Archivi categoria: VALUTAZIONE

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Scuola: sorvegliare e punire. Problemi complessi, risposte semplici

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Mario Maviglia

Nel recente decreto Caivano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 settembre scorso per contrastare il disagio giovanile e la criminalità minorile, vi sono alcune misure che riguardano anche la scuola e i minori. In particolare, viene introdotta la pena fino a due anni di reclusione nei confronti di quei genitori che si rendono responsabili dell’abbandono scolastico dei figli; gli stessi genitori possono andare incontro anche alla revoca dell’assegno di inclusione, qualora destinatari. Com’è noto, attualmente i genitori che si rendono responsabili dell’evasione scolastica dei figli rischiano un’ammenda di 30 euro, come previsto dall’art. 731 del codice penale.

Una vasta letteratura (anche ministeriale) ha dimostrato che i fenomeni di abbandono scolastico nascono in quelle situazioni caratterizzate da degrado sociale, economico e culturale all’interno delle quali le figure che dovrebbero esercitare una funzione educativa di guida e di sostegno ai ragazzi nel loro sviluppo di crescita (i genitori, in primo luogo) non appaiono in grado di assolvere adeguatamente a tale compito. Pensare che un inasprimento delle pene previste possa risolvere o attenuare un problema così complesso è pura utopia, o, forse più correttamente, astuta demagogia.

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Esami di Stato e prove Invalsi

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Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

E’ difficile sperare che della scuola si possa parlare con giudizio e razionalità sulla base di una adeguata conoscenza della sua realtà, dei suoi meccanismi, della sua cultura, delle sue finalità e anche del suo personale. Ogni occasione è buona per parlarne come di un mondo modesto e bizzarro in balia di se stesso, sempre pronto a scandalizzare per quello che vi succede platee affollate di immancabili censori ora per l’incuria delle sue strutture, ora per la supposta imperizia dei docenti, ora per l’incorreggibilità degli studenti, ora per l’arretratezza dei curricoli, ora per l’avversione al mondo aziendale.
Non può sfuggire in questo genere di letteratura l’occasione offerta annualmente dalla differenza tra i dati emersi nell’ indagine INVALSI e quelli riscontrati negli esami di maturità appena conclusi. Nelle regioni del Sud, nelle quali gli studenti dell’ultimo anno nell’indagine INVALSI avevano denunciato carenze in più discipline, si sono avuti agli Esami di Stato risultati ampiamente diversi e migliori.

E allora ci si chiede quali dati siano davvero affidabili sulla preparazione degli studenti e ancora se un esame che fa tutti promossi dappertutto sia davvero un esame che può darci informazioni sul funzionamento dell’attività didattica delle scuole. Mettere in contrasto i dati INVALSI e quelli degli Esami è un gioco facile e si sa in anticipo come va a finire.

Va a finire con la demonizzazione del lavoro degli insegnanti, con la riprovazione della loro incerta etica professionale, con la perorazione di nuove e più incisive forme di valutazione della scuola e degli insegnanti. Per il bene della scuola, invece, vanno migliorati sia gli scopi e i metodi delle indagini INVALSI, sia soprattutto l’architettura degli Esami di Stato.
Il vizio di fondo degli Esami di Stato, che compromette qualsiasi buona intenzione e che va cancellato, è costituito dalla composizione delle commissioni. Fino a quando le commissioni saranno composte paritariamente tra membri interni e membri esterni; fino a quando i commissari devono essere scelti solo tra gli insegnanti della provincia in cui ha sede un istituto i risultati saranno sempre gli stessi. Tutti promossi e tutti con voti più o meno alti, soprattutto dove è difficile e complicato sottrarsi all’ambizione di potere documentare un ricco palmares della propria scuola e talvolta alle sollecitazioni interessate di autorevoli patrocinatori delle sorti degli alunni.

