E portò via anche l’origano…

di Raimondo Giunta

Non ci sono parole per esprimere il disgusto per quello di cui è stata accusata la dirigente dell’ICS GIOVANNI FALCONE, situato nel quartiere Zen a Palermo.
Il danno arrecato alla scuola e al principio di legalità in terra di mafia è incalcolabile e non sarà per nulla facile riedificare ciò che è stato distrutto, soprattutto se si considera quanti vengono colti in questioni di malaffare ,regolarmente coperte da quotidiane esternazioni contro la mafia.
Questa orribile vicenda mi spinge a fare qualche riflessione sul ruolo del dirigente in regime di autonomia scolastica,perché credo che ci siano tanti modi e tante ragioni per evitare che possano ripetersi fatti come quelli verificatisi allo Zen di Palermo.
In una scuola che vuole essere una comunità educativa l’autorità del dirigente scolastico si dovrebbe fondare sulla capacità di fare della propria scuola un modello di convivenza collegiale e culturale e non sull’esercizio arbitrario dei poteri che gli affida la legge.
Non sono pochi, purtroppo, i dirigenti scolastici che ritengono di non potere fare bene il proprio mestiere ,perché sarebbero molestati dagli insegnanti che sollevano obiezioni e perplessità sul loro operato, e perché devono tenere conto di quello che ancora si decide nei collegi degli insegnanti e nei consigli di istituto.
Ricordo ancora la dichiarazione pubblica “LASCIATECI LAVORARE”, sottoscritta da alcuni dirigenti scolastici, in piena pandemia, come se il lavoro a scuola consista nell’esecuzione dei loro ordini di servizio.


Il prestigio di un dirigente non deriva dall’esercizio incontrastato dei suoi poteri, ma dalla capacità di spiegare e giustificare le proprie decisioni in termini pedagogici, professionali e anche morali e dalla capacità di interpretare e affermare i principi costitutivi di una istituzione che è e deve restare democratica nel suo assetto e nelle sue procedure.
Si parla di management delle risorse umane, scimmiottando il mondo aziendale, mentre invece si dovrebbe capire che a scuola il problema più serio è oggi e sarà domani il management dei significati.
Il problema vero è sempre quello di impegnarsi in favore di valori educativi da condividere con tutto il personale, con gli alunni, con le famiglie, con la comunità di riferimento, per trovare il senso delle cose che si fanno e dello stare insieme, per trovare passione, entusiasmo, motivazioni profonde nel lavoro a scuola, soprattutto nelle scuole collocate nelle cosiddette zone a rischio.
Il problema quotidiano che si deve affrontare è quello di trovare ragioni e significato dell’educare e dell’essere educati.
Chi conosce la fatica del fare istruzione ed educazione sa che non c’è alcun bisogno di padroni a scuola , ma di professionisti riflessivi ,dotati di scienza , di esperienza e di intuizione creativa.
C’è bisogno, proprio in regime di autonomia, di professionisti che sappiano integrare valori e culture, non semplici risorse umane; che abbiano strategie motivazionali e che rifuggano da qualsiasi forma di prevaricazione.
L’autonomia ha un senso se viene pensata e gestita per dare diritto di parola, per consentire la partecipazione a tutte le scelte; per valorizzare tutte le professionalità esistenti in ogni singolo istituto. L’autonomia scolastica funziona efficacemente e dà buoni frutti solo se c’è cooperazione, dialogo tra le componenti professionali .Senza un reale potere sul proprio lavoro, senza autonomia intellettuale non c’è professionalità e senza professionalità dei docenti non c’è autonomia.
I dirigenti che vogliono comandare e solo comandare devono ricordare che scuole che funzionano, senza gli insegnanti che vi lavorano con il loro sapere, con la loro cultura, con la loro professionalità, con il loro spirito di sacrificio e con la loro dedizione non ne esistono.Solo
all’interno di istituzioni autoritarie o che pretendono di diventarlo se ne fanno e se ne vogliono fare dei docili esecutori delle direttive dell’amministrazione.Il lavoro dell’insegnante appartiene alla categoria delle attività intellettuali,alle quali togliere libertà e autonomia è togliere l’aria che serve per vivere .
Non credo che la dirigente della scuola GIOVANNI FALCONE dello Zen a Palermo si sia attenuta a qualcuna di queste regole di buonsenso.Non è un caso che tutta l’inchiesta sia partita dalla denuncia di un’insegnante che vi lavorava .




Candidato bocciato, candidato fortunato: la farsa del concorso per dirigenti scolastici

di Mario Maviglia

 Avviso ai lettori: il presente articolo non è rivolto contro i candidati che hanno proposto ricorso avverso l’esito sfavorevole al concorso per dirigente scolastico 2017, ma contro quei politici di una parte dell’attuale maggioranza che hanno proposto di sanare ope legis la situazione dei candidati bocciati al concorso dopo che la giustizia amministrativa aveva cassato i loro ricorsi.

 

Questa volta ce l’hanno fatta! Finalmente verrà risolto uno dei problemi che assillava il nostro sistema scolastico e che si stava trascinando da tempo tra mille polemiche, creando non poco sconcerto non solo tra gli addetti ai lavori ma anche nell’opinione pubblica più attenta. L’edilizia scolastica? Ma no! Quando mai! La dispersione scolastica? Ma no! A chi mai può interessare la dispersione scolastica tra i politici (ammesso che abbiano cognizione di cosa si tratti…)? Le retribuzioni dei docenti? Su quello i politici stanno lavorando alacremente prevedendo di equipararli alla media UE entro il 2090 (sì certo, probabilmente gli attuali docenti saranno tutti “passati a miglior vita”, ammesso che sia veramente migliore: nessuno finora è tornato indietro per raccontarlo, a parte il Sommo Poeta…). Ne fruiranno i nipoti dei nipoti; bisogna pensare al futuro.

