Intelligenza artificiale: perché pone interrogativi etici e sui nostri diritti di cittadini?

di Rodolfo Marchisio e Stefano Penge Dopo aver introdotto il tema, averlo approfondito  vediamo di spiegare un po’ di più gli aspetti critici dal punto di vista della cittadinanza. Un intervento educativo (formazione di competenze e cultura digitale) è possibile solo se si supera la visione della digitalizzazione come un processo di democratizzazione spontanea dell’accesso delle informazioni oggi non più possibile. Agenda digitale. E come un processo “magico” e spontaneo di riforma della scuola in senso democratico grazie alle tecnologie Quale IA L’Europa ha stabilito i limiti da porre allo sviluppo della IA per tutelare i cittadini: AI Act. Riguardano i modelli fondativi alla base di grandi sistemi di AI e il ricorso alla sorveglianza biometrica e alla (ipotizzata) polizia predittiva. L’AI Act, inquadra i diversi sistemi di intelligenza artificiale pone paletti, proibisce alcune applicazioni e introduce procedure di salvaguardia per mettere al riparo i cittadini dell’Unione da abusi e violazioni dei diritti fondamentali. L’attenzione è: 1- sui modelli fondativi, quelle forme di intelligenza artificiale generali in grado di svolgere compiti diversi (come creare un testo o un’immagine) e allenati attraverso un’enorme mole di dati non categorizzati. Si è lavorato ad una applicazione preventiva delle regole su sicurezza informatica, trasparenza dei processi di addestramento e condivisione della documentazione tecnica prima di arrivare sul mercato. Wired. 2- La UE è arrivata ad un compromesso sull’uso dell’AI per compiti di polizia e di sorveglianza. Sul riconoscimento biometrico in tempo reale, ma si era discusso anche di polizia predittiva poi vietata. Ossia usare gli algoritmi per prevedere le probabilità con cui può essere commesso un reato, da chi e dove? Quali diritti verrebbero violati con questa delega? AI Act Europa (Wired) Continua a leggere

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Gli apprendisti stregoni dell’autonomia differenziata applicata alla scuola

di Stefano Stefanel Nel generalizzato disinteresse generale si sta sviluppando sotterraneamente e mediaticamente l’applicazione dell’autonomia differenziata, inserita in Costituzione nel 2001 con la legge costituzionale n° 3 del 12 marzo 2001 emanata il 18 ottobre 2001 a seguito del referendum popolare confermativo del 7 ottobre 2001 (10.433.574 voti favorevoli, 5.816.527 voti contrari, 229.376 schede bianche e 363.943 schede nulle). L’autonomia differenziata riguarda molti settori e quello scolastico non si sottrae a questo esperimento di ingegneria costituzionale che non pare riuscito finora benissimo, almeno a livello teorico. L’autonomia differenziata è una novità per quindici regioni italiane, mentre di fatto già c’era negli statuti speciali per le cinque Regioni individuate dalla Costituzione del 1948 (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta), anche se tre delle cinque regioni hanno applicato le norme anche sulla scuola soprattutto per l’applicazione di trattati internazionali (il Trentino Alto Adige per la sola provincia di Bolzano, il Friuli Venezia Giulia per la minoranza di lingua slovena, la valle d’Aosta per le norme di collegamento con la Francia) e una sola (il Trentino Alto Adige per la sola provincia di Trento) ha realmente regionalizzato la scuola per decisione non derivata da norme internazionali con la legge n° 5 del 7 agosto del 2006. In questo momento l’autonomia differenziata applicata alla scuola viene rivendicata da poche Regioni e – tra tutte – solo il Veneto pare avere le idee chiare su cosa fare e pretende una totale regionalizzazione del sistema scolastico, uscendo di fatto dal sistema scolastico nazionale. Ci sono delle parti politiche interessate all’autonomia differenziata e parti che sono ostili anche alla sola idea inserita in Costituzione (queste ultime sono soprattutto forze di centro sinistra e sindacali, che paiono essere diventate nemiche dell’autonomia differenziata pur avendola inventata). Ma nel complesso l’opinione pubblica non è interessata alla cosa, la sente distante e non guarda con interesse oltre la scuola frequentata dai propri figli. Continua a leggere

