Dare senso al lavoro che si fa a scuola

di Raimondo Giunta

La scuola si nutre di speranza e di futuro; appiattita sul presente e sensibile alla sollecitazione ad adeguarsi alla realtà così com’è fatta, tradirebbe la propria vocazione e non sarebbe di alcuna utilità alle nuove generazioni.
Una scuola con la sguardo lanciato sul futuro non può fare a meno di avvalersi   della libertà, dell’intelligenza, della  passione  dei suoi docenti.
Di queste risorse non si può fare a meno proprio nel un momento in cui ricade sulle loro spalle la responsabilità di salvare la scuola e di darle un nuovo impulso.
Direi un nuovo volto.
Certo per ora è importante tornare alla normalità, sempre che ci si riesca, ma è evidente che bisogna misurarsi con le innovazioni che gli scenari prevedibili del futuro richiedono.
Innovazioni che devono essere sempre misurate sul parametro delle  pari opportunità che vengono date ai giovani per essere cittadini e lavoratori.


Nella scuola è impresa ardua fare sintesi dei vari aspetti del sapere e della cultura umana e trasformarli in un progetto di vita per le nuove generazioni, che vi trascorrono il tempo della loro crescita, il tempo del loro passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Sarà impresa ancora più complicata dopo i danni che ha subito nel periodo della pandemia e per  la cognizione dei suoi ritardi e della sua povertà messi drasticamente in luce in questi ultimi mesi.
I giovani dovrebbero apprendere a scuola quel che è sufficiente per assumere il ruolo di adulto: la capacità di svolgere un lavoro, la capacità di assumere delle responsabilità pubbliche e sociali, la capacità di esprimersi e farsi valere, la capacità di convivere, la capacità di scegliere e di accettarne le conseguenze, la capacità di finalizzare e progettare la propria vita. Troppe cose importanti e tutte necessarie per un’istituzione che a volte subisce la tentazione di rinchiudersi in se stessa, incattivita dagli sfregi che ha subito.
Oggi come e più di prima si ha bisogno di una scuola che punta sul sapere, sulle competenze, sulla formazione della personalità e sui valori.
Oggi come e più di prima si ha bisogno di un corpo docente che ripensi e rafforzi la propria centralità, nei processi di formazione e di crescita delle nuove generazioni.

Credo che per tutto ciò  sia necessario che ogni singolo istituto ritrovi e sviluppi i propri punti di forza; superi i propri punti di debolezza ;qualifichi e migliori l’atmosfera che lo rendono unico e che finisce sempre per esercitare  un forte influenza su quelli che vi lavorano e su quelli che lo frequentano.
Credo che sia necessario e indifferibile che ogni istituto valorizzi le proprie energie professionali e intellettuali.
L’esperienza dura e difficile  della pandemia consegna ad ogni istituto la responsabilità di difendere la propria funzione conoscitiva ed educativa ,di salvaguardarla con tutti i mezzi disponibili dalle incertezze che l’assediano.
Un compito da svolgere con passione e dedizione, prendendo  in carico la  complessità sociologica, psicologica, antropologica dell’ambiente in cui è collocato.
Oggi più di prima è necessario sviluppare un forte sentimento di appartenenza al proprio istituto, condizione cruciale per dare impulso positivo all’attività didattica e darle il senso unitario ,di cui si comincia ad avere un evidente bisogno.
Ogni istituto deve riscoprire il senso del  progetto  che si è dato e delle richieste che gli vengono avanzate  dagli alunni, dalle famiglie, dalla società.
E i dirigenti, il cui carico di responsabilità è stato ampliato dalla difficile condizione sanitaria del paese, abbiano l’intelligenza e la cura di  fare lavorare il corpo docente, come collettivo di persone libere, responsabili e capaci di assolvere ai compiti, in questi nostri giorni più difficili , di preparare le nuove generazioni ad affrontare con speranza il proprio futuro. Credo che solo in questo modo lavorare a scuola possa avere un senso e che si possa rafforzarlo se dialogo e libertà professionali sono e saranno i cardini della sua vita quotidiana.




