Piano di lavoro

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di Giancarlo Cavinato 

Nella scuola tradizionale i piani di lavoro sono definiti a priori attraverso i libri di testo, i programmi ( oggi ‘indicazioni nazionali’ ma ahinoi comunemente ancora considerati da molti, troppi insegnanti e dal senso comune ‘programmi’), gli orari, la lezione. L’insegnante prepara l’attività secondo la scansione spiegazione-studio-compito o interrogazione-valutazione. E’ una soluzione tranquillizzante sia per l’insegnante che per le famiglie. Ma è efficace per i ragazzi?

Nella pedagogia Freinet occupa un ruolo particolarmente importante l’autoorganizzazione degli alunni attraverso un’autoregolazione del proprio lavoro e del lavoro complessivo della classe.
Nella classe Freinet invece di stabilire in anticipo, direttivamente, il lavoro scolastico dei ragazzi, esso viene preparato, tutti insieme, a inizio settimana o alla fine per la settimana successiva, tramite il piano di lavoro.

Esso ha diverse possibili articolazioni: un piano generale via via rimesso a punto per l’intero corso; un piano annuale; dei piani mensili o settimanali; il piano del giorno. Soprattutto questi ultimi due sono messi a punto  in collaborazione fra insegnante e alunni.  Al piano collettivo si affiancano piani personali che è responsabilità dell’alunno autoassegnarsi (pur con consigli dell’insegnante che devono  ridursi mano a mano che l’alunno diviene più autonomo) mantenere e rispettare.

Sono soprattutto i piani personali che consentono di acquisire competenze di autovalutazione, consapevolezza dei propri punti di forza e del percorso che devono ancora compiere per raggiungere degli obiettivi di cui si ha chiara la necessità e l’importanza.
E’ un lavoro che richiede tempo, regia accurata, osservazione attenta dei progressi e degli ostacoli per ciascuno. Registrazione e documentazione.
Dialogo pedagogico con gli alunni.

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(Silvana Mosca, in ‘La valutazione’, Quaderno di Cooperazione Educativa, La nuova Italia, Firenze, 1978)

Il piano generale

Si configura come un repertorio di possibili attività che Freinet definisce ‘funzionali’: non dei centri di interesse che organizzano le conoscenze da far acquisire, come in Decroly, ma il lavoro che la classe può autoassegnarsi e le azioni da sviluppare in base alle azioni che i ragazzi narrano ed evocano attraverso i loro testi, alle  domande che si pongono e agli stimoli offerti dalla realtà vissuta. Le stagioni dell’anno non sono, per gli alunni, l’insieme di immagini offerte dai libri di testo, le gemme che sbocciano, le rondini che partono, l’allungarsi o l’accorciarsi delle giornate, ma le attività attorno a cui ruota la loro vita. Gli interessi che emergono vanno sviluppati raccogliendo la documentazione necessaria. Attraverso le biblioteche di lavoro, le riviste, gli schedari, raccolte di immagini, video, ricerche nel web,…

I piani annuali

A partire da un piano generale, i piani annuali consistono nelle conoscenze essenziali da affrontare obbligatoriamente entro l’anno in matematica, lingua, storia, geografia, scienze, arte,.. Un tempo secondo i programmi, oggi in relazione alle Indicazioni. L’insegnante ripartisce in un suo quaderno gli argomenti. L’ordine però non è definito in partenza, ma è flessibile in base agli interessi e alle motivazioni.

Ad esempio in matematica in classe quarta si può partire con operazioni sui grandi numeri ma legate all’esigenza di lavorare con orari ferroviari e distanze per progettare il viaggio scambio dai corrispondenti. E’ quindi necessario lavorare con le misure, i prezzi, i tempi, le velocità, le carte geografiche.

Una volta affrontato un argomento, l’insegnante segna sul piano annuale che è stato affrontato e annota i possibili sviluppi.

Può così, consultando il piano, valutare cosa rimane da trattare e ciò che non è ancora stato  appreso sufficientemente, orientando così sia i propri stimoli che le opportune correzioni di rotta, per gli interventi in classe e per i suggerimenti agli alunni con incertezze.

Anche gli alunni hanno un quaderno analogo con il piano, così da sapere a che punto si è e cosa rimane da trattare. Il piano viene consultato a inizio settimana per stabilire i piani settimanali, cercando di riprendere le questioni rimaste in sospeso per carenza di documentazione e per suddividere il lavoro di ricerca. Il piano è una guida per gli alunni ma soprattutto per l’insegnante.