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Niente di nuovo sul fronte artificiale

  di Marco Guastavigna Non vi è nulla di cui preoccuparsi. Il sommo filosofo dell’onlife tassonomizza perfino il proprio aspirapolvere robot. E, di fronte alla fertilità delle macro-categorie, cosa sarà mai la mancata citazione delle micro-lavoratrici e dei micro-lavoratori del Sud globale che fotografano feci di cane per addestrare i dispositivi domestici “intelligenti” ad evitarle, qualora nelle dimore del Nord globale si verificasse questa emergenza? Più in generale, l’accademia sta praticando la solita strategia, ovvero l’innovazione conservatrice. E quindi, come sempre, si proclama fervida paladina dell’ennesima rivoluzione ontologica ed epistemologica, a cui non si può certo restare indifferenti se si vuole avere lo sguardo proteso nel futuro. Ovviamente, quello a supremazia occidentale. L’importante è convogliare il tutto in “sapere da scaffale”, utile per strutturare insegnamenti ed esami che garantiscano la conservazione degli organigrammi e dei rapporti di potere consolidati nei decenni trascorsi e auspicati per quelli a venire. La casta più elevata di questo tecno-feudalesimo intellettuale è tutta intenta, inoltre, a pubblicare monografie autografe, in cui esplicitare e celebrare concettualizzazioni originali e, soprattutto, proprietarie. Queste opere consentiranno di sedere da protagonisti ai tavoli della conoscenza mercificata, di ricevere inviti a convegni, seminari, trasmissioni televisive e così via. Il patto sottoscritto tra gli autori è del resto molto solido: è gradita la reciprocità della citazione bibliografica, in modo di rafforzare le posizioni di tutti. Fare rete. Continua a leggere

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Non voltare mai le spalle al sapere. Qualche riflessione su saperi e competenze

di Raimondo Giunta

Un’idea nuova di istruzione e formazione

Pluralità dei saperi, pluralità dei linguaggi, pluralità delle culture: complesso è il mondo in cui si collocano le scuole del terzo millennio. La scuola è costretta a rinnovarsi e a proporre un’idea nuova di istruzione e formazione. Per farlo è necessario innanzitutto chiedersi se gli attuali processi di istruzione e formazione sono ancora in grado di preparare gli studenti ad affrontare i problemi e le sfide della società contemporanea; se li preparano a capire le trasformazioni in atto e i riflessi che hanno sulla vita quotidiana; se gli forniscono strumenti per un proprio progetto di vita e per l’inserimento nel mondo del lavoro; se consentono un’appropriata assimilazione dei diritti di cittadinanza. La missione della scuola, infatti, non è solo quella di arricchire una persona di sempre più varie e complesse conoscenze, ma anche quella di formare cittadini consapevoli dei propri mezzi, in grado di sviluppare le strategie personali più opportune di interazione con la realtà. Le qualità intellettuali e la conoscenza sono sempre attributi strategici della persona, ma non gli unici e quindi devono essere messe in sintonia e a disposizione di altri aspetti della persona; non possono essere gli unici oggetti dell’attività formativa. Per una formazione che si dia questi obiettivi è necessario liberare del tempo scolastico, occupato da un’infinità di argomenti, impiegandolo in attività in cui gli studenti possono mobilitare le proprie conoscenze per affrontare quei problemi che danno un senso al sapere che deve essere posseduto. La giustificazione dell’esistenza e del mantenimento delle istituzioni educative è costituita dalla convinzione che i saperi acquisiti a scuola siano necessari per preparare un giovane a collocarsi utilmente e nel modo migliore nel mondo del lavoro e nella società. Continua a leggere

