Una proposta sulla valutazione per la Scuola del rientro

votidi Vincenzio Caico

Sono il dirigente scolastico del Liceo Buonarroti di Monfalcone, una città che rappresenta il cuore di uno dei distretti industriali più importanti del Nordest, legato ai cantieri navali e dell’economia del mare. Il mio Liceo è frequentato sia da studenti provenienti dalla borghesia colta locale, sia da studenti nuovi arrivati in Italia insieme alle loro famiglie alla ricerca di condizioni di vita migliori.

I nostri studenti sono mediamente responsabili e impegnati, gli insegnanti sono preparati e disponibili al cambiamento. In occasione di questo periodo di emergenza epidemiologica abbiamo attivato subito la didattica a distanza grazie a strumenti digitali, come la Google Suite, che utilizzavamo già da tempo sia per la didattica che per l’organizzazione generale della scuola.

Questa esperienza di scuola ai tempi del lockdown ci sta consentendo di maturare delle consapevolezze che chiedono di essere tradotte in cambiamento e innovazione concreta delle nostre modalità didattiche educative e, più complessivamente del nostro fare scuola, in vista della ripresa delle attività scolastiche in presenza, quella che potremmo chiamare la Scuola del rientro.

In particolare, questa mia proposta, che riguarda la valutazione, prende spunto da quanto stabilito in sostanza dal D.Lgs 62/2017, decreto attuativo della L. 107/2015 e dal D.P.R. 122/2009, decreto applicativo della L. 169/2008, i due provvedimenti legislativi che attualmente stabiliscono i criteri per la valutazione degli apprendimenti rispettivamente nelle scuole del I e del II ciclo.

In particolare, il D.Lgs 62/2017, rispetto D.P.R. 122/2009, introduce delle novità di rilievo, valide per il I ciclo che esprimono una tendenza che può essere estesa anche il II ciclo. La valutazione non ha più per oggetto “il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico complessivo degli alunni”, ma “processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni” e “documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove l’autovalutazione di ciascuno, in relazione alla acquisizione di conoscenze, abilità e competenze”.

La valutazione, pur restando legata a fattori oggettivi e verificabili, ovvero ai risultati dell’apprendimento, assume pertanto un significato più esteso, riguardante l’intero processo formativo, e quindi la persona nella sua pienezza e la sua crescita rispetto ai valori di riferimento comuni e in relazione allo sviluppo delle competenze personali.

Valutare vuol dire dare valore, bisogna quindi individuare quegli elementi per i quali ha senso attribuire un valore distinguendoli da quelli per i quali l’attribuzione di un valore non ha senso. Inoltre, valutare è qualcosa di diverso dal misurare ed è diverso dal certificare.
Misurare è quantificare, attribuire un punteggio secondo certi parametri, valutare è, al contrario, attribuire un valore secondo criteri di giudizio, una connotazione nel campo del giudizio, in cui si valuta oltre alla sfera cognitiva anche la sfera affettiva, psicologica della persona nella sua interezza e nella sua complessità.
Sorgono quindi spontanee alcune domande: quando, al termine di un modulo didattico attribuiamo un voto, a seguito di una prova di verifica, stiamo dando un giudizio di valore o stiamo misurando? Oppure stiamo ancora più semplicemente certificando il livello di conseguimento di una parte degli obiettivi di apprendimento, declinati in conoscenze e abilità, previsti dal Curricolo?

Probabilmente in molti casi si ritiene erroneamente che si possa attribuire un giudizio di valore alla semplice acquisizione di contenuti e che si possa invece misurare su una scala numerica la crescita personale complessiva dello studente solo sulla base di tale acquisizione di contenuti senza tenere conto di tutti gli altri fattori personali e di contesto che incidono su di essa.

Inoltre, la stessa misurazione che porta all’attribuzione di un voto in decimi presuppone la congruenza tra gli obiettivi che si possono misurare e i quesiti posti, con garanzia di univocità dei risultati al variare del soggetto che rileva e delle condizioni di rilevazione, nonostante sia risaputo che docenti diversi propongono valutazioni assai differenti per una stessa prova e che persino uno stesso docente, mutando le condizioni in cui giudica la stessa prova, esprime valutazioni diverse.

E soprattutto, l’attribuzione di un voto in decimi attraverso una semplice prova di verifica ha davvero un valore educativo in chiave di documentazione della crescita personale dello studente, di sviluppo della capacità di autovalutazione e di competenze chiavi quali il senso di responsabilità e l’autonomia?
Forse sarebbe più utile e significativa la semplice certificazione del raggiungimento o meno di obiettivi che sono comunque parziali, accompagnata da una breve relazione che entri nel merito degli aspetti rilevanti di una prestazione che di certo non può racchiudere tutti i significati che connotano la crescita personale di uno studente.

