico e deontologico, che va ben oltre la malvagità adolescenziale. Vi sono infatti dispositivi (uno tra molti, Adobe Firefly, generatore di immagini) che applicano su quanto hanno realizzato in base alle indicazioni dell’utente credenziali molto chiare, che dichiarano la provenienza e la non utilizzabilità a fini commerciali del prodotto. Alcuni, invece, non appongono alcuna marcatura. Per contro, altri (per esempio, Gamma), arrivano a proporre una versione “premium” (a pagamento) che dà la possibilità di rimuovere il badge apposto sul lavoro e di presentarlo quindi come proprio. Altra questione – questa totalmente sottaciuta – è quella della titolarità e dei costi di eventuali licenze d’uso: molti dispositivi usano infatti la policy della doppia versione. Una è free e prevede in genere soltanto l’acquisizione di credenziali di accesso. L’altra è appunto “premium” e consente a seconda dei contratti un accesso costante o privilegiato alla piattaforma, maggiore velocità di esecuzione, più funzionalità, una maggiore quantità di elaborazioni, esclusività dei prodotti e così via. Non mi sembra corretto che le spese – che per altro da tempo riguardano anche dispositivi di campi diversi dall’assistenza artificiale e/o fuori dalle avvenute colonizzazioni da parte di Alphabet, Microsoft, Zoom – siano a carico dei singoli insegnanti e/o delle famiglie, per cui riterrei utile che nelle scuole si discutesse questo tema e si decidessero politiche di spesa.]]>

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Ciao maschio …

di Cinzia Mion Il recente femminicidio che ha visto come vittima una ragazza di 29 anni incinta di sette mesi, di nome Giulia, ha sconvolto il Paese e non solo. Al di là dell’attenzione morbosa che ha suscitato questo evento, dobbiamo sapere che dopo ne sono successi altri e che le statistiche affermano che per mano di un uomo muore una donna ogni tre giorni. Il femminicidio è un termine specifico che definisce in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro manifestazioni, per motivi legati al genere. Quasi sempre ad opera dei compagni o da parte soprattutto degli ex. Quante volte abbiamo sentito dire: lei lo lascia e lui l’ammazza! Il termine “genere” sta ad indicare l’identità di genere su cui sarà necessario dare qualche delucidazione perché su questa definizione sono sorte moltissime deformazioni informative, quasi tutte in malafede. Lasciamo da parte per ora il tema dell’orientamento sessuale e quello della “disforia di genere” altrimenti mettiamo troppa carne al fuoco. Ne riparleremo se vi interessa. E tralasciamo anche il problema orripilante degli stupri che richiede un capitolo a parte. Continua a leggere

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Stupri e adolescenti: fine del maschio e infosfera

di Raffaele Iosa Si parla molto in questi giorni di fine agosto di due terribili storie di  stupri che hanno coinvolto  maschi adolescenti verso ragazze coetanee  fino al limite di bambine (10 e 12 anni). Ne parla la politica, le televisioni grondano  di dibattiti non sempre equilibrati.  Ma non c’è  occasione (informativa o politica) nella quale oltre alle analisi sui luoghi  (in genere “aree a rischio degradate”),  oltre lo  scandalo di registrare e girare via web gli stupri ottenendo migliaia (pare) di giovanissimi guardoni, oltre a tutto questo viene sempre la domanda e la lamentazione: “E la scuola cosa fa?” Cosa potrebbe fare?”. Di questo vorrei un po’ riflettere qui, perché (che si voglia o meno) la “domanda di scuola educativa” pare stavolta oggetto condiviso come “luogo utile” a formare diversamente i nostri giovani sui costumi  quando questi  sono  così  gravi e sconcertanti. E sui quali non c’è dubbio che il tema non sia quello banale di una scolastica  “educazione sessuale”, ma di una più complessa “educazione all’affettività e alla relazione”, che innerva la vita quotidiana dei nostri bambini e giovani oltre la sessualità in senso stretto. E che, naturalmente, parte dall’educazione familiare (su cui molti sono i guai del presente), ma che poi potrebbe trovare nella scuola un luogo  di “comunità” che si auto-educa  agendo su valori positivi  realizzati non solo a parole (e certo non con le prediche)  ma nell’agire quotidiano della vita della scuola. Continua a leggere

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La cura dei giovani: spetta alla scuola o alla famiglia?

di Raimondo Giunta

  • SCUOLA E FAMIGLIE: UN RAPPORTO PROBLEMATICO
Le cronache sconvolgenti di violenza giovanile contro le proprie coetanee ammoniscono sul fatto che l’educazione dei giovani, oggi, è diventato un problema serio, grave, che riguarda tutti indistintamente e purtroppo non facile da affrontare, perché la responsabilità educativa è declinata in modo diverso da chi se ne dovrebbe fare carico. La responsabilità educativa nei confronti dei giovani ricade su chiunque per ruolo o per età con loro abbia o sia tenuto ad avere delle relazioni, anche se diverse per gradi di obbligatorietà. Nessuno, infatti, può essere responsabile nei confronti dei giovani come sono tenuti ad esserlo i genitori. La responsabilità educativa dei genitori costituisce “l’archetipo di ogni responsabilità” (H. Jonas) e si comprende come sia difficile rimediare ai danni procurati quando questa, come sempre più spesso accade, non viene esercitata, perché ai giovani mancheranno la guida, il buon esempio, i consigli e la cura nello sviluppo del proprio carattere, nella costruzione delle capacità di relazione, nella sollecitazione a regolarsi nella vita secondo principi e valori condivisi. Continua a leggere