Il piano settimanale

La settimana è il principale punto di riferimento temporale per l’attività della classe. Il lunedì mattina ogni alunno, in base all’accordo con l’insegnante,  riceve un fascicolo con schede per attività di grammatica, le proposte di lavori collettivi o di gruppo, schede di calcolo, proposte di lettura e scrittura, con indicazione di lavori individuali e di gruppo, materiali di storia, scienze, geografia su argomenti svolti la settimana precedente e tratti dal piano di lavoro annuale, da svolgere attraverso ricerche individuali e di gruppo. Viene altresì fornito il materiale relativo (schedari, fascicoli della biblioteca di classe o di scuola, strumenti di laboratorio, collezioni di oggetti e materiali).
Il ritmo di lavoro della settimana prevede altresì momenti di discussione, uscite nell’ambiente, interventi di ‘esperti’ invitati, presentazione dei lavori da parte di alunni, un’assemblea di bilancio  conclusiva della settimana.
Ogni alunno compila a inizio settimana un proprio piano individuale con i propri impegni e le scadenze.
Non è facile né sempre possibile strutturare in forma unitaria l’insieme  delle attività alternando le attività collettive e di gruppo con una programmazione basata su bisogni, interessi, ritmo e livello di ciascuno/a.
Però poter disporre di strumenti organizzatori come i diversi piani consente a tutti di sapere con esattezza cosa ci si attende, cosa si può proporre e realizzare, e valutare gli esiti.




Schedari autocorrettivi

abcdi Giancarlo Cavinato

SCHEDARI AUTOCORRETTIVI[1]

Nella classe Freinet non possono mancare, oltre a materiali per la consultazione e la ricerca, degli strumenti organizzati in schede progressive che gli alunni possono ripartirsi in base al piano di lavoro e alle difficoltà via via incontrate. Ovviamente, essendo l’obiettivo la conquista dell’autonomia e dell’autoorganizzazione da parte degli alunni, per non risolversi in ulteriori eserciziari somministrati dall’insegnante, gli schedari sono funzionali a una classe dove non sia adottato il libro di testo, di  cui costituiscono l’alternativa praticabile.

Vi sono diversi tipi di schedari a seconda delle esigenze e pensati e utilizzati in coerenza con il lavoro che porta avanti la classe.

–         schede per la revisione di percorsi con graduazione delle difficoltà
–         schede con problemi di logica non solo numerici
–         schede con domande a riposta aperta
–         schede con domande a scelta multipla
–         schede tematiche con informazioni e documenti per la ricerca storica, geografica,
antropologica
–         schede con proposte stimolo
–         schede con suggerimenti per fare esperienze ed esperimenti scientifici esemplificando le
attività con foto o disegni
–         schede per l’esecuzione di giochi
–         schede con narrazioni brevi ma dotate di un significato completo (non estratti)
–         schede con consegne per costruzione di oggetti, strumenti, prodotti
–         schede guida per classificazioni

Nel MCE sono stati prodotti negli anni 60 schedari e quaderni  autocorrettivi di ortografia e di aritmetica. L’impianto di tali schedari è poi stato ritenuto superato. Lo schedario ortografico presentava gruppi di schede in base alle difficoltà ortografiche (doppie, accenti, apostrofi, a/ha, e/ è, li /gli, ….) rilevate dall’insegnante attraverso la somministrazione di dettati  contenuti in un fascicolo dell’insegnante, che rilevava tipologia e frequenza degli errori.
La visione della lingua era quella di  una sommatoria di frasi senza legami fra loro e che furono anche oggetto di critiche per il contenuto obsoleto che riproduceva visioni analoghe a quelle dei libri di lettura (la famiglia, il lavoro, i ruoli maschili e femminili, le stagioni,…).

Analogamente, lo schedario delle operazioni era formato da sequenze di esercizi nello stile della vecchia aritmetica, superato quindi con l’introduzione dell’insiemistica e poi di un impianto strutturale della matematica.

Sul piano dell’educazione linguistica oggi noi possiamo  preparare batterie di  schede fondate sulla ricerca linguistica più avanzata, così da sostenere un’idea di lingua come sistema interdipendente di parti dotate di significato e funzione, e come comunicazione: quindi proposte di trasformazione di frasi  e testi, cloze test (inserendo nel testo termini scelti  da gruppi di possibili varianti), proposte di  riscritture variando alcune parti, sintesi ed espansione di testi, costruzione di reti delle conoscenze del testo, verifica della presenza o meno di informazioni in un testo,.., definizione di criteri, in base a cui parti di testi o frasi  sono comunicative o meno, disambiguazione di testi e frasi, riordino di parti di testi mescolate,… Tutte attività che portano alla riflessione linguistica più che ad apprendere un modello di grammatica dato.

