Gestione della classe e didattica efficace

di Dino Cristanini 

gulliver   Per gentile concessione delle Edizioni Gulliver pubblichiamo l’editoriale del numero 1 della rivista
Nuovo Gulliver News.

 

Come di consueto apriamo il nuovo anno scolastico con uno sguardo al quadro generale delle politiche educative e delle eventuali novità normative che riguardano la scuola, e in particolare la scuola primaria.
A livello internazionale il documento che in questo momento sembra esercitare l’influsso più rilevante è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, non solo per via dell’obiettivo n. 4 che mira a «fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti», ma soprattutto per le finalità complessive riguardanti la promozione di «uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni».
C’è poi la nuova Raccomandazione (2018) del Consiglio dell’Unione Europea sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Fino a questo momento non ha prodotto effetti formali sui documenti ispirati alla precedente Raccomandazione del 2006, ossia le Indicazioni nazionali per il curricolo (in particolare per quanto riguarda il profilo delle competenze dello studente) e il modello nazionale di certificazione delle competenze. Vedremo in corso d’anno se interverranno delle novità in questo senso. Nella pubblicistica professionale, nei convegni, nei corsi di formazione il riferimento è comunque ormai costituito dalla nuova Raccomandazione. Anche la progettazione di Nuovo Gulliver News assume perciò le nuove definizioni delle competenze chiave, ma non solo: ogni mese una specifica rubrica sarà dedicata alla presentazione approfondita di una competenza e all’analisi delle implicazioni per l’azione educativo-didattica.

A livello nazionale non si intravedono per ora all’orizzonte grandi novità normative.
Soffermiamoci dunque su un macroprocesso già in atto, riguardante il percorso di autovalutazione-miglioramento-rendicontazione sociale introdotto dal DPR 80/2013 e previsto con una durata di norma triennale. Il primo ciclo di tale processo, iniziato nell’anno scolastico 2014/2015, è stato però esteso su un arco di cinque anni per gli opportuni allineamenti con la tempistica del PTOF introdotta dalla legge 107/2015, e si sta ora avviando verso la conclusione.
Secondo una nota ministeriale dello scorso maggio, infatti, nei primi mesi del nuovo anno scolastico le scuole dovranno predisporre la rendicontazione sociale (RS) per dar conto dei risultati raggiunti mediante il piano di miglioramento definito a seguito dell’autovalutazione, e al contempo procedere ad armonizzare in modo coerente i vari documenti di analisi e progettazione (RAV-PdM-PTOF). Dopo questo assestamento l’allineamento tra i tre documenti dovrebbe procedere senza sbalzi per tutto il triennio, con la sola necessità di aggiornamento e regolazione all’inizio di ciascun anno scolastico.
La sollecitazione al miglioramento degli esiti degli alunni ha fatto in questi anni ancor più emergere il problema dell’efficacia didattica, ossia dell’individuazione delle strategie metodologiche e delle pratiche didattiche più adeguate a favorire tale miglioramento.
È su di esse che sarà ancor più focalizzata nel corrente anno la proposta della rivista, sia sul versante delle pratiche ritenute più efficaci in ordine alla promozione dell’apprendimento, sia su quello della gestione della classe, in quanto un clima sereno, positivo e motivante è una condizione importante per il produttivo svolgimento delle attività didattiche.

 




LE GIORNATE MONDIALI DEL 2019

Pubblichiamo il calendario delle giornate mondiali che spesso nelle scuole sono occasione per promuovere iniziative educative e culturali

SETTEMBRE

08 Settembre 2019 – Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione
12 Settembre 2019 – Giornata delle Nazioni Unite per la Cooperazione Sud
16 Settembre 2019 – International Talk Like a Pirate Day
21 Settembre 2019 – Giornata internazionale della pace
23 Settembre – Primo giorno d’autunno
26 Settembre 2019 – Giornata europea delle lingue – Giornata internazionale per l’eliminazione totale delle armi nucleari
27 Settembre 2019 – Giornata mondiale del turismo
28 Settembre 2019 – Giornata mondiale per l’accesso all’informazione
29 Settembre 2019 – Giornata Mondiale del Cuore

