I dati (e le soluzioni) preoccupanti del PNRR

di Massimo Giugler
(psicologo, Studio Sigrè, consulenze per le famiglie Ivrea)

La Missione 4 (Istruzione e ricerca) del PNRR presenta una serie di dati preoccupanti che ci collocano agli ultimi posti in Europa: iniziamo dal rapporto tra posti disponibili negli asili nido e il numero di bambini di età compresa tra 0 e 2 anni che è del 25,5%, ossia 9,6 punti percentuali al di sotto della media europea; e che dire del fatto che ancora oggi 4 ragazzi su 100 non conseguono il diploma di scuola secondaria di primo grado? O che il 14,5% dei ragazzi fra i 18 e i 24 anni è in possesso del solo diploma di scuola media a fronte di una media europea del 10%? Se saliamo con l’età e prendiamo in considerazione la fascia 25-34 anni, vediamo che solo il 28% è in possesso di un titolo post diploma, a fronte di una media dei paesi OCSE del 44%. Il PNRR sorvola sull’abbandono scolastico che avviene nella scuola secondaria di secondo grado, ma sappiamo che siamo ai primi posti. Così come non avanza nessun pensiero in merito ai danni provocati negli alunni e negli insegnanti dalle chiusure protratte delle scuole nell’ultimo biennio.

Gli interventi che sono proposti segnano un certo sconcerto. Intanto vi è la sensazione di avere a che fare con numeri, non con persone. Il linguaggio è molto, troppo, manageriale, come se gli oggetti di lavoro fossero appunto degli oggetti e non dei soggetti in età evolutiva con le loro variabili e la relativa individualità, che, qua, pare annullata.

Le proposte sono per lo più relative a opere di ristrutturazione, per altro necessarie.

La voce formazione compare, ma con una quota di 830 milioni di euro, a fronte dei 31 miliardi del Piano. Se poi leggiamo meglio degli 830 milioni, ben 800 sono destinati a “Didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico” e solamente 30 milioni a “Scuola di Alta Formazione e formazione in servizio per dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo”.
Non possiamo sapere ora cosa si annoveri in questa voce, ma qualunque cosa ci sarà l’investimento pro capite è di nemmeno 50 euro!
Nel documento non compaiono mai termini come “pedagogico”, “psicologico”, “socialità”, “affettività”. Ho sperato di trovare qualcosa alla voce “Nuove competenze e nuovi linguaggi” relativa all’investimento 3.1 per un importo di 1,1 miliardi.
Ho sperato che nei nuovi linguaggi vi fosse quello delle emozioni, dell’affettività, di come stabilire una relazione significativa con gli studenti, di come attuare processi collaborativi, di come attivare le risorse del gruppo e invece….Invece si  legge che “occorre investire in (a) abilità digitali, (b) abilità comportamentali e (c) conoscenze applicative”.
Di che si intende per abilità comportamentali nel testo non compare traccia.

C’è poi un affondo sull’orientamento e allora spero che qui emerga una relazione umana e individuale, ma con estrema amarezza scopro che “120.000 studenti di età 12-18 anni, per ciascuno dei quali saranno previste sessioni di online mentoring individuale (3h) e di recupero formativo (per 17h ca.)”.
L’orientamento è sicuramente un’azione utile e necessaria per finalizzare al meglio le risorse e ridurre il rischio di abbandono scolastico, ma un orientamento, soprattutto in età evolutiva, non può che fare leva sulla dimensione empatica che non può che svilupparsi in presenza.

E ancora ci si auspica la “realizzazione di una piattaforma digitale di orientamento”. E qui cade il mio sdegno tombale, anzi no, ho ancora un ultimo moto di sdegno quando leggo che le prove INVALSI verranno rese obbligatore.




La grande distanza tra il Recovery Plan e la scuola italiana

di Stefano Stefanel

Esiste una distanza, temo a questo punto incolmabile, tra il Recovery Plan (o Next Generation Eu o Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza) e la scuola italiana. Il primo elemento di distanza lo si vede dalla totale assenza di uomini di scuola nei luoghi in cui il piano è stato elaborato. Se, infatti, tra i consulenti e gli esperti pullulano i docenti universitari, il mondo della scuola manca totalmente.
Già si è visto, però, in passato, che l’Università non è riuscita a leggere il mutamento e il futuro, perché è un mondo troppo preso dalla sua autoreferenzialità: infatti i docenti universitari diventati ministri dell’Istruzione negli ultimi dieci anni non hanno lasciato grandi ricordi di sé. Tutto questo sta avvenendo perché le scuole, benché dotate di un’autonomia funzionale di rango costituzionale, non sono state dotate di alcuna rappresentanza e gli uffici scolastici regionali (uffici del ministero non del territorio e infatti qualcuno vorrebbe regionalizzarli) sono sempre più lontani dalla realtà delle scuole e dentro a meccanismi ministeriali spesso frutto di un’idea molto vecchia di sistema dell’istruzione (graduatorie, gestione PON e PNSD, trasferimenti, concorsi, ecc.).

Si è poi ritenuto che manager che vengono dalla city londinese o soggetti che hanno un passato industriale e tecnocratico o che avessero un raccordo col terzo settore, fossero i soggetti migliori per progettare il nostro futuro. Ed è evidente che questi soggetti non hanno alcun reale interesse per il mondo della scuola, che non considerano centrale per lo sviluppo dell’Italia. D’altronde in questo momento chi comprende meglio i processi pedagogici, educativi, gestionali e organizzativi delle scuole sono i dirigenti scolastici, ma quando sì è voluto qualcuno a gestire le varie ripartenze si sono chiamati al tavolo i prefetti e non loro.
Anche in questo caso manca la rappresentanza delle scuole, anche perché una rappresentanza delle scuole dovrebbe passare dal loro legale rappresentante e questo è un oggettivo ostacolo, perché il sistema preferisce il dirigente-burocrate al dirigente-leader educativo o soggetto competente di governace.