Analogamente, per la matematica e le scienze le schede possono suggerire un impianto prealgebrico e sistemico presentando le operazioni nella loro reversibilità e simmetria, facendo lavorare per risolvere/ completare enunciati, prospettando problemi che facciano porre interrogativi, con dati mancanti, con dati eccessivi, senza dati numerici,…

Per le scienze storiche umane e sociali le schede, come è il caso degli schedari  di etnologia su diversi tipi di popolazioni, dovrebbero consentire

–         di scoprire le interazioni fra vari aspetti dello sviluppo e della cultura umana
–         di procedere per comparazioni e contrasti, somiglianze e differenze
–         di ampliare la percezione della realtà fuoriuscendo da un’ottica etnocentrica,  quindi
producendo interrogativi, spiazzamento, attraverso il cambiamento del punto di vista.

In questo ambito alle schede si devono accompagnare riviste, proiezioni, serie di fotografie, diari e libri di viaggio e di avventure,…

Come progettare uno schedario

Non tutto deve essere affidato all’editoria e consegnato agli alunni già predisposto. Questo era molto chiaro ai maestri MCE fin dagli anni 50.
‘In certe scuole per schedario si intende un gruppo di schede in cui si raccolgono notizie su qualche argomento, ma è cosa che esaurisce la funzione in se stessa. Io, unitamente ai colleghi del Movimento di cooperazione educativa, per schedario intendo tutto il materiale di cui posso disporre a scuola: ritagli di giornale, stralci di libri, illustrazioni, opuscoli monografici, libri, enciclopedie, vocabolari, museo didattico, ecc. [2]
Per coloro che hanno l’abitudine di conservare (ad uso personale e didattico) ritagli di giornali, opuscoli, francobolli, materiale di vario genere, uno schema di classificazione si dimostra indispensabile, soprattutto quando la quantità dei documenti raccolti sia tale da rendere pressoché impossibile la ricerca di ciò che interessa, senza una razionale sistemazione del materiale raccolto. i colleghi francesi dell’ICEM hanno risolto questo problema adottando lo schema elaborato da R. Lallemand, fondato sul principio della classificazione decimale.[3]

Chi lo costruisce

Le tipologie di schede e le relative funzioni  sono varie   e il  team di una classe non può coprire ambiti così ampi e diversi. E’ un gruppo più ampio di docenti che può suddividersi i compiti e gli ambiti e fare un percorso di ricerca per poi testare con le classi i materiali. Che devono essere molteplici e vari per consentire di rispondere a molte curiosità, esplorazioni, domande. Oggi l’informatica può costituire un utile serbatoio di notizie e materiali, ma come ai tempi delle famigerate ‘ricerche’ su enciclopedie può ridursi a un copia e incolla che ben poco ha dell’autonomia e della costruzione sociale di conoscenze. Perché le schede devono/ possono circolare, essere tramite di confronti, di ricerca di soluzioni diverse. La stessa dotazione di schedari, se ricalca la struttura del libro di testo ( ad es. la grammatica normativa), non esime dal rischio di un uso poco proficuo.

E’ pertanto importante la stessa partecipazione degli alunni alla ricerca di materiali documentari e alla scelta di testi da trasformare in schede.
Una piccola redazione composta da alunni e insegnanti può fare la cernita dei materiali via via che sono stati raccolti.

Con quali funzioni

Gli schedari devono essere a disposizione degli alunni su un tavolo o uno o più scaffali perché li possano consultare e scegliere le parti che ritengono necessario rinforzare, rivedere, approfondire.
Fra le funzioni vi è anche quella di supporto alla ricerca e di orientamento nei materiali.
Rispettate le debite proporzioni, lo schedario nella scuola deve avere la stessa funzione che ha uno schedario in una grande biblioteca. Mediante lo schedario si può trovare il libro che si cerca al posto in cui è ordinato. Mentre nello schedario di una biblioteca tutte le schede sono di richiamo, di rimando a qualche cosa che è nei libri, nello schedario scolastico molte cose sono direttamente sulle schede, si trovano inserite in esse per facilitare il lavoro e per meglio rispondere alle esigenze dei ragazzi. Come lo studioso ha bisogno di materiale su cui esercitare la sua attività di studio e di ricerca, così il fanciullo ha bisogno dei dati per la sua attività di ricerca. Non sempre il bambino può trarre dalle indagini dirette nel suo ambiente quanto gli interessa: se ha un buon schedario a sua disposizione il suo studio è favorito.[4]

