Dal voto ai giudizi: i perché di un cambiamento necessario

di Cristiano Corsini

Nella scuola primaria si passa dal voto ai giudizi. Anche se si tratta di un cambiamento del tutto in linea con la ricerca educativa e valutativa più avanzata – o forse proprio per questo motivo – l’accoglienza da parte dell’opinione pubblica è stata finora caratterizzata da una certa dose di circospezione e sospetto. Come ho già rilevato, sul Corriere della Sera Galli della Loggia ha attaccato frontalmente i giudizi, definendoli poco chiari e buonisti. Benché le lapidarie opinioni dell’editorialista siano, come vedremo, del tutto infondate dal punto di vista scientifico ed educativo, ritengo utile partire da esse per ragionare sulle motivazioni profonde di questo passaggio. Le posizioni di Galli della Loggia costituiscono infatti un’efficace sintesi dei luoghi comuni che egemonizzano il dibattito su insegnamento e valutazione destinato al grande pubblico e restituiscono una preziosa testimonianza degli ostacoli che anche i cambiamenti educativi più sensati incontrano sul piano comunicativo.

Va considerato che il maggiore impedimento alla comprensione di un simile cambiamento è legato alla confusione rispetto al significato da attribuire alla valutazione educativa. Se guardiamo alle ricerche empiriche e alle sistematizzazioni teoriche degli ultimi decenni, possiamo definire la valutazione educativa un giudizio di valore che viene emesso sulla distanza tra la realtà che accertiamo e le nostre aspettative (tipicamente: tra il livello degli apprendimenti e gli obiettivi) ed è utile a ridurre tale distanza. Il problema è che questa definizione, che concepisce la valutazione come strategia che dà forma a insegnamento e apprendimento, sebbene si sia mostrata negli anni estremamente efficace dal punto di vista didattico (in poche parole: chi la pratica ottiene risultati migliori da studentesse e studenti), è scarsamente diffusa in un’opinione pubblica abituata a concepire il giudizio o il voto prevalentemente nei termini di una classifica poco utile dal punto di vista educativo ma funzionale alla riproduzione di una visione gerarchica e meritocratica della società.

I perché del voto: l’illusione di immediatezza e oggettività

In poche parole, un punto di vista come quello di Galli della Loggia, pur disinformato sul piano pedagogico, ottiene un’eco notevole, rappresentando e informando l’opinione pubblica all’interno di un dibattito che è tradizionalmente refrattario al parere di soggetti competenti.

Non è un caso che proprio sulle pagine del Corriere della Sera nel 2008 Tremonti, allora ministro dell’Economia e delle Finanze, non ritenendo forse di avere congiunture economiche particolarmente complesse da gestire (come ricorderete, fummo l’ultimo Paese ad ammettere di essere in crisi economica e l’ultimo a uscirne, ammesso che ne siamo mai usciti), decide di occuparsi di questioni docimologiche. Per Tremonti, i voti rispetto ai giudizi assicurano oggettività e immediatezza alla valutazione. Si tratta di un punto essenziale, dato che l’oggettività e l’immediatezza nella valutazione sono due miti estremamente diffusi e la loro presa sull’opinione pubblica garantisce a discorsi come quelli dell’ex ministro e di Galli della Loggia una notevole popolarità. Tremonti benedice così il passaggio dai giudizi ai voti voluto dalla collega Gelmini:

I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri. Un terremoto è misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter […]. La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto.

Se gli stessi fenomeni […] fossero espressi non con i numeri ma attraverso frasi complesse con finalità descrittive, il messaggio resterebbe impreciso.

L’ex ministro considera i giudizi confusi e imprecisi – non diversamente da Galli della Loggia – e difende pertanto il voto numerico in virtù della sua capacità di trasmettere un messaggio preciso e diretto. L’argomentazione a sostegno è estremamente interessante e merita di essere analizzata in maniera più dettagliata.