Emergenza Covid, la scuola racconta e si racconta

“La scuola nell’emergenza …. e oltre” è il titolo del Quaderno di documentazione numero 11 realizzato dal Forum delle Associazioni del Piemonte.
Il volumetto contiene narrazioni, testimonianze, riflessioni, proposte di insegnanti, dirigenti, studenti, genitori, associazioni delle scuole piemontesi nell’anno del Covid 19.
“Al centro di tutte le narrazioni e riflessioni – spiega Gianni Giardiello, direttore del Forum – c’è la Scuola, e soprattutto la ‘scuola senza la scuola’, letta e raccontata dai suoi protagonisti principali, insegnanti, dirigenti scolastici e studenti innanzi tutto, ma anche genitori e nonni, a cui si sono aggiunti esponenti del mondo accademico, delle associazioni e della carta stampata”.
La pubblicazione è disponibile anche qui.

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Le immagini pubbliche degli insegnanti

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

di Raimondo Giunta

Le immagini pubbliche di un gruppo professionale o di una componente della società qualche volta  non esprimono la realtà delle cose, ma hanno purtroppo una sicura incidenza nei rapporti umani, condizionandone lo sviluppo, gli esiti e la qualità.

Nel caso degli insegnanti ci si trova di fronte ad una molteplicità di rappresentazioni pubbliche, alcune delle quali, molto negative, sono il risultato di giudizi, che oscillano dall’avversione preconcetta alla misconoscenza delle condizioni dell’esercizio dell’insegnamento: “lavorano poco”; “non si aggiornano”; “non hanno professionalità”; “non sanno ascoltare”; “non sanno valutare”; “è un mestiere per donne “; “inculcano valori ostili alla famiglia”; ”nei momenti cruciali si danno per malati” e così via pre-giudicando.

Immagini costruite nel tempo senza parsimonia di mezzi dai media e anche da formazioni politiche che non godono del sostegno degli insegnanti. Altre rappresentazioni, che interagiscono spesso con le prime volendone essere una risposta, scaturiscono dal seno stesso della categoria degli insegnanti e alimentano la loro amarezza: “le famiglie non ci aiutano”; “pretendono cose che non ci appartengono”; “siamo insegnanti, non genitori o assistenti sociali”; “il lavoro che svolgiamo, quello vero, non è riconosciuto e nemmeno pagato”; ”come si fa a valutare un insegnante?”; ”ci vogliono servi, non professionisti responsabili e liberi cittadini” e così via imprecando.

I giorni difficili che la società sta vivendo hanno fatto emergere senza veli e reticenze come al suo equilibrio e alla sua civiltà sia necessaria una scuola che funzioni a pieno regime.
Non solo;  nello stesso vociare fastidioso di chi mai si è interessato della scuola oggi rimbalza prepotentemente il bisogno di avere sempre e comunque tanti, ma tanti insegnanti a disposizione.
Di necessità bisogna fare virtù e cogliere questa occasione per rimettere a posto le cose. C’è una responsabilità di quelli che fanno e condizionano l’opinione pubblica, innanzitutto, del governo, dei partiti, dei sindacati, ma anche degli insegnanti stessi a ricondurre le immagini circolanti di questa professione alle dimensioni della realtà per ritrovare le idee e gli stimoli indispensabili per farne ancora un’attività preziosa e imprescindibile dello sviluppo civile di una società.

Il primo dato da considerare è che l’insegnamento è un mestiere cambiato e non può essere esercitato come qualche decennio fa.
Ed è cambiato perchè diversa è la collocazione della scuola nella società; diversa è una scuola d’élite dalla scuola di massa in cui si deve lavorare. Diversi sono diventati gli ambienti di apprendimento. C’è bisogno di una più ricca e articolata professionalità.