Stiamo parlando dell’emendamento, accolto dalla maggioranza, che prevede una procedura “concorsuale” ad hoc riservata ai candidati bocciati nel concorso ordinario per dirigente scolastico e che hanno in corso un contenzioso aperto. Possiamo cogliere la portata storica di questa decisione e il sotteso pathos riportando le parole del deputato della Lega, Rossano Sasso, come riferito dalla stampa: “Era il 2019 quando conobbi per la prima volta gli aspiranti dirigenti scolastici che furono penalizzati ingiustamente al famigerato concorso del 2017, quello cui partecipò l’ex Ministro Azzolina per intenderci. Un concorso con mille ombre, inchieste penali e avvisi di garanzia, omissioni, imbrogli e interessi. Ho conosciuto personalmente donne e uomini capaci e preparati che oltre ad insegnare al mattino nelle nostre scuole, al pomeriggio per mesi e mesi hanno studiato per vincere questo concorso”.

Da queste parole traspare tutto l’afflato altruistico e solidaristico dell’on. deputato che si è battuto strenuamente per sanare una situazione che si era caratterizzata per imbrogli e altre mille ombre, anche con coloriture penali. L’on. deputato (altruistico e solidaristico) forse dimentica che a sanare questi problemi, in una democrazia liberale che ha nella separazione dei poteri uno dei suoi cardini, ci pensa la Magistratura (che infatti finora ha respinto i vari ricorsi). Dato interessante: la sanatoria non “sana” quei candidati che pur essendo stati inseriti nella graduatoria generale di merito (avendo colpevolmente superato tutte le prove del concorso) hanno dovuto rinunciare alla sede assegnata loro per ragioni di famiglia o per il particolare disagio della sede stessa. Evidentemente questi candidati (colpevoli di aver vinto il concorso, non dimentichiamolo) non sono abbastanza “meritevoli”, oppure non sono stati abbastanza “furbi” da farsi bocciare in una delle prove, dimenticando che nella nostra Italia del meritoci sarà sempre, lo sapete / Un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli [un Sasso] o un prete a sparare cazzate” (e a fare sanatorie) (lib. adatt. da L’avvelenata, F. Guccini).

Ma non vorremmo dare l’impressione che si tratti di una sanatoria tout court. No! Anzi, riprendendo le parole dell’on. Sasso (altruistico e solidaristico), “Le persone bocciate ingiustamente potranno ripetere il concorso, rifare le prove per poi accedere ad un corso intensivo di formazione. Nessuna sanatoria dunque e selezione che sarà dura, ma un giusto risarcimento dopo anni di ingiustizie.” Visto? Qui si fanno le cose seriamente! Il merito, prima di tutto! E che cosa prevede la nuova procedura concorsuale “sanata”? Sarà una selezione “dura” (per usare le parole dell’on. altruistico e solidaristico. State seduti e ben appoggiati allo schienale perché una selezione così dura non l’avete mai vista: chi non ha superato la prova scritta dovrà rifarla in questi termini: prova scritta basata su sistemi informatizzati, a risposta chiusa, da superare con un punteggio pari almeno a 6/10; chi non ha superato la prova orale dovrà rifarla superandola con un punteggio pari almeno a 6/10. Chi supera la rispettiva prova viene ammesso ad un corso riservato di formazione della durata di 150 ore, autofinanziato dagli stessi corsisti (regalie sì, ma fino ad un certo punto…).

Con questo emendamento si delinea finalmente il senso della denominazione “merito” attribuito al Ministero dell’Istruzione all’inizio di questa legislatura: è il merito del ricorso, presumibilmente il merito degli amici degli amici, il merito per sanatoria. Data questa forte pregnanza del significato del merito in salsa italica proponiamo che venga avviata la procedura per il riconoscimento del copyright e che si vigili affinché nelle sedi internazionali (UE, OCSE, ONU, IEA ecc.) ogni volta che viene utilizzato questo termine ci sia il simbolo ©.it. Gli onorevoli firmatari dell’emendamento potrebbero essere nominati probiviri e controllori del rispetto di questo meritevole atto. Alle frontiere andrebbero messe idonee gigantografie  con la dicitura, in tutte le lingue conosciute: “Benvenuti nell’Italia del merito!”




Il bambino cui ballavano le letterine

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Il bambino cui ballavano le letterine
di Monica Barisone 

Quando lo incontrai, solo pochi sapevano cosa fossero i disturbi specifici di apprendimento, gli addetti ai lavori, mentre io non ne sapevo quasi nulla. Fabio era reduce da lunghissimi anni di incomprensioni e fraintendimenti con le insegnanti che ormai lo consideravano un pigro e arguto ribelle. I suoi genitori, invece, ne percepivano soprattutto la fatica e il disorientamento, non riconoscevano il loro bambino in quella fotografia che veniva loro mostrata. Qualcosa non tornava e non riuscivano ad arrendersi: volevano a tutti i costi aiutarlo.

Lo incontrai con preoccupazione perché la vicenda si presentava già come confusa e contrastante. Dopo qualche incontro, passato a rovistare tra le sue competenze relazionali, alla ricerca di qualche falla, dovetti arrendermi. Fabio era socievole, perspicace, simpatico e curioso e l’idea che me ne stavo facendo non si incastrava per nulla nella casella suggerita dagli insegnanti. Sapevo bene che proprio a causa di questa incongruenza anch’io non mi sarei arresa facilmente. A malincuore provai ad avventurarmi in un terreno non proprio di mia competenza e gli chiesi di spiegarmi con la massima accuratezza, cosa succedesse quando si approcciava a lettura, scrittura e far di conto. Con encomiabile pazienza iniziò a spiegarmi che, nonostante il suo impegno e la sua concentrazione, quando si accostava ad una parola, ad una frase, le letterine non volevano saperne di star ferme e piuttosto sceglievano di cambiare continuamente di posto, impedendogli di comporre una parola o una frase in modo definitivo.
Si trattava di una guerra di posizione da cui Fabio usciva stravolto, senza aver ben compreso il testo che stava leggendo o il problema che avrebbe dovuto risolvere. Avevo capito! Lui non era dispettoso, sfidante, provocatorio! Era costantemente ingaggiato in una lotta impari per cercare di acchiappare il senso di ciò che doveva risolvere, da mattina a sera! Capii che lui e la sua famiglia erano dei supereroi!