In primo luogo, Tremonti sostiene che, essendo i numeri precisi e i giudizi confusi, se i fenomeni fossero espressi con frasi complesse con finalità descrittive il messaggio sarebbe impreciso. Per dimostrarlo, tra gli esempi che sceglie figura il terremoto, misurato con la scala Mercalli o Richter. Il problema è che la prima scala in realtà avvalora perfettamente proprio la tendenza che Tremonti intende contrastare, essendo costituita da frasi con finalità descrittive di differente complessità. E si tratta, è bene tenerlo a mente, di una scala ordinale.
In secondo luogo, Tremonti sostiene che la mente umana sia semplice e che risponda a stimoli semplici. Si tratta di una legittima opinione, presumibilmente legata alle frequentazioni dell’ex ministro, ma non ha alcun appiglio dal punto di vista scientifico ed educativo. In particolare, qualunque docente può testimoniare della complessità che governa i rapporti di insegnamento e apprendimento e di come al variare di determinati stimoli didattici le risposte da parte di studentesse e studenti siano in realtà mediate da un’infinità di variabili. Questo significa che in campo educativo non c’è nulla che sia diretto e, a parte qualche imbarazzante eccezione, chiunque intenda educare, formare o insegnare accetta di buon grado di dover mediare tra le conoscenze, le abilità o le competenze che si pone come obiettivo e le soggettività con le quali ha a che fare. I voti non garantiscono alcuna immediatezza nella valutazione, dato che quanto di immediato esprimono è una scala numerica e nulla più. L’unica informazione immediata trasmessa con un voto è che 6 è più di 5 e meno di 7, ma nulla sappiamo sul livello degli apprendimenti che questi numeri dovrebbero significare. Al contrario, per esprimere cosa è necessario porre in essere per arrivare a un 6 o a un 10, ovvero per mantenere fede alla funzione educativa della valutazione, sono necessarie frasi complesse con finalità descrittive. L’immediatezza dei voti è dunque del tutto illusoria.

Stabilito che i voti non garantiscono nulla sul piano dell’immediatezza, rimane da capire cosa assicurino quanto a oggettività. Cominciamo col dire che, come abbiamo visto, i voti numerici rappresentano un tipico esempio di scala ordinale, ovvero di un ordinamento che non è in grado di indicare la differenza tra un elemento e l’altro. Nello specifico, non sappiamo se tra 5 e 6 esista la stessa differenza che riscontriamo tra 9 e 10. D’altra parte, non sappiamo neanche se due 5 indichino lo stesso livello negli apprendimenti. Quello che invece sappiamo è che, tra le operazioni che possiamo legittimamente svolgere con una scala ordinale, non rientra la media aritmetica che pure, dalla scuola all’università, domina inopinatamente i processi valutativi. Insomma, di oggettivo nel voto non rimane nulla. Un’altra cosa che sappiamo da decenni è che due docenti di fronte allo stesso compito svolto raramente assegnano lo stesso voto e che troppo spesso ci sono scarti significativi, relativi anche ad ambiti scientifici. Si tratta di un fenomeno riscontrato già da Piéron nel secolo scorso e ampiamente confermato nei decenni successivi, legato al fatto che, in assenza di rifermenti criteriali e descrittivi, il voto numerico è facile preda delle numerose distorsioni che caratterizzano il processo valutativo.

Dunque, una valutazione incentrata sul voto numerico garantisce un’immediatezza e un’oggettività meramente illusorie e, mancando di affidabilità, non è affatto rigorosa. Inoltre essa, non fornendo indicazioni per migliorare, è del tutto inutile dal punto di vista educativo, non consentendo a chi ha voti “bassi” di migliorare. Ma, d’altra parte, non è questo il suo scopo.

I perché dei giudizi: venire a patti con la complessità di insegnamento e apprendimento

Stabilita le necessità di abbandonare i voti, quel che rimane da fare è stabilire quali giudizi impiegare per valutare. La scelta operata nella redazione delle Linee Guida dalla Commissione presieduta da Elisabetta Nigris è stata in primo luogo quella di impiegare i giudizi in relazione a più di un obiettivo stabilito per ciascuna disciplina. In questo modo, viene evitato che una valutazione sintetica copra carenze e punti di forza. Inoltre, i giudizi sono ancorati a livelli stabiliti a partire da specifiche dimensioni (autonomia, tipologia del compito, impiego di risorse, continuità) delle prestazioni: in tal modo, il riscontro si riferisce ad aspetti specifici del lavoro svolto da studentesse e studenti. Viene così garantito un rigore nell’accertamento che il voto numerico non può raggiungere e, cosa più importante, il riscontro ha maggiori possibilità di incidere sugli apprendimenti successivi. Il tutto nella consapevolezza che l’aspetto comunicativo non è solo un momento del processo valutativo, ma ne rappresenta il passaggio più importante: quando comunichiamo un giudizio, noi stiamo insegnando qualcosa.
Sostanzialmente, la Commissione – accettando che l’unica oggettività concessa nelle cose umane è l’intersoggettività e puntando, piuttosto che su un’impossibile immediatezza, su una sostenibile intermediazione – ha evitato di spacciare soluzioni semplici a problemi complessi. Facendo ciò, ha allineato la scheda valutativa alla ricerca empirica e alla sistematizzazione teorica più aggiornate in campo valutativo. Le indicazioni che seguono costituiscono una sintesi di ciò che funziona davvero nella valutazione educativa, ovvero in una valutazione che educa, e possono considerarsi complessivamente rappresentate nelle Linee Guida licenziate dalla Commissione.