Secondo dato.
La sofferenza nel mestiere d’insegnante non è una suggestione psicologica di categoria, ma la realtà registrata in tutte le ricerche sociologiche sulla condizione degli insegnanti. Dallo status di “vestale della classe media” a quello di professionista proletarizzato si snoda il percorso del disincanto e della delusione. L’insegnante povero cristo non serve a nessuno; deve invece per il bene di tutti svolgere il proprio lavoro senza imbarazzo e senza umiliazioni.

Terzo dato.
Una società senza scuola e senza insegnanti non è pensabile e non ha senso. C’è un obbligo morale a scoprire e a valorizzare la ricchezza umana e sociale di questa professione al di là, oltre e contro tutti i pregiudizi.
E questo compito spetta a tutti: anche agli insegnanti che devono fare della dignità professionale un principio d’orientamento dentro e fuori la scuola. Un’arma di legittima difesa!

Quarto dato.
Gli stipendi non consentono agli insegnanti di condurre una vita dignitosa e anche se non si vuole o non si può arrivare alla fatidica meta degli stipendi europei, si deve procedere  senza inventarsi nuovi carichi di lavoro ad aumenti sostanziosi.
Ci si può accontentare  anche del necessario quando si è consapevoli di essere protagonisti  di una grande battaglia di civiltà; per gli insegnanti entrati in servizio nei primi anni ’70  è stata la democrazia a scuola e la difesa del diritto allo studio per tutti; 50 anni dopo deve essere ancora la battaglia per la democrazia a scuola e nella società e per la giustizia nella società partendo dalla scuola.




Rimodulazione ora di lezione, non sempre occorre recuperare

di Gianfranco Scialpi

Rimodulazione ora di lezione,
La ministra Azzolina ha dichiarato che occorre recuperare sempre. Non è così. Lo afferma il contratto…

Rimodulazione ora di lezione, la Ministra ha dichiarato…

Rimodulazione ora di lezione, la Ministra è intervenuta all’interno di una lunga intervista al “Fatto Quotidiano” (22.07.20).
” Le scuole stanno lavorando tanto e bene, alcune potrebbero decidere di portare l’unità oraria da 60 a 50 minuti per avere maggiore flessibilità organizzativa.Ma quei dieci minuti vengono recuperati , restituiti agli studenti. Il monte orario non cambia. E’ una norma già esistente: quando ero docente, nella mia scuola, lo facevamo e il tempo da restituire lo impiegavamo per fare lezione agli studenti in difficoltà”
Ovviamente sulla stessa linea si è posto ad esempio l’Usr del Lazio che fa divieto di ridurre le ore complessive del tempo scuola previste dall’ordinamento.

Leggendo bene la normativa però…

Discorso chiuso allora? Occorre tornare a scuola garantendo l’unità oraria a 60 minuti?
Non è così sempre. L’articolo 28 comma 2 dell’attuale CCNL, rifacendosi a quello del 2007 recita: “Al di fuori dei casi previsti dall’articolo 28, comma 8, del CCNL 29/11/2007, qualunque riduzione della durata dell’unità oraria di lezione ne comporta il recupero prioritariamente in favore dei medesimi alunni nell’ambito delle attività didattiche programmate dall’istituzione scolastica. La relativa delibera è assunta dal collegio dei docenti”.
In concreto qualunque riduzione prevista da un progetto o da una sperimentazione deve prevedere il recupero. Siamo di fronte a casi basati su ragioni didattiche. E questo spiega il coinvolgimento del solo collegio dei docenti. Negli altri casi, come l’evento pandemico che sta costringendo il sistema scolastico ad elaborare un nuovo modello organizzativo vale il riferimento al CCNL che recita, coinvolgendo il Consiglio di Istituto: “Per quanto attiene la riduzione dell’ora di lezione per cause di forza maggiore determinate da motivi estranei alla didattica, la materia resta regolata dalle circolari ministeriali n. 243 del 22.9.1979 e n. 192 del 3.7.1980 nonché dalle ulteriori circolari in materia che le hanno confermate. La relativa delibera è assunta dal consiglio di circolo o d’istituto.”
Ora nella circolare 243/79 confermata anche da quella dell’anno successivo è scritto:  “Non è configurabile alcun obbligo per i docenti di recuperare le frazioni orarie oggetto di riduzione.” Pertanto si può procedere alla rimodulazione oraria a x minuti, inferiori a sessanta. E questa è una bella notizia che faciliterà in molti casi una ripartenza ottimale della scuola a settembre.