Ottobre

Primo venerdì del mese – World Smile Day (Giornata mondiale del sorriso)
01 Ottobre 2019 – Giornata internazionale delle persone anziane
02 Ottobre 2019 – Festa dei Nonni – Giornata internazionale della nonviolenza – Giornata internazionale del sorriso -Giornata degli angeli custodi
04 – 10 Ottobre 2019 – Settimana Mondiale dello Spazio
05 ottobre 2019 – Giornata mondiale degli insegnanti
09 Ottobre 2019 – Giornata mondiale della posta
10 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale contro la Pena di Morte – Giornata mondiale della salute mentale
11 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale contro l’Obesità
11 Ottobre 2019 – Giornata Internazionale del Coming Out – Giornata Mondiale delle Bambine e delle Ragazze
13 Ottobre 2019 – Giornata internazionale per la riduzione del rischio da disastri naturali
14 Ottobre 2019 – Giornata mondiale dell’indipendenza delle armi
16 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale dell’Alimentazione (World Food Day) – Giornata europea per la rianimazione cardio polmonare
17 Ottobre 2019 – Giornata mondiale del rifiuto della miseria
20 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale della Statistica (si celebra ogni 5 anni, a partire dal 2010)
24 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale dell’Informazione sullo Sviluppo – Giornata delle Nazioni Unite
27 Ottobre 2019 – Giornata mondiale del patrimonio audiovisivo
31 Ottobre 2019 – Giornata Mondiale del Risparmio + Halloween




La leggenda di Tullio De Mauro e lo sfascio della scuola italiana

di Ugo Cardinale

Sono rimasto profondamente amareggiato dalla piega che ha preso il dibattito di Repubblica sulle difficoltà di apprendimento degli studenti rilevate dalle prove INVALSI.
In primis constato con sorpresa la denuncia dei mali della scuola italiana attribuiti alla “democratizzazione del sapere” di cui sarebbe stato artefice Tullio De Mauro, fantasma evocato – e neppure menzionato – da Silvia Ronchey (nell’articolo su Repubblica del 12/07/‘19, che ha avviato il dibattito) come se dovesse subire per chi sa quale colpa anche quest’ultimo affronto di “damnatio memoriae”.
Tullio De Mauro, che era già stato identificato, a pochi giorni dalla sua morte, come responsabile della “disfatta della lingua italiana” e accusato da Ernesto Galli della Loggia (Corr. della Sera, 07/02/‘17) di essere stato fautore di un “ribaltamento in senso democratico (sic) della pedagogia linguistica tradizionale”.
A parte la curiosa svalutazione delle parole “democrazia” e “democratico”, identificate (sulla scia di una tradizione settecentesca) con il pericoloso estremismo rivoluzionario, svalutazione che mette in dubbio l’obiettività di chi opera questa denuncia, suscita sdegno la falsificazione dei fatti che non ci si aspetterebbe da chi ha a cuore la filologia, in riferimento all’opera di divulgazione scientifica prodotta dalla collana dei “Libri di base”, curata da De Mauro per gli Editori Riuniti.
La ricostruzione accurata degli obiettivi di quella collana può facilmente smentire la tesi secondo cui “proponeva libri in cui non fosse usato che un numero limitato di vocaboli” e dimostrare invece che l’obiettivo della chiarezza e trasparenza comunicativa dovesse essere l’idea regolativa dell’informazione scientifica, non chiamata “divulgazione”, per quel tanto di presunzione di separatezza dal volgo che tale termine evoca.
Di qui la preoccupazione di De Mauro, condivisa con altri linguisti, di “dare una nuova norma, una nuova etichetta (per non dire etica) nello scrivere: usare le centomila parole non comuni soltanto a patto di glossarle e renderle comunque evidenti in contesti costruiti con le quarantamila comuni” (T. De Mauro, Ai margini del linguaggio, Editori Riuniti 1984, pag. 57).
È paradossale che lo studioso che ha dedicato la sua vita a documentare l’italiano nei suoi più diversi livelli di frequenza fino a produrre quell’opera monumentale che è Il GRADIT, il grande Dizionario dell’uso in 8 volumi, che distingue le diverse marche d’uso, sia stato accusato di aver confinato l’insegnamento linguistico “a un numero limitato di vocaboli”. Strano destino di un grande studioso che ha anche coltivato le lingue classiche, al punto che a lui era stato affidato il ruolo di co-editor per le lingue classiche e per l’italiano del Lexikon Grammaticorum, curato da Stammerjohann per l’Editore Niemeyer di Tubinga.
Perché non combattere un “nemico” ad armi pari? Non si può scegliere un capro espiatorio che non può più difendersi e togliere la parola ai suoi difensori. Quello che è successo a Raffaele Simone (che certamente non è uno sconosciuto) è particolarmente grave, indice di un’involuzione del nostro sistema informativo.
Ma forse la trasparenza informativa nella democrazia di oggi è un pericoloso sovversivismo!




