Il voto è morto, viva il voto?

di Simonetta Fasoli 

Non mi piace, di solito, iscrivermi al club dei disfattisti, tra i fautori del “benaltrismo”: il “ben altro”, per definizione, è inesauribile…
Detto questo, non mi sento neanche di entrare a far parte del coro di coloro che stanno prodigandosi in commenti a tutto tondo positivi verso le disposizioni ministeriali che regolamentano la fase attuativa del superamento della valutazione decimale nella Scuola primaria.
Leggendo l’O.M. 172 del 4/12/2020 con le allegate Linee guida che ne fanno parte integrante, parecchi sono i dubbi che mi sorgono.
Non voglio affliggere chi mi legge con una troppo lunga disamina (inadatta, a parer mio, al mezzo…). Mi limiterò a poche, sintetiche osservazioni, rinviando ad altra sede e occasione una più articolata riflessione.


L’impressione complessiva è che il ricorso a indicatori per livelli precostituiti comporti un ragionevole rischio di reintrodurre un criterio surrettiziamente quantitativo e faciliti, nelle pratiche adottate nelle scuole, la traduzione meccanica del voto in livello. Non dimentichiamo che la valutazione discorsiva in sede intermedia e finale adottata a suo tempo (L. 517/77) si è presto trasformata in giudizi alfabetici (livelli), per più versi anticipatori del ritorno al voto.
I livelli, descritti con formule che meriterebbero un’attenta analisi, comportano in ogni caso una concezione di classificazione per scala, presupponendo tra un grado e l’altro della scala medesima intervalli regolari. Ma non è questo il principio di misurazione sotteso al voto decimale?
Mi sfugge, poi, come questo strumento possa comportare, per sé preso, il vantaggio di una vera “valutazione formativa” che i testi ministeriali evocano ripetutamente, facendo eco agli entusiasti sostenitori dell’abolizione del voto. “Valutazione formativa” significa essenzialmente dar conto del processo e non sancire il prodotto (mi scuso di usare, per brevità, parole-slogan…): è questo che consentono i livelli? Mi permetto di dubitarne.
E di prefigurare, a fronte di questa vistosa lacuna, pratiche di valutazione tristemente ricorrenti.
Spero, infatti (e temo fortemente) che non si dica: “ma se diamo ‘livello avanzato’ a Tizio, dobbiamo darlo anche a Caio”…E spero altrettanto che chi è “in via di acquisizione” non resti su quella via…perché la sanzione dell’esito esime fin troppo facilmente dall’intervenire didatticamente sulle condizioni e sul processo che lo determinano.
Insomma, speriamo che morta una scala non ne nasca un’altra.
Non serve cambiare il termometro per curare la febbre.
Un capitolo a parte meriterebbe la scelta di adottare una valutazione (“formativa”, mi raccomando…) applicata alle singole discipline. Questa mi sembra una spia altrettanto significativa delle contraddizioni interne in cui si dibatte la nuova normativa. Va detto che la stessa discutibile impostazione si ritrova, esplicitamente, nelle Indicazioni nazionali 2012, come ho più volte fatto osservare nelle occasioni di formazione e riflessione sull’impianto della Scuola primaria. Una opzione appena temperata dalla motivazione addotta nello stesso documento: lasciare alle istituzioni scolastiche il compito di effettuare le opportune aggregazioni disciplinari.
Resta il fatto che le disposizioni sulla valutazione finiscono per confermare la frammentazione disciplinare, che è estranea alla natura profonda del percorso primario di educazione e istruzione. Una deriva “disciplinarista” che, ancora una volta, fa a pugni con il “valore formativo” delle discipline, evocato dai documenti istituzionali prodotti nel tempo.
Mi fermo qui. Le scuole si stanno mobilitando per rispondere alle nuove (ma quanto davvero “nuove”?) disposizioni. È congruente con il loro compito istituzionale, e certamente a certe condizioni può innescare processi virtuosi. Ma a patto che sia valorizzata la componente professionale dell’operazione, e che una responsabile e condivisa interpretazione prevalga sulla funzione “adattiva”, per non dire sulla tentazione di mera “esecuzione”.
Sarebbe davvero imperdonabile non far diventare vera occasione di cambiamento quello che, per ora, mi sembra un tentativo, significativo certo per la sua matrice istituzionale, ma proprio per questo non privo di insidie. Come ho cercato di sottolineare.




