Col senno di poi, ovvero Santa Franca (Falcucci)
di Cinzia Mion
A bocce ferme, dopo il tormentone dell’emendamento del governo che prevede alla scuola primaria, dall’anno scolastico prossimo, il cambiamento dei giudizi descrittivi e il ripristino di quelli sintetici (da insufficiente a ottimo) di fatto annullando le Linee Guida del 2020, mi ritrovo a fare alcune considerazioni.
Con la prima desidero ricordare come l’unica riforma che abbia rispettato un primo periodo di applicazione facoltativa sperimentale, con successiva raccolta dei dati e delle osservazioni critiche per poterla aggiustare in itinere, sia stata la famosa L.148/90, meglio nota come la “riforma dei moduli”, firmata dalla Ministra Falcucci! ( con il senno di poi molto rimpianta, com’ è fra l’altro in un certo senso avvenuto con la sua circolare famosa n° 227 del 1975 che ha anticipato i contenuti della L.517 ben due anni prima!)
Io allora ero Direttrice Didattica a Conegliano, 2° circolo e rammento il fermento innovativo e il desiderio di mettersi in gioco di insegnanti che hanno contagiato gli altri di fronte alla sfida di superare la figura del maestro unico!
Ricordo pure che dopo 2 anni sono passati gli ispettori tecnici per intervistare i docenti e raccogliere punti di forza e punti debolezza della riforma che soltanto l’anno successivo è stata resa obbligatoria con i debiti aggiustamenti.
Come mai questa prassi non è più stata ripresa e soprattutto non è stata applicata rispetto al dispositivo di cui stiamo parlando? Forse, con il senno di poi, si sarebbero potute snellire nel tempo certe modalità troppo burocratizzate e vincolanti che hanno affaticato inutilmente gli insegnanti strada facendo, in qualche caso irritandoli. Ho trovato a volte anche da parte nostra, di teorici della scuola e dell’insegnamento, un po’ supponente considerare certi segnali di insofferenza senza dare loro credito. E’ come se, galleggiando sopra ai problemi, in preda all’enfasi scaturita dall’abolizione sacrosanta dei voti numerici, qualche volta pontificassimo evitando di dare dei colpi di sonda dentro alla realtà in sofferenza del corpo docente. Mi metto tra questi con grande rammarico …
Come mai al Ministero non solo non si mette più in atto ma pare che non si conosca nemmeno il termine “sperimentale”, con quel che avrebbe dovuto comportare?
In questo caso poi Le linee guida sono uscite a dicembre e l’applicazione obbligatoria per tutti i docenti della primaria è stata a partire dal primo quadrimestre!!!
La seconda considerazione, direttamente conseguenza della prima è: ma come si fa ad avviare una riforma della valutazione dopo che dal 1977 ad oggi non riesco nemmeno a contare quanti siano stati gli interventi legislativi su questo argomento, senza ottenere mai un radicale cambiamento nella mente dei docenti perché non si tiene conto che nel loro “cervello” sono imbullonati i voti numerici difficili da estirpare, se non con una formazione “trasformativa” e non semplicemente addestrativa. Il riferimento non contiene un cenno offensivo nei confronti dei docenti ma soltanto un richiamo ai “neuroni specchio” che nel corso degli anni hanno contraddistinto l’esperienza valutativa subita durante tutta la loro esperienza scolastica e universitaria. E’ successo a tutti noi, nessuno escluso. E non solo per la valutazione ma anche, purtroppo, per la didattica trasmissiva!
La terza considerazione riguarda la “valutazione formativa”, l’unica che potrebbe estirpare questa consuetudine del voto soggiacente ad ogni tipologia di valutazione illusoriamente innovativa.
