L’alfabeto della lingua

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a cura del Gruppo Nazionale Lingua MCE

Un tempo in diversi Paesi europei le più remote località erano raggiunte dai ‘colporteurs’, venditori ambulanti che offrivano le più svariate tipologie della cosiddetta ‘letteratura di colportage’, libretti morali, immagini e stampe, testi di canzoni, testi religiosi, storie cavalleresche e romanzi diffusi a puntate.
Oggi le tecniche di diffusione sono molto più raffinate, ma è con lo stesso spirito che come Gruppo Nazionale Lingua MCE intendiamo diffondere un’idea di lingua e di educazione linguistica di cui si riscontra un gran bisogno- e una grande assenza- nella scuola.
Si tratta dell’idea di lingua delineata nel Manifesto ‘Educare alla parola’, nelle ‘Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica’ del Giscel, nelle pubblicazioni curate dal MCE nelle collane Narrare la scuola e RicercAzione.
Contiamo con ciò di contribuire a fare chiarezza sulle teorie, esplicite e implicite, che stanno alla base delle molteplici modalità con cui nella nostra scuola è stata e viene ‘insegnata’ la lingua italiana.
Nella varietà e diversità di teorie, modelli, pratiche, abbiamo scelto una serie di ‘voci’ che pensiamo possano aiutare l’insegnante ad orientarsi e a scegliere, nella scuola, approcci e percorsi con consapevolezza.
L’insieme consiste in una serie di  fascicoli, ciascuno contenente alcune  ‘voci’.

Per saperne di più puoi partecipare al webinar in programma per il giorno 11 marzo con inizio alle ore 17.30.
Per iscriversi, compilare il form disponibile qui

VOLUME 1

VOLUME 2

 

Esperimento artificiale

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di Marco Guastavigna

Una buona e sufficientemente sintetica definizione dei dispositivi di “intelligenza” artificiale generativa è questa: macchine predittive che, sulla base di allenamento e perfezionamento condotti su gigantesche quantità di dati disponibili a titolo diverso in rete (BigData), sono in grado di costruire correlazioni e modelli statistici, utili per imitare gli esiti di processi cognitivi umani, fornendo risposte e indicazioni plausibili alle sollecitazioni degli utenti.

Questo approccio prestazionale all’intelligenza ha una conseguenza fondamentale: tipologia e qualità degli input dipendono moltissimo dalle modalità di realizzazione delle fasi di apprendimento iniziale, oltre che dal monitoraggio delle interazioni degli utilizzatori, che in molti casi metteranno in moto conversazioni di perfezionamento della prestazione e a cui è richiesto, sempre e passo passo, un feedback – spesso da motivare – sul valore di quanto generato dal dispositivo.

Per verificare il primo aspetto, che è basilare, ho condotto un piccolo esperimento, approfittando del fatto che la piattaforma di AI MagicSchool offre la possibilità di realizzare chatbot personalizzati, con cui interagire in base a criteri originali e specifici, definiti di volta in volta dall’utente, con la massima precisione possibile.

Per primo ho realizzato ChatProfTRad, che impersona l’insegnante tradizionale.
Sono poi passato a ChatProfInn, il cui credo è l’innovazione.
Siccome non mi riconoscevo in nessuno dei due profili, ho successivamente abbozzato un auto-identikit professionale, sfociato in ChatProfDiv(ergente).
Ho poi condotto una conversazione con ciascuno dei tre interlocutori. Continua a leggere

Col senno di poi, ovvero Santa Franca (Falcucci)

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Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

A bocce ferme, dopo il tormentone dell’emendamento del governo che prevede alla scuola primaria, dall’anno scolastico prossimo, il cambiamento dei giudizi descrittivi e il ripristino di quelli sintetici (da insufficiente a ottimo) di fatto annullando le Linee Guida del 2020, mi ritrovo a fare alcune considerazioni.
Con la prima desidero ricordare come l’unica riforma che abbia rispettato un primo periodo di applicazione facoltativa sperimentale, con successiva raccolta dei dati e delle osservazioni critiche per poterla aggiustare in itinere, sia stata la famosa L.148/90, meglio nota come la “riforma dei moduli”, firmata dalla Ministra Falcucci! ( con il senno di poi molto rimpianta, com’ è fra l’altro in un certo senso avvenuto con la sua circolare famosa n° 227 del 1975 che ha anticipato i contenuti della L.517 ben due anni prima!)