Quale uso prevedere 

‘Lo schedario è indispensabile per il lavoro scolastico individualizzato ed è migliore di qualsiasi enciclopedia per vari motivi: prima di tutto perché il bambino partecipa alla sua preparazione, e perché può essere facilmente maneggiato: le schede, essendo costituite da fogli staccati, possono essere usate da molti scolari contemporaneamente o da diversi gruppi.[5]

Il vantaggio di avere a disposizione schedari organizzati per gruppi di schede secondo gradi  di difficoltà o per temi e categorie  è evidente rispetto a serie di esercizi posti alla fine di un capitolo che costituisce l’oggetto di una lezione e che non rispondono a specifici  bisogni di rinforzo o arricchimento ma che piuttosto sono somministrati secondo un dato ordine deciso dall’insegnante e vengono compilati automaticamente senza particolare riscontro di significatività.

L’uso di schedari- cartacei o telematici- si potenzia attraverso la disponibilità nella classe e nella scuola di opuscoli di una biblioteca di lavoro.

Autocontrollo e controllo dell’insegnante

L’introduzione delle tecniche Freinet (testo libero, stampa, corrispondenza) ha come conseguenza una rottura negli schemi di lavoro tradizionali, che vengono a perdere la base su cui poggiano, costituita dall’autorità e dall’iniziativa esclusive dell’insegnante. Tale rottura si fa più evidente con l’introduzione di uno strumento di lavoro, gli schedari autocorrettivi di esercitazione, che in  misura ancor più notevole fanno appello alla libera iniziativa dell’alunno e pongono l’esigenza di far posto, nella giornata, a momenti di “lavoro libero” individuale e di gruppo, durante i quali sia possibile ad ogni alunno esercitarsi con gli schedari, stendere i propri testi liberi, stampare, scrivere lettere ai corrispondenti, disegnare, pitturare, fare ricerche ecc. Appare evidente come la vita della classe ruoti fondamentalmente intorno a tre momenti: attività collettive, individuali, di gruppo. Questo trasferimento agli alunni di una facoltà fino allora gelosamente riservata agli insegnanti (poter organizzare il lavoro) non potrebbe effettuarsi senza la presenza di adeguati strumenti, che garantiscano dall’improvvisazione e dall’anarchia. [6]

Nel caso di schedari di rinforzo ed esercitazione se da un lato va stimolata l’autoprogettualità dei ragazzi attraverso il piano di lavoro, d’altra parte le forme di controllo periodico sono necessarie. Questo può avvenire in forma di bilancio settimanale o quindicinale  in cui si testa il procedere di ognuno e il rispetto dei compiti che i ragazzi si sono assegnati oppure con un colloquio periodico dell’insegnante, individuale o per gruppi.

E’ necessario un dialogo pedagogico con gli alunni per consigliare, aiutare a rivedere, a rielaborare.

NOTE

[1] M. Barré ‘L’aventure documentaire’, Casterman, Paris, 1982
Senofonte Nicolli ( a cura di)  ‘Narrare la scuolainsegnanti riflessivi e documentazione didattica’, Asterios, Trieste, 2018
Lévy  P., Authier M. ,’Gli alberi delle conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle conoscenze’, Feltrinelli, Milano, 2000

[2] Agostina Borgo, ‘Come è nato uno schedario’, in Cooperazione educativa n. 12, 1959, La Nuova Italia, Firenze, pp. 18 sgg.

[3] Cooperazione educativa n. 3-1960, La Nuova Italia, Firenze, p. 27

[4] A. Borgo, art. cit.

[5] A. Borgo, art. cit.

[6] A. Pettini, ‘L’organizzazione delle attività’, Cooperazione Educativa, n. 11-1960, La Nuova Italia, Firenze, p. 5 sgg.