Ne avrei incontrati ancora molti altri nel corso del mio lavoro, ingaggiati in gare di sopravvivenza e corse ad ostacoli allestite a volte per restituire ad altri fatiche sperimentate nella propria storia professionale o personale.
È passato poco più di una decina d’anni. Nonostante tutte le trappole disseminate sul percorso, Fabio si è da poco diplomato con una tesina unica ed originalissima nel suo settore. A suo tempo mamma e papà invece avevano trovato la forza ed il coraggio di fondare un’associazione di genitori di bambini con DSA e costruito con le istituzioni uno spazio loro dedicato, tuttora funzionante!

E oggi? Oggi si sa molto di più sulle diverse modalità di funzionamento nell’apprendimento e mentale in senso lato. L’accesso alle certificazioni di queste modalità è diventato abbastanza celere e le classi sono diventate splendide costellazioni di esigenze formative specifiche. Oggi i ragazzi stessi tentano l’autodiagnosi, arrabattandosi tra i materiali orbitanti in rete e le modalità didattiche che affannosamente cercano di evolversi. Accade però anche che le certificazioni non vengano lette o comprese, che si fatichi a raccordare le informazioni, che i linguaggi dei diversi interlocutori dissonino. Oppure accade che la certificazione diventi, per un ragazzo o una ragazza, un cappello da appoggiare sulla testa e calcare bene sulle orecchie perché possa finalmente segnalare a sé stessi e agli altri un nome per definirli e per poter accedere ad una identità fino a quel momento dispersa. Il rischio, come ripete costantemente lo psicologo evolutivo Matteo Lancini, è però quello di produrre un effetto specchio che possa contribuire a creare la loro personalità ancora in evoluzione.
Allora potremmo ipotizzare che l’arrivare o meno ad una diagnosi e con una tempistica più o meno rapida, rappresenti in realtà solo una sfaccettatura del problema, anzi della situazione. In un’epoca contraddistinta dall’individualismo estremo, sembra emergere di fatto, e a forza, il bisogno di definirsi in qualche modo, e non solo per chi esiste in modo divergente rispetto alle etichette convenzionali, o almeno per chi così si sente e si pensa. Come a dire: “sono così estranea ai discorsi dei compagni, alle loro scelte di vita nel tempo libero, ma anche estranea alle attese dei miei genitori e degli insegnanti da dover appartenere per forza a qualche categoria di disturbo cognitivo o mentale”.

A volte questi vissuti si riempiono addirittura di un’angoscia ed un dolore così intensi da scardinare la porticina dello stipetto degli anestetici più comunemente utilizzati: alcool, sostanze, farmaci, self cutting, regimi alimentari o sportivi rigidi, ritiro sociale…*
Allora, per noi adulti, stare accanto a loro diventa ancor più difficile, si avvia una lotta logorante tra lo ‘stare’ ma facendo finta di niente, e il ‘non stare’ ma trascinando con sé il macigno della responsabilità mancata. Alcuni decidono di ‘stare con loro’ nel disagio, molti di loro sono insegnanti o professionisti della relazione d’aiuto, che della delega, antica, a crescere i cuccioli d’uomo alla vita, hanno fatto una scelta di vita. Sono adulti che, come consiglia il pedagogista e sociologo Mauro Martinoni, riescono a guardare i bambini e vedere le farfalle che diventeranno, senza soffermarsi troppo sui bruchi e i loro bozzoli! Poco dopo la ripresa scolastica post pandemia Covid, per esempio, alcuni insegnanti di una Scuola Media mi hanno chiesto di attivare un corso di formazione, una specie di corso di primo soccorso per riuscire a fronteggiare le situazioni emergenziali che si trovavano a sperimentare coi loro ragazzi più in difficoltà. Gli anni di frequenza della Scuola Media rappresentano infatti nella vita di una ragazza e di un ragazzo, una fase particolarmente critica e generativa dal punto di vista evolutivo. Un periodo foriero di importanti svolte nella vita di ogni persona che si confronta oggi però con la dimensione estremamente rilevante del rebound della pandemia e della didattica a distanza, nonché con la crisi politico-economica europea e mondiale.

Questi fattori, in linea di massima fisiologici, se assommati, possono trasformarsi in importanti fattori di rischio di disagio sociale e psicologico. La sfida che ci potevamo porre era allora quella di prevedere, prevenire ma anche gestire le manifestazioni del disagio, da parte degli allievi e dei docenti, sin dai primi segnali e presagi. L’idea poteva essere allora quella di censire col personale docente le criticità ed i disagi già manifestatisi[1] o ancora in fieri, per predisporre patterns di strategie, procedure, comportamenti, azioni da mettere in atto per una gestione efficace delle future occorrenze, ma soprattutto per potenziare i muscoli che governano lo ‘stare con’ chi sta soffrendo o facendo fatica. Tra gli strumenti per trovare coi ragazzi delle soluzioni, ci potevano essere l’ascolto, la curiosità di scoprire chi si ha davanti, la ricerca avventurosa di un senso da dare a tutta quella fatica, il sogno di un futuro accessibile.