Io allora ero Direttrice Didattica a Conegliano, 2° circolo e rammento il fermento innovativo e il desiderio di mettersi in gioco di insegnanti che hanno contagiato gli altri di fronte alla sfida di superare la figura del maestro unico!
Ricordo pure che dopo 2 anni sono passati gli ispettori tecnici per intervistare i docenti e raccogliere punti di forza e punti debolezza della riforma che soltanto l’anno successivo è stata resa obbligatoria con i debiti aggiustamenti.
Come mai questa prassi non è più stata ripresa e soprattutto non è stata applicata rispetto al dispositivo di cui stiamo parlando? Forse, con il senno di poi, si sarebbero potute snellire nel tempo certe modalità troppo burocratizzate e vincolanti che hanno affaticato inutilmente gli insegnanti strada facendo, in qualche caso irritandoli. Ho trovato a volte anche da parte nostra, di teorici della scuola e dell’insegnamento, un po’ supponente considerare certi segnali di insofferenza senza dare loro credito. E’ come se, galleggiando sopra ai problemi, in preda all’enfasi scaturita dall’abolizione sacrosanta dei voti numerici, qualche volta pontificassimo evitando di dare dei colpi di sonda dentro alla realtà in sofferenza del corpo docente. Mi metto tra questi con grande rammarico …

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PAROLE PER GIOCARE

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Proponiamo ai nostri lettori uno straordinario documento di grande interesse storico.
Si tratta del n. 101-102 della Biblioteca di Lavoro di Mario Lodi del 1979.
Era stato realizzato con testi di Gianni Rodari e disegni di Frato (Francesco Tonucci)
L’interesse del documento risiede anche nella introduzione scritta da Tullio De Mauro.
[ringraziamo Massimo Bondioli che ha reperito il volumetto presso la Biblioteca Comunale di Piadena]

Per approfondire puoi guardare la registrazione del nostro webinar con Vanessa Roghi che parla proprio della Grammatica della fantasia di Gianni Rodari.

Scuola come istituzione, non come servizio sociale

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Raimondo Giunta

La scuola non è solo un servizio sociale; la scuola è anche una istituzione. Come servizio la sua qualità si misura dalla soddisfazione degli utenti; come istituzione la qualità si misura dalla capacità di conservare e sviluppare i valori di una comunità; come servizio si regge sull’attenzione agli interessi individuali; come istituzione si regge sul principio del bene comune. Il bene comune della scuola è costituito dai saperi e dalle conoscenze che è tenuta a tramandare, alcuni dei quali sono fondamentali per la coesione della comunità: lingua, storia, cultura nazionale, valori costituzionali. Saperi necessari.
Saperi che appartengono a tutti e non a pochi privilegiati.

Per definizione.
Principio questo che non ha bisogno di dimostrazione, perché altrimenti non ci sarebbe motivo per finanziare la scuola con risorse dello Stato.

Come istituzione la scuola non può darsi nessuna regola d’esclusione, anche perché il suo costo sociale grava di più su chi meno ne trae beneficio. Ne verrebbe meno il valore; se ne macchierebbe la dignità. Nell’apertura della scuola a tutti sta scritto il meglio della nostra civiltà. Possono essere posti limiti al possesso di beni materiali, non al bisogno e al desiderio di conoscenza e al diritto di formazione. I meccanismi di esclusione a scuola fanno impropriamente del sapere una delle più offensive giustificazioni delle posizioni sociali privilegiate.

La scuola come istituzione non può essere diversa da regione a regione, dal centro alle periferie delle città, dalle grandi città ai piccoli comuni.  La scuola come istituzione dovrebbe lavorare per unire e per proporre una valida e riconosciuta gerarchia dei saperi e delle attività, in grado di contrastare la deriva relativistica degli interessi individuali e dei curricoli à la carte.  Purtroppo dura da troppo tempo la lotta per ridimensionare l’aspetto istituzionale della scuola, con la complicità forse inconsapevole di parte del personale scolastico, per ridurla alla pura logica del servizio a clienti.

Lo scopo, nemmeno sottinteso, è quello di degradare la funzione del sapere da bene pubblico a mero privato possesso strumentale.