Ci sono tre grandi errori nella lettura della scuola e questi errori li ha compiuti il Governo Conte e li sta compiendo il Governo Draghi. Ma li compiono anche l’opinione pubblica, il mondo politico, il sistema degli esperti e dei tecnocrati, i mezzi di comunicazione. Sono macro errori di lettura che condizionano poi tutti gli atti successivi. I tre errori sono così riassumibili:

  1. Ritenere che il patrimonio edilizio sia sufficiente e soddisfacente alle esigenze della scuola italiana e vada solo messo in sicurezza e gestito con una buona manutenzione.
  2. Ritenere che il personale scolastico sia amministrativo sia didattico abbia solo bisogno di un po’ di formazione per gestire un sistema in grado di dare le risposte alle nuove generazioni.
  3. Ritenere che il sistema pedagogico di supporto ai programmi/curricoli e all’organizzazione oraria e temporale debba essere sostenuto, ma che comunque sia in grado di rispondere alle esigenze della società della conoscenza.

Questi tre errori (colossali) condizionano le scelte e fanno arrivare briciole confuse al sistema dell’istruzione. Vediamo in sintesi perché sono errori (colossali) e come potrebbero essere emendati.

  1. Ritenere che il patrimonio edilizio sia sufficiente e soddisfacente alle esigenze della scuola italiana e vada solo messo in sicurezza e gestito con una buona manutenzione. L’idea diffusa è che gli enti locali abbiano gestito bene il territorio, scuole incluse. Così non è: su 44.500 punti di erogazione di servizio (scuole) raggruppate in circa 8.000 istituti una vera politica scolastica innovativa, resiliente, ecosostenibile, tecnologicamente all’avanguardia ne abbatterebbe almeno 35.000 e le rifarebbe nuove. Le scuole hanno spazi ristretti e avrebbero bisogno di open space, hanno palestre e laboratori non sufficienti, hanno tecnologie obsolete, aule piccole, aule magne che sono solo stanzoni, corridoi grandi e inutili: sono il frutto dell’idea di scuola di 100 anni fa. Ingenuamente avevo ritenuto che almeno 30/40 miliardi del Recovery Plan sarebbero andati all’edilizia scolastica.
    Ma le Regioni non hanno proposto nulla del genere e non hanno voluto ascoltare le scuole. E nulla del genere sta pensando lo Stato, che della voce delle scuole non sa che farsene. Non si tratta di diminuire il numero di alunni per classe, ma di avere spazi che contengano la laborialità e siano di supporto alle nuove esigenze didattiche ed educative. Basta andare all’estero e queste scuole le si vedono, ma noi ci siamo convinti che il patrimonio edilizio scolastico vada bene così, basta garantire la sicurezza e mettere alcuni pannelli solari sul tetto. L’idea che la società della conoscenza chieda altri spazi e altre attrezzature non sfiora nessuno, mentre è la prima esigenza del mondo della scuola. E gli enti locali, pessimi gestori delle esigenze scolastiche, vogliono solo difendere il proprio operato davanti agli elettori continuando a progettare scuole vecchie e legate al sapere trasmissivo. E’ vero che, soprattutto al nord, cambiano le lampadine bruciate e aggiustano i vetri rotti in fretta, ma purtroppo una lampadina funzionante non ha mai prodotto apprendimento.
  2. Ritenere che il personale scolastico sia amministrativo sia didattico abbia solo bisogno di un po’ di formazione per gestire un sistema in grado di dare le risposte alle nuove generazioni. Le modalità per l’assunzione del personale della scuola mostrano che non si ritiene prioritaria la competenza reale e pertanto si prevedono sanatorie del precariato, tagliando fuori i giovani e i neo laureati. Inoltre le segreterie subiscono un travaso costante di collaboratori scolastici (bidelli) nei ruoli amministrativi, senza che nessuno ne abbia mai accertato una minima competenza.
    Questa idea che la scuola possa essere un ufficio di collocamento intellettuale senza verifica d’accesso di competenze è uno sbaglio che qualunque dirigente scolastico può segnalare: ovviamente se nessuno vuole ascoltarlo non lo può segnalare se non a se stesso e ai suoi pari. Si sono cancellate le SSIS, non si vogliono fare veri e costanti concorsi ordinari aperti, si è gettata la proposta contenuta nella legge 107 di un periodo di prova triennale.
    Così passa l’idea che un po’ di formazione può costruire le competenze che non si hanno e che le segreterie scolastiche non sono così importanti. Basterebbe fare un’analisi di quanti fondi PON non sono stati spesi dalle scuole perché le segreterie si sono rifiutate di collaborare per avere un bel quadro d’assieme. Tutto questo unito alla debolezza del settore amministrativo e tecnico degli enti locali mostra un sistema su cui intervenire con forza prima e non dopo aver fatto arrivare i soldi. E se ne arrivano tanti bisogna che chi li riceve sia in grado di spenderli. D’altronde in Italia tutti lodano gli enti locali ma nessuno chiede loro conto del perché i fondi comunitari non vengono spesi.
  3. Ritenere che il sistema pedagogico di supporto dei programmi/curricoli e dell’organizzazione oraria e temporale debba essere sostenuto, ma sia comunque in grado di rispondere alle esigenze della società della conoscenza. Anche in questo caso le esigenze delle nuove generazioni non possono ricevere risposte da un sistema ingessato come quello attuale. E’ necessario slegare il sapere scolastico dai libri di testo, eliminare forme obsolete di verifica degli apprendimenti (compiti e interrogazioni), cancellare il meccanismo dell’istruzione condizionato dall’orario settimanale dei docenti. Bisogna legare il lavoro dei docenti agli obiettivi di formazione degli studenti da raggiungere.
    Commentatori intelligenti come Cassese, Giavazzi, Rizzo e Boeri pensano che l’aumento della produttività a scuola coincida con l’aumento dell’orario dei docenti, senza avere alcun interesse per cosa quei docenti insegnano in quegli orari. Abbiamo il tempo scuola più lungo del mondo e i risultati tra i più bassi e nessuno mette in relazione le due cose. Serve un ruolo docente che lavori per monte ore annuale e obiettivi e cancelli la vergogna italiana dei NEET, cioè di quei due milioni di giovani dai 17 ai 25 anni che non studiano e non lavorano, ma che sono passati tutti dall’ingessato sistema dell’istruzione.