Il capitale sociale al tempo del Coronavirus

di Cinzia Mion

La Scuola sta vivendo in questo frangente, caratterizzato dagli esiti della pandemia non ancora risolta, un momento molto difficile e problematico. Mai come ora infatti ci siamo resi conto di quanto sia importante questa istituzione non solo per la crescita culturale e civica delle nuove generazioni ma anche per il loro benessere psicologico. Le aspettative nei suoi confronti sono perciò altissime ma la sua riapertura sta mettendo a dura prova le forze del Paese che si muovono nella sua orbita.

La Scuola, caratterizzata da vent’anni di Autonomia, avrebbe dovuto, nel tempo , depotenziare i legami gerarchici e verticali che la facevano dipendere direttamente in tutto e per tutto dal Ministero, ed avrebbe dovuto richiedere invece l’attivazione di una “responsabilità circolare” riferita al territorio di riferimento. L’enfasi oggi allora dovrebbe essere posta sulla comunità di appartenenza, all’interno della quale invitare a coltivare appunto la corresponsabilità educativa tra tutti gli attori che gravitano intorno alla comunità.


Assistiamo invece ad una Scuola autonoma che oggi è in una estrema difficoltà e non riesce a rappresentarsi ancora, per il prossimo anno scolastico, un modo accettabile di ripartire. La difficoltà si concentra soprattutto dal punto di vista della sicurezza sanitaria. Rimane sullo sfondo la necessità di aprirsi ai suoi naturali abitanti che sono i ragazzi, sfrattati un brutto giorno senza preavviso. Il prossimo futuro appare ancora infatti confuso, sfocato e per qualche verso improponibile, alla luce di ventilate soluzioni centrali o regionali, a volte in contrasto fra loro ed invocate a gran voce come salvifiche. Dicevamo che gli abitanti naturali sono i bambini e i ragazzi dimenticati, spariti, evaporati, chiusi in casa ma che a settembre dovrebbero ri-materializzarsi nelle aule…. Con quali dispositivi?
E’ tutto un pullulare di indicazioni, piani e “ripartenze”regionali e ministeriali. La Scuola è chiamata ad attrezzarsi per tempo e i Dirigenti Scolastici, che si ritrovano ad essere ridotti oggi a “geometri”, che misurano, calcolano e poi rimisurano, sono in fibrillazione…
Da sola però la scuola non ce la fa.
Ci viene allora in aiuto James Coleman con il suo concetto di Capitale sociale.
Il “capitale sociale” è per Coleman l’insieme delle risorse contenute nelle relazioni fiduciarie, all’interno di una comunità territoriale, che risultano essere appunto una “ricchezza”, utile per lo sviluppo cognitivo e sociale dei soggetti in evoluzione.
Le relazioni fiduciarie tra le forze del territorio favoriscono infatti i partecipanti alle relazioni stesse, alimentando la capacità di riconoscersi, di intendersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi reciprocamente, di COOPERARE ai fini comuni, di creare PATTI PEDAGOGICI ma anche di veri e propri PATTI TERRITORIALI.
Il tutto oggi per affrontare l’emergenza dettata dalla pandemia. Il problema sarà di mantenere la bussola del “primato pedagogico” per tutte le soluzioni che saranno prese e ciò potrebbe risultare difficile o problematico se, come sta succedendo, il livello di ansia sarà spostato tutto sugli aspetti organizzativi.
La diffusione del capitale sociale esercita effetti positivi sul tenore della vita sociale e promuove “l’inclusività”, attraverso la creazione di “legami” (bonding) e “’integrazione” attraverso la creazione di “ponti”(bridging). Deve esserci qualcuno però che si attiva per COORDINARE queste forze del territorio , per mantenere la rotta e la VISION..
