Spunti di riflessione per una educazione buona

di Raimondo Giunta [caption id="attachment_3287" align="alignright" width="321"] disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption]

  1. La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere. Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare. Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).
  2. “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B. Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare. Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento. Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale.
  3. Una scuola non è un’azienda: bisogna smetterla di farne un metro di paragone, di assumerne cultura e valori e di farla finita con l’accanimento docimologico e metodologico che ne è derivato. Gli alunni non si possono programmare come la produzione dei pezzi di ricambio.  Per accendere il desiderio di apprendere bisogna recuperare la dimensione esistenziale del crescere nel sapere: “Fatti non foste per viver come bruti/ma per seguir vertute e canoscenza”(Dante). Continua a leggere

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Ma di quali valori parla la Sottosegretaria ? La virtù greca era anche pederastia e la democrazia escludeva schiavi, donne e non solo

di Mario Maviglia Alcuni soggetti, pubblici e privati, hanno la grande capacità di rendere “straordinario” o “epocale” ciò che è assolutamente ordinario. È quanto fa fin troppo spesso la stampa quando qualifica come “storico” un evento sportivo di un certo rilievo, o come quando il Governo (di qualsiasi colore) enfatizza in modo “enfatico” l’approvazione della legge di stabilità che è un atto ordinario del Parlamento.   Questa volta il merito va alla Sottosegretaria del Ministero del Merito, Paola Frassinetti, che, nel commentare la scelta del greco antico come seconda prova scritta per gli studenti del liceo classico per i prossimi esami di Stato, si è profusa in una dichiarazione dall’ampio respiro storico, sociale e retorico, anche se la scelta (non il “sorteggio”, sig.ra Sottosegretaria) della seconda materia d’esame dovrebbe essere considerato un atto di ordinaria amministrazione per il MIM. Ma la Sottosegretaria in questa scelta ha voluto vederci “non solo [confermata] l’importanza duratura dello studio del greco antico, ma [anche] la sua rilevanza ancora del tutto attuale nell’offerta educativa della nostra Scuola.” Questa premessa offre alla Nostra il la per esibirsi in una passionale e magniloquente dichiarazione sul valore dello studio del greco antico e più in generale sulla sua “grande e multiforme eredità letteraria”. Continua a leggere

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Correttezza, moderazione, ipocrisia? Giocare con un agente artificiale

di Marco Guastavigna “Il testo è potenzialmente problematico in quanto, pur senza contenere espressioni offensive o discriminanti, evoca un tema delicato come la Giornata della Memoria e una situazione di crisi internazionale. Questa combinazione potrebbe risvegliare sensibilità diverse e generare discussioni. Non si individuano espressioni che potrebbero essere censurate da filtri di moderazione o che possano essere considerate offensivamente divisive. Tuttavia, non possiamo escludere che qualcuno possa interpretare l’uso del termine ‘crisi internazionale’ come un riferimento indiretto a specifici eventi o contesti geopolitici, generando dibattito. L’autore del testo potrebbe essere percepito come troppo cauto o evasivo, risultando in una potenziale perdita di credibilità. Una possibile riformulazione inclusiva e neutra potrebbe essere: “In vista della Giornata della Memoria, si invita a mostrare rispetto e considerazione per garantire un ambiente tranquillo e sereno per tutti gli studenti“. L’agente artificiale ‘autore’ di questo giudizio è PCorrector, che accetta soltanto 90 caratteri, per cui la frase valutata è solo una parte – “Nell’approssimarsi della Giornata della Memoria e alla luce degli scenari internazionali di crisi si raccomanda le SS. LL. di porre la massima attenzione per prevenire iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti” – della formulazione originale della circolare riservata dell’USR Lazio circolata in questi giorni. Continua a leggere