Troppo tempo dei bambini a scuola o troppa «scuola» nel tempo dei bambini a scuola?

Per gentile concessione della rivista specializzata BABELE mettiamo a disposizione dei nostri lettori uno stimolante intervento di Magda Di Renzo
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maestraNel 1947 la Montessori diceva: «Non è un metodo di educazione che bisogna conoscere, ma è la difesa del bambino, il riconoscimento scientifico della sua natura, la proclamazione sociale dei suoi diritti che deve sostituire gli spezzettati modi di concepire l’educazione».
Mi sembra che oggi più che mai queste parole costituiscano un monito fondamentale per il recupero di una metodologia educativa che sappia essere rispettosa dei tempi e dei modi
dello sviluppo e che sappia guardare il bambino come portatore di potenzialità e limiti, anziché vederlo solo come una sommatoria di performance e deficit.
L’eccesso di medicalizzazione che ha colpito epidemicamente il nostro scenario collettivo sull’infanzia ha contagiato anche il contesto scolastico e il raggiungimento delle prestazioni ha messo in secondo piano, se non addirittura occultato, il benessere del bambino e la sua motivazione ad apprendere per crescere.
Sicuramente possiamo affermare che ai bambini viene richiesto molto presto un ritmo stressante che non tiene in considerazione, nel modo dovuto, i suoi bisogni e le sue necessità di
accudimento. Ma, accanto ai tempi spesso troppo prolungati, si inserisce troppo spesso un atteggiamento educativo volto unicamente alla performance, senza che siano tenute nel debito conto le necessità maturative in termini affettivi.

Clicca qui per leggere l’ intervento completo.




I tormentoni dell’estate 2019

di Stefano Stefanel

Gli argomenti – caldi – dell’estate scolastica sono puntualmente assurti, come ogni anno, alla debole attenzione mediatica del momento. I tormentoni dell’estate si possono riassumere in alcune questioni concatenate tra loro:

  • i risultati delle prove censuarie (Invalsi, Ocse, ecc.) dicono puntualmente che esiste un forte ritardo in una parte consistente dei nostri studenti rispetto agli standard attesi ( il tutto riassunto nella frase “il 35% degli studenti di scuola media non capisce un testo di italiano” ) e tutte le statistiche rinnovandosi danno lo stesso dato;
  • i risultati dell’esame di stato conclusivo (quinta superiore) mostrano evidenti esiti migliori al sud piuttosto che al nord, contraddicendo i dati di cui sopra;
  • bisogna mettere mano alla didattica.

Come ogni anno a commentare questi “tormentoni” vengono chiamati in primo luogo quelli che di scuola capiscono poco o nulla, perché le loro conoscenze sull’argomento si sono fermate quando hanno terminato di frequentarla. Parlo dei professori universitari, degli scrittori, dei manager, degli psicologi, dei giornalisti, che non si limitano ad esprimere un commento su una situazione oggettivamente drammatica, anche se nota da anni, ma danno consigli su come invertire la tendenza.
E come tutti i consigli dati da chi non ne capisce niente trasformano il tormentone estivo in una simpatica sequela di stupidaggini. Cito alcuni esempi tratti dalla “cagnara mediatica” estiva: bisogna far imparare di nuovo le poesie a memoria, bisogna togliere il multimediale dalla scuola, bisogna proibire l’uso dei dispositivi a scuola, bisogna insegnare più grammatica, bisogna bocciare di più, bisogna dare voti più bassi e non promuovere con aiuti di vario genere, bisogna fare meno progetti e più didattica, bisogna smetterla con le competenze e tornare alle conoscenze, bisogna selezionare meglio i docenti, bisogna far mettere agli studenti il grembiule, bisogna insegnare nuove materie a scuola, bisogna far leggere i classici, e via di seguito con banalità di livello infimo spacciate come grandi idee pedagogiche.