In questo modo si può intervenire correttamente sul rischio dello sfaldamento o sbandamento di chi brancola e fa fatica ad organizzare a livello centrale soluzioni che sappiano coniugare (come si addice ad operazioni che abitano il paradigma della complessità) sia i bisogni a lungo trascurati e dimenticati di bambini e adolescenti – definiti dalla pedagogia e psicologia dell’apprendimento – sia la sicurezza sanitaria. Sembra che questa ultima preoccupazione stia assorbendo in modo ossessivo tutte le energie degli attori coinvolti svelando, implicitamente, la soggiacente preoccupazione di AUTOTUTELA piuttosto che il desiderio di riattivare il cuore pulsante di una Istituzione troppo a lungo mortificata e imbavagliata. Non intendo dire che questa preoccupazione non sia sacrosanta ma che non deve diventare totalmente assorbente e paralizzante sull’altro versante.
Ritornando a Coleman è compito dei Dirigenti scolastici allora assumere il mandato di COORDINARE il gruppo per mantenere il primato PEDAGOGICO, intessere le reti collaborative tra la Scuola (attraverso tutto il suo personale) e tutte le forze del territorio, in primis le Famiglie, poi gli Enti Locali, (Comuni e Province), l’Azienda sanitaria, le aziende responsabili dei trasporti locali, le parrocchie, le forze del terzo settore, (le Associazioni culturali, ricreative, sportive, artistiche, le Cooperative, le Organizzazioni di volontariato,ecc.) .
In questo modo si agevola l’intesa e la co-responsabilità delle Istituzioni e della forze sane del territorio, attraverso la fiducia reciproca, la condivisione delle aspettative e i valori, il rispetto delle norme e si ridà autorevolezza e credibilità a tutte le Istituzioni e le Associazioni che in un certo modo si occupano dell’educazione e dello sviluppo delle giovani generazioni. Oggi, a fronte del gravoso ed impellente problema di ripartire con le attività didattiche in presenza a settembre, devono avvenire INCONTRI RAVVICINATI frequenti, all’interno dei quali suddividere i compiti diversificati a seconda delle competenze riconosciute. Intendo dire che non sono i Dirigenti o i loro collaboratori che dovranno fare i geometri.
Esiste un Ufficio tecnico del Comune o della Provincia, utile a reperire gli spazi necessari (scuole dismesse, spazi non utilizzati e lasciati deperire che devono essere subito individuati e riattivati, attraverso pareti abbattute o alzate, creazione di eventuali pareti mobili con effetto di spazi modulari a seconda delle esigenze, reperimento nelle parrocchie di aule usate per il catechismo ed utilizzabili provvisoriamente per attività scolastiche, ecc)
Prima dell’esplodere del coronavirus stavamo assistendo ad un impoverimento del capitale sociale, ad una contrazione della vita associativa, ad una diminuzione dell’impegno civico dei cittadini per un pericoloso radicarsi di forme individualistiche.
Da più parti si sta auspicando oggi che, dopo la pandemia che ha scosso i corpi e le coscienze, si possa provare a ritrovare la bussola con l’aiuto di tutti e la regia delle Istituzioni scolastiche, deputate all’orientamento e alla co-costruzione, SISTEMATICA E INTENZIONALE, della crescita culturale e della maturazione educativa di tutte le nuove generazioni del Paese