La domanda essenziale allora che dovremmo farci espressamente è: perché , a partire dalla formazione iniziale dei docenti, tranne qualche volta in quella per la scuola primaria per ragioni comprensibili ma che qui non è il caso di affrontare, non si provvede ad attivare in loro la competenza all’autointerrogazione e all’autovalutazione? Aspetti questi fondamentali per arrivare ad applicare la valutazione formativa consistente nell’autoaggiustamento del docente della propria strategia metodologico-didattica, in presenza di difficoltà di comprensione e apprendimento dell’allievo. Ovviamente, in un gioco di specchi, ci viene da rispondere che nemmeno l’Università è in grado ( o si rifiuta di farlo?) in questo momento storico di “autovalutare” il proprio lavoro formativo in funzione della professionalità docente. Da quando è stata chiusa la SSIS chi si cura oggi di offrire ai futuri insegnanti, oltre alle competenze disciplinariste, i fondamentali della psicopedagogia che permetteranno di cogliere la tipologia e la significatività del loro insegnamento in rapporto al tipo di apprendimento sollecitato? Chi si cura di far corrispondere all’apprendimento desiderato le strategie didattiche adeguate? Presso la formazione iniziale dei docenti della secondaria dove sono le attività di tirocinio, i laboratori e le esercitazioni pratiche, all’interno del percorso formativo, che dovrebbero permettere ai docenti universitari di comprendere se le conoscenze apprese dalle “dispense teoriche“, su cui hanno valutato già gli studenti, si sono effettivamente incarnate in competenze? Solo chi sa applicare su di sé l’autovalutazione potrà insegnare a farlo fare agli altri perché padroneggia le competenze autoriflessive e metacognitive necessarie e le può quindi rendere esplicite attraverso un “apprendistato cognitivo” realizzato allo scopo (metodologia neovigotskiana).
E’ per questo motivo che io sono convinta che prima di sollecitare l’autovalutazione dell’allievo, con dei giustissimi feedback formativi, l’insegnante deve imparare ad autovalutare se stesso ma deve incontrare una Università che glielo insegna.
Conclusioni
E’ dal 1977 che la normativa sollecita la “valutazione formativa” in tutte le salse senza però avere l’opportunità di riconoscerne l’applicazione nella scuola reale.
Quale migliore occasione allora di ripartire da questa (su cui perciò non esiste purtroppo nessun rischio di implementazione da “neurone-specchio”perché difficilmente ha visto la luce!) per poi individuare il miglior modo più efficace, per l’apprendimento dell’allievo, dell’inevitabile successiva valutazione sommativa. Quest’ultima è ovvio e naturale che rifiuterà i voti numerici docimologicamente inaccettabili (la formazione universitaria adeguata porterà a queste conclusioni) e suggerirà invece delle modalità agili, comprensibili a tutti ma soprattutto utili all’allievo per migliorarsi. Le modalità terranno in considerazione i progressi avvenuti, quindi il punto di partenza: “criterio” questo che differenzia qualsiasi osservazione “misurativa” dalla vera e propria attività “valutativa” che deve contenere sempre, come esplicita il termine, il risultato di una riflessione ad hoc. Mai quindi essere un atto solo “riflettente”. Il tutto si accompagnerà con un costante “processo di incoraggiamento”, facendo leva sulle motivazioni intrinseche per incentivare il soggetto a migliorarsi, senza mortificazioni inutili e dannose. A tale proposito ricordiamo la forza trainante “dell’autoefficacia” che avremo cura di far provare a tutti gli alunni attraverso didattiche dapprima individualizzate, per il raggiungimento delle competenze di base, e poi personalizzate. Ricordiamoci sempre che solo a ridosso delle scadenze delle valutazioni formali (intermedia e finale) saremo costretti a lasciar perdere, nostro malgrado, le sollecitazioni nella “zona di sviluppo potenziale”, per sostenere (scaffolding) l’allievo al livello successivo di competenza, visto che è in procinto di arrivarci.
Per riprendere tale prassi appena possibile. E’ questo il fascino gratificante per tutti, allievi e docenti, della “valutazione formativa”, questa sconosciuta! Anche se citatissima nei testi legislativi ma trascurata, fraintesa e qualche volta pure presa in giro nella prassi!
E’ questo il cuore pulsante dell’insegnamento in una scuola che aspiri e desideri definirsi “inclusiva”.