D’altra parte, sia il D.P.R. 122/2009 che il D.Lgs 62/2017 prevedono l’attribuzione di un voto su una scala da 1 a 10 solo in occasione delle valutazioni periodiche e finali. Un voto che, appunto, rappresenti una sintesi di giudizio di valore che riguarda un tratto del percorso formativo personale dello studente. Un voto che va inteso come un’etichetta il cui significato va ricercato nei descrittori associati, non certo come l’esito di una misurazione su una scala numerica o ancora peggio come il risultato del calcolo di una media aritmetica.

Persino quanto è scritto nel Regio Decreto 653/1925, ovvero che “i voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni”, è stato fino ad oggi improvvidamente tradotto in molti Piani dell’offerta formativa in “congruo numero di voti”.

Pertanto credo che bisogna cogliere l’occasione data da questo periodo di emergenza che stiamo vivendo e che ci sta inducendo di riflettere sui significati più profondi del nostro mestiere di educatori ed insegnanti per delineare dei nuovi principi e dei nuovi strumenti su cui fondare la Scuola del rientro. Questo è un periodo nel quale stiamo sperimentando nuove forme di insegnamento libere dai vincoli e dalle prassi consolidate e rassicuranti che per troppo tempo abbiamo praticato senza pensare o immaginare che nuovi modi di fare scuola fossero possibili.

Provo allora a sintetizzare in tre brevi motti i concetti attorno ai quali vorrei che ruotasse la Scuola del rientro:

1)      I contenuti non sono il fine, sono lo strumento: le conoscenze e le abilità sono lo strumento attraverso il quale possiamo guidare la crescita personale dello studente, ma la loro acquisizione non può essere il parametro unico e ultimo con il quale gli assegniamo un giudizio di valore. Non sono importanti di per sé, ma sono la piattaforma su cui si sviluppano le competenze e la passione per la cultura e per l’apprendimento permanente che definiscono la persone anche quando i singoli contenuti sono dimenticati. Si può pertanto immaginare di accorciare il curricolo, purché ogni esperienza di apprendimento sia resa esemplare e trasmissibile in altri ambiti;

2)      Si certificano gli apprendimenti, si dà valore alle persone: gli studenti apprendono o non apprendono sulla base di tanti fattori, tra cui la motivazione personale, la resilienza, il contesto familiare. Restituiamo allora alla valutazione il suo vero significato uscendo dalla logica di un’ansiosa e insensata attribuzione di valore al semplice raggiungimento di obiettivi che dal canto loro deresponsabilizza gli studenti e li allontana dal cogliere il senso profondo dell’apprendere;

3)      Si impara sbagliando, si sbaglia facendo: proviamo a considerare l’apprendimento come un processo personale e multicanale in divenire. Un processo attivo, costruttivo, cooperativo, autentico e intenzionale, che consenta agli studenti – a maggior ragione agli studenti di un istituto superiore – di conoscerne e condividerne prima possibile gli aspetti e gli obiettivi, garantendo loro, di volta in volta, la possibilità di ripetere, perfezionare, praticare e consultare le fonti, rendendoli i veri protagonisti del loro apprendimento e uscendo da ogni logica secondo cui sono i docenti a dover inseguire gli studenti per dare i voti, e non gli studenti a chiedere un feedback costante sulla propria preparazione e l’attestazione degli obiettivi raggiunti.

In merito alla valutazione, la proposta potrebbe essere tradotta nel concreto come segue:

  • Il curricolo d’Istituto prevede già la definizione degli obiettivi di apprendimento per ciascuna disciplina, declinati in conoscenze e abilità. Ciascun docente, come espressione della propria libertà metodologica e progettuale di insegnamento, struttura e progetta dei moduli didattici che prevedano il conseguimento di tali obiettivi;
  • Si istituisce una Rubrica personale degli apprendimentiche riporti in maniera semplice e chiara, per ciascuno studente, quali sono gli obiettivi comuni o personalizzati che deve conseguire nelle diverse discipline nell’arco dell’anno scolastico, dando risalto ai contenuti che li veicolano. La Rubrica può essere realizzata in formato digitale, condivisa sul web tramite un Foglio Google che tenga traccia delle modifiche apportate e resa accessibile allo studente e ai genitori tramite un account personale;
  • Lo stesso studente potrebbe richiedere l’inserimento in Rubrica di nuclei tematici di approfondimento, non previsti nel curricolo, a sua scelta tra un ventaglio di proposte formulate dai vari docenti per le proprie discipline e concordate a livello di dipartimento. Le attività didattiche riguardanti questi obiettivi personalizzati, non comuni a tutti gli studenti di una stessa classe, ma comuni a studenti di classi e indirizzi diversi, potrebbero essere svolte online con l’ausilio di piattaforme web come Google Classroom;
  • Le prove di verifica condotte dagli insegnanti determinano come risultato l’attestazione del conseguimento di tali obiettivi. A seguito di ciascuna prova di verifica, il docente certificherà il livello di raggiungimento degli obiettivi accompagnata da un breve giudizio descrittivo che suggerisca allo studente quali sono gli aspetti su cui migliorare. Il livello potrebbe essere espresso come segue:

o   Eccellente: lo studente dimostra, non soltanto di avere raggiunto tutti gli obiettivi, ma di avere approfondito autonomamente i contenuti con la capacità di effettuare collegamenti anche di carattere interdisciplinare;

o   Completo: lo studente ha raggiunto pienamente tutti gli obiettivi previsti dalla prova di verifica;

o   Minimo: lo studente ha raggiunto gli obiettivi minimi previsti, anche in rapporto alla valenza propedeutica dei contenuti rispetto ad altri che seguiranno;

o   Inadeguato: non è possibile certificare il raggiungimento degli obiettivi in quanto la prestazione dello studente è ritenuta insufficiente con le motivazioni riportate nel giudizio di accompagnamento;

  • Nel corso dell’anno scolastico, come del resto avviene già, l’insegnante sarà tenuto a dare a ciascuno studente una possibilità di recuperare gli obiettivi mancati, anche mediante prove di verifica cumulative. Nel contempo lo studente è posto nella condizione di monitorare costantemente e in modo autonomo e trasparente il proprio percorso scolastico attraverso la Rubrica;
  • In sede di valutazione periodica e finale, allo studente sarà assegnato un voto da 5 a 10. Il 5 rappresenta una valutazione insufficiente legata al mancato conseguimento di uno o più obiettivi della disciplina. La valutazione potrà comunque tenere conto di fattori personali o di contesto. I voti da 6 a 10 saranno invece assegnati sulla base dei livelli di raggiungimento degli obiettivi. Ad esempio, ciascuna scuola potrebbe definire delle soglie minime per l’attribuzione dei voti:

10: tutti gli obiettivi sono stati raggiunti ad un livello eccellente;

9: tutti gli obiettivi sono stati raggiunti ad un livello eccellente o completo;

8: almeno il 50% degli obiettivi è stato raggiunto ad un livello eccellente;

7: almeno il 50% degli obiettivi è stato raggiunto ad un livello completo;

6: tutti gli obiettivi sono stati raggiunti;

  • In sede di valutazione finale, inoltre, la valutazione disciplinare sarà accompagnata da un giudizio collegiale del Consiglio di classe sul grado di sviluppo delle competenze personali dello studente sulla base di un Repertorio delle competenze deliberato dal Collegio dei docenti e integrato nel Piano dell’offerta formativa;
  • Il mancato raggiungimento della sufficienza in tutte le discipline nella valutazione finale, comporta la sospensione del giudizio finale con l’immediata individuazione degli obiettivi ancora da raggiungere per essere ammessi all’anno di corso successivo;
  • Infine, nel Piano dell’offerta formativa potrebbe comunque essere prevista l’attribuzione di un voto sufficiente a seguito delle prove di recupero che hanno prodotto la sospensione del giudizio anche in presenza di un mancato conseguimento di obiettivi ritenuti non indispensabili per il proseguimento degli studi, il cui recupero sarà comunque da programmare nell’anno di corso successivo anche in modalità online.

Spero che questo mio contributo possa essere utile ai tanti interessanti dibattiti che in queste settimane stanno coinvolgendo i protagonisti del mondo della scuola.