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Intelligenza artificiale a scuola? Domande e riflessioni

di Rodolfo Marchisio Dopo aver introdotto l’argomento cerchiamo di approfondire. Sembra che in merito alla IA ci siano 4 atteggiamenti che animano il dibattito: Tecno-apocalittici, utopisti, attenti all’etica o alla sicurezza (Wired). Chiarito che mi interessa conoscere di più per capire meglio, penso utile essere attenti alle conseguenze delle tecnologie su di noi come persone e come cittadini. E sui nostri diritti, spesso violati non dalle tecnologie in sé (Bauman), ma dai padroni della rete che le e ci controllano. Tecnologia in divenire, molto diversificata nelle applicazioni. La IA si sta evolvendo, cresce in maniera costante ed esponenziale (negli ultimi 4 anni il numero di parametri per modelli linguistici di grandi dimensioni è cresciuto di 1.900 volte) ma “passerà almeno un decennio per assistere ad una vera svolta”. A me profano pare una tecnologia molto variegata, non ancora del tutto chiara anche perché diversi sono i tentativi, gli usi, le tipologie che si stanno sperimentando. Talora in competizione tra loro. Dicevamo una operazione di mercato non ancora definitiva. Vedi dubbi di Musk, di B. Gates e di altri GAFAM. Continua a leggere

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Per una scuola davvero efficace ci vuole della buona pedagogia

Stefaneldi Raimondo Giunta La missione della scuola è stata sempre quella di educare a vivere con gli altri; ma oggi gli altri sono quelli che vengono da molto lontano e sono diversi da noi e diversi tra di loro. La scuola oggi ha responsabilità di fare vivere armoniosamente e quotidianamente le diversità, di porsi consapevolmente come antidoto contro l’imperversare di sentimenti di odio, contro la manipolazione dell’informazione che di fatto ne è strumento; la scuola oggi o diventa scuola del dialogo o non è scuola; dialogo tra gli alunni; dialogo tra docenti e docenti; tra alunni e docenti; dialogo tra alunni e il sapere; dialogo tra scuola e società. Dopo ogni indagine sullo stato di salute della scuola, così come dopo ogni fatto che documenta la condizione di fragilità e di disorientamento delle nuove generazioni si alzano le voci per reclamare una scuola nuova e diversa rispetto a quella di cui si dispone. Puntualmente. E allora diciamolo.  La scuola intrinsecamente nuova, naturalmente nuova è quella che insegna a pensare, che educa all’autonomia intellettuale e del giudizio morale. Non è la ricchezza della strumentazione, né l’attrattività degli ambienti di apprendimento a farla diventare nuova. Nemmeno l’articolazione del curriculum. La scuola, anche quella sgarrupata è veramente nuova se aspira nelle sue date condizioni a rendere l’alunno protagonista, contento del proprio apprendimento. Consapevole della propria crescita. La scuola ha una propria costitutiva proiezione verso il futuro e fa bene il proprio mestiere se del futuro non restringe l’orizzonte, non amputa le sue possibilità. Se tutto ciò ha un senso, la scuola che prepara al futuro non è quella che si piega al diffusissimo mito dell’impiegabilità, perché colloca la scuola su una prospettiva di breve durata e ne impoverisce l’orizzonte sotto molti aspetti. Continua a leggere

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Intelligenza artificiale a scuola: argomento di moda o tema da approfondire?

di Rodolfo  Marchisio

Il tema di gran moda quest’anno è quella della IA. Come se non esistesse già prima. Naturalmente quando c’è un tema alla moda (o un problema purtroppo…) lo si vuole subito associare o meglio iniettare nella scuola. Fioriscono i primi convegni, i molti libri, soprattutto le case editrici non si fanno sfuggire l’occasione di essere tra le prime ad offrire corsi e webinar su questo argomento.