Purtroppo i tre errori sopra esposti col loro triste seguito di progetti sbagliati richiederebbe che la scuola fosse interrogata e che avesse qualcuno che la rappresentasse al tavolo del Recovery Plan. Ma non vedo tavoli aperti per noi in cui dire come stanno le cose. E così ci si illude di portare banda larga e nuovi orizzonti a chi è entrato nel sistema con sanatorie e senza progetti. Io in questi mesi ho sentito parlare di ITS, di rientro al 50%, 70%, 75%, 100%, di tracciamenti, di trasporti, di attività estive da progettare con il terzo settore, ma di pedagogia e apprendimento molto poco. Credo che ai manager della city, ai tecnocrati e agli esperti queste sembrino cose che si superano con qualche lettura.




Giancarlo Cerini se n’è andato, in punta dei piedi

Una foto recente di Giancarlo Cerini, per gentile concessione di Raffaele Iosa

di Cinzia Mion

Ciao Giancarlo, un groppo in gola mi toglie il respiro e mi impedisce di parlare ma ti sto pensando senza tregua da quando ho saputo che te ne sei andato.
Anzi ti sto pensando intensamente e con apprensione da quando ti sei ammalato. Da quando ho saputo che eri ricoverato nello stesso reparto dov’era a suo tempo Beatrice…
Un pensiero costante che ogni tanto si coaugulava in messaggini senza risposta. Qualche volta Loretta , cui mi rivolgevo quando l’ansia era insopportabile, mi dava notizie, quasi mai rassicuranti. Ad un certo punto la ripresa, sia pur cauta, la ricomparsa in pubblico…le tue foto con il viso scavato, la barba bianca inusuale, l’aspetto da asceta. Avevi un sorriso dolce come se ti scusassi di averci preoccupato.

Te ne sei andato in punta di piedi. Vorrei rimproverarti per questo. per non avermi permesso di esserci con il pensiero, accanto a te, insieme a Loretta e ai tuoi splendidi nipoti, di cui eri molto orgoglioso, come avevo potuto verificare l’ultima volta che siamo stati insieme, a settembre del 2020, a Marina di Ravenna, per salutare l’estate che ancora era splendente ma che dopo un po’ se ne sarebbe andata. Ero a Ravenna per una formazione e mi hai fatto il regalo di invitarmi a cena con voi. C’era una tregua nella pandemia…Ci si poteva incontrare! Fu l’ultima volta che ti vidi.
Mi sembra di conoscerti da sempre. Quando ci siamo visti la prima volta? Sai che non lo ricordo? Dall’approvazione dei programmi della scuola elementare del 1985 alla legge 148/1990 istitutiva dell’organizzazione modulare, fino agli Orientamenti per la Scuola dell’Infanzia del 1991 e alla riscrittura delle Indicazioni Nazionali del 2012. Una stagione di Riforme.
I ricordi con Sergio Neri e con te si sovrappongono…
Siete stati due mentori per me, mi avete entrambi valorizzata e spinta a scrivere per la scuola e per le vostre riviste. Per “l’Educatore” Sergio, e tu prima per la Tecnodid e poi per al “Rivista dell’Istruzione”. Sempre attento a cogliere gli argomenti adatti su cui farmi impegnare. Eppoi i convegni insieme, le formazioni insieme….
Tu aprivi l’argomento con la tua modalità sempre convincente, persuasiva, innovativa e profonda. Sempre ottimista. Ti ricordi però che non riuscivi a fermarti? Chi doveva parlare dopo se ne accorgeva. Eccome…Ridevamo insieme dopo per questa tua modalità che però ti lasciava perfettamente indifferente. Come un bambino che faceva spallucce. Scommetto che anche ora le fai. A Cerini infatti nessuno osava dire che il tempo era finito….Eri un relatore ambito, apprezzato, ricercato da tutti.
Hai sventrato l’Italia per portare in giro e diffondere il tuo amore per la scuola e i bambini. Alla fine per i più piccoli. Detto in modo sintetico: Per lo “0-6”…
E i ricordi ventennali di Camaldoli ? Lascio a Maurizio Monti il privilegio di ricordare i mitici convegni che ci hanno visto insieme in quel luogo bellissimo ed evocativo…
Quanta dedizione Giancarlo, non era possibile non ritrovarci contagiati da te…
E che dire del legame di complicità che ci univa quando qualche notissimo giornalista o politico un po’ sbruffoncello osava intervenire a parlare di scuola rimpiangendo predelle o modalità di valutazione elitaria, invalidando tutto l’impegno che mettevamo per realizzare una scuola inclusiva? Mi mandavi una mail veloce ed era come se mi strizzassi l’occhio : fai tu, pungi come sai fare. Poi magari : mammamia sei andata giù pesante…Poi però: ma se lo meritava!!!
Ricordi le risatine soffocate? Tu eri un mediatore nato. Spinta dalla ribellione verso ciò che non mi trovava accondiscendente, mi sono trovata qualche volta a pensare che eri anche troppo mediatore. Tu sei sempre stato prudente, accorto, ottimo conoscitore delle dinamiche di palazzo. Ti ricordi Giancarlo quando mi hai scritto: ^Ho capito che tu hai nel sangue proprio la vocazione a fare “l’ardita del popolo”^ e poi ti sei dilungato a spiegarmi chi erano nella storia “gli arditi”?. Mi è piaciuto essere definita così. E tu lo sapevi che mi sarebbe piaciuto.
Il MIUR e i vari Ministri ti hanno apprezzato molto: riconosciuto per presiedere varie Commissioni ma mai fino al punto da chiamarti a fare il Capo di Gabinetto del ministro di turno oppure a ricoprire la carica di sottosegretario. Ricordo che una volta ci sei andato vicino. Noi avremmo voluto vederti Ministro, a dire il vero però per arrivare a tanto bisogna indugiare in pratiche di seduzione-servilismo politico che non ti sono mai appartenute.
Ciao Giancarlo. Proverò ad abituarmi al pensiero di non vederti più. Non sentirti più. Non leggere più sul web le notizie dei tuoi nuovi lavori appassionati ed intensi rivolti alla crescita dei bambini che tanto hai amato. Ma sarà molto difficile.