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Stare insieme. Difendiamo la scuola inclusiva

di Daniele Ferro Ogni giorno, per mettersi tutte in fila e andare ai servizi, Shifa si avvicina al banco di Melissa, le porge la mano, e splendente di gioia in viso la sostiene fino alla porta del bagno. Anche Melissa s’illumina di gioia. È ipovedente. Io le osservo, queste bambine di otto anni, ma a volte devo distogliere lo sguardo: non avrei parole per spiegare la commozione dinanzi a tale meraviglia. «Maestro, posso sedermi vicino a Waqas per aiutarlo?». «Alessio, non me lo devi chiedere…vai!». I bambini stanno lavorando a gruppi, in un progetto di scrittura cooperativa. Siamo al terzo incontro. Mi chiedo se Azzedine – che tra le altre ha una grande difficoltà nel tollerare la frustrazione – oggi riuscirà a non abbandonare il suo gruppo, piangendo arrabbiato. Seguo la discussione, mentre i bambini si confrontano per inventare una favola. A un certo punto Azzedine esclama: «Io avevo un’altra idea, ma visto che voi siete d’accordo, accetto la vostra». Scatta l’applauso dei compagni. I nomi dei bambini sono di fantasia. I fatti sono reali, avvenuti in anni e istituti diversi. Questa è la scuola italiana, piaccia o no, e la legge stabilisce che i bambini, di qualsiasi colore e capacità fisica o intellettuale siano, per crescere debbano stare insieme. Le norme si possono criticare e ad essere si può anche disobbedire, se si è disposti a pagarne le conseguenze (come fece Alberto Manzi, che si rifiutò di vergare giudizi sui suoi allievi). Tuttavia la criticaanche quando è discriminatoria, va basata sulla conoscenza. Sui fatti. Se ve ne sono. La pedagogia è una scienza, ed Ernesto Galli della Loggia, con il suo articolo sul Corriere «La falsa inclusività della scuola», ha dimostrato ancora una volta – dopo l’ideona anni fa del ritorno alla predella – di non essere un pedagogista; di non conoscere – o di ignorare volutamente – gli insegnamenti che ci hanno trasmesso i più grandi scienziati della pedagogia, da Quintiliano a John Dewey a Mario Lodi. CONTINUA A LEGGERE QUI]]>

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Il prompt prima del prompt

di Stefano Penge In fondo “scrivere prompt” è solo una particolare forma di programmazione. Si dice ad un computer (no, ad un software, anzi all’interfaccia di un software) quello che si vuole che faccia. Se questo sembra lontano dalla programmazione tradizionale forse è solo perché non la si conosce a fondo e si pensa invariabilmente a una serie di stupidi comandi dati ad uno stupido robot che li esegue. Si pensa che programmare significhi specificare esattamente il risultato e il modo di raggiungerlo passo passo (l’algoritmo). Che i prompt possano usare parole italiane, anziché astrusi comandi in un simil-inglese separati da segni di interpunzione usati a casaccio, non è nemmeno tanto strano: la storia dei linguaggi di programmazione ha già visto tanti tentativi di staccarsi dalle lingue specialistiche per avvicinare alla programmazione anche le persone normali: è il caso del COBOL, inventato negli anni ‘60 per far programmare anche i contabili e non solo gli ingegneri. L’idea poi che i linguaggi di programmazione debbano per forza assomigliare all’inglese è falsa; ci sono linguaggi basati sull’arabo, sul cinese e persino sul latino [https://www.codeshow.it/Linguaggi/Linguaggi_nazionali].

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Ma nemmeno è detto che programmare sia per forza “dare ordini”. Ad esempio, nella programmazione detta “orientata agli oggetti” si definiscono le conoscenze e le abilità di un tipo di oggetti. Più oggetti insieme, collegati gerarchicamente oppure messi in relazione tramite la possibilità di scambiarsi informazioni, costituiscono un modello. Una volta costruito, il modello viene eseguito e se la vede da solo, senza interazioni con gli umani. E’ come scrivere il copione e poi mettere in scena una rappresentazione teatrale. Continua a leggere

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Il congiuntivo nella Costituzione italiana

di Nicola Bruni Quando facevo il prof di italiano, talvolta mi avventuravo nell’insegnamento della “grammatica costituzionale”, proponendo come frasi da analizzare articoli della nostra Magna Charta. Questa mi riusciva particolarmente utile per spiegare il corretto uso del congiuntivo, mentre il congiuntivo mi serviva da pretesto per parlare della Costituzione. Scorrendo il testo approvato il 27 dicembre 1947 dai Padri costituenti, con le successive modifiche, vi ho contato la presenza di 55 forme verbali al congiuntivo, tutte coniugate al tempo presente, in proposizioni consecutive, ipotetiche dell’eventualità, condizionali, dichiarative, soggettive, oggettive, finali, limitative, eccettuative, temporali. Alcuni esempi: RELATIVA IPOTETICA DELL’EVENTUALITA’: “Lo straniero, AL QUALE SIA IMPEDITO nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge” (art. 10, comma 3). CONDIZIONALE: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma […], PURCHE’ NON SI TRATTI di riti contrari al buon costume” (art. 19). DICHIARATIVA: “I lavoratori hanno diritto CHE SIANO PREVEDUTI E ASSICURATI mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art. 38, c. 2). SOGGETTIVA: “È condizione per la registrazione CHE gli statuti dei sindacati SANCISCANO un ordinamento interno a base democratica” (art. 39, c. 3). OGGETTIVA: “Nel processo penale, la legge assicura CHE la persona accusata di un reato SIA, nel più breve tempo possibile, INFORMATA riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” (art. 111, c. 3). Continua a leggere