 




Il voto, il sapore ammuffito della valutazione di altri tempi

arcobalenodi Cinzia Mion

Onorevole Ministra, sono una dirigente scolastica in quiescenza ma non quiescente, molto anziana , diciamo a forte rischio di coronavirus ma non così lenta nei riflessi da non aver colto, in una sua recente intervista alla stampa, delle frasi che mi hanno riportato il sapore molto antico e quasi ammuffito di una concezione della valutazione scolastica veramente d’altri tempi.
Naturalmente sono convinta che le parole in questione le siano sfuggite, sappiamo cosa succede quando siamo pressati dai giornalisti…
Le frasi sono quelle che si riferiscono alla promozione per tutti ma alle pagelle che saranno” vere: se lo studente “merita” 8 avrà 8, se merita 5 avrà 5.. alla fine tutti avranno un voto.
Chi risulta insufficiente recupererà l’anno prossimo…(qualcuno riferisce anche se un allievo non è stato presente potrebbe prendere anche 4, ma io non l’ho sentito, spero non sia vero)

Credo fermamente che nella confusione della pandemia le sia sfuggito che già la docimologia (scienza della misurazione) negli anni 60/70 aveva stabilito che i voti numerici su scala decimale sono soggettivi ed arbitrari perché applicati come se fossero unità di una scala perfetta, con differenze tra un voto ed un altro di una misura perfettamente uguale…., e noi sappiamo tutti che non è così, inoltre li applichiamo come se stessimo misurando e non valutando. Discorsi scontati. Scontati?

Ma non voglio riprendere la vecchia tiritera, ormai, della lotta al voto per tutti i sacrosanti motivi che ormai tutte le persone di scuola conoscono bene (quante volte l’abbiamo predicato, recentemente un webinar con 3.000 partecipanti) ma le disposizioni legislative continuano a richiederlo almeno come risultato quadrimestrale e finale, e moltissimi docenti continuano ad applicarlo per inerzia, sottomissione, rigidità, incapacità ad usare altre modalità, mancanza del cosiddetto carisma professionale, uso del voto come spauracchio, non conoscenza della valutazione formativa, rifiuto della fatica di osservare, annotare, sfrucugliare dentro al processo di insegnamento-apprendimento dove si annidano le lacune, di quale tipologia sono, (strutturali o elementari?)…Figuriamoci se non si è capito finora….se si capirà ora…
Ma invece questa è forse la volta buona ed allora insieme a Lei , mi perdoni, desidero fare un ragionamento semplice semplice: ”Se si ammette all’anno successivo, in altri termini “si promuove” , un ragazzino – uno studente come dice lei – che riporta un voto insufficiente, quando si deve riprendere a settembre, ed attivare il recupero delle lacune (il docente titolare oppure un altro docente, perché sappiamo tutti che la continuità non può essere garantita) cosa si è venuti a sapere o a ricordare rispetto a quali sono le smagliature che devono essere rimagliate? Se davanti si para un numero che al massimo offre la possibilità di attivare una “classifica” tra tutti gli appartenenti alla classe – che così non viene più considerata una “comunità di apprendimento”, allora diventa difficile avviare un recupero puntuale, significativo, azzeccato e tempestivo .
La classifica è inutile sempre perché non siamo ad un concorso, e ridicola al tempo del coronavirus che almeno in questo potrebbe comportare un ridimensionamento delle competizioni inutili e dannose, e rimettere un po’ a posto i valori che contano, mettendo in ombra quelli che possiamo tralasciare.

La classifica aveva un senso quando si scremavano le eccellenze, ai tempi della scuola elitaria, cara Ministra, che discendeva dalla riforma Gentile, ma poi , come senz’altro saprà, abbiamo avuto la scuola di massa (1962 ,con la scuola media unica), poi la scuola dell’integrazione (L517/77 che ha introdotto la famosa Valutazione formativa, ahimè negletta e trascurata) che Lei , onorevole Ministra, sponsorizzando il voto , aiuta a svalutare e mettere in ombra. Naturalmente sono certa che lo fa in buona fede. Lei conosce la realtà dei voti e di questi parla…
Ma non ho finito, oggi la scuola è diventata dell’inclusione, dove ogni docente, Dirigente, personale non docente, genitore, EELL, Associazione professionale del territorio deve costruire reti di relazioni fiduciarie per far raggiungere il “successo formativo” a tutti i soggetti (regolamento Autonomia).
Qui il discorso diventerebbe troppo tecnico e lungo e penso che Lei sia presa da compiti urgenti e difficilissimi da gestire per cui chiudo, sperando però che abbia colto il significato di questa lettera semplice ed accorata, di una vecchia, ma non ammuffita , persona di scuola e che non sottovaluti il rischio di aumentare il numero già alto dei dispersi (caduti fuori dal contenitore scuola), alla vista di un voto negativo, secco, coma una scudisciata.

Con fiducia




Valutare ai tempi della didattica a distanza

votidi Daniele Scarampi

– dirigente scolastico dell’IC di Vado Ligure (SV)

Fa quel che può, quel che non può non fa, stigmatizzava laconicamente il celebre maestro Manzi, nel lontano 1981, sull’allora scheda di valutazione della scuola Elementare.
Sberleffo provocatorio, sicuro, eppur utile lezione anche per la scuola di oggi, invischiata nella palude di un’mergenza planetaria che sta minando certezze e consolidati paradigmi didattici e pedagogici.