Ciao Giancarlo, amico e fratello di una vita per i bambini

Giancarlo Cerini a Ivrea il 3 marzo 2017 nel corso di un convegno sul sistema 0-6 organizzato dalla nostra Associazione

di Raffaele Iosa 

Caro Giancarlo
E così ieri, dopo un periodo di lotta coraggiosa al male ci hai lasciato per sempre attoniti e sconcertati. Se esiste l’al di la ti vedo passeggiare con il tuo caracollare a larghi passi a parlare con la tua ritrovata Beatrice.
A raccontarle dei tuo nipoti suoi figli dei quali io e te parlavamo spesso.
Nelle ultime nostre telefonate dall’ospedale sentivo e ammiravo la tua inesauribile voglia di vivere, scrivere, non fermarsi mai a pensare e dire della scuola. Quando finiva la telefonata piangevo. L’ultima foto che mi hai mandato, magro come un chiodo e la barba da frate cappuccino la terrò per sempre.
Eppure fino all’ultimo hai scritto, scritto e parlato. Indimenticabile la tua gioia di un webinar con Bianchi sullo 0-6 cui hai dedicato amore e passione nei tuoi ultimi giorni, ma anche arrabbiato perché pareva interessare pochi. Ho avuto la fortuna di averti collega e fraterno amico per 30 anni.
Quanti ricordi, quante scintille fraterne tra noi sul fare della scuola, quanti improbabili panini abbuffati al volo in tante stazioni o grill d’Italia. Di te ammiravo invidioso la cura dei pensieri di tutti, con quegli appunti che prendevi con scrittura minuta, con frecce e numeri, per dare un senso al discorrere caotico di un pensare pedagogico sempre più incerto di quest’ultimi anni. Il tuo continuo scrivere, girare, parlare aveva il senso della frenesia generosa di un maestro innamorato della pedagogia, o meglio dei bambini. Il tuo senso civile di un lavoro nobile e arduo era totale. Ma non dimenticherò mai quanto ci spataccavamo dal ridere a raccontarci quando eravamo ragazzini figli del popolo, tu e Floriano a fare il garzone di un barbiere, io di un fruttivendolo.
La vita ci ha incrociato e la ringrazio di avermi donato la nostra fratellanza.
Grazie di essere stato così.
Semplicemente.
Con un affetto oltre la vita è la morte.
Per sempre nel mio cuore.

In questo video l’intervista che gli facemmo il 3 marzo 2017
(il video girato all’epoca era pessimo, e così in fase di montaggio venne sostituito con una “galleria” di sue immagini)




C come Cittadinanza

di Giancarlo Cavinato

In Freinet la cittadinanza è un diritto universale, non un privilegio di alcuni. La si esperimenta sui banchi di scuola e nel proprio contesto di vita.

Non è una concessione dell’adulto ma un requisito che va esercitato attraverso un apprendimento. La classe e la scuola, in quanto contesti sociali, ne possono costituire le condizioni oppure negarle quando tutto è deciso dall’adulto e le regole sono prestabilite e immodificabili. Si tratta di riconoscere a ogni bambino e ragazzo la dignità e la consapevolezza che un apprendimento passivo non consentono e non prevedono sia compito della scuola occuparsene. Essere, sentirsi decisori della propria vita, del proprio percorso di crescita, è la base per un esercizio attivo anche nella vita adulta di tale requisito.

Quando si fa con i  ragazzi una ricerca su cosa significhi essere cittadini e quando si siano sentiti tali la prima volta  si ottengono dai genitori  le risposte più sconcertanti e-a volte- provocatorie.

Accanto a chi risponde ‘Quando ho votato per la prima volta’, ‘Quando ho avuto la carta di identità’ c’è chi risponde ‘Quando mi sono messo a vivere per conto mio’ ‘Quando ho trovato lavoro’ ‘Quando mi sono sposato’ e anche ‘ma cosa ve ne frega?’ oppure ‘Quando mi sono comprato la BMV rossa’.

Nel finale del film ‘L’École buissonnière’ di Jean Paul Le Chanois (1949) Albert, un alunno pluriripetente e ribelle che  Freinet riesce a recuperare e a reinserire nella vita della classe,  affronta per l’ennesima volta l’esame di licenza elementare e sembra destinato a un nuovo insuccesso. Ma la fiducia e la consapevolezza di sé che il maestro gli ha instillato gli consentono di superare la prova dimostrando una maturità e un possesso dell’esposizione dei propri diritti che i  severi esaminatori non sospettavano.

Dal copione del film:

Esaminatore di storia

Quale montagna separa la Francia dall’Inghilterra?-

Albert
Waterloo (risate in sala)

Esaminatore di geografia
Mi parli della Bretagna

Albert
Posso parlarle dei piccoli porti, dei fiumi larghi come canali marini, del clima dolce dove crescono perfino palme e mimose come nelle nostre valli. Le posso parlare dei cantieri navali, della pesca all’aragosta, al tonno, alla sardina,  della raccolta delle alghe, delle fabbriche di conserve. Posso disegnare un menhir o delle conchiglie che si trovano sulla spiaggia, senza dimenticare le crêpes bretoni che sono buone da mangiare.

Esaminatore di storia
Lei è stato in Bretagna, vero?

Albert
Sì, per corrispondenza.

Esaminatore di storia
Come?

Albert
Ogni settimana la nostra classe scambia testi, lettere e disegni con piccoli pescatori di Trégunc nel Finistère. Ognuno di noi ha il suo corrispondente.

Esaminatore di storia
Ah, capisco. Lei fa parte di quella scuola moderna dove si disegna e non si sa la data della battaglia di Azincourt. Ma il vostro maestro non ha inventato niente. Io sono vent’anni che faccio disegnare carote e dipingere dei vasi.

Albert
La stampa la fate?