Ritorna la manfrina dei dati Invalsi

di Cinzia Mion

Premetto subito che non sono tra i detrattori delle prove Invalsi. Anzi. Ho sempre preso sul serio il grido di allarme inoltrato a suo tempo dal linguista Tullio De Mauro sul cosiddetto “analfabetismo funzionale” del 70 % degli italiani adulti, ripreso poi sistematicamente appunto dalle Prove Invalsi, rispetto ai ragazzi a scuola.
Il riferimento è al fatto che i ragazzi a scuola leggono (competenza strumentale) ma fanno fatica a capire il “senso” di ciò che leggono.
Le cause secondo me sono molteplici. Non intendo però affrontare qui l’annoso problema della formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria, carentissima soprattutto in “psicopedagogia o psicologia dell’apprendimento scolastico”, dopo la soppressione delle SSIS. Mancano inoltre da morire tutti i laboratori, i tirocini, all’interno dei quali sollecitare proprio la formazione professionale del docente ad uscire dalla propria auto-referenzialità. Stupisce che non sia l’Università stessa a richiedere, se fosse in grado per prima di “autovalutare se stessa”, una revisione adeguata dei propri piani di studio finalizzati a rivedere le carenze che sono ormai sotto gli occhi di tutti.

L’affondo che intendo portare avanti ora è nei confronti della sottovalutazione, anche da parte dei detrattori delle Prove Invalsi, di un atteggiamento che dovrebbe essere la spina dorsale della professionalità docente: la consuetudine all’”autovalutazione” che ogni insegnante dovrebbe mantenere sempre vigile. Un’autovalutazione che dovrebbe seguire sempre una semplice ma salutare autointerrogazione: cosa ho trascurato nella mia progettazione, ed attivazione poi della didattica, nei confronti dei processi cognitivi e metacognitivi dei “miei” ragazzi se non sono in grado di affrontare questa prova? Come mai questi sono in difficoltà rispetto alla “comprensione del senso”? Continua a leggere

TORNIAMO AL VOTO ALLA PRIMARIA? NOI DICIAMO NO

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APPELLO

Apprendiamo da fonti giornalistiche che la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti intende chiedere al ministro Valditara di ripristinare il voto numerico alla scuola primaria.
Ricordiamo che le attuali norme sulla valutazione nella primaria sono entrate in vigore nel 2020/21 e ci sembra che prima di cambiare nuovamente il modello sarebbe bene almeno conoscere i risultati di questi tre anni di “sperimentazione”.
Magari sarebbe anche utile sapere cosa ne pensano insegnanti, genitori e dirigenti scolastici che in questi tre anni hanno messo in pratica le nuove regole.
Come spesso accade, invece, si parla di cambiare senza interpellare chi la scuola la fa ogni giorno.
Non entriamo più di tanto nel merito delle motivazioni addotte e in particolare della affermazione secondo la “scuola dei voti” era quella che funzionava da ascensore sociale: basta consultare i dati statistici ufficiali per sapere che negli ’60 e ’70 la scuola dell’obbligo “lasciava indietro” decine e decine di migliaia di alunni provenienti proprio dalle fasce sociali più deboli.
L’attuale modello di valutazione della scuola primaria ha certamente bisogno di una adeguata manutenzione, ma le esperienze che si sono realizzate nella scuola italiana nell’ultimo mezzo secolo non consentono di concludere che tutto si possa risolvere con un semplice “ritorno al voto”.
Ci auguriamo che la scuola faccia sentire la sua voce per scongiurare questo ennesimo tentativo (non richiesto) di tornare a pratiche educative e didattiche di cui non si sente davvero il bisogno.

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L’altra faccia della valutazione

di Pietro Calascibetta

Come per la luna ci sono due “facce”, anche per la valutazione ci sono due “facce”: una che vediamo e che è rappresentata dai voti in decimi che bisogna scrivere per legge sulla pagella e che per questo ci sembra l’unica e l’atra nascosta che non vediamo o non vogliamo vedere, ma che forse è ancora più importante ed è quella che ha più influenza sull’apprendimento e sul lavoro del docente.
Si tratta della valutazione in itinere.
Questo continuo ridurre il dibattito sulla valutazione ad un referendum tra chi è a favore e chi è contrario ai voti in decimi in assoluto confonde tutti, docenti, studenti e famiglie e impedisce di affrontare proprio l’altra “faccia” della valutazione quella più importante per la formazione.
Scorrendo la normativa è chiaro che la “valutazione periodica e annuale” deve essere fatta in decimi, dove per “periodica” si intende quella trimestrale o quadrimestrale e che la “ media” è solo un criterio (giusto o sbagliato, corretto o scorretto che sia) che entra in gioco solo per alcune fasi finali della “valutazione”. Se guardiamo bene la normativa, ci si rende subito conto che queste disposizioni riguardano solo i documenti formali (pagelle) e i criteri di ammissione e di promozione all’esame (di stato). Continua a leggere