Formazione docenti: lettera aperta ai sindacati scuola

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

Un convegno promosso da Gessetti Colorati

di Cinzia Mion

Non credo che voi sindacati della scuola vi stiate stracciando le vesti per non aver reso obbligatoria la formazione dei docenti (nel recente contratto collettivo) alla notizia che anche ai test Pisa dei nostri quindicenni l’Italia ha ricevuto una solenne bocciatura. Del resto era già successo alle prove Invalsi alla fine del ciclo della secondaria, soprattutto per l’incompetenza dei nostri ragazzi ormai maggiorenni di riuscire a cogliere il “senso” di quello che leggono.
Cosa intendo dire con ciò? Faccio riferimento alla scappatoia che avete trovato, tramite il decreto legislativo 75/2017, targato Madia (ve la ricordate la biondina un po’ svampita ma molto chiacchierata anche per le sue idee talebane?), di consentire al contratto di modificare la legge ordinaria relativamente alle materie contrattabili.
In tal modo il CCNI ha potuto modificare la natura della formazione prevista dalla L.107/2015 ,che richiedeva la formazione per i docenti “obbligatoria e strutturale”. Beh l’avete ridotta a semplice “diritto”!
Cavolo, peggio della Moratti che almeno l’aveva definita “Diritto e Dovere”!

Vi rendete conto che avendo quasi soppresso il tirocinio riguardante le discipline psicopedagogiche, essendo le Università ridotte ad esamifici, i nuovi docenti che arrivano a scuola sono quasi digiuni di competenze didattico-metodologiche?

Vi rendete conto che , tranne illuminate eccezioni che ci sono per fortuna nostra ,loro e del Paese, però una gran parte dei docenti già di ruolo da parecchi anni, se non sono stati particolarmente sensibili al richiamo della formazione, sono lustri che non spolverano la loro didattica obsoleta?
Come fate a pensare che se non conoscono e poi imparano a praticare didattiche innovative (per es. l’Apprendistato Cognitivo, dell’insegnamento reciproco della lettura di Palincsar e Brown, che affronta esplicitamente il problema del “senso” ecc) continuano ad accontentarsi delle “risposte esatte” senza scandagliare il livello della “comprensione profonda”(Wiggins)?
Come fate a condurre tutto ad un problema di “potere”, detto volgarmente al desiderio di “spuntarla” rispetto alla richiesta della Legge (che avete vissuto come uno scacco)e alle richieste invece di chi (dentro alla scuola con consapevolezza e coscienza) vi chiede di pensare al bene dei ragazzi e della scuola? Da dove vi viene questa avversione per la formazione in servizio? Da quale percorso arcaico personale di alunni o docenti ?
Perché pensate che i docenti siano contenti di scansare un certo numero di ore di formazione? Non vi rendete conto che li considerate in questo modo dei “paria” della cultura per cui siete conviti di lisciare loro il pelo evitando di affermare il sacrosanto obbligo della formazione ?. Si parla per tutti di formazione per tutta la vita e si evita di renderla sacrosanta per i docenti!!!
Non venitemi a dire che ognuno può formarsi anche “da solo” nel chiuso della sua cameretta…
Non ci credo. Potrà leggersi piacevolmente l’ultimo saggio del filosofo amato o di grido. Ne conosco di docenti così: belle teste e raffinati intellettuali ma fare gli insegnanti è un’altra cosa. O no?La scuola è “una comunità di pratica professionale” e il lavoro dei docenti è un lavoro di squadra!
Se poi ancora più rozzamente si pensa : i docenti sono malpagati , non possiamo aumentare il loro stipendio almeno limitiamo l’orario di lavoro altrimenti si arrabbiano…….Beh allora veramente diventate corresponsabili del fallimento della scuola.
Hanno cercato due colleghi molto educati (Antonio Valentino e Giancarlo Cerini) di dirvelo in punta di penna ma non hanno sortito effetto alcuno…Mi sono detta: proviamo le maniere forti.
E per ultimo: ascoltate i consigli di una persona anziana che la scuola l’ha amata davvero per tutta la vita. Sono anni che vi tallono su questo argomento. Ma non c’è più sordo di colui che non vuol sentire.
Diceva mia madre , buonanima




T come tentativo sperimentale

abcIl tậtonnement sperimentale
di Giancarlo Cavinato

La via normale dell’acquisizione non è affatto l’osservazione, la spiegazione e la dimostrazione, processo essenziale della scuola, ma il tậtonnement sperimentale, approccio naturale ed universale’.[1]
C’è un possibile punto di incontro fra la pedagogia e la realtà dei ragazzi, della scuola, dei contesti di vita? Tante sono le domande e i problemi che ci poniamo quotidianamente nel delicato approccio alla scritto-lettura così come al ragionamento matematico.
Si può lasciare scrivere liberamente e calcolare intuitivamente accompagnando i processi nella convinzione che ci si impadronisca del segreto della scrittura e si impari a ragionare?
Partire, come fa la tradizione scolastica, con la conoscenza iniziale di segni e numeri e delle loro combinazioni porterà a una espressione rigida ed esecutiva e all’uso meccanico del calcolo. E’ un terreno sicuro. La pratica del metodo naturale comporta viceversa l’accettare di correre dei rischi e di assumerci la responsabilità delle imprevedibilità degli esiti.