La novità è che i ragazzi oggi si sono aperti agli adulti, accettano di camminare insieme, di correre con una guida ‘anziana’ o ‘esperta’[2]. Allo stesso modo gli adulti di riferimento possono imparare insieme a bambini e bambine, ragazze e ragazzi, a diventare buone guide, chiedendo ciò che non comprendono e provando insieme a rispondere alle domande della vita. Oggi c’è uno spazio di fiducia relazionale che può diventare spazio di lavoro per provare ad uscire dai guai e dalle paranoie tutti insieme.

[1] attacchi di panico, atti auto/etero lesivi, fobie scolari specifiche e aspecifiche, ansia correlata a lutti o gravi malattie, vissuti di rifiuto/esclusione nelle classi con allievi con certificazione o in corso di diagnosi, disturbi alimentari, depressione…
[2] La grande affluenza agli sportelli d’ascolto conferma la capacità dei ragazzi e delle ragazze di ‘utilizzare’ il professionista per affrontare il proprio disagio.




Intelligenza artificiale, chatGPT e l’inafferabilità dell’umano

Aluisi Tosolini
Coordinatore del comitato scientifico Casco Learning

n questi ultimi mesi il dibattito sull’Intelligenza artificiale si è accesso con una fortissima fiammata che ha coinvolto anche l’opinione pubblica “generalista”, i quotidiani, le televisioni, i settimanali, e le radio.
Al centro del dibattito ChatGPT, il chatbot promosso da OpenAI e basato su intelligenza artificiale, lanciato il 30 novembre 2022 ha raggiunto un milione di utenti in 5 giorni e chiunque voglia può sperimentarlo, previa iscrizione partendo dall’ indirizzo https://chat.openai.com/chat .

Prima di ragionare sulle ricadute educative è bene cercare di capire bene di che cosa si tratta.
Proviamo a farlo con alcuni rapidi passaggi e link per l’approfondimento.

Che cos’è un chatbot?

La prima cosa da chiedersi è che cos’è un chatbot.

La definizione offerta da Oracle è la seguente: software che simula ed elabora le conversazioni umane (scritte o parlate), consentendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale. I chatbot possono essere semplici, come i programmi rudimentali che rispondono a una semplice interrogazione (query) con una singola riga, oppure sofisticati come gli assistenti digitali che apprendono e si evolvono per fornire livelli crescenti di personalizzazione quando raccolgono ed elaborano le informazioni.
Guidati da Intelligenza Artificiale (AI), con regole automatizzate, elaborazione in linguaggio naturale (NLP) e machine learning (ML), i chatbot elaborano i dati per fornire risposte a richieste di ogni tipo.

Sempre Oracle ne distingue due tipologie

  • dichiarativi: dedicati ad attività molto specifiche
  • predittivi: basati sui dati di conversazione

sottolineando i limiti e le potenzialità di ognuno e ribadendo l’importanza di una buona messe di dati e di una AI il più possibile evoluta per il loro funzionamento ottimale.

La stessa Oracle (ma è solo un esempio tra i tanti) propone anche un percorso di accompagnamento finalizzato alla costruzione e implementazione di un chatbot.

Da dove viene ChatGPT ?

Cerchiamo di spiegarlo con le parole chiarissime di Paolo Benanti:ChatGpt è un prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning sviluppato da una realtà specializzata nella conversazione della macchina con utente umano (OpenAI, appunto). ChatGpt appartiene a una famiglia di intelligenze artificiali basate sul machine learning utilizzando una tecnica di deep learning nota come transformer, che consiste nell’utilizzare una rete neurale per analizzare e comprendere il significato di un testo. Nello specifico, ChatGpt fa parte della famiglia degli InstructGpt, modelli formati tramite deep learning ma poi ottimizzati tramite il rinforzo umano”.

Aggiungiamo anche una spiegazione riferita al deep learning che viene così definito, ad esempio, da bigdata4innovation.itun apprendimento automatico e gerarchico, un segmento della branca di machine learning e artificial intelligence (AI) che imita il modo in cui gli umani acquisiscono alcune tipologie di conoscenza. Si tratta di un metodo ad hoc di machine learning che ingloba reti neurali artificiali in strati successivi per apprendere dai dati in maniera iterativa. Dunque, il deep learning è una tecnica per apprendere esponendo le reti neurali artificiali ad ampie quantità di dati, in modo da imparare a eseguire i compiti assegnati.

Di chi è ChatGPT ?

La società OpenAI è stata fondata nel 2015 da Elon Musk e Sam Altman: Successivamente Musk si fece da parte per il rischio di conflitto di interessi a partire dall’utilizzo di una intelligenza artificiale proprietaria correlata alla guida automatica delle auto Tesla. Secondo voci giornalistiche Microsoft sarebbe pronta ad acquistare il 49% della società investendoci circa 10 miliardi di dollari per rilanciare così anche il suo motore di ricerca Bing.

Come funziona ChatGPT e cosa produce

Molto semplicemente: io faccio domande e lui risponde con un testo più o meno articolato (si può chiedere un testo più o meno lungo, più o meno approfondito).
Per chi volesse farsi una idea generale consiglio un articolo di Wired che costituisce un’ottima presentazione di ChatGPT

I giornali italiani si sono sbizzarriti a riportare le risposte più o meno corrette e precise del chatbot GPT sottolineando in sostanza che

  1. si tratta di risposte più o meno precise a seconda dell’argomento e quindi anche delle conoscenze che il chatbot ha acquisito (va comunque detto che interrogandolo lo si “allena” e quindi proprio l’uso migliora il suo rendimento)
  2. attualmente le risposte sono sostanzialmente simili ad un bignami
  3. il testo di risposta dipende molto dalla precisione e dalle tipologia della domanda (il prompt). Ad esempio, a richiesta, può scrivere diverse tipologie di poesie sullo stesso tema ed assumendo stili diversi (stile Montale, stile Ungaretti, stile Petrarca, ecc).
  4. ChatGPT rischia di mandare in soffitta molti lavoratori della comunicazione perché in sostanza confeziona articoli, relazioni, presentazioni, testi, temi, scrittura di contenuti per il web, … Sui rischi e sulle conseguenze per il mondo giornalistico e della scuola consiglio lo stupendo podcast prodotto dalla Rai, il n. 7 della serie Codice Beta con l’intervista a Michele Mezza.