I più presenti in questa sequela di banalità sono professori universitari in servizio o in pensione (Galli della Loggia, Cacciari, Asor Rosa, ecc.), che vogliono occuparsi di ciò che ignorano e cioè la scuola, avendo fatto i professori universitari di un’elite studentesca, che loro dileggiano, ma che è tutto quello che abbiamo. Ma anche giornalisti e scrittori non sono da meno (D’Avenia, Augias), mentre gli psicologi guidati da Paolo Crepet e Umberto Galimberti si attestato sulla linea delle bocciature di massa salvifiche.

Non è facile entrare in questo guazzabuglio con argomentazioni sensate, anche perché chi è esperto di scuola (i dirigenti scolastici lo dovrebbero essere, ma – come potrebbe chiosare un 5 Stelle – “chi lo ha detto?”) analizza il problema in forma sistemica e non casuale. Il problema è che nessun uomo di scuola ha lo spazio mediatico che hanno i professori, gli scrittori, gli psicologi e i giornalisti e dunque  il rimando alla scuola del passato non tiene conto del fatto che è la scuola del passato che non vuole morire e che ci ha ridotto così.
A scuola si parla di competenze, ma la fanno da padrone le mnemoniche conoscenze, spesso sbagliate perché la memoria inganna, ma il web no e dunque oggi – a differenza di ieri – se un grande professore cita un dato sbagliato o una data sbagliata in un attimo si scoprono il dato giusto o la data giusta e la conoscenza mnemonica va dove deve andare.

Non mi proverò neppure ad entrare nel complesso discorso sulla scuola di oggi, anche perché di solito lo faccio in maniera più distesa e documentata davanti a platee competenti. Però almeno sui punti centrali del tormentone mi permetto di dire due parole.

BOCCIATE, BOCCIATE, QUALCOSA RESTERA’

L’idea che bocciando più studenti le cose andrebbero meglio cozza su alcune evidenze scientifiche facilmente enunciabili:

  • abbiamo la più alta dispersione dell’area OCSE e questo è considerato un enorme problema, tant’è che i trattati internazionali ci imporrebbero di diminuire la dispersione, mentre bocciando di più la dispersione solo aumenta;
  • una volta bocciati per gli studenti non c’è altra strada che rifare quello che hanno fatto l’anno precedente sperando vada meglio e quindi l’unico rimedio che abbiamo per recuperare le bocciature è la speranza che il soggetto bocciato si redima;
  • le classi piene di bocciati sono le peggio gestibili, con soggetti spesso patologici, fuori età, fuori contesto, fuori controllo;
  • sostenere la tesi delle maggiori bocciature significa sostenere la tesi di una classe docente perfetta a fronte di una classe discente imperfetta e dunque far ricadere solo sugli studenti i problemi del sistema;
  • disallineando con le bocciature gli studenti dalla propria età anagrafica non si fa che ritardare per quelli deboli l’ingresso nel mondo del lavoro, con curricoli scadenti e dunque perdenti.

Se le scuole avessero un piano per il recupero, la bocciatura in alcune materie sarebbe doverosa, ma, poiché chi viene bocciato deve rifare tutto, la pratica oltre che essere costosa è nociva e inutile. Chi va male per lo più continua ad andare male. C’è un’ossessione italiana per il “basso” che le preclude di guardare in alto e di vedere che il sistema migliora se migliora la sua parte alta e mediana. Invece interesse zero per gli studenti bravi ed ossessione punitiva per quelli che non ce la fanno: tipica idea universitaria dove i professori hanno come riferimento solo i più bravi e degli altri non si occupano, scambiando il proprio sistema di selezione delle eccellenze per la scuola di base.

VOTI AL SUD E VOTI AL NORD

Il nord si indigna per i voti della maturità al sud. In realtà il nord rigoroso è ossessionato dai suoi studenti peggiori (che vuole bocciare e che boccia) e non sa tutelare i suoi studenti migliori come fa il sud. Per avere 100 o 100 e lode bisogna coltivare lo studente almeno dalla terza se non da prima, valorizzando quello che sa fare e non tenendogli i voti bassi per poi scoprire all’esame di stato che con quei voti di terza e quarta non può arrivare a 100 Neppure se lo merita.