Valutazione, valutazione formativa e opinione pubblica

di Raimondo Giunta

  • Non si va molto lontano dalla realtà se si dice che fuori dalla scuola non ci si pone molti problemi su come debba essere esercitata la valutazione a scuola, né ci si domanda se addirittura si possa praticarla in modo diverso nei vari gradi dell’istruzione.
    Fuori dalla scuola è convinzione largamente accettata che in fatto di valutazione oltre quella che distingue e seleziona non possa esserci nulla di serio e che quella numerica non abbia rivali in termini di chiarezza e di precisione.
    Anzi si pensa che sarebbe tanto di guadagnato se gli alunni fin da piccoli venissero abituati ad essere giudicati ed educati a dare il meglio di sé e ad eccellere. A misurarsi e a competere con gli altri, perché la vita è una lotta continua e a questo bisogna prepararli, in modo che quando sarà il momento di incominciare a prendersi qualche responsabilità possano essere pronti  e armati di tutto punto.
  • Nell’opinione pubblica si pretende serietà e questa viene accompagnata dalla richiesta di rigore nelle valutazioni; non a caso si accolgono favorevolmente tutte le campagne contro le promozioni facili, dalla primaria alla secondaria superiore.
    Di mezzo c’è ancora il valore legale del titolo di studio e si pensa che solo la severità in sede di valutazione possa salvaguardarlo, per potere ancora riconoscerne gli effetti per gli impieghi pubblici e sociali ai quali si può accedere. Ne deriva una forte ed evidente insensibilità verso certe forme di esclusione sociale che possono scaturire dal modo in cui viene esercitata la valutazione.
    Non possono essere tutti dottori…I risultati scolastici, racchiusi in un titolo di studio, che meritano di essere apprezzati sono solo quelli per i quali si può dichiarare la loro adeguatezza agli standard delle professioni, delle attività e dei mestieri che si possono esercitare e ai quali si può accedere. Per questo genere di valutazione l’unico interesse che può esserci, di parte o pubblico, è che venga fatta in modo trasparente e con regole concordate e fatte conoscere.
  • L’altro genere di valutazione, quella formativa, è una questione per ora tutta interna alla scuola e raramente fuoriesce dai confini scolastici. Una pratica intra-moenia che ha valore esclusivamente educativo e in genere in questo modo funziona solo in quelle scuole che si obbligano a fare crescere bene ogni alunno e a non lasciare indietro nessuno.
    Una pratica alla quale nessuno fuori dalla scuola darà un valore, anche se potrà consegnare alla società una persona ben-educata e non priva di competenze.
    Facciomocene una ragione. I sistemi di valutazione non hanno una propria ed autonoma esistenza, né tantomeno hanno la forza di determinare da soli il corso degli eventi a scuola. Sono funzionali al rapporto che il sistema di istruzione deve/vuole allacciare con la società e con il mondo del lavoro. Sono funzionali ai risultati che in un dato momento la società, attraverso gli organi che la governano, chiedono alla scuola; risultati in termini di conoscenze, di competenze e anche di attitudini. C’è del cinismo in’ questo un vincolo da rispettare e che può strozzare, indebolire, vanificare non poche buone  prassi pedagogiche. D’altra parte non credo che si possa sottovalutare il fatto che la valutazione formativa entri nella  legislazione scolastica nel ’77 con la legge n. 517, in quegli anni settanta che hanno visto la nascita dello Statuto dei diritti dei lavoratori, della legge del divorzio, degli organi collegiali nella scuola, della delega dei poteri alle regioni e agli enti locali e della legge dell’aborto.
    In quegli anni, se non viene l’itterizia, successivi al ’68.
    Una profonda trasformazione della società, cioè, precede e accompagna una preziosa innovazione pedagogica e culturale. Da sola la valutazione formativa non ce l’avrebbe fatta e da sola rischia di essere fragile e incompresa.
  • La scuola è una costruzione sociale che deve periodicamente chiedersi le ragioni del suo esserci. Niente di quello che fa può essere dato per definitivo e per scontato.
    Perché continui ad esserci dipende da quello che necessariamente è tenuta a fare per tutti e di cui tutti o molti siano convinti.
    Il destino della valutazione formativa nella scuola primaria e la sua eventuale estensione nella secondaria dipendono innanzitutto dal modo in cui sarà praticata a partire da domani e poi dalla crescita della sua condivisione presso l’opinione pubblica.  Vaste programme…



Valutazione nella primaria: arrivano i giudizi descrittivi

di Stefano Stefanel

La valutazione nella Scuola primaria, in applicazione della legge n° 41 del 6 giugno 2020, trova oggi un suo completo indirizzo attraverso l’emanazione del Decreto Ministeriale n° 172 del 4 dicembre 2020, a cui sono state allegate le Linee guida per la formulazione dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria” e la nota del Capo dipartimento Marco Bruschi (n° 2158 del 4 dicembre 2020).
A questi documenti va aggiunto il parere favorevole del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione del 2 dicembre 2020, le cui proposte correttive hanno trovato ampio spazio nei documenti emanati.

Poiché questo passaggio normativo e progettuale è molto importante ed interessante, credo sia necessario che le scuole non sottovalutino alcune questioni, che si aprono attraverso questi documenti, e non cerchino frettolosi aggiustamenti a fronte di un percorso formativo e progettuale, che i documenti sopra citati impongono. Il documento emanato il 4 dicembre è un documento che nel corso del suo iter di approvazione è mutato in alcuni punti, conservando l’interessante impianto generale. E questo già dice molto sulla delicatezza del passaggio dai voti numerici ai giudizi descrittivi nelle scuole primarie.

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Ci sono però delle cose da fare, in modo piuttosto urgente, ed è il motivo per cui intervengo oggi:

  • gli Istituti comprensivi devono coinvolgere, in questo importante passaggio formativo e normativa (il passaggio della Scuola primaria dai voti ai giudizi descrittivi “molti anni dopo”), sia le Scuole dell’infanzia, sia le Scuole secondarie di primo grado: non è possibile lasciar progettare in solitudine  uno dei tre segmenti degli Istituti comprensivi, visto che il processo di valutazione è solo una parte di quello verticale di apprendimento e non una gamba autonoma a sé stante;
  • il lavoro svolto dalle Scuola primarie deve trasmettersi anche alle Scuole secondarie di primo e secondo grado, che non possono ritenersi escluse da un processo di valutazione che per 8 anni nella vita di uno studente (Scuola dell’infanzia e Scuola primaria) avviene senza voti;
  • le scuole devono evitare di collegare la valutazione descrittiva finale degli apprendimenti a valutazioni informali o formali numeriche in corso d’anno scolastico.

ALCUNI PERICOLI

L’impostazione data alla valutazione della Scuola primaria dai documenti ministeriali contiene anche dei grossi rischi, laddove la sua applicazione sarà meccanica e non progettualmente definita. Il primo è quello di trasferire la scala numerica precedente in una nuova scala dello stesso tipo, anche se letterale. Nella scuola primaria finora si usavano, di fatto, solo cinque voti: 6,7,8,9,10.