Il collega Di Terlizzi ha chiesto a ChatGPT di spiegare in quali situazioni un testo scritto da un essere umano può essere considerato superiore a un testo generato da un modello di IA come ChatGPT.
Ecco la risposta: “Un testo scritto da un essere umano può essere più originale e creativo, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto. Un testo scritto da un essere umano può essere più adattato alle esigenze specifiche del lettore o del contesto, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
Un testo scritto da un essere umano può essere più attento alle questioni sociali, etiche e culturali, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
Un testo scritto da un essere umano può essere più efficace nel comunicare emozioni, sentimenti e toni, mentre i modelli di IA spesso generano testi basati sui dati di addestramento che hanno visto.
In generale, i modelli di IA come ChatGPT sono molto potenti per generare testi di alta qualità e possono essere utilizzati per generare testi in molti campi. Tuttavia, ci sono alcune situazioni in cui un testo scritto da un essere umano può essere preferibile perché è più originale, creativo e adattato alle esigenze specifiche del contesto”.

Che dire…. non male.

Continuando “il dialogo”, assieme  a Di Terlizzi abbiamo chiesto a chatGPT di fornire i riferimenti delle sue affermazioni. Ecco la (strabiliante) risposta:

  1. “Generative Pre-training for Language Understanding” di Alec Radford, Jeffrey Wu, Rewon Child, David Luan, Dario Amodei e Ilya Sutskever. Questo articolo introduce un modello di generazione di testo chiamato GPT (Generative Pre-trained Transformer) e mostra come esso può essere utilizzato per una varietà di compiti di generazione di testo.
  2. “Language Models are Unsupervised Multitask Learners” di Alec Radford, Karthik Narasimhan, Tim Salimans e Ilya Sutskever. Questo articolo mostra come i modelli di linguaggio possono essere utilizzati per una varietà di compiti di generazione di testo e di comprensione del linguaggio.
  3. “Fine-Tuning Pre-Trained Language Models for Domain-Specific NLP Tasks: A Survey” di Jieyu Zhao, Jing Liu, Xipeng Qiu, Xuedong Huang. Questo articolo fornisce una panoramica delle tecniche utilizzate per adattare i modelli di linguaggio pre-addestrati per compiti specifici del dominio.
  4. “Exploring the Limits of Language Modeling” di Tom Brown, Benjamin Mann, Nick Cammarata, Christopher Hesse, Mark Chen, Eric Sigler, Ryan Sepassi, Noam Shazeer, Alexander Alemi. Questo articolo analizza i limiti dei modelli di generazione di testo e le sfide future per lo sviluppo di questi modelli.
  5. “Human-like Text Generation” di Yizhe Zhang, Siqi Sun, Michel Galley, Chris Brockett, Xiang Gao, Jianfeng Gao. Questo articolo esplora le tecniche utilizzate per generare testi che si avvicinano al modo in cui scrivono gli esseri umani.

Spero che questi riferimenti bibliografici ti siano utili nella tua ricerca.

Ovviamente i riferimenti potrebbero essere errati e cosi ho provato a vedere se i riferimenti sono reali e ho trovato pronta ed immediata conferma. Esemplifico con i link agli articoli citati 1; 3 e 5. Ovviamente per me studi completamente incomprensibili !

OpenAI e Google: rischio disruption ?

Nell’economia (digitale e non solo) si parla di Disruptive innovation per indicare le innovazioni che cambiano radicalmente ed alla massima velocità un mercato mandando in soffitta aziende affermate.
Secondo molti chi ha più da temere da OpenAI è proprio Google. La differenza sostanziale è la seguente: io faccio la stessa domanda a tutti e due i servizi ma mentre ChatGPT mi risponde fornendomi una risposta in sé già completa (per quanto semplice e da verificare nella sua correttezza)., google mi fornisce un elenco di link che considera pertinenti. Ovviamente anche Google ha una sua intelligenza artificiale e potrebbe benissimo fare la stessa cosa che fa OpenAI solo che….. se lo facesse il suo modello di business salterebbe per aria. Google infatti guadagna con la pubblicità connessa alle ricerche on line. Scrive Paolo Benanti: “se un chatbot risponde alle domande con frasi stringate, le persone hanno meno motivi per cliccare sui link pubblicitari. Circa l’81% dei 257,6 miliardi di dollari di entrate di Google nel 2021 proveniva dalla pubblicità, in gran parte dagli annunci pay-per-click”.
Chi volesse ulteriormente approfondire questo aspetto può leggere l’interessante analisi di Ignacio De Gregorio intitolata emblematicamente “Can chatgpt kill google?

Rischi, opportunità, limiti, valutazioni

Tra i moltissimi commenti ho letto con grande interesse e divertimento l’articolo del filosofo Ian Bogost intitolato Una chiacchierata artificiale e pubblicato in italiano da Internazionale nel numero del 16 dicembre 2022.
Bogost evidenzia tutti i limiti di chatGPT e del modello di intelligenza artificiale sotteso riassumendo la sua valutazione nella seguente affermazione: “Forse ChatGpt e la tecnologia alla sua base non riguardano tanto la scrittura persuasiva, quanto l’abilità di dire cazzate in maniera superba. Un ciarlatano manipola la verità con cattive intenzioni, cioè per ricavarci qualcosa. La reazione iniziale a ChatGpt è più o meno quella che si ha davanti a un ciarlatano: si presume che sia un arnese progettato per aiutare le persone a cavarsela con una tesina per la scuola, un articolo di giornale e via discorrendo. È una conclusione facile per chiunque pensi che l’intelligenza artificiale sia progettata per sostituire la creatività umana e non per esaltarla.
E ancora: “L’intelligenza artificiale non capisce né può comporre uno scritto, ma offre uno strumento per scandagliare il testo, per giocarci, per modellare una quantità infinita di frasi relative a un’ampia gamma di ambiti – dalla letteratura alla scienza fino agli insulti su internet – plasmandole in strutture in cui possano essere posti nuovi interrogativi e, occasionalmente, prodotte alcune risposte”.