Del resto, non è mai troppo tardi per prendere coscienza dell’opportunità di un robusto cambio di prospettiva e, all’epoca della didattica a distanza (DAD), la valutazione degli apprendimenti offre un fertile esempio su cui riflettere.
Ora, che cos’è la valutazione? Ma soprattutto: che cosa si valuta? Il voto è un numero e un numero è un indice sintetico, non narrativo; certifica qualcosa, ma di fatto racconta poco o nulla. La valutazione invece è un processo, un’argomentazione, la rilevazione di un prodotto, di un’azione.
In sintesi, è la determinazione di un giudizio di merito, del valore di qualcosa (Scriven, 1991). Per valutare, dunque, non basta misurare un sapere, occorre piuttosto attuare un processo di ricerca che dia un valore estrinseco a ciò che viene preso in considerazione, dimodoché la rilevazione possa avere una dimensione operativa ed efficace.


Da sempre, in tema di valutazione, si sono scontrati (a volte amalgamandosi, a volte entrando in conflitto) due paradigmi ben distinti: quello docimologico, inscindibilmente legato alla valutazione certificativa, parziale o sommativa, e quello regolativo, associato invece alla valutazione educativa e formativa.

La valutazione docimologica misura gli apprendimenti in base al raggiungimento di specifici obiettivi; la valutazione regolativa, invece, va oltre la misurazione della prestazione ed è funzionale alla formazione degli studenti perché innesca processi riflessivi e metacognitivi, attraverso i quali ognuno è in grado di ripercorrere le tappe del proprio apprendimento, capire gli eventuali errori commessi e prendere consapevolezza del percorso effettuato.

La valutazione formativa, pertanto, stimola la riflessione sui processi d’apprendimento in modo da poterli orinetare o modificare consapevolmente.

Sic stantibus rebus, alla dimensione metacognitiva a quella pro-attiva della valutazione il passo è breve: solo così i problemi che si incontrano nell’apprendimento possono essere sviscerati e decodificati, alla ricerca di soluzioni adeguate e condivise, per nulla sanzionatorie. Siamo dinanzi a una sorta di “cultura della valutazione”, orientata verso lo sviluppo dell’identità dei ragazzi mediante la pianificazione di azioni performanti e successive, che ha le sue radici nelle Indicazioni Nazionali di cui al DM 254/2012, così come rinvigorite dalle Linee Guida Miur del gennaio 2018 (Nota n.312) e – soprattutto – dalle Indicazioni Nazionali e “nuovi scenari” del marzo 2018.

L’odierna didattica a distanza (DAD), prima consigliata e poi resa obbligatoria dagli interventi normativi succedutisi sulla scorta della crisi epidemiologica in atto, fino al recentissimo D.L. 22/2020, presuppone – va da sé – una valutazione a distanza (VAD): in questo contesto del tutto peculiare la partita tra paradigma docimologico e paradigma regolativo assume un’importanza decisiva, quasi epocale: in ballo, infatti, c’è un cambio di prospettiva, dall’educare a imparare all’educare a pensare e a riflettere su quanto prodotto.

Di valutazione a distanza parla per la prima volta, in modo esplicito, la Nota ministeriale n.279/2020 che, di fatto, rimanda alla professionalità dei docenti, alla libertà d’insegnamento e alla cornice normativa all’interno della quale ogni PTOF imposta il protocollo valutazione, ovvero il DPR 122/2009 e il D.lgs 62/2017.
Tuttavia è con la successiva Nota n.388 del 17 marzo 2020 che si fa strada, in modo più robusto, la necessità di una valutazione regolativa, fondata sull’approfondimento e sulla valorizzazione, capace di dar lustro al processo formativo dei discenti, stimolandone la pratica dell’autovalutazione. Il passaggio è nodale perché dalla misurazione di una prestazione ideale, in chiave certificatoria, si passa alla necessità di attestare i progressi successivi compiuti dagli studenti, peraltro occasione di cooperazione tra docenti, alunni e famiglie, già architrave del patto educativo di corresponsabilità.

Ne consegue che, in ottica formativa, ogni errore debba essere considerato una leva di miglioramento e non un deterrente; i voti o i giudizi – elaborati anche mediente rubriche o dossier esplicativi – debbano riferirsi non a specifiche contingenze, bensì alla fotografia complessiva del processo di crescita e di maturazione dello studente, con un’attenzione particolare allo sviluppo di eventuali nuove competenze, in linea con il concetto di imparare a imparare, sostrato fondamentale di ogni cittadinanza attiva e consapevole.