Esaminatore di storia
No, e se dipendesse da me non si tarderebbe a sopprimerla la vostra stampa.

Albert
Tutti i francesi hanno diritto di parlare, di scrivere e di stampare liberamente.

Esaminatore di storia
Ah, sì? Veramente?

Albert
E’ scritto nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.

Esaminatore di storia
Ma, ascoltate un po’, ecco un ragazzo che conosce i diritti dell’Uomo.
Allora ci parlerà dei Diritti dell’Uomo.

Albert (in piedi)
Si dice Diritti dell’Uomo, ma sono anche quelli della donna e dei bambini. Non è da molto che so di cosa si tratta. Fino ad allora mi avevano parlato dei miei doveri, mai dei miei diritti. Sei mesi fa ho lanciato una pietra in faccia a una persona. Lui era un uomo e io un bambino. Era più forte di me. Avrebbe potuto battermi o sporgere denuncia. Avrei potuto essere fermato dalle guardie. Mi ha detto che ero un uomo e che avevo il diritto di vivere e di  essere felice.

Esaminatore di storia
Sì, ma andiamo alla domanda. La data della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo?

Albert
Signor esaminatore, sto provando a parlarle con il cuore più che con la memoria. E’ la quarta volta che mi presento all’esame per il diploma. E’ necessario che io superi l’esame non tanto per me, ma per tutti coloro che sono qui, che mi guardano, che mi ascoltano. Dietro questi muri e queste finestre là in paese ce ne sono altri che aspettano che cada o che riesca. So di non aver risposto bene a tutte le domande, ma quello che ho compreso l’ho ricordato. Non conosco la battaglia di Azincourt ma so i diritti dell’Uomo. Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti. Nessuno di noi può essere perseguitato per le sue opinioni, poiché la legge ha il diritto di proibire solo le azioni nocive alla collettività, poiché la legge è l’espressione della volontà di tutti, poiché la legge deve essere la stessa per tutti, sia quando  punisce che quando protegge. Poiché la legge deve permettere ad ognuno di arrivare secondo le proprie capacità, senza distinzione di fortuna, e questo perché gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti.

(trad. MCE)

Conoscenza e rispetto dei diritti dell’uomo, del bambino e cittadinanza sono condizioni gli uni dell’altra.

Mario Lodi ha scritto ‘La scuola e i diritti del bambino’ (Einaudi, 1988) e riscritto per i  bambini e per i giovani la Costituzione italiana, meritandosi l’appellativo  di ‘maestro della Costituzione’.




Patti territoriali per la formazione: il ristoro educativo

di Raffaele Iosa e Massimo Nutini

Proposte pedagogiche sull’ampliamento dell’offerta formativa per la prossima estate, da realizzare con le risorse del Decreto legge Sostegni

 Le cospicue risorse stanziate dal D.L. Sostegni (1) rappresentano un’ opportunità per realizzare pratiche educative inedite nella storia della scuola, a patto che si evitino fraintendimenti tra scuole e territori, e tra gli insegnanti stessi, sugli obiettivi  pedagogici richiesti da questa difficile epoca.(2)

Se vi sarà lo spirito giusto, dagli insegnanti al Ministero, dai sindacati agli enti locali, fino al terzo settore, potremmo pensare che i 300 milioni stanziati(3) per l’ampliamento formativo in estate e in autunno potranno rappresentare un primo ristoro civile alle ferite educative, sociali, psicologiche, e anche curricolari, che i nostri bambini e ragazzi hanno subito in questi difficilissimi mesi.

Lo chiamiamo appunto ristoro perché è una risposta dello Stato di aiuto all’educazione, e come tale simile ai ristori finora erogati alle diverse categorie che hanno subito perdite a causa della pandemia. Ristoro come boccata di energia per ripartire.

  1. Riflessioni sull’emergenza educativa

Quale azione pedagogica è necessaria affinché il ristoro educativo sia efficace e ricostituisca fiducia tra educazione e società? Per rispondere alla domanda, sarà necessario iniziare da una realistica analisi di cosa i nostri bambini e ragazzi hanno pagato sul piano del loro sviluppo da marzo 2020 ad oggi, evitando il rischio di una deriva medicale delle loro ferite, come fosse una questione clinica.

Se si osserva la scuola solo con l’arida visione del curricolo hard, cioè quello del “io spiego, tu a casa studi, poi compiti o interrogazione”, si può per paradosso dire che in questo anno scolastico, anche se tormentato, gli studenti hanno subito una sorta di iper-curricolo, sia in presenza sia online, perché le condizioni materiali  hanno ridotto le relazioni, l’attivismo nell’apprendere, lo scambio. Insomma di quell’ambiente fatto di contenuti mescolati a relazioni ed esperienze vive.

Naturalmente il prof. dell’ “io spiego, tu a casa studi, poi compiti/ interrogazione” può dire che così basta, ma sono molti gli insegnanti che invece segnalano una fatica inaudita, tra maschere e aule rigide, quarantene varie, andata e ritorno in Dad…  Il curricolo hard non è mancato, anzi!

È mancata però la scuola come luogo di vita e formazione, chiusa nel formale recinto istruttivo.

E sono aumentate le diseguaglianze, oltre che la solitudine individuale. Va ricordato che in alcune regioni non si è fatto quasi mai vita d’aula. Dei ragazzi con disabilità merita altrettanto dichiarare la sconfitta ad una qualche dignitosa inclusione, a parte qualche generosa eccezione. Ma c’è di più: nessun ragazzo italiano ha fatto uscite didattiche, visite a musei, progetti locali, ecc..

Oltre la scuola ai nostri giovani  è mancata la piscina, la palestra, le attività sociali; hanno girato se possibile nei centri commerciali,  accolti con notevole maldicenza. Sono stati chiamati untori.

Quindi? Alla luce di tutto questo chiudiamo le scuole a giugno e arrivederci a settembre? Lasciamo loro al quasi nulla del tempo estivo, se non dove possibile centri estivi e guardiania sociale senza attenzione a  ciò che è mancato? Non è  normale, questa estate, a fronte anche di milioni di italiani impoveriti che non hanno risorse neppure per farsi un po’ di ferie in famiglia fuori casa? Ritorniamo a scuola a settembre, sperando che le vaccinazioni funzionino, e riprendiamo il tran tran come se niente fosse successo?