I dettagli del diavolo

di Raimondo Giunta

  • Il piano scuola 2020-2021 elaborato per garantire una ripresa delle attività didattiche all’insegna della normalità è corredato dall’accordo delle Regioni e dall ’impegno di risorse aggiuntive da utilizzare per l’assunzione di migliaia di nuovi docenti e di nuovo personale ATA . Il ritorno a scuola è in sé un fatto positivo e consentirà di riallacciare e rafforzare il legame con la società.Tutto dipenderà dalla passione e dall’entusiasmo con cui si lavorerà con gli alunni.L’esperienza fa dire che anche a moltiplicare le risorse che saranno disponibili,gli inizi del nuovo anno scolastico saranno complicati un po’ dappertutto.Non è nella disponibilità delle più efficienti amministrazioni predisporre e arredare i locali per il 15% della popolazione scolastica italiana,che non potrebbe rientrare a scuola, se si vogliono e si devono rispettare le norme di sicurezza prescritte dal CTS e fatte proprie dal Piano Scuola, nel giro di appena due mesi,uno dei quali dedicato alle ferie nella stragrande maggioranza delle aziende della nazione.Non è pensabile nemmeno,anche se auspicabile,che nello stesso lasso di tempo sia possibile dare corso a tutte le operazioni necessarie per garantire che a settembre entrino in servizio i dirigenti,gli insegnanti e il personale che mancano.Il buonsenso ,se ce n’è ancora,consiglierebbe pertanto di non alimentare richieste e proteste che si scontrerebbero con la durezza dei dati della realtà.Una scuola non si rivolta come un calzino in pochi giorni dell’anno;un anno questo in cui la scuola non è l’unico problema da affrontare.Per quanto riguarda la scuola,invece, farei un po’ più di attenzione a quanto viene detto e consigliato nel paragrafo che va sotto il titolo “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa”.
  • Credo che si debba aprire una discussione seria su quello che vi si propone ,perchè le ambiguità che si nascondono dietro i buoni propositi rischiano di impoverire e di ridimensionare il ruolo della scuola e le sue funzioni.Viene detto:”in una logica di MASSIMA ADESIONE al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa” le scuole,soggetti pubblici,privati e terzo settore possono sottoscrivere,attraverso apposite conferenze di servizio,Patti educativi di comunità per “la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario”.Si sa come gli Enti locali debbano concorrere a realizzare il servizio scolastico ;un po’ meno come vi possano concorrere soggetti privati e del Terzo Settore;ciò che necessita capire è che cosa significhi e che cosa possa comportare la sussidiarietà nella realizzazione del servizio scolastico.Recita il comma 4 dell’art.118 della Costituzione che la istituisce:” Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. La sussidiarietà di cui si parla nel piano della scuola dovrebbe essere quella orizzontale, che in genere propone un criterio di ripartizione delle competenze tra soggetti pubblici,soggetti privati ed enti locali,ma che in una sua accezione letterale potrebbe operare come limite all’esercizio delle competenze da parte delle istituzioni scolastiche.Il sogno ricorrente di tutti quelli che vogliono disfare il sistema pubblico dell’istruzione: che vi possa dare adito,anche in un futuro lontano, un piano di rientro a scuola dopo la pandemia non puo’ non lasciare stupefatti e scandalizzati. “La sussidiarietà orizzontale si basa sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alle attività di interesse generale provvedono direttamente i privati cittadini (sia come singoli, sia come associati) e i pubblici poteri intervengono in funzione ‘sussidiaria’, di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione”.(Enciclopedia Treccani on line).
  • E’ allora bisogna chiedersi se veramente sia necessario ricorrere alla sussidiarietà per rimettere in piedi il servizio scolastico e che senso abbia ancora l’autonomia scolastica alla quale è stata assegnata una tutela costituzionale,proprio per sottrarla a possibili intrusioni degli enti territoriali e dei privati.Sotto il velo della corresponsabilità educativa viene messa a rischio la specificità epistemologica e tecnica e dell’insegnamento,della trasmissione della conoscenza e dei saperi.La competenza dell’istruzione non è affidata agli enti locali e ai volontari del terzo settore,ma alle scuole.
  • Tutti nella società hanno responsabilità educative nei confronti delle nuove generazioni ,ma solo le scuole sono tenute ad istruirle.Istruire,non informare, per garantire un apprendimento rigoroso e strutturato.Nell’esercizio della funzione conoscitiva non ha senso che la scuola ricorra alla sussidiarietà ,perché perderebbe il ruolo che gli è stato assegnato nella società.L’autonomia è soprattutto elaborazione e possesso del curriculum e suona perlomeno strano affermare che le conferenze di servizio abbiano come obiettivo ultimo quello di “fornire unitarietà di visione ad un progetto organizzativo ,pedagogico e DIDATTICO,legato anche alle specificità e alle opprtunità territoriali”.L’autonomia scolastica non si declina nell’autosufficienza e nella chiusura ;si esprime nella capacità propria di connettere esigenze emergenti nel territorio di pertinenza alle indicazioni generali che delineano il compito che deve essere svolto.Un lavoro ermeneutico che la scuola puo’ svolgere perché dispone del personale che sa farlo e spesso anche senza l’esaltato contributo dei privati,del Terzo settore e degli Enti Locali.C’è del discredito nei confronti della scuola e ci sono non pochi pericoli per la sua incolumità nel ricorrente appello alla sussidiarietà e alla collaborazione educativa con tutto ciò che si muove nella società.Ragione per cui prima di organizzare una conferenza di servizio le scuole ci pensino non sette volte,ma settanta volte sette.