Il rischio, evidente, è di trasformare i numeri in parole:

Un altro rischio è quello che nasce dalla richiesta di valutare tutte le discipline previste dalla Indicazioni  Nazionali, continuando nella strada della secondarizzazione della scuola primaria, purtroppo in atto in molte Scuole primarie del sistema scolastico nazionale.  Credo che questa avrebbe potuto essere la volta per mettere a sistema anche una possibilità esplicita di valutare per aree e non per discipline. Leggendo i documenti ministeriali, ma anche il DPR 275/99 e le Indicazioni Nazionali, a mio parere, questa possibilità c’è già ora. Ma credo sia troppo implicita e fortemente legata alla forza progettuale degli Istituti comprensivi, spesso più favorevoli a ricevere ordini precisi, piuttosto che Linee di indirizzo.

Credo, inoltre, che alcune discipline meriterebbero valutazioni scollegate dal livello di apprendimento. Faccio solo un paio di brevi esempi:


LO SPAZIO LUNGO DELLA RIFLESSIONE

I documenti ministeriali nell’ambito del processo di valutazione degli apprendimenti, del comportamento e dell’educazione civica, richiedono alle Scuole primarie una riflessione molto profonda, che deve essere ampliata con i contributi delle Scuole dell’infanzia e delle Scuole secondarie (di primo e secondo grado). Credo,ad esempio, che nelle Scuole del secondo ciclo ci sia un forte deficit di competenze valutative attraverso un utilizzo spesso molto autoreferenziale e poco scientifico di misurazioni di prodotti troppe volte privi di valore probante (compiti in classe e interrogazioni).

Sarà compito, però, degli Istituti comprensivi coinvolgere nella riflessione tutto il sistema dell’istruzione, collegando la valutazione degli apprendimenti nel quinquennio cruciale della crescita formativa e culturale di una persona con procedure virtuose che legano l’euristica della ricerca alla chiarezza della progettazione.

I documenti ministeriali non possono essere semplicemente applicati, ma devono trovare spazio di riflessione, laddove tre saranno i soggetti che devono riflettere:

  • il dirigente scolastico che deve guidare il processo di formazione e il progetto della scuola che dirige;
  • il docente di scuola primaria che deve comprendere le gradi innovazioni introdotte;
  • il collegio docenti (dell’Istituto comprensivo) che deve collegare i tre ordinamenti di cui è composto in un unico progetto verticale di valutazione.

Solo la forza progettuale degli Istituti comprensivi potrà aprire gli spazi necessari a penetrare il secondo ciclo dell’istruzione e a scardinare quello che spesso diventa un coacervo di misurazioni atte a produrre soprattutto dispersione.

Importante è anche che lo spazio che verrà dedicato alla ricerca, alla valutazione, all’innovazione sia uno spazio aperto a cui vengono concessi tempi lunghi. Un errore non da poco sarebbe quello di  approvare in fretta e furia nuovi documenti e integrazioni al PTOF e poi lasciare tutto fermo per i prossimi dieci anni, trasformando l’azione di giudizio in una nuova docimologia “narrativa”.

La ricerca azione, il confronto con le famiglie, l’integrazione verticale di sistemi di valutazione molto diversi tra loro (Scuola dell’infanzia: osservazione e certificazione; Scuola primaria: osservazione e valutazione; Scuola secondaria di primo grado: misurazione disciplinare e valutazione docimologica) richiedono molto tempo e possibilità di agire per prove ed errore e per scambi culturali. Fermarsi alla forma porta ai rischi di secondarizzazione di cui ho parlato sopra e ciò costituisce l’elemento più pericoloso per la crescita dei nostri studenti, che devono partire da campi d’esperienza per arrivare alle discipline e alle specializzazioni dopo un lungo periodo di studio primario.

Credo sarebbe importante nascesse una fase formativa in cui le Scuole del secondo ciclo apprendessero veramente la complessità degli Istituti comprensivi e le che gli Istituti comprensivi studiassero Le linee guida degli Istituti tecnici e professionali e le Indicazioni Nazionali dei Licei, al fine di comprendere come la nuova organizzazione dell’esame di stato del secondo ciclo (e spero anche del primo ciclo con una trasformazione del vecchio esame con 6 prove in pochi giorni in un’unica prova così come avvenuto nel giugno di quest’anno) sia molto vicina ai documenti appena emanati sulla valutazione nelle scuole primarie.

La valutazione non è una gamba a sé stante della scuola, ma solo un elemento fondamentale che concorre alla crescita dell’albero dell’apprendimento. In tutto questo bisogna agire personalizzando i percorsi di apprendimento, ma anche comprendendo in che modo legare la personalizzazione alla cittadinanza che le scuole primarie devono garantire a tutti gli studenti. E qui sarebbe bello nascesse un legame tra Scuola primaria e Istituti professionali sul concetto di personalizzazione dei percorsi di apprendimento.

Ci sono rischi e opportunità: è il momento di riflettere non di applicare.

 




Giudizi descrittivi al posto dei voti. Il nostro sondaggio

I commenti sulla “novità” di questi giorni che leggiamo in rete sono contrastanti ed è per questo che abbiamo pensato di realizzare un semplice sondaggi fra i nostri lettori.
Il sondaggio è rivolto principalmente ai docenti della scuola primaria.
Per chi volesse documentarsi meglio proponiamo i seguenti materiali

Una nostra intervista al pedagogista Enrico Bottero
su Ordinanza e Linee Guida e su come prepararsi alla novità

Circolare Ministeriale

Ordinanza Ministeriale

Linee Guida del Ministero

Clicca qui per rispondere al questionario 




Valutazione formativa: serve solo alla primaria?

di Raimondo Giunta

 

 

 

LA VALUTAZIONE COME AIUTO

La valutazione che per legge diventa formativa nella scuola primaria è ancora un’illustre sconosciuta nella secondaria di secondo grado, dove sarebbe una vera rivoluzione, un cambiamento di paradigma se cominciasse ad essere praticata con coerenza e continuità.
E’ in riferimento a questa prevalente situazione che si intende parlarne.