A fronte dello sfondo esistenziale e sociale fatto di ferite  subite dalle nostre bambine e bambini e dalla nostre ragazze e ragazzi, è forse il caso di organizzare qualcosa di più e di meglio.

Il Decreto Sostegni permette di realizzare azioni di ristoro educativo inedite, che coinvolgano non solo la scuola ma anche tutto il territorio negli ormai noti “patti di comunità”.

  1. Può la scuola restarne fuori?

Può la scuola restarne fuori sostenendo che a lei tocca l’anno scolastico compiuto nella forma ma non nella sostanza pedagogica? Può la scuola sottrarsi ad una seria riflessione pedagogica sulla condizione dei propri alunni e studenti ed ingaggiare l’anima e l’azione educativa per  almeno un primo ristoro di tutte le condizioni esistenziali, formative e cognitive ferite da quest’epoca triste?

Non si tratta solo della prossima estate ma anche e sicuramente del prossimo anno scolastico e tocca anche al territorio civile e sociale riflettere su cosa sia possibile fare con azioni riparative dall’infanzia all’adolescenza, che se non leniranno tutto il dolore potranno almeno dare spinte positive e segnali che, in questo Paese, qualcuno si preoccupa davvero delle future generazioni. Non farlo confermerebbe, drammaticamente, che il nostro non è un Paese per giovani,  e spiegherebbe anche perché gli italiani non fanno quasi più figli.

Il Governo sta per assegnare fondi consistenti direttamente alle scuole per ampliamenti dell’offerta formativa che  potranno andare oltre lo stretto ambito del normale anno scolastico. Impossibile far finta di nulla. Dentro a questo finanziamento si può leggere un’idea del cosiddetto curricolo ben più ampia delle aride versioni hard di molte pratiche di quest’anno. Riguardano la dimensione dell’apprendimento e della socialità come un tutt’uno del sistema scolastico, sia nella sua dizione formale di “istruzione e formazione” sia in quella fattuale. Le azioni proposte infatti servono al ristoro non solo per “l’extracurricolo, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline” ma si accompagnano giustamente “alla promozione di attività per il recupero della socialità, della proattività, della vita di gruppo delle studentesse/ studenti”. 

Non si tratta quindi di un banale recupero (le solite ripetizioni) ma di ben altro. E’ il riconoscere che istruzione senza educazione, l’assenza di relazioni significanti tra pari, la conoscenza senza esperienze condivise e ricerca sul campo sono la fine della scuola. Perché viene a mancare il mix basico e non accessorio su cosa sia una scuola democratica e  la comunità educante che  in questi mesi è sfiorita. Apprendere è un fatto sociale, ci insegna Lev Vigotsky, e tocca tutti i lati umani.

SI tratta  di un impegno straordinario ma anche strategico. Se la scuola non si muovesse in qualche modo, pur con i limiti del tempo, si confermerebbe la tendenza politica, in atto da tempo, che considera la scuola ormai  incapace di formazione, ma un soggetto di mera istruzione.

  1. Può la scuola delegare altri?

Vediamo il rischio di rimpicciolirne la funzione civile della scuola a banale trasmissione, affidando ad altri (il terzo settore? Le cooperative sociali?) la dimensione educativa e formativa. L’assenza di uno slancio pedagogico della scuola, proprio in questi momenti, sarebbe l’anticipo di un suo declino pubblico e la conferma che aveva ragione chi si era ripromesso di rimpicciolirla. C’è un mondo fuori dalla scuola che non vede ora di impossessarsi della gioventù, un pullulare di soggetti oltre i tradizionali schieramenti politici. Vogliamo delegare a questo le finalità educative?

Naturalmente il ristoro per bambini e giovani non riguarda solamente la scuola, ma tutto il territorio, sia pubblico (l’ente locale) sia sussidiario (il sociale), ma ciò deve avvenire in una logica di co-progettazione e partecipazione, di arricchimento delle opportunità e non di separazione.

I patti di comunità, territoriali  ed educativi, sono l’alveo in cui la scuola esercita il suo ruolo non separando a canne d’organo le diverse azioni né lasciando stare perché ci pensano gli altri.

Non sono poche le difficoltà da superare, e c’è ancora spazio e tempo per sperare che i provvedimenti attuativi del Decreto  operino per semplificare la parte amministrativa affinché questa rimanga, com’è giusto e necessario, in secondo piano. Si devono rendere abbordabili le modalità di accesso ai finanziamenti, sveltire le procedure, prevedere modalità di rendicontazione non burocratiche ma qualitative. Molto dipenderà dal previsto decreto interministeriale.

Fin da adesso, però, è necessario affrontare gli aspetti più squisitamente pedagogici che devono essere elaborati dagli insegnanti per realizzare un’azione efficace.

Tocca infatti in primis ai nostri insegnanti questo lavoro, nella consapevolezza che non potranno mai realizzarsi esperienze di ampliamento dell’offerta formativa con lo spirito indicato dalla norma, senza una relazione di comunità con le risorse del loro territorio. Ma, al contempo, gli insegnanti non potranno mai realizzare con successo queste esperienze se non nascono da loro, dalla loro professionalità e sensibilità civica. È ben chiaro che gli insegnanti potrebbero anche non fare nulla e che lo scenario attuativo prevede inevitabilmente azioni di volontà, pur giustamente incentivate, ma nelle prossime settimane si opereranno queste scelte.. Molto potrà dipendere dalla qualità (e non dalla quantità) delle idee e delle proposte che sarà possibile portare avanti.