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Giornata della Memoria, il Ministero teme "iniziative che possano turbare gli studenti". Ma a cosa si riferisce?

di Mario Maviglia La direttrice generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha inviato ai “dirigenti scolastici degli istituti scolastici di ogni ordine e grado del Lazio” una nota “riservata” (talmente “riservata” che la si può tranquillamente trovare sui social) che recita testualmente così: “Oggetto: Svolgimento delle attività didattiche. Nell’approssimarsi della Giornata della Memoria ed alla luce degli scenari internazionali di crisi si raccomanda le SS.LL. di porre la massima attenzione per prevenire iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse nonché il regolare funzionamento delle attività scolastiche. Ogni eventuale elemento di novità al riguardo deve essere rappresentato allo scrivente Ufficio con la massima tempestività. Il direttore generale” ecc. ecc. Non sappiamo se la nota nasce da qualche sollecitazione del Superiore Ministero o se è stata una iniziativa della direttrice regionale; in ogni caso merita qualche osservazione, che (lo anticipiamo) forse non sarà politicamente corretta, ma speriamo eticamente irreprensibile. Innanzi tutto non si comprende quali possano essere quelle “iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse.” Utilizzando un approccio ermeneutico-inferenziale abbiamo provato a indicare alcune di queste iniziative potenzialmente “turbanti”:

  • I ragazzi e le ragazze inneggiano alle Brigate Rosse et similia (ma la cosa appare inverosimile in quanto gli studenti odierni non sanno neppure cosa fossero le Brigate Rosse).
  • Gli studenti e le studentesse manifestano pubblicamente a favore delle camere a gas naziste (ma queste manifestazioni sono tipiche di CasaPound et similia e dunque la nota andrebbe rivolta a questi centri di estrema destra, ma in questo caso è competente il Ministero dell’Interno, non il MIM).
  • I giovani manifestano contro la guerra (e questo sarebbe “turbante” per i giovani?).
  • I giovani manifestano a favore della pace (e anche questo sarebbe “turbante” per i giovani?)
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Ma io ho studiato per insegnare la mia disciplina, non per insegnare agli alunni con disabilità

di Evelina Chiocca Nelle nostre scuole entra personale che non solo afferma quanto ho scritto nel titolo, ma lo rivendica come “suo sacrosanto diritto”. Secondo queste persone non è possibile chiedere loro di insegnare “agli alunni con disabilità” iscritti alle loro classi. Secondo loro gli alunni con disabilità hanno “altri insegnanti”. Tutto questo non entra nel dibattito. Sfugge.   Tutto questo sembra “ordinario”,  tanto che neppure il Ministro interviene; così come non intervengono altri ministri o ministre che sembrano essere esperti /esperte del tema. Che cosa significa tutto ciò? Che quando un docente (il quale afferma di voler insegnare “la sua disciplina”, ma di non voler insegnare ad alunni con disabilità) entra in una classe, allora lo studente con disabilità “esce”, allontanandosi? Questa è la scuola dell’inclusione? Questa è la prospettiva che dobbiamo continuare a vedere, senza “battere ciglio”? Senza dire nulla? Eppure in molti protestano al solo pensiero di “dover insegnare ad alunni con disabilità”. Forse non hanno letto il loro contratto di lavoro? E mi chiedo come si possa accettare che la scuola italiana, che vanta di essere leader a livello di inclusione, accetti di far entrare nelle classi personale che dice che “non se la sente di lavorare con gli alunni con disabilità”. Ricordo una mia collega che una volta mi disse: “Se avessi voluto fare sostegno, mi sarei specializzata. Ma io preferisco insegnare la disciplina agli altri; a lui ci pensi tu”. Sicuri tutti che a lui ci debba pensare “solo” io, in quanto docente specializzata? Sicuri tutti che il docente con incarico sulla disciplina sia esentato dall’insegnare all’alunno con disabilità? Sicuri tutti che stiamo parlando della scuola italiana che accoglie tutti? Tutti noi (a ragione) ci scagliamo contro chi paventa il ripristino delle scuole o delle classi speciali; ma perché nessuno dice niente di fronte a color che “le classi speciali le fanno rivivere ogni giorno”?]]>