La valutazione formativa non ha come oggetto diretto il profitto scolastico, ma la relazione pedagogica del processo formativo, che viene valutata per poterla migliorare in modo che l’alunno sia aiutato a identificare, a superare le sue difficoltà e a progredire.
”La valutazione formativa mira a consentire all’alunno di sapere perchè è riuscito in un caso e non in un altro. (. . . . . ) L’obiettivo di questo tipo di valutazione è in effetti di confrontare l’alunno con se stesso e di aiutarlo a compensare le difficoltà identificate da lui e per lui”(De Peretti).
E’ la volontà di favorire e sostenere gli apprendimenti degli alunni a caratterizzare la valutazione formativa. Lo scopo della valutazione formativa è quello di aiutare ciascuno alunno ad apprendere e non quello di rendere conto agli altri del suo rendimento.
La valutazione formativa è essenzialmente un’operazione di natura pedagogica; le funzioni annesse sono, secondo Ch.  Hadji, quelle di: rassicurazione (sostenere la fiducia in sè dell’alunno); assistenza (fornire dei riferimenti, dare dei punti d’appoggio per progredire); feed-back (dare al più presto possibile un’informazione utile sulle tappe raggiunte e sulle difficoltà incontrate); dialogo (nutrire un vero dialogo insegnante-alunno, fondandolo su dati precisi).
La valutazione formativa è una valutazione del durante e non del dopo; ha la funzione di migliorare, orientare e controllare il processo di apprendimento, il comportamento dell’alunno e dell’insegnante nella prospettiva della padronanza degli obiettivi di apprendimento.
Ha un’intenzione di aiuto individualizzato, ma anche di specchio per il docente. Il successo dell’apprendimento è un risultato che si deve alle procedure di correzione e di aggiustamento continuo del processo di formazione, nei casi in cui si riscontrano delle difficoltà. La valutazione formativa è pensata come contributo alla regolazione degli apprendimenti e come contributo alla regolazione dell’insegnamento. Si fonda sulla confidenza e non sulle minacce, sulla cooperazione tra docenti e alunni.
”La regolazione non è un momento specifico dell’azione pedagogica, ma una sua componente permanente”(Ph. Perrenoud).
La regolazione messa in atto dall’insegnante ha un senso se ispira e sostiene la regolazione del processo di apprendimento che deve mettere in atto l’alunno.

OSSERVAZIONE O VALUTAZIONE FORMATIVA?

A Perrenoud, però, il concetto di valutazione formativa non garba parecchio; a suo parere per avere un’educazione su misura è meglio parlare di osservazione formativa: “L’osservazione formativa è un affare tra insegnante e alunno. E’ una dimensione del rapporto educativo, la cui forma e intensità variano in funzione delle difficoltà e dei bisogni. (. . . ) E’ meglio parlare di osservazione formativa piuttosto che di valutazione, considerato come questo termine sia associato alla misura, alle classificazioni, alle pagelle. (. . . ) Osservare è costruire una rappresentazione realistica degli apprendimenti, delle loro condizioni, delle loro modalità, dei loro meccanismi, dei loro risultati”.

Che cosa si dovrebbe osservare nelle attività di apprendimento degli alunni?
Interesse e partecipazione, pertinenza degli interventi; persistenza di automatismi impropri; modalità di esecuzione dei compiti; grado di autonomia e spirito di collaborazione; difficoltà a trasferire; originalità; capacità di analisi e riflessiva etc.
L’elenco dei comportamenti da osservare è ancora più vasto e perfettibile e a seguirlo si renderebbe impossibile questa operazione; è alquanto ragionevole, pertanto,  praticare l’osservazione in modo pragmatico sulla scorta delle esperienze fatte e delle necessità che emergono in un preciso momento dell’attività di formazione.
Se l’osservazione formativa deve avere una qualche efficacia  è opportuno disporre di procedure snelle di lavoro.

Sarà proprio così? L’osservazione non è una semplice registrazione, ma una raccolta guidata e consapevole di dati, che va orientata secondo schemi, concetti e ipotesi precisi; non ci sono dati nudi e puri. L’osservazione formativa essendo orientata da specifiche intenzioni, non può non preludere alla formulazione di un giudizio.
”L’osservatore costruisce l’oggetto della sua percezione analizzandolo nello stesso tempo in cui lo registra. Il valutatore non avendo come scopo semplicemente di vedere, ma di pronunciarsi su ciò che vede, tesserà con le sue parole una tela che articola dati osservabili e idee, rappresentazioni, progetti, intenzioni etc per fare nascere del senso”(Ch. Hadji).
L’osservazione non copre l’intero campo della valutazione formativa, anche se ne è la base più significativa e imprescindibile.