Il paradigma regolativo applicato alla VAD presuppone anzitutto la rilevazione della partecipazione, della disciplina dimostrata e del rispetto delle consegne assegnate; presuppone altresì la capacità dimostrata dai ragazzi di interagire, comunicare, superare le difficoltà, risolvere i problemi e, non in ultimo, riflettere metacognitivamente sui prodotti realizzati.

Certo, la valutazione dei contenuti – soprattutto nella scuola Secondaria – non può essere totalmente disattesa, tuttavia dev’essere un mezzo piuttosto che un fine e va gestita mediante l’utilizzo di prove destrutturate o semistrutturate (capaci di stimolare i collegamenti, le riflessioni, il probelm solving, lo sviluppo di competenze intese come l’amalgama di contenuti e saperi già acquisiti) oppure i colloqui in modalità sincrona e in collegamento a distanza.

La scuola, pertanto, chiamata a una nuova e complessa sfida metodologica, gioca con la DAD (e la relativa VAD) una partita decisiva, proiettandosi verso un orizzonte didattico che potrebbe delineare gli scenari del futuro, a breve e a lungo termine.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

D. Parmigiani, L’aula scolastica, Franco Angeli, 2014
D. Parmigiani, L’aula scolastica 2, Franco Angeli, 2018
Nota ANP “Come attuare la valutazione a distanza?”




A proposito del “6 politico”

rete_numeridi Cinzia Mion

C’è un po’ di confusione oggi intorno al “6 politico”.
Allora ecco due righe per fare chiarezza.
Io c’ero. C’ero quando è stata varata la Costituzione (1948) e nella Costituzione, l’articolo 3 e l’articolo 34 sancivano “l’uguaglianza di tutti cittadini” e “la scuola è aperta a tutti..ed è impartita per almeno 8 anni, obbligatoria e gratuita”.
L’Italia diventa (finalmente) un Paese democratico.
L’articolo 3 consta di un principio formale e di un principio sostanziale: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…).
Cioè, la Scuola è una Istituzione della Repubblica e suo compito è rimuovere l’ignoranza che impedisce la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini, soprattutto in questo periodo storico, dei figli dei contadini e degli operai che precedentemente accedevano solo ai primi anni della scolarizzazione.


La riforma della scuola media unica (1962) con l’abolizione dell’esame di ammissione, con l’irrompere della scuola di massa, segna l’inizio di questo tentativo nobile di democratizzare la Scuola per democratizzare il Paese.
Il Ministero però non ha ri-orientato i docenti nel passaggio da una scuola elitaria ad una di massa. Sappiamo com’è andata. Sappiamo della Lettera ad una professoressa di don Milani, sappiamo che a fare da “cassa di risonanza” a don Milani si è diffusa la critica del Movimento Studentesco del ’68.
Come don Milani aveva affermato che “la scuola non può essere un ospedale che accoglie i sani e respinge gli ammalati” così il ’68 ha adottato lo slogan “La valutazione scolastica seleziona ed emargina attraverso i meccanismi di una valutazione tradizionale sommativa, calibrata per scremare le eccellenze come la Riforma Gentile” Allora è meglio che non valuti perché così tradisce la Costituzione”. Io c’ero.
Da questa “critica sociopolitica” ha origine l’atteggiamento “a-valutativo” del movimento studentesco che onestamente non aveva nessun compito di offrire proposte pedagogiche e nemmeno incoraggiare la rilassatezza dei costumi degli studenti (fra parentesi i sessantottini studiavano dalla mattina alla sera, magari i testi non ortodossi secondo la scuola tradizionale!!!).
Abbiamo dovuto aspettare la critica docimologica, quelle varie psicologiche, per arrivare alla critica veramente pedagogica (L.517/77) che ha (avrebbe voluto) rivoluzionare la valutazione scolastica introducendo quella formativa, questa sconosciuta.
Io c’ero e ancora ci sono. A predicare a vuoto.




Contro il voto: preoccupiamoci di insegnare, non di valutare

io_noidi Cinzia Mion

Questa non è un’invettiva (e non c’entra con la pandemia)
Mi accingo a ritornare brevemente sulla faccenda del voto numerico a scuola solo per chiarire che ciò che la scuola deve fare bene è insegnare (quindi adottare delle didattiche adeguate). 