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Professor Galli della Loggia, le racconto cos'era la scuola che lei rimpiange

di Giancarlo Cavinato Era il 1973, nella scuola a tempo pieno di Torre di Fine Eraclea (Venezia). Era il secondo anno di avvio del tempo pieno in provincia di Venezia terzo in Italia. Negli incontri MCE inseguivamo lungo i corridoi Fiorenzo Alfieri e i torinesi avidi di sapere da loro che avevano iniziato per primi il tempo pieno. Avevo una classe quinta di 24 alunni con diversi pluriripetenti provenienti da pluriclassi chiuse per l’avvio del tempo pieno in un nuovo edificio leggendo i libretti rosa e azzurri che a quei tempi accompagnavano gli alunni dalla prima alla quinta avevo rilevato che alcuni alunni avevano fatto uno o due anni alla scuola speciale di san Donà di Piave perché avevano dei fratelli maggiori già frequentanti la scuola speciale e si era pensato che avessero anche loro analoghe debolezze fisiche e mentali poi accortisi che così non era li avevano ricollocati nella scuola ‘normale’. Perdendo però uno o due anni. C’era poi in un’altra classe G. bambino distrofico con scarsa speranza di vita. Lui non andava alla scuola speciale perché la famiglia di coloni dipendente dal proprietario terriero padrone delle terre circostanti il paese (un  vero ‘terrateniente’) non poteva lasciare i campi né trasportarlo quotidianamente a San Donà a 20 km. di distanza. Accogliemmo G. in una classe terza contro il parere della direzione didattica (’a vostra responsabilità’) e degli insegnanti locali. G. non leggeva e non scriveva ma faceva dei grandi dipinti di nuvole con un pennello. I suoi compagni lo lodavano per le forme delle nuvole. Continua a leggere

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Inclusione, decadenza degli “intellettuali” e crisi della scuola dei diritti

disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Rodolfo Marchisio Io questo pezzo non lo volevo scrivere, perché penso che rispondere a EGdL (quello della “predella per ristabilire autorità del docente”, confondendo autorità con autorevolezza), che non è un esperto di scuola, sia quello che lui cercava, una provocazione per far parlare di sé. Ma invitato e tirato per i capelli da un paio di considerazioni, cerco di essere breve.

Intellettuale o influencer?

  • Propongo di abolire il termine “intellettuale”, parola ombrello (Guastavigna) che all’epoca di social, talk e improbabili influencer, non vuol dire più niente. Sicuramente non ha più un ruolo di punto di riferimento nella babele di web, talk e fake. Se “la rete dà la parola a tutti” (U. Eco ed è un bene teorico nel campo dei diritti), dà però anche la parola “a legioni di imbecilli” (U. Eco) e se in rete “1 vale 1” si pone il problema del rapporto tra la libertà di espressione e la competenza in merito all’argomento; “la mia ignoranza vale come la tua competenza” (Asimov). EGdL è esperto di scuola, didattica, pedagogia, inclusione? Dai 2 articoli direi di no.
  • Credo dovremmo parlare di studiosi, di ricercatori, competenti in un campo, anche se la conoscenza oggi è svalutata, anche grazie all’abuso della rete, rispetto alla opinione che chiunque può avere lecitamente. (Nichols). Lo studioso si caratterizza per il metodo e per la citazione di fonti, ricerche, documentazione e per l’argomentare vs affermare (come fanno i social e la politica) che validino il suo discorso e permettano agli altri di verificare se dice il vero. Lo fa anche wikipedia, il dizionario (non enciclopedia) su cui studiano i nostri ragazzi: questa pagina non è attendibile perché non riporta le fonti e non ha sito/bibliografia. Se no è uno qualunque che esprime la sua.
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