  • La valutazione educativa si concentra sui progressi individuali. Ci dice quello che abbiamo appreso e ci spiega come procedere, un numero non indica nulla di simile.
  • La valutazione educativa è guidata da criteri comunicati in anticipo alla classe, un numero non è un criterio.
  • La valutazione educativa non è basata sul confronto con le valutazioni altrui (anche se è ci utile, mentre apprendiamo, il confronto con compagne e compagni), un numero può indurci a stilare classifiche deleterie, sviluppando una motivazione estrinseca all’apprendimento.
  • Una buona valutazione non usa l’errore come stigma o come penalizzazione (“tolgo un punto a errore”), ma lo individua in maniera rigorosa, lo condivide e lo impiega come occasione di apprendimento, un voto numerico non fa nulla di simile.
  • La valutazione educativa non assegna premi o sanzioni, ma la sua posta in palio è un’informazione ricca, che indichi come procedere, un numero non indica nulla di simile.
  • La valutazione educativa insegna ad autovalutarsi, fornendo criteri di riflessione e azione, un numero no.

Per concludere: la posta in gioco

Al posto del voto numerico, le famiglie si troveranno di fronte giudizi che indicano la progressione di studentesse e studenti rispetto a obiettivi di apprendimento. Tali giudizi saranno motivo di confusione? In alcuni casi, probabilmente sì. Ma quanto erano chiari i voti? Poco. Nel voto, un’illusoria patina di immediatezza e oggettività nasconde confusione, arbitrio e, spesso, approssimazione.

Indubbiamente, sulla confusione generata da obiettivi espressi in maniera poco accorta si può e si deve lavorare. Ma scuole e docenti hanno tutto il tempo per rimodulare gli obiettivi (qui e qui alcune indicazioni) e, soprattutto, per stabilire un confronto con famiglie, studentesse e studenti che coinvolga attivamente tutte le parti in causa. Questo perché basare la valutazione su giudizi che rimandano esplicitamente a quanto svolto significa condividere e assumere responsabilità.

Responsabilità che riguardano studentesse e studenti, dato che potranno usare i criteri di valutazione per orientare il proprio apprendimento.

Responsabilità che riguardano le famiglie, che avranno una buona occasione per concepire la valutazione non più come il fine del percorso scolastico, ma come un mezzo per regolare un processo rispetto al quale hanno il diritto-dovere di pretendere, finalmente, informazioni affidabili.
Responsabilità che riguardano soprattutto migliaia di insegnanti che avranno l’opportunità di concepire la valutazione per quello che è, ovvero una strategia didattica che non può essere improvvisata. Nel passato, col passaggio dai voti ai giudizi del 1977, l’assenza di un piano sistematico di formazione, sperimentazione e ricerca ha compromesso le possibilità di un reale cambiamento nella didattica, prova ne sia la tendenza, sin troppo diffusa, a usare i giudizi come voti.

Quella che è in gioco è – come sempre – la funzione sociale della scuola. La valutazione incentrata sul voto numerico, limitandosi a ratificare gli esiti di studentesse e studenti, consente al sistema di istruzione di riprodurre, legittimandole, le enormi differenze nelle opportunità educative di milioni di studentesse e studenti. È anche per questo che il voto piace tanto alle soggettività più retrive, sintomatiche o meno che siano. Per evitare di ripetere gli errori commessi in passato è necessario coinvolgere università, soggetti competenti e scuole in progetti di ricerca-formazione incentrati sulla soluzione dei problemi che questo passaggio pone nella pratica didattica. Perdere ancora una volta un’occasione simile significherebbe vanificare gli sforzi di chi concepisce la scuola come strumento di democratizzazione della società finendo col dare ragione a chi, rispetto a problemi complessi, propone soluzioni semplici, plausibili e sbagliate.




Galli della Loggia, ovvero la nostalgia del voto numerico

di Cinzia Mion

L’esimio professore dal nome ricorrente, quando si tratta di entrare a gamba tesa sui provvedimenti del Ministero dell’Istruzione, che non sono per lui abbastanza “gentiliani”, ci è ricascato….
Se ne è uscito il 20 febbraio 2021, sul Corriere della sera”, con una specie di “invettiva ad orologeria” (chi c’è dietro, forse il Gruppo di Firenze?) che infarcita di parole sprezzanti, come si addice alla sua spocchia, ha attaccato il Ministero per la recente ordinanza e le allegate Linee guida, che hanno abolito i voti numerici alla scuola primaria.
Se la prende all’inizio perfino con il termine “primaria” (che ha soppiantato elementare) tanto che subito sembra un attacco all’uso della lingua da parte dei ministeriali.
Non è però questa l’intenzione del noto professore emerito di storia contemporanea, senz’altro molto nostalgico della cosiddetta scuola elitaria che scremava le eccellenze (il merito dice lui), perché l’obiettivo vero è quello di rivolgersi al nuovo Ministro, invitandolo a ragionare con i piedi per terra (???) cominciando con il dichiararsi sconsolato perché già a partire dal 1977 (però la storia della scuola allora la conosce!!!) sono stati aboliti i voti sostituiti dai giudizi.