Esame di Stato primo ciclo: come prepararsi serenamente al colloquio

di Annalisa Filipponi[1]

L’esame di stato conclusivo del primo ciclo dell’istruzione torna nella sua veste conosciuta (tre prove scritte e un colloquio orale) prima della pandemia. La Nota ministeriale informativa n° 4155 del 7 febbraio 2023 del Ministero dell’Istruzione del Merito in relazione al colloquio conclusivo recita: “Il colloquio (DM. 741/2017, articolo 10), condotto collegialmente dalla sottocommissione, valuta il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze descritte nel profilo finale dello studente previsto dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, con particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio. Il colloquio accerta anche il livello di padronanza delle competenze connesse all’insegnamento trasversale di educazione civica.

La prima domanda da porsi è quella relativa all’efficacia del colloquio d’esame della Secondaria di I grado, condotto dagli insegnanti di classe a pochi giorni dalla fine della scuola e come ultimo momento di un ciclo di studi, con una modalità che molto spesso si risolve in una carrellata di contenuti raccolti in una “tesina” o con risposte del discente a domande specifiche dell’insegnante quasi esclusivamente correlate alle singole discipline. Una attenta lettura della nota ministeriale nella parte centrale del suo articolato sul colloquio (“particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio”) apre la possibilità a valutare se vi possono essere altre modalità, oltre a quelle conosciute, per condurre un esame che soddisfi appieno la norma e al tempo stesso costituisca un elemento di novità e un’occasione formativa per gli studenti nell’ultima parte e nel primo esame del loro percorso scolastico nel Primo ciclo d’istruzione. Continua a leggere

Caro Salvini, ti scrivo (a proposito di voti e valutazione formativa)

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di Cristina Marta
dirigente scolastica dell’IC di Pavone Canavese (TO)

In qualità di dirigente di una scuola del primo ciclo vorrei rispondere all’onorevole Salvini, che ritiene poco comprensibile la nuova valutazione per la scuola primaria e auspica il ritorno ai voti.
Anzitutto vorrei fargli presente che il voto numero associato ad una disciplina non dà pressoché alcuna informazione rispetto a ciò che effettivamente un alunno sa o non sa fare. Per fare qualche esempio il voto 6 di italiano è spesso attribuito ad alunni che scrivono commettendo errori  ortografici e lessicali, ma che sono, invece, capaci di argomentare adeguatamente e altrettanto ad alunni che , invece, scrivono in modo corretto, ma hanno grosse difficoltà nell’esprimere un pensiero. Altrettanto si può dire per la matematica, materia nella quale il calcolo scritto e mentale, il problem solving, l’argomentazione costituiscono ambiti rispetto ai quali un alunno può raggiungere livelli molto diversi che, fra loro combinati, danno origine allo stesso voto.
Valutare obiettivi disciplinari, che  i docenti hanno individuato come strategici per una specifica classe, consente di avere un quadro chiaro ed esaustivo della situazione a condizione che la scelta operata per gli obiettivi sia adeguata.
La nuova valutazione per la scuola primaria presuppone altresì che siano sempre forniti anche spunti di miglioramento , che dovrebbero essere espressi con un linguaggio comprensibile per i genitori, ma soprattutto per gli alunni, ed in termini operativi.
Una buona valutazione formativa richiede tempo e fatica e la sua efficacia è subordinata al fatto che fra famiglia a scuola vi sia un’alleanza, che ha quale obiettivo la qualità dell’apprendimento degli alunni  e non la loro classificazione.
Concludo osservando che chi non è in grado di esprimere un giudizio formativo adeguato, altrettanto non saprebbe valutare con qualsiasi altro sistema, compreso quello numerico decimale.

Invito l’onorevole Salvini e tutti i genitori che si trovano in difficoltà nel decifrare il significato della valutazione attribuita ai propri figli a rivolgersi alla scuola per un chiarimento, che è dovuto.
La scuola cresce e migliora nel confronto costruttivo  con le famiglie.