La valutazione è intrinseca ad ogni processo di educazione ed insegnamento perché, nel rapporto asimmetrico di chi insegna, rispetto a chi impara, deve avvenire un’autoregolazione rispetto a ciò che sta succedendo (chi, quanto, cosa, come, se ha imparato e capito, oppure chi quando, come, cosa, perché non ha imparato o capito, per mettere in atto altre didattiche alternative, più laboratoriali, ecc).
Su questa autentica, e professionalmente impostata, valutazione del docente (che diventa autovalutazione nell’autoaggiustamento di una didattica alternativa) dovrebbe inserirsi l’insegnamento individualizzato, per il recupero delle lacune emerse. Contemporaneamente l’allievo deve essere avviato all’autovalutazione attraverso una legenda che lo aiuta a prendere atto degli errori commessi. Subito, appena traspaiono, senza aspettare che si incancreniscano. I docenti della primaria si incaponiscono in genere di più nel recuperare i più fragili, (ce l’hanno nel DNA questa benefica testardaggine che deriva dall’aver integrato dal tempo della legge Casati il concetto della scuola dell’obbligo) gli altri spesso, non sempre per fortuna, conservano un residuo di “scuola elitaria” (scremare le eccellenze per orientarle al liceo…!) e più velocemente “dimettono mentalmente” quelli che non tengono il passo.

Il tutto in una classe in cui, con il metodo tradizionale, conosciuto perché subìto, si insegna a tutti nello stesso tempo e nello stesso modo. La valutazione a scuola non è finalizzata a creare una classifica, per cui più lo strumento mi aiuta a misurare le microdifferenze con il bilancino, meglio è.
La classifica serve in un concorso per cui un millesimo di differenza può essere un posto di lavoro.

Torniamo alla classe: chi può sostenere che agli alunni serve la classifica? Chi è più bravo e chi lo è meno?

1) Alla classe come “comunità di apprendimento” questo non serve, anzi è deleterio perché introduce dinamiche di competitività (al posto della cooperazione interattiva vigotskiana) e non crea le condizioni per l’insegnamento reciproco, previsto anche dalle Indicazioni

2) La classifica serve al genitore che si accontenta di sapere se il proprio figlio è nella fascia superiore, allora si inorgoglisce narcisisticamente, oppure in quella inferiore, allora si preoccuperà: non gli può fregar di meno sapere “cosa” suo figlio conosce e soprattutto cosa ha veramente capito (comprensione profonda e duratura)

3) La classifica serve a dimostrare al docente? … bella domanda. A cosa serve? Chiedo a chi difende i voti, o a chi continua a sostenere che un modo di valutare vale un altro, di spiegare questa strenua difesa del voto….

4) Chiedete ad un allievo qualsiasi, cosa ha sbagliato se ha meritato un voto inferiore al 10….
Farete una brutta scoperta, tranne rarissime eccezioni, non ve lo saprà dire (addio al sacrosanto recupero dell’errore dispositivo così importante per l’apprendimento) perché quello che diventa interessante in una scuola “così” è il voto non l’apprendimento. Fate voi….




Valutazione ed esami ai tempi del Covid-19

votidi Cosimo Quero

C’era una volta la continuita’ educativa …
C’era una volta la storia educativo-formativa degli allievi !
In un precedente contributo relativo al problema della valutazione finale degli alunni per l’anno scolastico che si conclude, abbiamo ipotizzato alcune soluzioni.
Si aggiungono ulteriori chiarimenti.

Sembra evidente che il problema della valutazione finale si sposti in avanti, l’anno prossimo, per la validità giuridica della medesima.

Permane il problema degli apprendimenti fondamentali (l’oro e non le scorie!) previsti dai Programmi nazionali.
Gli apprendimenti fondamentali e le competenze dei diplomi di maturità che aprono all’Università e di quelli delle professioni intermedie, vanno recuperati. in due modi possibili: o in corsi di recupero presso le scuole di pertinenza aAnche in orario pomeridiano\serale con relativa retribuzione dei docenti) , o con corsi mirati all’Università, prima dell’avvio degli insegnamenti di laurea ( e qui ritorna l’esigenza degli apprendimenti fondamentali e della continuità educativa).
Si ritiene impossibile certificare l’interruzione dello studio di punti fondamentali dei Programmi nazionali, per l’emergenza Covid 19 ?
Resta indiscutibile l’avanzamento di tutti gli studenti nel loro corso di studi, pena l’invalidita’ giuridica di eventuali arresti (non a caso non si parla di promozione e bocciatura !).

Gli esami finali

Vogliamo restituire la titolarità dei medesimi ai Docenti che hanno seguito gli alunni nel loro corso triennale o quinquennale che sia, di studi ? Anche se con validazione per la presenza di rappresentanti esterni dello Stato ?




