Archivi categoria: STORIA DELLA SCUOLA

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Ritorno al futuro del tempo pieno nella città educativa

di Ermanno Morello
(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare)

 Scrivo di tempo pieno sulla base dell’esperienza personale di insegnante di scuola media che, per sorte fortunata prima e scelta motivata poi, ha sempre lavorato in classi a tempo pieno e prolungato.

Nel cinquantenario della sua istituzione si sta avviando una riflessione articolata da parte di molti soggetti e associazioni: ripercorrerne la storia per individuare principi ispiratori e impianto didattico è fondamentale per riflettere, oggi, sul tempo e sulle modalità per l’ apprendimento, almeno nel primo ciclo di istruzione.

Il rapporto della scuola con la città è fondamentale, sotto il profilo strutturale e culturale (…)  nel tempo pieno si sono gettate le basi per la futura integrazione tra scuola e territorio, che ha portato ad un vero e proprio Progetto Educativo di Territorio. [1]


Data la complessità del fenomeno, in questo contributo proverò a entrare solo nell’aspetto del rapporto tra la scuola e la comunità educativa territoriale, vissuto direttamente a metà degli anni settanta del secolo scorso a Torino, quando lavoravo alla scuola media G.Baretti in Barriera di Milano, quartiere storico della periferia operaia in quegli anni sottoposto all’impatto con una immigrazione massiccia e disordinata dal sud d’Italia, come ancora accade oggi con persone provenienti da altre terre.

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Vi racconto di quando incontrai un Movimento che fu la mia salvezza professionale

di Cinzia Mion

Se mi ritrovo a pensare ai miei primi anni di insegnamento, immediatamente mi viene in mente la sofferenza dell’inizio e le potenzialità  che invece ho intravisto quando durante l’anno 1963 ho incontrato un “movimento” che ha segnato la mia salvezza professionale.
Era il secondo anno che insegnavo come docente di ruolo alla scuola elementare e ricordo che una mattina, mentre stava nevicando con un turbinio di fiocchi stupefacente, sono entrata nella classe della  docente della classe accanto per commentare.

Vidi scritto alla lavagna l’espressione: “La neve vola come api bianche!”
Rimasi colpita dalla sintesi e dalla metafora poetica. Rimasi però ancora più affascinata quando seppi che era una frase appena creata in un “testo libero” da un bambino che in quel momento vidi affaccendato, insieme ad un gruppetto di compagni, intorno ad un oggetto particolare.
Fu così che feci la conoscenza del “limografo”, al quale stavano lavorando quei bambini, intenti a passare un rullo inchiostrato per stampare il famoso giornalino.

La maestra, di cui divenni molto amica – ma che mancò molto giovane dopo pochi anni, colpita da una embolia cerebrale – si chiamava Alda Calzavara e mi introdusse al Movimento di Cooperazione Educativa al quale mi iscrissi subito.

L’MCE

L’incontro con l’MCE costituì nella mia formazione professionale  la scintilla che accese in me una motivazione fortissima alla ricerca continua del miglioramento della mia didattica. Ho scoperto ante litteram cosa significava “una comunità professionale di pratica” insieme al desiderio appassionato ed effettivo di mettermi in gioco per riuscire ad attivare veramente il piacere di apprendere, comprendere e  pensare, in quei bambini che mi venivano affidati e che un po’ alla volta si aprivano al mondo. Erano bambini di campagna, figli di contadini o di operai, molto avidi però di conoscere ed imparare.

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La forma della scuola. La didattica a distanza tende a modificarla

ripresa_scuoladi Raimondo Giunta

  • I giorni difficili della pandemia hanno aperto non pochi interrogativi sul destino della scuola, sull’identità e sul significato che debba avere.  Ne è stata causa la necessità di ricorrere alla didattica a distanza per mantenere nei limiti del possibile il rapporto educativo con gli alunni; una necessità che per alcuni si è subito trasformata in una opportunità per pensare di ristrutturare le procedure abituali dell’insegnamento,di riconfigurare con uno sguardo proiettato nel futuro gli ambienti di apprendimento e l’articolazione del rapporto tra alunni e luoghi di formazione.
    Di cambiamenti nel modo di essere scuola se ne sono visti tanti negli ultimi decenni e in qualche modo la scuola è riuscita a reinventarsi rimanendo se stessa, conservando la propria forma.
    Sarà ancora una volta così?
  • La scuola è un’istituzione ancora facilmente identificabile per i luoghi in cui le sue attività si svolgono, per le finalità che deve  o che dovrebbe realizzare, per l’organizzazione complessiva che la distingue da ogni altra istituzione pubblica.
    Fino ad oggi l’insegnamento è ancora distribuito per anni, secondo un criterio di difficoltà e di complessità crescenti, per classi omogenee di  età, che si succedono le une alle altre.

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I ragazzi di Barbiana: rivoluzionari o riformisti?

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barbiana
Siamo nell’autunno del 1967, il libro di Don Milani e dei “ragazzi di Barbiani”, uscito da pochi mesi, stava accendendo il dibattito politico e culturale.

“Lettera ad una professoressa”, diventato poi nel corso degli anni un libro cult non venne accolto in modo favorevole da ogni parte.
Anzi, “a sinistra” le critiche erano anche pesanti.
Ne sono un esempio queste pagine tratte da una rivista ormai introvabile (Nuovo Impegno, 1967 n. 8/9) che siamo riusciti a scovare grazie ai ritrovati amici del Centro di Documentazione di Pistoia.

Bidello o collaboratore scolastico?

bidelloDal sito unaparolaalgiorno riprendiamo una interessante analisi sulla parola bidello.

Intanto iniziamo a dire che, stando al dizionario, la parola bidello indica “chi è addetto a pulizia e custodia dei locali scolastici, anche con compiti di ausilio e assistenza a docenti e alunni”.
Il termine arriverebbe dal latino medievale [bidellus] o dal francese [bedeau]; entrambi i termini deriverebbero però da una ipotetica voce francone [bidal] o [bidil] che significava ‘messaggero, messo giudiziario’.
Ma, nel concreto, quando iniziano a entrare in servizio nelle scuole i primi bidelli?

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Le vestali senza tempio

vestalidi Franco De Anna

Nella stagione mitica del 68/69, usci un fondamentale saggio di Barbagli e Dei che riportava i dati di una ricerca sociologica sui docenti italiani. Il titolo era di una efficacia comunicativa che poteva risparmiare i commenti, “Le vestali della classe media” (1969)

Ricordo sempre che ancora più significativo, nel “dibattito progressista” sulla scuola, risultava un lapsus (neanche tanto freudiano) di molti interlocutori che citavano il saggio storpiando il titolo stesso “Le vestali della “scuola” media”. Continua a leggere