  1. Iniziare a progettare

Lo sguardo  per progettare queste attività parte  ovviamente dai nostri bambini e ragazzi e da un’attenta riflessione sulla loro condizione esistenziale,  familiare, sociale, scolastica, delle reti amicali. Meglio ancora sarebbe se più attività possibili fossero condivise e progettate insieme a loro. Riconoscendo  un’emergenza educativa senza precedenti,    per cui  agire il meglio possibile. Non una gabbia afosa a fare noiose ripetizioni, non una guardiania per farli correre nei giardini, né banalità amene per far passare il tempo. Ma socialità creativa, esperienze inclusive che lascino il segno. Perché i bambini e i ragazzi possano dire “ma allora contiamo qualcosa!”.

Ci vogliono idee il più possibile creative ed emozionanti anche per noi adulti; ci vuole un’attenta riflessione sui punti crisi dei nostri studenti che non sono certo solo quelli curricolari, ma la relazione educativa e amicale, il loro stato d’ animo  di straniamento dentro la pandemia.

Dunque serve una cura  a monte per decidere iniziative che servano davvero, non per re-imbottirli di ripetizioni, né per fare animazione da loisir tanto per fare. No: esperienze formative vere, nelle dimensioni socio-educative che sono non solo emozioni ma anche conoscenza, riflessione, ricerca.

  1. Regole essenziali  per la qualità educativa

I paradigmi organizzativi e pedagogici che dovrebbero stare alla base della progettazione educativa di queste attività sono per noi molto semplici

a. Non possono essere fatte scimmiottando la scuola del tran tran

Non si tratta infatti di allungare l’anno scolastico, ma di allargare le opportunità educative e di socialità. Quindi, anche se si trattasse di attività che contengano un qualche “recupero”, vanno pensate in contesti di apprendimento quasi esclusivamente diversi dall’aula in senso stretto. E’ quindi l’occasione per utilizzare gli spazi aperti, evitando anche l’alibi delle aule calde e senza tende, e vivere invece l’aperto come spazio educativo che allarga la scuola

b. Non è necessario che durino a lungo

Conta la qualità, non la quantità. Dunque: non si tratta di progettare periodi lunghi, ma tempi mirati a realizzare esperienze significative e di intensa valenza formativa. Così sarà anche possibile non entrare in competizione con le altre attività estive previste in molti comuni, ma essere un valore aggiunto, complementare e magari integrato alle altre iniziative.

c. Devono essere attività inclusive.

Pare strano doverlo scrivere, ma lo sottolineiamo. Devono essere centrate  sul gruppo classe o, comunque, di coetanei della stessa scuola, ma nessuno deve mancare, in primis  quei ragazzi con disabilità che più di tutti hanno pagato il confinamento con l’esclusione. La nuova situazione in cui le scuole si troveranno ad  agire sarà ottimale  per realizzare la migliore inclusione di  tutti.
Devono inoltre, il più possibile, essere progettate assieme ai nostri ragazzi, perchè vivano questa nuova esperienza come una cosa loro, con creatività e  non come attività imposta dall’alto.

d. Se fatte con altri, che siamo co-progettate e condivise.

Potrebbe anche accadere il caso della scuola che appalti una qualche attività ad altri soggetti esterni. Ma la scuola non dovrebbe mai tenersi fuori del tutto, non dalla programmazione ma neppure dall’attuazione. Diversamente sarebbe una sconfitta. Merita piuttosto pensare a co-progettazioni di attività svolte sia da insegnanti che da altri operatori, capaci di fare squadra e condividere l’esperienza, insieme, sia di gestire momenti temporali (alcune ore, un giorno la settima, una settimana al mese) in modo autonomo ma coordinato e unitariamente progettato.

e. Sfruttare con intelligenza tutte le risorse del territorio.

È opportuno definire patti di comunità anche per integrare le realtà sociali e culturali del territorio. Il nostro Paese ha spazi, monumenti, cammini, parchi naturalistici, musei a volontà. Spesso non sono usati come e quanto si potrebbe. E’ l’occasione giusta, quindi, perché  si mettano in rete con le scuole e si sentano felicemente sfruttati per aiutare le scuole a realizzare progetti con loro individuati, e anche per molti di questi enti potrebbe essere un risveglio dopo mesi di chiusura.

6. Alcuni casi-tipo come esempi di azioni possibili

Meglio andar per esempi che per teorie. A seguire quattro spunti, direttamente ripresi da scuole che già stanno elaborando prime progettazioni, casi-tipo utili per la riflessione pedagogica che rivelano, oltre che per stimolare  la creatività degli insegnanti, che  non manca.
Non si tratta solo di copiare ma anche di ispirarsi a qualche caso-tipo per inventare progetti propri. Naturalmente (ma questo è altro tema) nei limiti dei protocolli di sicurezza che dovranno essere adottati in relazione alla situazione epidemiologica in cui ci troveremo la prossima estate.

a. In cammino insieme per un buon addio

In una cittadina romagnola, le prof. e i ragazzi delle classi terze, che sono in uscita dalla scuola, faranno tra giugno e luglio un cammino di 5 giorni (e quattro notti) nello stile “Compostela”. Cioè andare tutti insieme lungo un “cammino”, finalmente dopo tanto tempo fuori di casa, tutti insieme giorno e notte, liberi di vivere e comunicare.
L’ipotesi è percorrere un pezzo del  “cammino di Dante” nel vicino Appennino tosco-romagnolo. Una camminata dove incontrare (studiare dal vivo: curricolo en plen air) una natura strepitosa, visitare vestigia del nostro medioevo e rinascimento, ma anche saltare fossi, fare il bagno sotto la cascata di Acqua Cheta (citata da Dante), la notte a vedere più stelle che nella nostra afosa pianura. Non è difficile pensare che servano almeno due insegnanti a classe, meglio se amanti dei “cammini”, ma anche pieni di entusiasmo a rivedere i loro ragazzi tutti insieme. Ma bello sarebbe se ad una tappa passasse il/la dirigente scolastico/a (e perchè no il sindaco?) a salutarli.
La riflessione pedagogica è evidente: a quei ragazzi cui abbiamo tolto la relazione tra pari per lunghi mesi, che a settembre non vedremo più, ma che ci lasciano con la nostalgia del non avvenuto, offriamo un’opportunità di camminare con noi, di condividere giorno e notte gli ultimi giorni di vita insieme. L’anno prossimo si separeranno. Ecco un’avventura che appartiene all’indimenticabile, tarata per preadolescenti che già sognano (e temono) cosa sarà di loro.