IL RUOLO DELL’ALUNNO

La valutazione formativa è un modello affascinante, ma richiede impegno e rigore per metterla in atto. Uno dei suoi principi costitutivi è che possa svilupparsi solo con procedure in cui l’alunno deve partecipare e dare il suo contributo. Il risultato di maggiore pregio che si deve conseguire con la valutazione formativa è la capacità di autovalutazione dell’alunno. Se l’apprendimento è per tutta la vita, è fondamentale imparare a sapere gestire il proprio rapporto al sapere sia in un contesto scolastico-formale, sia nell’ambiente sociale più informale: per sapere valutare le proprie forze e i propri punti deboli, per decidere le scelte delle tappe successive a quelle raggiunte.
L’autovalutazione è una pratica di valutazione, ma è anche un’attività di apprendimento.
E’ apprendimento a sapere agire, a sapere guidare meglio le proprie strategie d’azione e renderle più efficaci. L’autovalutazione “è una maniera di incoraggiare gli alunni a riflettere su ciò che hanno appreso, a cercare i metodi per migliorare il proprio rendimento e a pianificare ciò che permetterà loro di progredire e di raggiungere i propri obiettivi. In quanto tale essa comprende competenze in termini di gestione del tempo, di negoziazione, di comunicazione con gli insegnanti e con i pari, d’autodisciplina e un di più di riflessività, di spirito critico e di valutazione”(P. Broadfoot).
L’autovalutazione è il contributo più cospicuo che l’alunno può dare alla valutazione formativa, ma non può assorbire il contributo che spetta all’insegnante.

Per praticare l’autovalutazione è necessaria la trasparenza dei criteri di valutazione: solo avendo una visione globale del compito da svolgere e degli obiettivi ad esso connessi e da realizzare gli alunni possono sviluppare le competenze metacognitive indispensabili per gestire e padroneggiare tale compito.

VALUTAZIONE FORMATIVA E DIFFERENZIAZIONE

La valutazione formativa è funzionale alla differenziazione dell’insegnamento per un’educazione su misura ed è naturale e necessario che si eserciti soprattutto con gli alunni in difficoltà, essendole connaturale non ricorrere a procedure uniformi e standardizzabili.  La valutazione formativa è comprensibile dentro una scelta di individualizzazione dell’insegnamento e di differenziazione degli interventi. Differenziare significa mettere in atto procedure di trattamento delle difficoltà allo scopo di facilitare il raggiungimento degli obiettivi dell’insegnamento; differenziare significa privilegiare l’alunno, i suoi bisogni e le sue possibilità; differenziare è avere cura della persona; differenziare è tenere presente gli stili cognitivi degli alunni per valorizzarne gli approcci a loro consueti. Nella pratica della valutazione formativa trova una soluzione pedagogica ragionevole la gestione degli errori.
Ben compreso e interpretato l’errore può diventare un’opportunità per la regolazione del processo di formazione, perchè dà informazioni sul grado di padronanza raggiunto da un alunno e sulle difficoltà che incontra nel processo di apprendimento

La valutazione formativa per essere efficace non può essere un esercizio individuale di qualche isolato insegnante, nè essere praticata solo per un tratto di tempo. Richiede continuità e collegialità. Andare verso la valutazione formativa significa rinunciare a fare della selezione il nodo permanente del rapporto pedagogico. La valutazione formativa non ha una vocazione selettiva e in qualche modo suggerisce di sostituire una relazione potenzialmente conflittuale con una fondata sulla cooperazione. E’ l’uso che si fa delle informazioni raccolte sulle attività dell’alunno a rendere formativa la valutazione.
”Ciò che è formativo è la decisione di mettere la valutazione al servizio della crescita dell’alunno e di ricercare tutti i mezzi suscettibili per agire in questo senso”(Ch. Hadji)

VALUTAZIONE FORMATIVA VERSUS VALUTAZIONE SOMMATIVA?

Valutazione sommativa e valutazione formativa vanno distinte, ma non contrapposte, anche perchè prima o poi viene posto il problema se e come possano essere utilizzati i dati raccolti nell’esercizio della valutazione formativa ai fini di un giudizio complessivo del rendimento scolastico di un alunno. Operazione che si fa abitualmente a fine anno di corso o a chiusura di un curriculum scolastico un po’ dappertutto, per tutti gli alunni, anche se con valenze pubblico-sociali diverse da nazione a nazione e anche quando non si procede ad alcuna forma di selezione. La difficoltà a far confluire i dati della valutazione formativa in quella sommativa deriva dal fatto che la prima ha come esigenza fondamentale quella di far progredire un alunno, mentre l’altra ha l’esigenza di classificarlo e di situarlo tra altri alunni.

Nascendo da intenzioni diverse e raccolti con metodologie proprie, che sono quelle dell’osservazione, i dati della valutazione formativa non possono essere utilizzati facilmente per farli pesare aritmeticamente nella valutazione sommativa. L’approccio di questo tipo di valutazione è sostanzialmente qualitativo e i suoi risultati non si possono tradurre facilmente in dati numerici, tali da permettere o la media o la somma dei punti.
Perrenoud suggerisce di tentare un’armonizzazione senza calcoli specifici e precisi, basata sull’esperienza. Altrimenti si corre il rischio di un disimpegno da parte degli alunni a partecipare ad un’attività che non conterebbe nulla ai fini dalla valutazione finale, alla quale si dà ancora un grande valore. La valutazione formativa è un’innovazione di costume e non sempre incontra i favori degli alunni e delle famiglie, abituati e spinti dall’utilitarismo di moda e di massa a considerare più il valore formale e pubblico del voto ai fini della carriera scolastica, che non il possesso reale di una competenza, di un sapere.

“La valutazione formativa è ancora allo stadio dell’utopia, certamente importante, ma utopico”(Ch. Hadji).