Povero professore, allora è dal 1977 che lei si sente depresso…
Probabilmente avrà pensato a quanti bei “10” sprecati in questo lasso di tempo. Si nota il fastidio da “primo della classe” per la definizione del livello “in via di prima acquisizione” , definita dal nostro: patetica perifrasi buonista pur di non usare aggettivi terribili come “insufficiente”o “scarso” (traspare la soddisfazione con cui etichetta i bambini, perché si tratta di bambini, che stanno provando magari il “disagio” di non apprendere subito, e prima di tutti, naturalmente, come sarà successo a lui alle elementari ed…oltre!).
Questa volta nominando la “pagella” (sostituita ora dalla scheda di valutazione) ironizza su questo termine – che il provvedimento ministeriale ha dichiarato in qualche modo decaduto – affermando che usare ancora questo termine, PER NOI CHE DIFENDIAMO LA SCELTA DEL MINISTERO, “equivale più o meno a dichiarare la propria iscrizione al partito nazista”.
Se lo dice lei, professore, che di storia se ne intende….

Ho notato la pedanteria cavillosa con cui è stata condotta l’analisi linguistica del testo, quasi da correttore di bozze, fornito di lente di ingrandimento e pazienza certosina (cui prodest?) senza tenere presente che esistono dei lessici specifici di ogni disciplina che non solo “ha” un suo linguaggio ma “è” un linguaggio (com’è per la storia!). Forse la pedagogia e la didattica non hanno la dignità di saperi disciplinari?

Spero che il nuovo Ministro Bianchi sia affaccendato in compiti molto più nobili CHE NON stare a sentire i VARI nostalgici del voto, ma che , anzi, estenda il medesimo provvedimento a tutta la scuola.
Perché, caro professor Galli della Loggia è da mo’ (mammamia chissà se questa interiezione è italiano oppure espressione “gergale”) che la scienza della MISURAZIONE che si chiama DOCIMOLOGIA ha affermato con un forte megafono che la MISURAZIONE (perché non è “valutazione” se non vengono esplicitati i criteri) QUANDO SI USANO A SCUOLA I VOTI NUMERICI SU SCALA DECIMALE E’ ARBITRARIA.
I voti infatti vengono considerati abitualmente come vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro assolutamente uguali.
Anche il più sempliciotto uomo della strada sa che questo NON E’ POSSIBILE!
Una umile dirigente scolastica in pensione.




VALUTAZIONE FORMATIVA AL VIA. I NOSTRI VIDEO

Nell’intento di offrire un piccolo contributo agli insegnanti che si apprestano ad applicare le nuove disposizioni in materia di valutazione nella scuola primaria raccogliamo qui i riferimenti ai nostri video sull’argomento e la documentazione ufficiale

Dal voto al giudizio descrittivo. Opportunità e rischi
Conversazione con Cristiano Corsini

Aldo Visalberghi, un pedagogista deweyano (E. Bottero intervista Cristiano Corsini)
nota: Visalberghi fu uno dei primi pedagogisti italiani ad occuparsi di valutazione

Valutazione autentica e compiti di prestazione (a cura di Riccarda Viglino)

Dall’osservazione alla valutazione (a cura di Sonia Sorgato)

Si possono trasformare i voti in giudizi? (a cura di Enrico Bottero)

Valutazione autentica e compiti di prestazione (a cura di Riccarda Viglino)

Valutazione scuola primaria. Cosa devono sapere i genitori (a cura di Reginaldo Palermo)

Dagli obiettivi di apprendimento ai giudizi descrittivi (a cura di Enrico Bottero)

Riccarda Viglino parla di valutazione formativa e rubriche valutative 

Andrea Canevaro parla di autovalutazione

Enrico Bottero parla dell’Ordinanza e delle Linee Guida

Niente voti neanche nella pratica quotidiana, intervista a Enrico Bottero

Pratiche didattiche di valutazione formativa, di Enrico Bottero

Valutazione nella scuola primaria, intervista ad Anna D’Auria (segretaria nazione MCE)

Insegnamento e valutazione formativa, conversazione con Enrico Bottero e Raffaele Iosa