 

Temi in classe

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di Stefano Penge

Ma allora cosa si può fare con questa benedetta intelligenza artificiale generativa nell’educazione? Va scansata, ignorata altezzosamente?

Certo che no. Perché al di là della sua forma attuale (il prompt appunto) si tratta di un passaggio importante non solo tecnico, ma culturale e sociale. La frenesia con cui persone che hanno ignorato fino a ieri l’esistenza stessa di software “intelligenti” si sono buttate a creare testi e immagini sulla base di ricette ha una radice che merita di essere studiata e capita.

 

Si potrebbero “importare” alcuni dei temi toccati fin qui all’interno delle materie e delle lezioni tradizionali. Le storie (della filosofia, della letteratura, dell’arte ) sono discipline in cui è facile trovar loro posto.

Per esempio:

  • i prodotti dell’IA generativa sono analitici o sintetici? A priori o a posteriori?
  • il symbolum niceno-costantinopolitano e la differenza tra generazione e creazione;
  • copiare è bello: novità e tradizione tra classicismo e romanticismo;
  • automi nella letteratura, da Esiodo a Čapek;
  • Narciso e l’amore per la propria immagine, da Caravaggio a Freud;

In sostanza si tratterebbe di ricondurre la novità nell’alveo della tradizione. Un procedimento tipico della scuola, che tranquillizza tutti, ma a mio avvisto rischia di non porta a grandi passi avanti.
Forse si può fare qualcosa di più.

Intanto la discussione che precede e segue l’uso del prompt può più essere utile e interessante. Probabilmente questa è la parte più importante di ogni utilizzo didattico di tecnologie non create esplicitamente per l’apprendimento, dai laboratori linguistici alle LIM: ricostruirne la genesi e gli obbiettivi, provare a capirne il funzionamento, valutarne il bilancio guadagni-concessioni. Continua a leggere

Il declino dell’inclusione scolastica. Cambiare radicalmente rotta? (a proposito dei dati Istat 2022/23)

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di Raffaele Iosa

Come tradizione, a febbraio ISTAT pubblica il suo Rapporto annuale sull’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità.  Questo  dell’a.s. 2022/23 è da leggere con attenzione per i segnali di crisi registrati che, visti nell’arco  del primo quarto di questo secolo registrano  un declino (forse) irreversibile  dell’inclusione scolastica à l’italienne.
Un declino che pare interessare  pochi studiosi, visto che il rapporto ISTAT da anni non riesce a sollevare  un serio confronto sulla natura e le cause della crisi, tale da cambiare quasi del tutto l’ispirazione dell’inclusione nata negli anni 70 del secolo scorso. In 50 anni è cambiato quasi tutto, prevalentemente in peggio.
Queste mie note sono un allarme lanciato a tutto mondo della scuola, alla politica e alla società civile, perché ormai il declino non è più davanti a noi. E’ arrivato.

  1. L’esplosione della grande malattia

Partiamo in primis dagli alunni e studenti con disabilità presenti nell’anno scolastico 22/23.
Sono ben 338.000 dalla scuola dell’infanzia alle superiori. Ben il 7% in più in un anno scolastico. Per la prima volta nella storia dell’inclusione superiore al 4% della popolazione scolastica.

Questo aumento appare ancora più grave se si vede la progressione decennio per decennio da inizio secolo ad oggi. Vediamo gli anni “critici” e la loro progressione.
a.s. 2000/2001 alunni/studenti:  126.000 (1.3% della popolazione scolastica)
a.s. 2010/2011  alunni/studenti  208.520  (2.3% popolazione scolastica) + 165%  dei certificati
a.s. 2022/2023  alunni studenti   338.000   (4.1%  popolazione scolastica) + 300% dei certificati.
Dunque un primo dato clamoroso su cui riflettere: alunni e studenti con disabilità triplicati negli ultimi 20 anni. Un dato cui ho prestato attenzione da molto tempo e che ho chiamato in molti miei scritti “l’epoca della grande malattia”, cercando di comprendere le ragioni sociali, cliniche, antropologiche, di questa esplosione.  Un dato in continuo aumento per una perversa e poco studiata medicalizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza. Domina il mito dell’eziologia genetica e (come spesso capita se non si hanno prove certe) dell’epigenetica. Dunque una colpa chimica e biologica, che frammenta l’umano in sintomi circoscritti, perdendone l’unitarietà olistica. Continua a leggere