Merita di essere considerata un ideale perché ”si mette deliberatamente al servizio di un fine che le dà senso, divenendo un momento determinante dell’azione pedagogica; essa si propone sia di contribuire ad una evoluzione dell’alunno, sia di dire lo stato attuale della cosa.” (Ch. Hadji).
I modelli ideali, però, fanno fatica a diventare operativi senza studio e impegno. . .  L’armonizzazione della valutazione formativa e della valutazione sommativa rimane, pertanto, un’impresa artigianale, tendenzialmente intuitiva. Forse solo col portfolio si può tentare l’impresa, se viene esplicitamente costruito per rendere conto del progresso nella padronanza di un sapere. Nella valutazione formativa prevale, tuttavia, la prospettiva della regolazione e dell’aiuto; nella valutazione sommativa il riconoscimento sociale degli apprendimenti, le esigenze di attestazione e di certificazione.

 




Il tormentone dei voti numerici

di Cinzia Mion

Premessa: gli antefatti della nota “Bruschi”

È da molto tempo che alcune Associazioni professionali, particolarmente sensibili all’idea di scuola inclusiva, sollecitano l’abolizione dei voti numerici, utilizzati dai docenti per la valutazione scolastica dei loro alunni. Ho sottolineato l’aggettivo inclusiva per differenziare l’idea di scuola richiesta oggi dalle norme legislative e dalle Indicazioni Nazionali – note ministeriali orientanti l’operato dei docenti per realizzare tali norme — nei confronti dell’idea precedente che possiamo definire elitaria. Il cammino è stato lungo per arrivare ad auspicare una vera scuola che sappia riconoscere “a tutti e a ciascuno” non solo il diritto allo studio ma anche il diritto alla cultura.
La svolta epocale è avvenuta, come sappiamo tutti, dopo l’approvazione della nostra Costituzione repubblicana, caratterizzata per l’idea di scuola aperta a tutti, dall’articolo 34 e dall’articolo 3, articolo bellissimo che non finisce di emanare suggestioni e orientamento.

Il primo passaggio legislativo determinante è stata l’approvazione della scuola media unica e l’irrompere conseguente della scuola di massa.
È stato qui che la valutazione scolastica numerica, in assenza del ri-orientamento dei docenti, da parte del Ministero, nei confronti di tale cambiamento dell’utenza così radicale ma significativo ed auspicabile, ha cominciato a fare danni.


Non è questa la sede per ricostruire la storia dell’evoluzione della valutazione scolastica, basti ricordare le critiche sociopolitiche, quelle docimologiche, quelle psicologiche fino a quella pedagogica che ha elaborato un interessantissimo concetto di “valutazione formativa”, delineando la differenza con quella tradizionale “sommativa” (B.Vertecchi).
Questa significativa argomentazione psicopedagogica ha indotto il legislatore a varare la legge 517/1977, che aboliva finalmente le pagelle con i voti nella scuola elementare (art. 3) e nella scuola media (art.9), introducendo delle schede valutative che dovevano utilizzare motivati giudizi sul livello globale di maturazione. Si sarebbe dovuta aprire così la strada alla ”VALUTAZIONE FORMATIVA”.
Quello che è successo poi, in concomitanza con l’abolizione del voto numerico sui documenti ufficiali, ma non nella mente dei docenti, è analizzato molto bene da Franca Da Re su www.scuola7, n.200, del 31 agosto.

Perché la valutazione numerica è inadeguata

Innanzitutto per un rilievo della docimologia (scienza della misurazione) per cui il suo utilizzo presuppone che i voti possano essere considerati vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro perfettamente uguali (i docenti questa impossibilità la avvertono e si aggiustano usando i “- “, i “+”, i “1/2” ma spesso non auto-interrogandosi oltre).
Ciò determina che l’applicazione della valutazione numerica, per noi su scala decimale, sia assolutamente soggettiva ed arbitraria:
• perché il voto semplifica una operazione complessa come la valutazione e la spinge verso la misurazione (con cui non va assolutamente confusa)
• perché sclerotizza una situazione ed ostacola l’apprezzamento del processo di apprendimento: si pensi alle micidiali medie aritmetiche sollecitate fra l’altro dall’utilizzo del registro elettronico;
• perché, di fatto, finisce con l’attribuire all’alunno il mancato apprendimento, senza che avvenga più di tanto il suo coinvolgimento da parte del docente con l’offerta di una attività individualizzata;
• perché non induce l’autointerrogazione del docente sul proprio insegnamento e non sollecita il suo bisogno formativo (la responsabilità del voto negativo è tutta da attribuire all’allievo);
• perché, soprattutto quando è pesantemente negativo, incide sull’autostima, sull’autoefficacia e sulla motivazione o demotivazione degli alunni aumentando il rischio di dispersione degli stessi;
• perché non aiuta il processo di autovalutazione degli allievi;
• perché non offre informazioni sui punti forti o sulle lacune utilizzabili dall’allievo per il processo di miglioramento; fa emergere solo gli sbagli (e non gli errori che invece si potrebbero recuperare con una modalità diversa dalla stigmatizzazione);
• perché stimola il confronto inutile e dannoso nel gruppo e tra le famiglie che lo usano per ricavarne una classifica;
• perché sollecita un clima di classe competitivo, non positivo e non cooperativo (come sollecitato dalle Indicazioni nazionali vigoskiane) inibendo così l’aiuto reciproco e l’apprendimento tra pari, che poggiano sulla prosocialità.