DOCUMENTAZIONE

Circolare Ministeriale
Ordinanza Ministeriale
Linee Guida del Ministero

Nel sito www.enricobottero.com  è disponibile una pagina
con diversi materiali di studio e approfondimento su diversi aspetti della valutazione




Dai voti al giudizio, per una valutazione davvero formativa

di Cristina Marta

La sostituzione dei voti con l’espressione del livello di raggiungimento degli obiettivi didattici individuati come essenziali è stata accolta con favore dalla scuola primaria nella quale numerosi docenti e numerosi dirigenti, da tempo, chiedevano un passo indietro rispetto al decreto legge 137/2008, convertito nella legge 169/2009, che aveva reintrodotto la valutazione numerica decimale.

L’utilizzo dei voti richiede una sintesi, che impoverisce la valutazione orientata al miglioramento, nella quale si utilizzino strumenti di osservazione e di misurazione non solo dei prodotti, ma anche dei processi di apprendimento e che attribuisca un ruolo centrale all’alunno e allo sviluppo delle sue capacità auto-valutative.

La normativa alla quale le scuole primarie devono fare riferimento è costituita dal combinato disposto del D lgs 62/2017, della legge n. 41, 6 giugno 2020, conversione del decreto legge n. 20, 8 aprile 2020 e dell’Ordinanza Ministeriale n. 172 del 4 dicembre 2021 con allegate Linee Guida, che hanno fornito indicazioni operative alle scuole.

Il D lgs 62 all’art. 3 comma 3 prevede che la valutazione sia integrata dalla “descrizione del processo e del livello globale  di sviluppo degli apprendimenti raggiunto”.
Sulla base dell’OM 172 la valutazione periodica e finale degli apprendimenti devono essere espresse “attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione, nella prospettiva formativa della valutazione e della valorizzazione del miglioramento degli apprendimenti”.
Rispetto ai giudizi descrittivi si puntualizza che “i giudizi descrittivi […] sono riferiti agli obiettivi oggetto di valutazione definiti nel curricolo di istituto, e sono riportati nel documento di valutazione”.
L’operazione che a ciascuna scuola è richiesta è di selezionare fra gli obiettivi contenuti nel curricolo per la scuola primaria quelli essenziali, ma soprattutto quelli traducibili in azioni didattiche, rispetto alle quali abbia senso esprimere un giudizio di valutazione.
Le linee guida si spingono ad un livello di maggior approfondimento e forniscono un elenco di voci verbali con le quali esprimere gli obiettivi didattici, misurabili e valutabili, quali elencare, collegare, nominare, riconoscere, riprodurre, selezionare, argomentare,…e specificano che ad ogni azione debba corrispondere un contenuto didattico di tipo fattuale, concettuale, procedurale o metacognitivo.
L’inserimento di quest’ultima tipologia di oggetto è particolarmente interessante in quanto suggerisce di considerare ai fini della valutazione anche processi di tipo metacognitivo, nei quali l’alunno rifletta sul suo apprendere, guidato dal docente, disponendo di opportuni strumenti.
Il risultato di un’operazione di questo genere soddisfa pienamente la richiesta di descrivere il livello globale degli apprendimenti e rende del tutto superfluo un ulteriore giudizio.
La formulazione di un giudizio sintetico sugli apprendimenti, vanificherebbe lo sforzo compiuto nell’esaminare l’esito del processo di apprendimento nel dettaglio di ciascun obiettivo e indurrebbe le famiglie e gli alunni a rivolgere la propria attenzione sulla sintesi e ciò pregiudicherebbe il valore formativo del processo di valutazione.
Il giudizio sintetico risulterebbe inoltre, un ritorno alla valutazione numerica a tutti gli effetti, mascherata sotto forma di livello (ottimo, buono, sufficiente, soddisfacente, accettabile,…) e talvolta corredata dai vari “abbastanza” e “quasi”.
Il giudizio che costituisce effettivamente un’integrazione dei i livelli raggiunti rispetto ai diversi obiettivi disciplinari da parte degli alunni è quello relativo al processo di apprendimento, formulato per mezzo di indicatori diversi, scelti sulla base delle pratiche didattiche attivate.
La scuola che dirigo, che promuove  metodologie didattiche attive e partecipate, ha scelto quali indicatori per il giudizio sul processo di apprendimento la frequenza, la partecipazione, la motivazione, l’impegno, l’autonomia, lo spirito di iniziativa e la resilienza, poiché rappresentano effettivamente le variabili, che in modo più significativo influenzano l’esito dell’azione didattica del docente.
La sostituzione dei voti con livelli di raggiungimento degli obiettivi disciplinari è certamente un grande passo avanti, ma e necessario che si faccia uno sforzo ulteriore per affrontare e risolvere una serie di questioni che restano aperte:

  • il rapporto fra valutazione per obiettivi disciplinari e valutazione per competenze;
  • il rapporto fra valutazione per obiettivi disciplinari e valutazione delle competenze chiave e di cittadinanza che è prevista al termine della classe quinta, ma che sarebbe ragionevole prevedere in itinere, a partire dalla classe prima;
  •  il rapporto fra valutazione delle competenze di cittadinanza, valutazione dell’educazione civica e valutazione del comportamento, per evitare ripetizioni e ridondanze, essendovi numerose sovrapposizione  fra gli obiettivi.