Il 6 “pandemico” e i voti alti

votidi Stefano Stefanel

Inizierei questo breve intervento sulla valutazione e sulla didattica attraverso una banale annotazione linguistica e politica. Si sta parlando sui social e sui mass media di “6 politico” e trovo la cosa insultante e irritante, tra l’altro l’ennesimo modo per esacerbare gli animi da parte di una certa parte politica, cui però si sono aggregati anche altri soggetti da cui non me lo sarei aspettato.
Il così detto “6 politico” era la richiesta fatta circa 50 anni fa dalla frange più estremiste di sinistra, partita dal movimento studentesco nei confronti dell’Università (in quel caso si parlava di “18 politico”, riferito ai trentesimi).
Era dunque una richiesta così detta “proletaria” che voleva eliminare la “scuola di classe”.
Nel 68 si sono fatte molte cose buone e molte scemenze: questa era una scemenza colossale. Trasferire però quella richiesta dentro una pandemia mi pare solo un avvelenamento dei pozzi. E in questo momento bisogna maneggiare con cura tutte le parole.

Qui stiamo parlando di un “6 pandemico” assegnato agli studenti in difficoltà, deboli, svogliati, poco presenti, poco connessi, poco aiutati dalle famiglie. E questo “6 pandemico” sta dalla parte della Lettera ad una professoressa, non da quella di movimentismo di oltre 50 anni fa. Anche perché molto spesso questa invettiva compare a difesa degli studenti bravi, che vedrebbero i loro voti positivi resi più “ingiusti” dal “6 politico” dato a tutti. Il che vuol dire che se oltre ai bei voti, che questi studenti lodevoli meritano, non viene dato anche “lo scalpo” di quelli che non ce la fanno e degli ultimi ciò che gli viene dato non ha valore.

E invece il valore è quello che deve essere riconosciuto in questo momento: e lo si può e deve fare con i 7, gli 8, i 9 e i 10. Questo è il momento di dare tanti 10, tutti quelli che servono, tutti quelli che gli studenti si meritano. E’ inutile lodarli e poi dargli 7 lamentandosi che bisogna anche dare il 6 a tutti gli altri. Quindi questo è il momento di valutare nel senso etimologico della parola: dare valore a quello che lo merita. E se merita un valore alto bisogna dare un voto alto.

C’è poi l’ultima aberrazione in questo atroce uso di una parola del passato ”6 politico” ed è quella che se non si danno voti e non si danno voti negativi i ragazzi non studiano. E qui c’è un senso di superiore disprezzo per i giovani e le loro motivazioni, che non dovrebbe trovare spazio tra chi li educa, tra chi insegna, tra chi vive con loro. La pochezza di molte didattiche, la trasmissività estenuante, gli insegnamenti obsoleti, la corsa verso interrogazioni e compiti inutili e nozionistici, un tradizionalismo culturale lontano dai tempi: questo tiene lontani gli studenti dallo studio.

In questa fase della scuola italiana la gran parte degli insegnanti cerca di appassionare, interessare, capire, interagire, ricercare, innovare, analizzare, sperimentare. E facendo tutto questo riesce a tenere una generazione di studenti dentro una situazione mai vista prima, in cui in primo luogo viene negato da una pandemia mondiale il diritto basilare allo studio, allo stare insieme, allo stare a scuola, al vivere da studenti. E questo è quello che si deve valutare con i 7, gli 8, i 9 e i 10, dentro un’idea di scuola che è anche un’idea di cultura e di società. Segnalo perché lo condivido l’intervento su questo sito La promozione sicura autorizza a non studiare più?, di Aluisi Tosolini

Inventarsi oggi bocciature o rimandature per poi condizionare il prossimo anno scolastico (lo studente che a novembre non recupera i debiti e a quel punto dove va? Le classi sono fatte sui numeri pollaio, i docenti assegnati, i libri comprati: ma siamo matti?) significa credere di vivere in un mondo che non c’è. Nei quasi due mesi che ci separano dalla fine dell’anno scolastico deve partire la più grande operazione culturale mai tentata e cioè quella di fidelizzare gli studenti alla scuola, alla cultura, al sapere, alla fraternità, allo studio, al civismo, al dovere. Credo che ce la faremo, perché gli insegnanti stanno dimostrando grandi doti e grandi motivazioni. Ma dobbiamo toglierci dalla testa paragoni sbagliati tra un mondo che non c’è più (quello del “6 politico”) e quello che c’è oggi (quello del “6 pandemico” dato a chi è rimasto indietro). Non spenderei tanto tempo attorno al “6”, ma attorno al resto.

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