La delusione del decreto 62/2017

Gli appelli per l’abolizione del voto sono stati numerosi e ben argomentati.
Anche la Commissione incaricata dal MIUR di approfondire la questione, in vista del nuovo decreto legislativo, oggetto di una delle deleghe derivanti dalla L. 107/2015, aveva consegnato al Governo una relazione in cui offriva delle alternative al voto, considerato anche da essa inadeguato. Sembrava che ormai avessimo raggiunto l’obiettivo ma la domanda cruciale da parte di un membro del Governo ha bloccato l’iniziativa.
”Ma i genitori cosa preferiscono?” (sic!).
La risposta “I voti naturalmente…!” ha annullato ogni ricerca e determinato la decisione: “E allora voti siano!”
Non posso fare a meno di sottolineare il grave costume politico ormai consolidato di prendere le decisioni più sull’onda della ricerca del facile consenso che sull’opportunità, psicopedagogica in questo caso, di un sistema di valutazione adatto all’idea di scuola cambiata nel tempo.
C’è da rilevare però il contrasto con il dettato della delega che chiedeva fosse dato “rilievo alla funzione formativa e di orientamento della valutazione stessa”, cosa che questa decisione onestamente troppo frettolosa e stridente non fa.
A dire il vero il termine “formativa” compare anche nell’articolo 1 del decreto ma si capisce subito che il valore semantico di questo termine, che per gli addetti ai lavori connota in modo molto preciso e inequivocabile un tipo di valutazione che non può poggiare sui voti, è stato usato dal legislatore con un significato generico.

Si riaprono i giochi

Tra gli effetti del coronavirus e il conseguente lockdown, l’interruzione inaspettata della scuola, la devastante clausura dei bambini e la chiacchieratissima DAD – con il risultato doloroso della inequivocabile emarginazione dei soggetti più deboli, spesso senza possibilità di connessione per svariati motivi – è scaturita la necessità di porre mano anche alla valutazione. Nel frattempo si sono moltiplicate le petizioni da parte di Associazioni professionali e sindacali allo scopo di approfittare di questo spiraglio legislativo per correggere il tiro, rispetto al recente decreto n.62, che aveva invece inaspettatamente confermato i voti numerici.

La Legge n.41 del 6 giugno 2020, che ha convertito il Decreto Legge n.22 dell’8 aprile 2020, emanato in situazione di emergenza, ha recepito infatti un emendamento votato in Parlamento e presentato da una rappresentante della maggioranza.
Questo emendamento recita: “In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017,n.62, dall’anno 2020/2021, la valutazione finale (ndr. neretto mio) degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione”.

A dire il vero questa era sembrata ai più una vittoria a metà in quanto ci sembrava che il vero passo avanti ci sarebbe stato se tutta la scuola dell’obbligo, o almeno il primo ciclo, avesse potuto usufruire di tale cambiamento e non solo in sede di valutazione finale. Ci siamo però accontentati.

La doccia fredda

Una nota del Ministero dell’Istruzione del 1 settembre a firma M.Bruschi (già noto al mondo della scuola per essere stato il consigliere del ministro Gelmini che aveva ripristinato i voti nel 2008) interviene però a gamba tesa ad interrompere la soddisfazione per il risultato ottenuto, sia pure parziale. La nota infatti non ammette per il primo quadrimestre della scuola primaria la valutazione attraverso l’uso di giudizi descrittivi e ripristina invece i voti, mentre rimangono i giudizi solo nel risultato finale.
Bruschi, recentemente promosso dalla Ministra Azzolina al posto della dott.ssa Palumbo, tornata a dirigere l’USR del Veneto, applicando una analisi prettamente letterale dell’emendamento, invece di cercare di cogliere lo spirito della legge, ha fatto uscire dallo sfondo il termine finale nell’emendamento ed ha così stravolto la probabile intenzione di chi l’emendamento l’ha steso e di chi l’ha votato al Parlamento.
Come è possibile pensare e poi sostenere che nel primo quadrimestre si utilizzino i voti e nella valutazione finale i giudizi? Dal punto di vista logico, ma non politico, semmai potrebbe essere sostenuto solo il contrario. Il dottor Bruschi, una volta fatta questa analisi “occhiuta”, e nello stesso miope, dell’emendamento, secondo me doveva segnalarlo alla Ministra che doveva provvedere in tempi brevi, sollecitando quelle modifiche che potranno intervenire in sede legislativa, come si evince dalla nota stessa, non allarmare i Dirigenti presi in questo momento dai problemi seri della Scuola.

Le proteste

Non ha fatto infatti un buon servizio alla Scuola stessa questa nota che è deflagrata proprio alla vigilia della sua riapertura, con docenti, dirigenti, genitori, amministratori locali e cittadinanza tutta in fibrillazione per la sicurezza. Non ha fatto un buon servizio alla ministra Azzolina da tempo nell’occhio del ciclone… Sono subito infatti partite le proteste da parte della Associazioni professionali e sindacali. L’A.N.DI.S., l’Associazione Nazionale dei Dirigenti Scolastici, ha emanato un comunicato stampa in cui manifesta il suo stupore insieme al disappunto.
Il Movimento di Cooperazione Educativa — conoscendo i tempi burocratici e non solo – oltre alla protesta si spinge opportunamente a dare suggerimenti alle Istituzioni scolastiche perché provvedano autonomamente in qualche modo a correggere questo paradosso increscioso. Dario Missaglia, presidente di Proteo Fare Sapere, definisce “grave e sconcertante” la nota di Bruschi, che “riduce l’atto del parlamento a una questione burocratica”.

Auspichiamo una resipiscenza ed un esempio

Sarebbe auspicabile che, all’interno della rivisitazione delle modifiche in via legislativa, accadesse una resipiscenza a livello politico-ministeriale e che, magari per risarcire la Scuola per questo disagio in più – non previsto e nemmeno prevedibile – si raggiungesse l’auspicato risultato di eliminare la valutazione su scala numerica decimale da tutta la scuola, almeno del primo ciclo. Le ragioni sono state espresse: basterebbe accettare la fatica di riflettere e di innovare. Non è questo forse che da tempo i vari Ministri dell’Istruzione raccomandano a gran voce? Il pensiero riflessivo ed innovativo sono le bussole anche dei testi della Indicazioni nazionali. Facciamo in modo di dare l’esempio: che le prediche diventino anche le pratiche. Prendiamo due piccioni con una fava: iniziamo l’insegnamento dell’educazione civica con un bell’esempio di ETICA PUBBLICA all’interno della P.A, operando perché il dichiarato diventi l’effettivo.