Algoretica

Non va poi taciuto l’aspetto etico della questione.

Paolo Benanti, francescano che insegna alla Pontificia Università Gregoriana, scrive: “Gli effetti e il potere di questo nuovo Bignami degli anni 20 di questo secolo può farne non solo uno strumento che rispecchia nei risultati il senso comune ma il vero nuovo produttore dell’opinione pubblica. La sfida è lanciata. Troverà l’algoretica uno spazio in questa battaglia? Un tema del quale si è discusso in questi giorni in Vaticano per la firma della «Rome Call for AI Ethics», documento sottoscritto dalle tre religioni abramitiche, curato dalla Fondazione RenAIssance e promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita: «Si tratta di vigilare e di operare affinché non attecchisca l’uso discriminatorio di questi strumenti a spese dei più fragili e degli esclusi», ha detto il Papa ai partecipanti all’incontro (tra loro Brad Smith, presidente di Microsoft, e Dario Gil, vicepresidente globale di Ibm), auspicando che «l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente, oltre che nel dibattito pubblico, anche nello sviluppo delle soluzioni tecniche”.

E su questo tema non si può non rimandare a tutti gli studi di Luciano Floridi (si veda il suo ultimo volume Etica dell’intelligenza artificiale Sviluppi, opportunità, sfide) e al suo impegno a livello istituzionale con l’Unione Europea per definire nuovi standard per l’intelligenza artificiale.

ChatGPT e la scuola

Ovviamente non potevano mancare articoli più o meno allarmati sulle ricadute scolastiche di ChatGPT.
Il dibattito italiano, dopo un primo articolo su Tecnica della scuola, è proseguito, con scarsissima fantasia, recuperando articoli ed esperienze statunitensi e canadesi piuttosto preoccupate per il rischio, in sostanza, di copiatura da parte degli studenti.

Rischio decisamente ridicolo per due diversi ordini di motivi:

  1. Il primo, che è anche alla base di un interessante articolo di Kevin Roose pubblicato dal New York Times il 14 gennaio 2023, è che vietare l’uso di chatGPT a scuola è assolutamente inutile: si tratta piuttosto di utilizzarlo come banco di prova,  come sfida. L’articolo si conclude così: “I grandi modelli linguistici non diventeranno meno capaci nei prossimi anni”, ha dichiarato Ethan Mollick, professore alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania. “Dobbiamo trovare un modo per adattarci a questi strumenti, non solo per vietarli”.
    Questa è la ragione più importante per non bandirli dalle aule, perché gli studenti di oggi si diplomeranno in un mondo pieno di programmi di intelligenza artificiale generativi. Dovranno conoscere questi strumenti, i loro punti di forza e di debolezza, le loro caratteristiche e i loro punti deboli, per poter lavorare al loro fianco. Per essere buoni cittadini, avranno bisogno di un’esperienza pratica per capire come funziona questo tipo di I.A., quali tipi di pregiudizi contiene e come può essere usato in modo improprio e come arma.
    Questo adattamento non sarà facile. Raramente i cambiamenti tecnologici improvvisi lo sono. Ma chi meglio dei loro insegnanti può guidare gli studenti inquesto nuovo mondo?”
  2. Il secondo è ben messo in risalto da Ian Bogost quando scrive, irridendo buona parte del sistema di valutazione statunitense ma anche italiano: “che senso ha preoccuparsi del destino di esami basati sugli elaborati da scrivere a casa? È un formato stupido che tutti detestano, ma che nessuno ha il coraggio di abbandonare. …Certo, possiamo approfittare di tutto questo per barare a scuola o per ottenere un lavoro con l’inganno. È quello che farebbe una persona noiosa, e quello che un computer si aspetterebbe. I computer non sono mai stati strumenti della ragione capaci di risolvere problemi spiccatamente umani. Sono apparecchi che strutturano l’esperienza umana attraverso un metodo peculiare e molto potente di manipolazione dei simboli. Questo li rende oggetti estetici tanto quanto funzionali. Gpt e i suoi cugini ci offrono l’occasione di prenderli per quello che sono e usarli non tanto per svolgere determinati compiti, ma per giocare con il mondo che hanno creato. O meglio, per distruggerlo”. Per inciso sottolineo qui la “vetustità” – per essere gentili dell’armamentario docimologico e valutativo della scuola italiana.

E quest’ultima riflessione di Bogost mi riporta ad un messaggio whatsapp di Piervincenzo Di Terlizzi che in modo lapidario mi ha scritto: A me (chatGPT) interessa perché la vedo come un asintoto. Più si affina in quello che noi pensiamo originalmente umano, ma che è in realtà deposito formulare, più l’umano, secondo me, brilla nella sua inafferrabilità.

Piervincenzo è un grecista, dirige l’istituto professionale e tecnico Zanussi a Pordenone, e la sua affermazione fa il paio con la conclusione dell’ultimo libro di Kevin Roose. Kevin Roose infatti che sostiene che “le persone possano prosperare nell’era delle macchine ripensando il loro rapporto con la tecnologia e rendendosi insostituibilmente umane”.

Ecco la sfida della scuola: insegnare alle persone a rendersi insostituibilmente umane, facendo brillare proprio la specificità e l’inafferabilità dell’umano.