La polemica sui voti al sud mostra la stessa faccia della richiesta di bocciature: l’assenza di una strategia vera per gli studenti più bravi e motivati per preservarne la bravura in funzione degli studi universitari e del lavoro. Il sud produce un sacco di ottimi studenti dentro un sistema scolastico complessivamente in fortissima crisi. Il problema non sono i voti alti che fanno bene alla società, ma il livello molto basso di tanti suoi studenti e i tassi preoccupanti di dispersione scolastica.

L’esame di stato di quest’anno è stato improvvisato con metodologie introdotte ad anno in corso, ma è certamente andato nella direzione della certificazione di competenze e non del nozionismo di inizio estate. E’ un esame migliore di quello precedente, ma comunque un grande spreco di soldi e di tempo per una prova di iniziazione utile solo per fare da spartiacque tra la giovane e la matura età. Personalmente trasformerei la quinta superiore in un anno misto (scuola/università, scuola/mondo del lavoro) abolendo l’esame e l’inutile seconda prova difficile e solo penalizzante, sostituendo il tutto con una tesi su quando appreso in questo anno misto, sulla scia di quanto avviene all’Università: anche perché se bocciare un tredicenne o un quindicenne è atroce, bocciare un diciannovenne è una pura stupidaggine, perché lo si ritarda e basta nel suo ingresso all’università o nel mondo del lavoro spianandogli la strada verso il divano e l’attesa di una raccomandazione che lo collochi da qualche parte. Mentre sarebbe molto utile avere graduazioni reali sulle competenze degli studenti in uscita dal sistema scolastico.

DIDATTICA MON AMOUR

I commentatori, convinti di essere anche sapienti, non si limitano a descrivere la “Waste Land” della scuola italiana, ma dispensano anche consigli, che qualunque pedagogista considererebbe da bocciatura in un qualunque esame di scienze della formazione. Anche qui in forma molto sintetica indico alcuni punti centrali, partendo dalla questione dell’uso degli strumenti multimediali:

  • la battaglia contro gli strumenti digitali ha più a che vedere con la Sacra Inquisizione che con la pedagogia: lo studente non dovrebbe avere contatti col web a scuola e questo imporrebbe un impianto poliziesco che neppure il Partito Comunista Cinese (che di repressione se ne intende) riesce a tenere in piedi;
  • la battaglia contro gli strumenti digitali è solo oscurantista perché da un giudizio di valore sul mondo che si trasforma, viene combattuta solo al mattino lasciando il resto del tempo di studio dello studente a connessione libera;
  • l’idea di tornare al sapere chiuso tra libri e enciclopedie va contro il meccanismo per cui col BYOD (Bring You Our Device) vivo con un’enciclopedia universale sempre addosso e sempre consultabile, magari se qualcuno mi insegna come fare rendendosi conto che “da pagina 72 a pagina 98” non vuole più dire nulla.

Da qui deriva tutto il resto. Una parte di questo “resto” si può sintetizzare così;

  • gli studenti non imparano a memoria poesie, ma tante altre cose;
  • gli studenti studiano meno grammatica ma scrivono e leggono tanto di più, solo che scriviamo e leggiamo cose diverse dai libri, quindi l’approccio per migliorare la comprensione deve battere strade diverse da quelle battute un tempo;
  • gli studenti comunicano molto, ma soprattutto in forma sintetica e nessuno insegna loro come si fa, per cui a scuola si insegna come espandere la lingua, mentre il mondo vive di sintesi;
  • la classe docente valuta senza aver mai studiato valutazione, cioè lo fa in forma empirica su standard per lo più culturali auto definiti e valutati secondo parametri propri (una cattiva prassi valutativa è l’anticamera della dispersione);
  • la nostra arretratezza nasce soprattutto dalla nostra rigidità e dal privilegiare l’anzianità sul merito con ricadute di non poco conto sugli studenti più deboli lasciato spesso in mano a docenti disciplinaristi poco in linea col mondo che cambia.

Così, giusto per concludere: si dice che gli studenti leggono poco e si informano solo sul web. Un’indagine interessante sarebbe quella tendente a stabilire il numero dei docenti che la mattina comprano il giornale. Io lo ritengo un dato sconosciuto ma significativo.