C’è giustizia nelle valutazioni?

di  Raimondo Giunta

  • Il titolo di studio è ancora  garante  delle competenze in possesso dei giovani che escono dai nostri istituti superiori? Che valore ha oggi ?
    Gli effetti sociali,se ancora ce ne sono,sono proporzionali ai punteggi ottenuti dagli studenti. Per alcuni comportano la legittimazione ad entrare in alcuni settori universitari, se non si procede ai test di ammissione,e in alcuni limitati ambiti del mercato del lavoro,per gli altri ,invece,possono significare l’esclusione o la marginalità sociale.
  • nche se il titolo di studio è ridotto ad evidente malpartito, nei procedimenti di valutazione conclusiva come in tutti gli altri che li precedono si aprono questioni di giustizia, che non dovrebbero essere ignote ai responsabili di ogni singolo istituto, ai docenti e ai commissari degli Esami di Stato.
    L’insuccesso  non è solo la bocciatura o l’esclusione dagli esami di Stato;vanno considerati come insuccesso la totalità dei voti vicini al minimo e questi, che non sono pochi,costituiscono un problema sul quale si dovrebbe ragionare.
    Un problema che non nasce in sede di esami, perché in quella sede ha la sua ultima manifestazione.
  • Quando si parla di valutazione, da molto tempo, è diventato abituale nascondere le dimensioni sociali di un’operazione che ha comunque un’incidenza sul destino dei giovani che attraversano l’istituzione scolastica.
    La valutazione non è un atto esclusivamente didattico; non è pensabile come se ci fosse il vuoto tra scuola e società. Si trascura il peso che vi gioca il contesto in cui opera un’istituzione scolastica e in cui vivono gli alunni o i soggetti in formazione. Si obietta che l’attenzione posta all’insuccesso scolastico spinge a trascurare la valorizzazione dei meriti individuali, dando per scontato e necessario che l’una e l’altra debbano essere per forza in contraddizione.
  • Alcune forme di valutazione, purtroppo, funzionano spesso come sanzione per gli alunni in difficoltà e per quelli più deboli.
    La valutazione viene impiegata per escludere e stigmatizzare e spesso si dimentica che potrebbe/dovrebbe essere un’opportunità per consentire agli alunni di apprendere meglio. Nei fatti si registra un’oscillazione costante tra una concezione democratica della valutazione, inclusiva e a sostegno delle pari e migliori opportunità per tutti e una concezione elitista, formalmente meritocratica, funzionale alla riproduzione delle distanze sociali esistenti ad un certo momento della storia di una società.
    Successo e insuccesso scolastico non sono solo legati, come spesso si vorrebbe fare credere, alle caratteristiche degli alunni; verosimilmente sono il risultato di un giudizio degli attori del sistema scolastico sulla “distanza” di un alunno dalle norme di eccellenza scolastica in vigore.
    I criteri di eccellenza cosi come quelli di sufficienza non sempre sono adeguatamente giustificati e scevri di connotati sociali, così come le prove che li dovrebbero convalidare.
    Per dirla chiaramente, nella valutazione si annida spesso un certo grado di arbitrarietà. Sia nei valori di riferimento, sia nella scelta vincolante dei saperi e delle competenze da valutare.
  • Per potere affermare che c’è giustizia nelle valutazioni scolastiche, bisogna vedere se ogni giovane,qualunque sia la origine sociale, riesce a confrontarsi in classe  con gli altri su un piano di parità; bisogna vedere se ogni giovane ha la possibilità di valorizzare  le proprie attitudini  per vivere secondo il principio di dignità; bisogna vedere se si è contribuito a diminuire le differenze di riuscita tra giovane e giovane e se quelli che sono allo stesso livello di talento, di capacità e hanno lo stesso desiderio di utilizzarli hanno avuto le stesse possibilità di successo,senza tener conto della loro condizione sociale.
    Per fare giustizia nella valutazione si deve aver chiara l’idea che le disuguaglianze della società si riversano nella scuola e agiscono attraverso i meccanismi della sua organizzazione.
    I fattori interni che possono produrre effetti di iniquità, registrati e riassunti nel modo di fare valutazione, sono collegati al curriculum, alla dotazione degli organici, al reclutamento e alla formazione dei docenti, alle risorse disponibili, all’unitarietà e differenzazione degli indirizzi, alla formazione delle classi, all’assegnazione dei docenti alle classi.
  • Il curriculum ufficiale, quando evidenzia la prevalenza degli aspetti logici, linguistici e astratti, rende probabile l’insuccesso di determinati alunni.
    ”L’ineguale distanza dalla cultura scolastica è un fattore di successo per alcuni,di insuccesso per altri.Non partendo tutti dallo stesso punto,non hanno lo stesso cammino da percorrere per padroneggiare il curriculum. Basta che la scuola tratti gli alunni della stessa età come eguali in diritti e doveri per trasformare le differenze di patrimonio culturale in disuguaglianze di successo scolastico”(Bourdieu-1966).
    Senza questa consapevolezza l’aura di oggettività con cui si cerca di rivestire le pratiche di valutazione serve solo a dissimulare la riproduzione dell’ordine sociale esistente, con le sue grandi ingiustizie,mentre si proclamano ad alta voce il merito individuale e la mobilità sociale.