Signor Ministro, Lei lavora troppo… e male

di Mario Maviglia

Su queste stesse colonne, qualche settimana fa, abbiamo stigmatizzato il grande attivismo del Ministro del Merito Valditara (Signor Ministro, Lei lavora troppo!). Ora il Ministro ha superato se stesso con un altro audace e impavido intervento.
Ma andiamo con ordine. Qualche giorno fa, la Rete degli Studenti di Milano ha manifestato contro l’Inail che ha negato il risarcimento alla famiglia di Giuliano de Seta, morto durante un progetto di alternanza scuola-lavoro nel mese di settembre 2022. Gli studenti della stessa Rete in un comunicato apparso sui social hanno affermato che “le tre morti che si verificano ogni giorno sul lavoro, oltre ai tre studenti morti in stage, non sono morti bianche, bensì posseggono dei mandanti ben precisi: da Confindustria a Mario Draghi, dall’Inail a Valditara, tasselli che compongono il mosaico di un sistema ora più che mai schiavo del profitto e del tutto disinteressato al capitale umano utilizzato per generarlo.”

Questo comunicato non è piaciuto al Ministro del Merito che ha affermato: “Ho dato mandato ai miei avvocati di querelare i responsabili di queste dichiarazioni infamanti e gravemente diffamatorie. Con gli autori di questi comunicati non voglio aver nulla a che fare.”

Per quel che ne sappiamo è la prima volta che un Ministro denuncia degli studenti (presumibilmente minorenni). Avrà avuto le sue buone ragioni. Da capo di un Ministero dedicato all’istruzione e all’educazione forse poteva esperire altre vie per far comprendere ai facinorosi la gravità di quanto dichiarato.
Ad esempio, poteva convocarli in viale Trastevere 76/A Roma ed avere con loro un franco confronto; oppure poteva spiegare pubblicamente ai ragazzi cosa ha fatto e costa sta facendo il Ministero (e le altre Istituzioni) per evitare che succedano ancora altri tragici incidenti come quelli denunciati; oppure poteva preannunciare una iniziativa legislativa per modificare le norme Inail in tema di risarcimento per morte sul luogo di lavoro o a seguito di esercitazione al lavoro; oppure poteva far rimuovere dai social il comunicato contestato e far chiedere scusa ai ragazzi per le indebite accuse.
Insomma, da una prospettiva educativa, il Ministro del Merito avrebbe potuto cogliere questa occasione per trasformarla in un momento di riflessione non solo sull’inappropriatezza del linguaggio utilizzato dagli studenti, ma anche e soprattutto sulla “inappropriatezza” della morte di un giovane studente avvenuta durante le attività di alternanza scuola-lavoro (ora PCTO, ma questa nuova sigla non è bastata a salvare la vita dello studente), evitando di cadere nella trappola del paradigma attacco-difesa (attraverso l’attacco).

Il Ministro del Merito ha preferito seguire la via della “umiliazione” e della punizione, convinto, evidentemente, che la giustizia penale sia sulla sua lunghezza d’onda. Ma forse il miglior antidoto per non essere infangati nella propria onorabilità è quello di misurare le parole e di compiere atti adeguati. Ne è convinto anche il prof. Francesco De Bartolomeis, il decano dei pedagogisti italiani, 104 anni, che in una intervista apparsa sul quotidiano Domani nello scorso novembre così si esprime nei confronti del Ministro del Merito: “Mi sembra assolutamente inadeguato, farebbe bene a stare zitto, dice delle autentiche sciocchezze. Valditara non ha nessuna idea di che cos’è un sistema formativo, di come va gestito, migliorato, quali sono i suoi problemi. Le sue sono dichiarazioni sparse senza costrutto. È una disgrazia, una delle tante disgrazie di questo governo. Lei si sentirebbe di umiliare una persona e poi dire che l’ha migliorata? È una frase molto significativa per la sua mancanza di senso. Umiltà, modestia, buona disposizione verso gli altri, rispetto, ma non l’umiliazione. Questo è un altro piano, ma non so se si può parlare di piano per Valditara”.

Un’ultima annotazione: non risulta che il Ministro del Merito abbia denunciato le 13 persone che sulla scalinata dell’Istituto Paritario San Giuseppe De Merode di Roma, a due passi da Piazza di Spagna, nello scorso dicembre hanno fatto il saluto romano facendosi immortalare sui social. È vero che si trattava di ex alunni dell’Istituto, ma il gesto è stato compiuto sulla scalinata dello stesso, in spregio alle norme costituzionali e ordinarie contro l’apologia di fascismo. Certo, in questo caso  non è stato infangato il nome del Ministro, ma quello della nostra Repubblica democratica e antifascista. E questo è ancor più grave. Fatto sta che alcun atto di “umiliazione” è stato promosso dal Ministro del Merito; “forse era stanco, forse troppo occupato…” (F. De Andrè).




Autonomia differenziata e equivoci culturali, politici, istituzionali

disegno di Matilde Gallo, anni 10


di Franco De Anna

La questione della “autonomia differenziata” è oggi alla attenzione del dibattito politico, culturale,
istituzionale, perché ha assunto il significato di una rivendicazione esplicita da parte di alcune
Regioni italiane tra le più rilevanti sotto il profilo economico e sociale, che chiedono, sia pure con
differenze significative, un ampliamento della devoluzione e una estensione delle loro titolarità rispetto alla ripartizione con lo Stato
Una parte significativa della alleanza politica che supporta il Governo generato dall’ultima
consultazione elettorale dei cittadini italiani, si batte, e da tempo, per la costruzione di prospettive e strumenti di autonomia differenziata da riconoscere alle Regioni italiane.
La “rivendicazione” politica, è storica per il movimento della Lega e la sua ispirazione federalista
(almeno nella versione “originale”), ma acquista oggi significati e valori che occorre reinterpretare e ricollocare nella attualità politico culturale, sociale, economica, profondamente diversa dal contesto nel quale fu inizialmente formulata.
Basti ricordare che quella rivendicazione originale si inseriva nella “novità” costituita dall’intreccio tra Riforma Costituzionale (il Titolo V e in particolare art.117, il “nuovo” ruolo delle Regioni) e il processo della riforma della Pubblica Amministrazione rielaborata attraverso la cosiddetta “Legge Bassanini” (la Legge 59/97, con le sue successive “interpretazioni”, fino al 1999). (1)
Il contesto politico, culturale, istituzionale dei primi anni “interpretativi” di quell’intreccio tra
riforma PA e Riforma Costituzionale è oggi “strutturalmente” diverso, e dunque è necessario
rielaborare diversi significati che acquista l’attuale confronto.
O meglio “rileggere” i significati culturali, politici e istituzionali entro i processi “strutturali” che
hanno modificato la “materialità” delle condizioni sociali, economiche, produttive, che stiamo
attraversando.