 




Promuovere la cittadinanza attiva e consapevole

di Daniele Scarampi

Le persone considerano l’educazione come qualcosa che va portata a termine per poi non pensarci più, lo scriveva Isaac Asimov: proprio come si percepiscono i momenti di transizione o i riti di passaggio, nei quali si compiono azioni che sono  considerate come superate, quasi vetuste e non vengono ripetute perché date per acquisite.

Diversamente, all’interno del complesso mondo educativo, l’educazione civica mira anzitutto a determinare il ruolo dei cittadini nella vita pubblica, a formarne la personalità o a incentivarne comportamenti responsabili e queste operazioni – ambiziose e strategiche – necessitano di un lungo percorso; di certo non costituiscono un momento transitorio, bensì una lenta e continua acquisizione successiva.

L’educazione civica prende vita dalla lungimirante intuizione politica di Aldo Moro, riferibile a un sostrato etico che richiama i principi della Carta Costituzionale: essi non vanno solo salvaguardati, ma vanno applicati in toto perché rappresentano l’ideale morale della democrazia; pertanto l’educazione civica rammenta la funzione decisiva della democrazia nell’intuire e comprendere gli interrogativi della società; oggi, per esempio, di fronte a qualunque problema sociale (dalla crisi dell’economia ai razzismi e alle intolleranze) ci si riferisce sempre all’educazione, perché evidentemente tutti gli altri approcci volti a tutelare scelte e comportamenti democratici sono falliti.

Don Milani, del resto, lo aveva arguito con precisione: esiste una sostanziale differenza tra istruire e formare, in quanto l’educatore efficace non si può limitare a impartire nozioni ai suoi discenti, deve piuttosto accompagnarli all’interno della vita pubblica e della comunità entro le quali essi saranno chiamati a vivere, formandoli a scegliere e a discriminare con ponderatezza.

Dunque l’educazione civica afferisce ai profili sociali, economici, civici e ambientali della società, è insomma la disciplina trasversale per eccellenza proprio per la sua attitudine a integrare esperienze extrascolastiche, ammiccando al mondo del volontariato e del Terzo Settore.

Ma ripercorriamone le tappe, per sommi capi: il DPR 13 giugno 1958, n. 585, a firma di Giovanni Gronchi e Aldo Moro, dispone l’integrazione dei programmi di storia – relativi agli Istituti d’istruzione secondaria – con quelli afferenti all’educazione civica; questo nuovo insegnamento, manifestamente ispirato alla Carta Costituzionale e di chiaro respiro interdisciplinare, mirava a stimolare negli studenti esperienze di vita democratica, inserendo la scuola nel sostrato socio-culturale di quegli anni.
Più tardi, tra gli anni ’80 e ’90, il Ministero e la scuola furono indotti ad affrontare una serie di crisi sociali, alle quali risposero con specifici progetti in parte inglobati nelle sei educazioni della Riforma Moratti, poi semplificate dal dicastero Fioroni.
Quindi la L.169/2008, targata Gelmini, e la successiva L.222/2012 sostituiscono l’educazione civica (o meglio l’educazione alla convivenza civile, come si legge nel D.lgs 59/2004) con la nuova dicitura Cittadinanza e Costituzione, ancorché nelle programmazioni d’area letteraria resti traccia della vecchia denominazione.