Rispetto alla valutazione del comportamento, è anacronistico richiedere un giudizio di tipo sintetico, che impedisce di analizzare i diversi aspetti che la dicitura “comportamento” comprende.
Nel comportamento confluiscono il rispetto delle regole, ma anche le relazioni con i pari e con gli adulti, le quali a loro volta si possono differenziare, nelle relazioni all’interno di gruppi di lavoro e relazioni all’interno del gruppo classe, il rispetto per l’ambiente circostante, nel senso ampio del termine.
I tanti problemi che affliggono in questo periodo la scuola non devono fare perdere di vista il problema della valutazione, rispetto al quale le scuole autonome possono e devono fare scelte diverse, coerenti con la propria offerta formativa, ma in un quadro generale chiaro e condiviso.




Ritorno al futuro: la valutazione nella scuola primaria, sospesa tra voti e giudizi

di Daniele Scarampi

L’insegnante più accanita era irremovibile – reminescenze di Barbiana, lontane nel tempo eppur assai attuali – e protestava: “Se un compito è da quattro io gli do quattro!”; ma non capiva, poveretta, che proprio di questo era accusata, ché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti eguali tra diseguali.
Don Lorenzo le aveva intuite a fondo tutte le contraddizioni di una scuola slegata dalla vita reale, frutto acerbo di programmi nozionistici o concettosi, lungi dall’esser funzionali alla cittadinanza attiva e in aperta antitesi con la realizzazione di quell’uguaglianza sostanziale auspicata dal terzo articolo del dettato costituzionale.
La scuola di Barbiana aveva poi denunciato, tra le tante incoerenze, l’aspetto discriminatorio del voto numerico, considerato uno strumento di lavoro non adeguato a una valutazione efficace e inadatto al miglioramento, volto unicamente a monopolizzare la sfera emotiva del discente, prigioniero di una prestazione da ottenere e da dimostrare.

Il voto, dunque, vexata quaestio: per anni peculiare competenza del capo d’Istituto (leggasi al riguardo il Regio Decreto n. 653 del 1925), esso assume una dimensione collegiale (dal 10, “eccellente” al 6 “voto di sufficienza”) solo con i “Decreti Delegati”, emanati in ottemperanza della Legge 30 luglio 1973, n.477.
Solo quattro anni più tardi, con la L.517, arriva una svolta di rilievo: il primo ciclo d’istruzione introduce i giudizi sintetici, sotto forma dei celebri aggettivi, dall’ottimo al non sufficiente (poi divenuti, in via transitoria, delle lettere alfabetiche nel 1993); svolta prodromica, con la fine degli anni ’80, al definitivo passaggio dalla “pagella” alla “scheda personale di valutazione”, che traduce l’andamento didattico in un giudizio personalizzato redatto in triplice copia.

Con l’avvento della Riforma Gelmini, di cui all’art. 64 della L.133/2008, e mediante la L.169/2008 ricompare – lupus in fabula – il voto in decimi nella scuola Primaria e nella scuola Secondaria di primo grado. Il ritorno al voto, figlio senza dubbio di un’idea di scuola che “insegna-istruisce” o trasmette nozioni e non di una scuola che “educa e forma” l’uomo e il cittadino (G. Adernò, 2020), viene a lungo salutato come un sensibile alleggerimento delle procedure negli scrutini intermedi e finali e, al contempo, come un segno di maggior chiarezza nelle comunicazioni scuola-famiglia a proposito di rendimento scolastico.

Tuttavia, se la valutazione sommativa risponde principalmente a due necessità, ossia descrivere ciò che il discente sa o sa fare e posizionare ogni materia di studio su un livello sintetico in base a una scala definita, nel tempo è apparso sempre più chiaro come entrambe queste finalità possano esser assolte attraverso una descrizione verbale analitica. Invece utilizzando un voto, ovvero una sequenza di aggettivi, è certamente possibile esprimere in modo più semplice il “posizionamento” delle materie di studio in una scala di riferimento, ma resta assai difficoltoso informare sulle competenze acquisite dagli studenti (Paolo Mazzoli, 2020).