Autonomia Differenziata e Livelli Essenziali di Prestazione (LEP)

Come indicato in precedenza, vi sono processi di radicale mutamento delle questioni connesse con le proposte di autonomia differenziata oggi esse in campo.
E che si riflettono strutturalmente con la questione fondamentale della definizione dei LEP
Ne cito solo alcuni per il loro rilievo e perché spesso “sottaciuti” nel confronto politico e culturale corrente.

1. Vi sono alcune situazioni e condizioni regionali (alcune Regioni) nelle quali il richiamo ai
dispositivi previsti della “titolarità concorrente” o della “devoluzione” è in realtà un “costrutto”
di significato parziale e secondario.
Per esempio si pensi alla Lombardia (ma addirittura alla “Città metropolitana” della sua
capitale) e al suo sviluppo con intensi e significativi “rapporti internazionali” (per esempio con
la Cina) che “strabordano” il ruolo della politica statuale.
Ma alcune considerazioni simili (rapporti economici internazionali) sono applicabili anche ad
altre regioni del Nord con marcate “vocazioni manifatturiere”. Le “titolarità concorrenti”
definite nella riforma costituzionale dell’inizio del secolo si sono arricchite di una potenziale
dimensione “internazionale”.

2. Vi è un mutamento radicale dell’assetto baricentrico del Welfare. Il welfare pubblico è storicamente fondato sui servizi (Sanità, Istruzione, Assistenza,
Previdenza) prodotti e dedicati ai cittadini, e costruiti sul “baricentro” (economico, culturale, sociale) del “lavoro dipendente”, e del Sistema Fiscale che su di esso è fondato, nelle sue
“certezze” e disponibilità reali.
Un assetto “baricentrico” messo in crisi nella sua struttura e condivisione sociale, sia dai
mutamenti relativi alla composizione del lavoro e delle sue caratteristiche (lavoro dipendente e
autonomo, precarietà, salari “immobili” da anni) e dalla “domanda” che generano; sia dal
rapporto tra la “funzionalità relativa” del Sistema Fiscale, l’incremento progressivo del debito
pubblico e i vincoli reali che esso pone alla spesa che alimenta il welfare.
In parallelo vi è una accentuata moltiplicazione/stratificazione dei soggetti “produttori di
welfare” e dunque una diversificazione dell’offerta che tende a rispondere a tale modificazione
della domanda. (Dalla “proliferazione” di Enti Pubblici, alla affermazione del ruolo del Terzo
Settore)

3. Il rapporto tra cittadino e sistema welfare si modifica anche nei comportamenti “privati” e nei
riferimenti culturali relativi. L’identificazione tra primato del “Servizio Pubblico” rispetto al
“consumo privato”, un tempo fondata proprio sul reddito da lavoro dipendente, oggi si diversifica in rapporto al welfare ed alla sua funzionalità.
Spesso la combinazione tra la “convenienza pubblica” e “il vantaggio privato” investe anche i
servizi essenziali del welfare: dalla Previdenza (vedi sviluppo di sistemi pensionistici “integrativi”), alla Sanità, alla Assistenza, ma anche, sia pure con quantificazioni più ridotte (ma
si pensi allo sviluppo più recente delle Università on line) alla Istruzione.
I punti precedenti sono poco più che “citazioni”; ma invitano a riflettere ed approfondire l’analisi di processi e dislocazioni che tendono a mutare profondamente sia la struttura socio economica del Paese, sia le consapevolezze di essa diffuse tra i cittadini.
Come sempre nelle fasi di transizione occorre misurarsi sulla non corrispondenza
(contraddizione?) tra l’effetto innovativo di processi materiali ristrutturanti e le categorie
socioculturali, la costruzione e diffusione di significati condivisi capaci di interpretare quei
processi e di promuoverne “padronanza”.

NOTA

[1] Esempi di tale diversità e specificità del dibattito politico culturale degli anni indicati sono rintracciabili in elaborazioni dedicate in particolare alle questioni del rapporto tra quelle riforme e l’autonomia scolastica. Si possono rintracciare liberamente qui: Franco De Anna “A proposito di federalismo scolastico” in https://www.asperaadastra.com/politiche-dellistruzione/ancora-a-proposito-di-federalismo-scolastico/ e, Franco De Anna “Livelli
Essenziali di Prestazione per il sistema di istruzione” qui https://www.aspera-adastra.com/politichedellistruzione/livelli-essenziali-di-prestazione-per-il-sistema-di-istruzione-nazionale-una-questione-aperta/.
Entrambi i contributi presentano un intreccio di “questioni generali” e di “specifiche interpretative”.

Leggere l’intero contributo clicca qui




Intervista su Domani a Francesco De Bartolomeis

 

Nella intervista allegata il pedagogista Francesco De Bartolomeis (104 anni) interviene sulle “innovative” proposte pedagogiche del Ministro Giuseppe Valditara.
L’intervista è stata pubblicata dal quotidiano Domani nella edizione del 28 novembre scorso.

INTERVISTA