Oggi i principi e i valori di Cittadinanza e Costituzione, passando per la Cittadinanza attiva e democratica auspicata dalla Legge 107, sono confluiti nuovamente nell’Educazione Civica, di cui alla L. 92/2019: nelle scuole del primo ciclo, l’insegnamento è affidato in contitolarità ai docenti, mentre nel secondo ciclo le scuole fanno leva sull’organico dell’autonomia e, nello specifico, sui docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche. Inoltre è individuato un docente coordinatore che ha l’onere di formulare la proposta di voto, acquisendo ogni elemento conoscitivo suggerito dagli altri docenti.

Recentemente il Ministero dell’Istruzione ha diramato le Linee Guida (già accolte favorevolmente dal CSPI) propedeutiche al definitivo decreto che sancirà l’avvio dell’Educazione civica, a partire dal prossimo mese di settembre.
Le Linee Guida, concentrate sulla trasversalità del nuovo insegnamento, indugiano su tre nuclei portanti (ben espressi negli articolo 3,4 e 5 della L.92/2029): la conoscenza dei principi costituzionali, lo sviluppo della sostenibilità ambientale (ma anche, per esempio, sociale ed economica) e la cittadinanza digitale; per ognuno di questi tre assi imprescindibili, le Linee individuano i rispettivi traguardi di competenza, integrando così il profilo delle competenze al termine del primo ciclo d’istruzione (di cui al DM 742/2017) e il P.E.CU.P. dello studente al termine del secondo ciclo. In questo scenario, il nuovo insegnamento trasversale dell’Educazione civica dovrebbe costruire una sorta di “sfondo integratore” capace d’interconnettere gli interventi didattici e di attivare una convergenza educativa di tutte le discipline di studio e di ogni aspetto della vita scolastica (Michele Di Filippo, 2020).

Tuttavia, per formare futuri cittadini responsabili, occorre inoltre aiutare gli studenti ad esercitare i propri giudizi in modo consapevole, educandoli alla convivenza e alla cultura democratica, nonché al rispetto della diversità culturale, dell’equità e dell’uguaglianza. Ora, il concetto di convivenza civile s’interseca con i saperi della legalità, che a loro volta afferiscono alla conoscenza storica e alla conoscenza del contesto sociale nel quale i discenti vivono e si muovono.
Non solo: essere cittadini attivi significa anche tutelare la sostenibilità ambientale e promuovere lo sviluppo socio-economico, poiché compiere scelte economico-finanziarie adeguate – o intuirle – significa ottenere il benessere individuale e, al contempo, contribuire a quello sociale del Paese.

Pertanto, in conclusione, a prescindere da quelle che saranno le difficoltà logistiche d’attivazione del nuovo insegnamento, l’Educazione civica dovrebbe costituire finalmente un vero e proprio valore aggiunto, fondamento e linfa vitale del curricolo, pietra d’angolo di ogni esperienza d’insegnamento-apprendimento.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

  1. Di Filippo, L’educazione civica: nomen omen?, in Dirigere la Scuola, Euroedizioni, 2020
  2. Adernò, Educazione civica, storia della “Cenerentola” della scuola, in www.tecnicadellascuola del 13 settembre 2019

Aldo moro e l’educazione civica a scuola, in www.interris.it

Nuova Educazione Civica, come insegnarla: tutte le aree di formazione, in www.orizzontescuola.it del 22 giugno 2020

Legge 92/2019 e s.m.i.