Di recente, com’è noto, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti – limitatamente alla scuola Primaria – è tornata ad esser espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, in attuazione dell’art. 1, comma 2-bis del DL 22 (convertito nella L.41/2020), evoluzione normativa poi completata dall’OM n.172 e relative Linee Guida dello scorso 4 dicembre.

Qualche giorno più tardi, in data 15 dicembre 2020, l’introduzione (o meglio, la reintroduzione) del giudizio descrittivo nella scuola Primaria è stata discussa e presentata attraverso i canali Social del Ministero dell’Istruzione, alla presenza della ministra Azzolina, della vice ministra Ascani, del capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione Max Bruschi e della prof.ssa Elisabetta Nigris, coordinatrice del gruppo di lavoro che ha condotto alla redazione delle sopracitate Linee Guida.

Il presupposto di fondo, vero leit motiv della riforma, è stato quello di ridisegnare un percorso valutativo completo e più vicino alle esigenze formative dei bambini, attento al raggiungimento di quegli obiettivi educativi specifici afferenti ai diversi stili d’apprendimento.

La valutazione del resto – per dirla con Max Bruschi – è uno strumento di lavoro che dà “valore” a ciò che si esamina, ma non ha una funzione sanzionatoria; è semmai orientato a quel miglioramento continuo che permette allo studente di posizionarsi al centro del processo d’insegnamento-apprendimento.

Il nuovo progetto valutativo pertanto – come Elisabetta Negris ha più volte sottolineato – dovrà precedere, accompagnare e seguire l’intero percorso d’insegnamento-apprendimento, in un’ottica formativa. Le Linee Guida, del resto, che hanno come riferimenti ideologici le Indicazioni Nazionali (di cui al D.M. 254/2012) e i vari Curricoli trasversali d’Istituto (che a loro volta esplicitano le progettazioni didattiche), si sono ascritte in questa prospettiva formativa, l’unica che permette di conoscere a fondo il percorso didattico di ogni bambino.

Nella nuova scheda di valutazione andranno inserite le varie materie d’insegnamento, quindi gli obiettivi didattici, almeno quelli strategici o più significativi (che potranno essere a loro volta compattati in nuclei tematici); dopodiché andranno inseriti i livelli d’apprendimento e i rispettivi giudizi descrittivi analitici. Gli obiettivi dovranno essere ben osservabili e, di conseguenza, facilmente descrivibili. Essi prevederanno certo i contenuti disciplinari, ma dovranno essere integrati con la descrizione del processo cognitivo che gli alunni mettono in atto per arrivare al successo formativo.

Ora, l’impianto metodologico introdotto dall’O.M. n.172, lungi dall’arenarsi in un mero e vacuo adempimento burocratico, dovrà esser accompagnato da una capillare progettazione formativa (peraltro prevista dal Ministero): la valutazione, infatti, che va sempre considerata nella sua unitarietà, è un affascinante percorso di ricerca; non può e non deve ridursi a operazione aritmetica, al contrario deve saper descrivere coscienziosamente lo sviluppo degli apprendimenti, anche in chiave metacognitiva, allo scopo di fissare quei traguardi di sviluppo che ogni studente deve mirare ad ottenere.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

L. 517/1977 – L.148/1990 – L. 133/2008 – L.41/2020 – OM n.172/2020

Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1968
Paolo Mazzoni, Tra voto in decimi e giudizio, www.giuntiscuola.it del 4/12/2020
Giuseppe Adernò, Scuola Primaria, stop ai voti: tornano i giudizi, www.tecnicadellascuola.it del 21/7/2020
Mario Maviglia, Scuola Primaria: voto sì, voto no, forse, in parte…, www.giuntiscuola.it del 1/10/2020
Giancarlo Cerini, Valutazione formativa e giudizio descrittivo, per leggere gli apprendimenti, www.giuntiscuola.it del 30/9/2020




I NOSTRI VIDEO SULLA VALUTAZIONE

Nell’intento di offrire un piccolo contributo agli insegnanti che si apprestano ad applicare le nuove disposizioni in materia di valutazione nella scuola primaria raccogliamo qui i riferimenti ai nostri video sull’argomento e la documentazione ufficiale

Andrea Canevaro parla di autovalutazione

Enrico Bottero parla dell’Ordinanza e delle Linee Guida

Niente voti neanche nella pratica quotidiana, intervista a Enrico Bottero

Pratiche didattiche di valutazione formativa, di Enrico Bottero

Valutazione nella scuola primaria, intervista ad Anna D’Auria (segretaria nazione MCE)

Insegnamento e valutazione formativa, conversazione con Enrico Bottero e Raffaele Iosa