Conoscere per capire

Vorrei chiarire che il mio modo di ragionare da sempre è che di fronte a cose nuove e complesse “non è il caso di dividersi (pro vs contro) ma di conoscere di più per capire meglio”. Le osservazioni che farò spero servano a questo e derivano dalla mia esperienza di docente che si portava negli anni 80 i “computer” (allora ZX 81 o Vic 20 solo poi Spectrum o C 64) da casa e li attaccava alla TV. Che per 25 ha fatto l’”animatore digitale”, organizzato laboratori e ambienti di apprendimento “digitali”. Domandandosi quali competenze di docenti e allievi venivano messe in gioco. Come fare e perché. E che conseguenze avrebbero avuto su di noi come persone e cittadini. Poi come formatore dal 1982 (dal PSTD a Scuola 4.0) ha seguito tutte le costose iniezioni di tecnologie che la scuola ha subito – non richiesto – come mercato di riserva delle tecnologie da ufficio, non progettate secondo le sue esigenze. Una per Ministro, nella colpevole illusione che le tecnologie potessero risolvere i problemi della scuola e sostituire una riforma della stessa. Innovazione al posto di progetto. Tecnologie al posto di idee. Iniezioni mai monitorate, spese mai verificate dal ministero, come ha raccontato Gui e come posso testimoniare. Cercando, come formatore, di mediare tra le paure delle tecnologie prima e poi tra il saper usare e sapere come e perché funziona così verso la necessità di formare competenze di cittadinanza e cultura digitale. Il web nel frattempo è molto cambiato (“Non riconosco più la mia creatura”, dice T.B. Lee). Continua a leggere

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Quando l'educazione all'affettività si faceva anche senza Valditara e senza gli influencer

di Nicola Puttilli        Alcuni giorni fa un’insegnante della scuola che dirigevo a Nichelino, realtà allora particolarmente problematica dell’hinterland torinese, mi ricordava con un messaggio che più di una ventina di anni fa istituimmo nella scuola elementare un laboratorio di educazione all’affettività e alla sessualità, osservando, con una punta di ironia, come già allora fossimo all’avanguardia, anche senza il supporto degli influencer. Influencer o meno l’avvio del laboratorio fu reso possibile grazie a quel poco di organico funzionale e di risorse aggiuntive (L 440/97) che accompagnò la prima attuazione dell’autonomia scolastica, voluta dall’allora ministro dell’istruzione, recentemente scomparso, Luigi Berlinguer. Il laboratorio, così come lo stesso tentativo di dare vita a una vera, per quanto iniziale, autonomia, ebbe breve vita. Il ministro che, come non bastasse l’autonomia, si era messo in testa di riformare anche gli ordinamenti scolastici, sostanzialmente risalenti alla riforma Gentile, fu presto trafitto dal fuoco amico e costretto alle dimissioni. Dal 2001, ministro Letizia Moratti, cominciarono gli anni delle vacche magre: tagli indiscriminati, di finanziaria in finanziaria, fino a praticamente dimezzare in poco più di un ventennio la quota di PIL destinata all’istruzione. Operazione, quest’ultima, in cui si distinse per accanimento e perseveranza la ministra Gelmini. Continua a leggere

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Valutazione formativa e voto numerico possono convivere