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Generale Vannacci, Luca Ricolfi lo difende

disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di CinZia Mion Lettera aperta a Luca Ricolfi. Mi ha colpito moltissimo, prof. Ricolfi, il suo intervento apparso sul Gazzettino il 25 agosto dal titolo “Quale potere può limitare la libertà di pensiero”. Il riferimento è presto detto: il caso del generale Vannacci. Dopo una dotta introduzione in cui lei ha addirittura fatto riferimento al concetto hegeliano di “eterogenesi dei fini” (che stringi stringi non significa altro che ottenere risultati opposti a quelli desiderati) lei entra nel merito della sua tesi. Le dico subito che se non si fosse già esposto con un saggio sulla Scuola, insieme alla moglie, la prof.ssa Mastrocola, probabilmente non avrei letto l’articolo. Non ero d’accordo con la vostra tesi espressa in quel saggio e non sono d’accordo con quello che ha argomentato lei a lungo in difesa di Vannacci, nell’articolo succitato. Mi presento: sono un’anziana dirigente scolastica che ha speso la vita molto oltre all’età della pensione per la Scuola. Non per la scuola elitaria come fate voi, ma per la scuola più difficile, quella faticosa che richiede passione, non solo per il Sapere, ma passione per i ragazzi, anche quelli caratterizzati da “povertà educativa”, quelli che hanno bisogno di docenti motivati profondamente e indefessamente alla ricerca della didattica più adeguata per farli arrivare non solo all’apprendimento ma al piacere della “comprensione”, a quell’effetto illuminante che io descrivo come brivido mentale. Ma ritorniamo più pedestremente alla questione del “Generale” e al suo diritto a dire quello che pensa. Continua a leggere

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Diplomi facili e lacrime di coccodrillo

di Mario Maviglia Puntuale come un orologio atomico di ultima generazione, ogni anno, a conclusione degli esami di Stato, scopriamo che alcuni istituti paritari registrano un andamento anomalo nel numero di diplomati. Una sorta di bolla speculativa ciclica, ampiamente prevedibile, drammaticamente tollerata. Il fenomeno è ben noto ed esiste da decenni; io stesso (quando ero in servizio come ispettore scolastico) presi parte come consulente tecnico, nel 2004, all’operazione “Diplomi no problem”, coordinata a livello nazionale dalla Procura di Verona (magistrato Papalia) e coadiuvai gli inquirenti ad Agrigento nell’indagine che interessò una delle 32 scuole superiori oggetto di indagine in tutta Italia. Ecco perché è quasi commovente la meraviglia con cui i vari commentatori ancora oggi presentano notizie simili e desta empatica vicinanza la rituale promessa del Ministro di porre fine allo scandalo[1]. La rivista Tuttoscuola[2] dà un resoconto ben documentato di quanto è successo quest’anno in occasione degli esami di Stato 2023. I risultati sono stati ripresi dal quotidiano Repubblica[3], soprattutto in riferimento alla particolare situazione di alcuni istituti paritari della Campania, e segnatamente di Napoli. Il meccanismo è molto semplice e, peraltro, del tutto legittimo, oltre che ampiamente noto. In sostanza, nel passaggio dalla classe quarta alla classe quinta (ossia, la classe terminale del secondo ciclo di istruzione) alcuni istituti paritari registrano un andamento del tutto anomalo nelle iscrizioni (la bolla speculativa di cui sopra). In particolare, Tuttoscuola ha individuato 92 istituti paritari (che rappresentano il 6,5% dei 1.423 istituti paritari che portano studenti all’esame di maturità) dove gli iscritti tra il quarto e il quinto anno registrano incrementi che vanno da +1.500% a +6.800%. (Avete letto bene! Da  1.500 a  6.800% in più di incremento). Continua a leggere

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A proposito di whisky facile e taxi gratis …

di Cinzia Mion  Senza scomodare Platone e il rapporto tra Etica e Politica – aspetto che fin da giovane ho vagheggiato e anche creduto come possibile – non pensavo però che si arrivasse alla spudoratezza di emanare provvedimenti così dis-educativi e pericolosi per la salute come l’ultimo partorito da Salvini, che non ha nemmeno la scusante dell’insolazione…. Si tratta, come avrete già capito, del taxi gratis per i ragazzi reduci dalla discoteca, qualcuno direbbe alticci, ma diciamo pure ubriachi. Alticci potrebbe essere stato prima di questo strampalato, o meglio farneticante, provvedimento. Ora qualche sprovveduto, e intemperante soggetto, sentendosi autorizzato e nello stesso tempo coperto rispetto al rischio di incorrere in qualche incidente stradale, senz’altro alzerà di più il gomito…. La filosofia del male minore non solo è miope ma pericolosa. Continua a leggere

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