E’ ovvio che non è una proposta turistica, ma propria del curricolo dell’andare  nella vita, capace di mescolare contenuti ed esperienze, che loro (di loro c’importa) non dimenticheranno mai.

Naturalmente il patto di comunità trova il Comune partecipe,  il CAI studierà il percorso ed offrirà un’eventuale guida. Per i ragazzi con disabilità si cercherà di superare le barriere e trovare i facilitatori, così si imparerà nei fatti la logica ICF  e l’accomodamento ragionevole della Carta dell’ONU per i diritti delle persone con disabilità. Verranno anche gli educatori già attivi nella scuola, ma rigorosamente nessun genitore al seguito. Da soli, finalmente fuori di casa, a sudare e gioire insieme. Ma perché non anche le altre classi? Perchè no?

A proposito di cammini: in Italia sono in grande sviluppo, si pensi ai tratti della via Francigena o al cammino degli dei tra Bologna e Firenze o la via di S. Francesco in Umbria. Non mancano!

b. la barca come aula di vita

Questa idea può andar bene dai bambini di scuola primaria in su fino alle superiori, nelle città affacciate sul mare o che hanno il mare vicino. O anche un lago.
Conoscere il mare da dentro, viverlo non solo dalla spiaggia, è un’esperienza formativa assoluta, non solo dei termini marinari, la conoscenza dei venti, la tecnica di vela, ma anche il controllo emotivo del sé, del fare squadra. Un curricolo integrale onnicomprensivo.
Dunque: un  corso di vela, durata media una settimana, assieme agli istruttori e agli insegnanti. E alla fine magari un’uscita in barca attrezzata per una notte intera a veder le stelle.

Tra mare e laghi  non mancano scuole di vela, manca spesso un rapporto con le  scuole, per far diventare questa esperienza  formativa e non solo sportiva. Tra l’altro, spesso le scuole di vela hanno costi elevati, e con il Decreto Sostegno si potrebbe allargare la platea dei partecipanti, Stessa possibilità di organizzare il tutto facendo in modo che, per chi vuole, si tratti solo di un modulo di un’offerta temporalmente più estesa, da completare nel centro estivo.

c. Volontariato giovanile, perché no? 

Per i ragazzi più grandi può essere interessante svolgere insieme esperienze di volontariato. Darsi un obiettivo (es. raccolta viveri alimentari, assistere persone deboli,  azioni concrete a favore dell’ambiente). Con una progettazione fatta insieme tra studenti, insegnanti e associazioni.
Fare i conti con il dono gratuito di sé come valore civico inestimabile. E verificarne poi il significato con una riflessione culturale comune nella scuola. Educazione an civismo nei fatti.

Questo agire è  un vero patto di comunità nel senso generale: il giovane  si sente comunità e la fa in concreto. La complementarietà con altre iniziative  estive, in questo caso, potrebbe realizzarsi anche con l’inserimento di queste mini attività al loro interno,  prevedendone momenti ad hoc: un giorno la settimana? due giorni in tutto il mese? Altro?), con  la partecipazione  degli insegnanti a trarre il significato formativo delle attività  per una loro riflessione comune sull’esperienza.

d. Tra sagre e feste paesane

In estate e fino al primo autunno nel nostro paese vi sono numerose feste paesane. Alcune hanno poco di tradizionale, altre invece coinvolgono la comunità locale ed hanno radici antiche. La prossima stagione, se il vaccino ci aiuterà, potrebbe essere la ripresa di molte di queste.

Per il periodo in cui si realizzano non hanno quasi mai la partecipazione delle scuole  con propri eventi ed attività da offrire a tutta la comunità. Potrebbe quindi essere la volta giusta in cui i bambini e i ragazzi  si offrono alla comunità con tutta quella congerie di eventi culturali, estetici, che spesso le scuole producono durante l’anno, ma solo per i genitori. In questo caso si tratta di organizzarsi, ritrovare i nostri ragazzi, lavorare insieme. E il patto di comunità sta nelle cose.

Conclusioni non concluse

I nostri due articoli sul tema del Decreto Sostegni intendono offrire riflessioni, idee e proposte  per una stagione molto difficile che può essere innovativa e un primo ristoro effettivo di carattere formativo ai nostri studenti. I lettori attenti avranno colto il fatto che le quattro esperienze-tipo qui presentate non hanno mai come protagonista la scuola come edificio fisico, ma come strutture base. Contano le persone, la loro voglia di stare insieme e di fare qualcosa di utile.

Naturalmente ci impegniamo a diffondere le buone pratiche che troveremo lungo il paese, e siamo  disponibili a dare una mano se vi sono difficoltà e intoppi di tutti i tipi. Seguiremo anche i decreti attuativi e ne consiglieremo a chi ce lo chiederà la gestione più intelligente e facilitata possibile.

La scuola in comune (aggettivo, sostantivo, avverbio) è la nostra idea di autonomia scolastica. Che questa volta può avere uno slancio come mai prima.

  1. Decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, art. 31, comma 6
  2. Raffaele Iosa e Massimo Nutini, Patti formativi per la formazione: dalle parole ai fatti, Gessetticolorati.it, 21 marzo 2021
  3. Oltre ai 150 milioni stanziati dal decreto legge sostegni, ve ne sono almeno altrettanti, utilizzabili per la stessa finalità, dal Programma operativo nazionale «PON Per la Scuola» 2014-2020



Nasce e si sviluppa a Torino 50 anni fa l’idea della CITTA’ EDUCATIVA

Nel canale Youtube di Gessetti Colorati è disponibile una intervista a Ermanno Morello sul tema della CITTA’ EDUCATIVA, un progetto nato e sviluppatosi a Torino (e poi diffuso in altre città italiane) negli anni Settanta

L’intervista prende le mosse anche da un libro pubblicato nel 1978 e intitolato TEMPO PIENO E METROPOLI
Il volume è ormai introvabile, ma qui è disponibile in formato PDF

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