di Roberto Trinchero Ringrazio gli amici che mi hanno segnalato alcune posizioni critiche sulla valutazione descrittiva in itinere (da alcuni chiamata “valutazione senza voti”). Vediamole in dettaglio, con relativa replica: P1: “La valutazione descrittiva e formativa da una parte e i voti numerici dall’altra sono un’alternativa inconciliabile”. R1: Valutazione descrittiva e voti numerici non sono alternative inconciliabili, semplicemente svolgono funzioni diverse: la valutazione descrittiva è utile in itinere per aiutare l’allievo a capire i punti di forza e i punti di debolezza della sua preparazione e i modi per migliorare. Essa rappresenta uno strumento irrinunciabile per una valutazione che possa dirsi realmente “formativa”. I voti (ma anche i livelli, nel caso delle certificazioni delle competenze) sono utili per far un bilancio finale di quanto acquisito, quindi sono strumenti adeguati per una valutazione “sommativa”. Ciò che è poco sensato è utilizzare uno strumento adeguato per la valutazione sommativa (i voti numerici) pensando che abbia una funzione “formativa”. P2: “Abolizione dei voti e abolizione del valore legale del titolo di studio sono due questioni legate tra loro”. R2: Non si vede proprio come possano esserlo. Nessuno propone di abolire il voto numerico come forma di valutazione sommativa, semplicemente se ne sottolinea l’inadeguatezza in un’ottica di valutazione formativa. P3: “I voti in itinere dicono chiaramente se la direzione in cui sta lavorando va bene oppure no” R3: Questa informazione la dà anche la valutazione descrittiva, in maniera molto più efficace. P4: “Quando i docenti oggi danno un voto lo accompagnano sempre con una spiegazione” R4: La valutazione descrittiva non fa altro che rendere maggiormente sistematica, e soprattutto resa per iscritto, questa spiegazione. E’ per questo che non dovrebbe essere difficile per i docenti passare alla valutazione descrittiva in itinere, dato che non fa altro che formalizzare una prassi ampiamente consolidata. P5: “E’ difficile passare da una serie di descrizioni a un voto numerico a fine percorso, senza averne mai dati prima” R5: No, se è chiara la corrispondenza tra obiettivi di apprendimento raggiunti dallo studente e voto finale assegnato. Ciò che non è sensato è assegnare un voto finale come media delle singole prove: le singole prove insistono su obiettivi differenti, quindi fare la media dei voti implicherebbe il sommare grandezze non omogenee tra di loro (detto volgarmente: “sommare le carote con le pere”). Continua a leggere

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Tutta colpa del patriarcato? Forse manca la "cultura del Noi"

di Raimondo Giunta Si è sperato per qualche giorno che non succedesse l’irreparabile, ma non è stato così. Giulia Cecchettin è stata massacrata dal suo ex ragazzo. Dopo il ritrovamento del suo corpo martoriato un’ondata di indignazione ha scosso la società, colpita dalla crudeltà con cui è stata stroncata la sua vita ad opera di un giovane, che sembrava molto lontano dalla capacità di compiere questo efferato delitto. Con forza si è riaperto il dibattito politico e culturale sulle responsabilità delle istituzioni, sui rimedi e sugli strumenti ritenuti adatti per contrastare ogni forma di violenza contro le donne e soprattutto i femminicidi, la cui frequenza in tempi di profonde trasformazioni dei costumi è uno scandalo ingiustificabile. Il problema interpella drammaticamente la coscienza di ognuno di noi ed esige riflessioni e risoluzioni all’altezza della sua gravità. I ragionamenti che farò rispecchiano i miei attuali e provvisori convincimenti e non hanno alcuna pretesa, se non quella di fare un po’ di chiarezza per me stesso; sono relativi agli strumenti e alle conoscenze in mio possesso. Il ricorso sempre più frequente all’uccisione delle donne nei conflitti e nei rapporti interpersonali è un fenomeno che va analizzato in tutti i suoi aspetti, senza alcun preconcetto.  In più di un intervento viene richiamata per i crimini contro le donne la violenza che deriva dai cascami della cultura “patriarcale”, ancora operante a parere di tanti nel comportamento e nelle scelte di molti uomini. Ragionamento questo che non mi risulta del tutto convincente.  Avrebbe piena validità, se ancora l’istituzione familiare avesse quella struttura e quella stabilità che aveva creato la tradizione del capofamiglia, padrone della sorte dei suoi componenti, sempre pronto ad esigere la sottomissione delle donne, della moglie e delle figlie soprattutto. Continua a leggere

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