DOCUMENTAZIONE

Circolare Ministeriale
Ordinanza Ministeriale
Linee Guida del Ministero

Nel sito www.enricobottero.com è disponibile una pagina
con  diversi materiali di studio e approfondimento su diversi aspetti della valutazione




Il voto è morto, viva il voto?

di Simonetta Fasoli 

Non mi piace, di solito, iscrivermi al club dei disfattisti, tra i fautori del “benaltrismo”: il “ben altro”, per definizione, è inesauribile…
Detto questo, non mi sento neanche di entrare a far parte del coro di coloro che stanno prodigandosi in commenti a tutto tondo positivi verso le disposizioni ministeriali che regolamentano la fase attuativa del superamento della valutazione decimale nella Scuola primaria.
Leggendo l’O.M. 172 del 4/12/2020 con le allegate Linee guida che ne fanno parte integrante, parecchi sono i dubbi che mi sorgono.
Non voglio affliggere chi mi legge con una troppo lunga disamina (inadatta, a parer mio, al mezzo…). Mi limiterò a poche, sintetiche osservazioni, rinviando ad altra sede e occasione una più articolata riflessione.


L’impressione complessiva è che il ricorso a indicatori per livelli precostituiti comporti un ragionevole rischio di reintrodurre un criterio surrettiziamente quantitativo e faciliti, nelle pratiche adottate nelle scuole, la traduzione meccanica del voto in livello. Non dimentichiamo che la valutazione discorsiva in sede intermedia e finale adottata a suo tempo (L. 517/77) si è presto trasformata in giudizi alfabetici (livelli), per più versi anticipatori del ritorno al voto.
I livelli, descritti con formule che meriterebbero un’attenta analisi, comportano in ogni caso una concezione di classificazione per scala, presupponendo tra un grado e l’altro della scala medesima intervalli regolari. Ma non è questo il principio di misurazione sotteso al voto decimale?
Mi sfugge, poi, come questo strumento possa comportare, per sé preso, il vantaggio di una vera “valutazione formativa” che i testi ministeriali evocano ripetutamente, facendo eco agli entusiasti sostenitori dell’abolizione del voto. “Valutazione formativa” significa essenzialmente dar conto del processo e non sancire il prodotto (mi scuso di usare, per brevità, parole-slogan…): è questo che consentono i livelli? Mi permetto di dubitarne.
E di prefigurare, a fronte di questa vistosa lacuna, pratiche di valutazione tristemente ricorrenti.
Spero, infatti (e temo fortemente) che non si dica: “ma se diamo ‘livello avanzato’ a Tizio, dobbiamo darlo anche a Caio”…E spero altrettanto che chi è “in via di acquisizione” non resti su quella via…perché la sanzione dell’esito esime fin troppo facilmente dall’intervenire didatticamente sulle condizioni e sul processo che lo determinano.
Insomma, speriamo che morta una scala non ne nasca un’altra.
Non serve cambiare il termometro per curare la febbre.
Un capitolo a parte meriterebbe la scelta di adottare una valutazione (“formativa”, mi raccomando…) applicata alle singole discipline. Questa mi sembra una spia altrettanto significativa delle contraddizioni interne in cui si dibatte la nuova normativa. Va detto che la stessa discutibile impostazione si ritrova, esplicitamente, nelle Indicazioni nazionali 2012, come ho più volte fatto osservare nelle occasioni di formazione e riflessione sull’impianto della Scuola primaria. Una opzione appena temperata dalla motivazione addotta nello stesso documento: lasciare alle istituzioni scolastiche il compito di effettuare le opportune aggregazioni disciplinari.
Resta il fatto che le disposizioni sulla valutazione finiscono per confermare la frammentazione disciplinare, che è estranea alla natura profonda del percorso primario di educazione e istruzione. Una deriva “disciplinarista” che, ancora una volta, fa a pugni con il “valore formativo” delle discipline, evocato dai documenti istituzionali prodotti nel tempo.
Mi fermo qui. Le scuole si stanno mobilitando per rispondere alle nuove (ma quanto davvero “nuove”?) disposizioni. È congruente con il loro compito istituzionale, e certamente a certe condizioni può innescare processi virtuosi. Ma a patto che sia valorizzata la componente professionale dell’operazione, e che una responsabile e condivisa interpretazione prevalga sulla funzione “adattiva”, per non dire sulla tentazione di mera “esecuzione”.
Sarebbe davvero imperdonabile non far diventare vera occasione di cambiamento quello che, per ora, mi sembra un tentativo, significativo certo per la sua matrice istituzionale, ma proprio per questo non privo di insidie. Come ho cercato di sottolineare.