Il criterio orientatore dovrebbe essere il mettere a disposizione degli alunni un contesto dove fare pratica personale di una varietà di usi del codice scritto.
Se non si mettono “le mani in pasta” per affrontare un apprendimento su una base di espressione e di reazione personale, non c’è la possibilità di ottenere dei risultati efficaci.[2]
Gli stadi dell’appropriazione di un sapere, in questo caso del codice scritto, consistono nel procedere dal vedere cosa fanno gli altri, poi nel provare, scoprire ‘come si fa’ inventando soluzioni personali, facendo delle ipotesi, osservando le reazioni degli altri ai primi tentativi, fino ad elaborare idee e regole, commettendo ‘errori’ e correggendoli con il supporto di altri, tornando ad osservare, elaborando teorie. Il gruppo convalida, conferma o disconferma, funge da rispecchiamento. Fornire il codice già pronto in piccoli pezzi da montare non funziona. L’insegnante ha il compito di confermare che si è sulla strada giusta, di rinforzare e sostenere gli sforzi, non di fare ‘al posto di’.
Freinet richiama l’attenzione degli adulti educatori (e degli studiosi) su quella che apparentemente è un’ovvietà, ma che troppo spesso è dimenticata quando si tratta di processi di apprendimento-insegnamento in contesti formali: è attraverso la funzione d’uso, la pratica, che noi apprendiamo a camminare, a parlare, a disegnare e così via. Ne consegue che tutti i progressi che si conseguono sul piano dello sviluppo (e dell’evoluzione)[…]si tratti di bambini, di adulti, ma anche di animali, si realizzano mediante questo processo universale che Freinet definisce tậtonnement sperimentale.[3]

Alla luce di tali presupposti, l’apprendimento e l’uso della scritto-lettura assumono tutto un altro spessore e funzione. A noi compete conoscere pienamente cos’è e come funzionano il linguaggio orale e lo scritto e come si iscrivono nella storia personale di ognuno/a.
Il funzionamento del linguaggio nell’adulto e, di conseguenza, il suo apprendimento da parte del bambino, non possono avvenire attraverso una giustapposizione di parti o un assemblaggio di meccanismi, limite questo che fortunatamente ci garantisce contro ogni velleità di costruire un cervello umano robot. Si tratta invece di una funzione “intelligente” da parte dell’apprendista-lettore che non possiamo sostituire con semplici automatismi.[4]

Cerchiamo di ragionare con buon senso, dice Freinet [5]. Nessuna delle grandi acquisizioni vitali si fa tramite procedimenti apparentemente scientifici. E’ camminando che il bambino impara a camminare; è parlando che impara a parlare; è disegnando che impara a disegnare.
Scrive J. Foucambert [6] che insegnare ad uno ad uno i movimenti di ciascun braccio e di ciascuna gamba, per quanto in modo ‘scientifico’ ed accurato, non trasforma in nuotatori. Tutti i progressi si fanno attraverso questo processo universale di tậtonnement sperimentale.

Come Freinet, anche Foucambert prende esempio per analogia dallo sviluppo del linguaggio orale nel bambino. ‘Quando il bambino impara a parlare e a capire, parlando e ascoltando, quelli che egli sviluppa sono dei comportamenti di parola e di ascolto, vale a dire un certo modo di essere, di fare, di comunicare, di entrare in rapporto con gli altri e con le cose; egli non impara la lingua orale, nel senso in cui la lingua orale sarebbe qualcosa che esiste, indipendentemente dalla parola, dalla sua e da quella degli altri. La lingua orale non è un sapere che si può imparare e trasmettere come tale: ciò che s’impara è la parola. Il bambino impara a parlare e crea così la lingua orale. Ciò che egli impara è un modo di “essere parlante”, è un comportamento. E’ così anche per la lingua scritta: essa non esisterà che nella misura in cui il bambino avrà imparato a leggere e a comporre, essa non esiste al di fuori di ciò che egli fa con la lingua stessa, essa non si apprende al di fuori dell’atto del leggere e del comporre: la lingua scritta non è nient’altro che una pratica: essa si crea attraverso questa pratica, che s’impara. Ciò che interessa il pedagogista è sapere che cosa è questa pratica, se vuole aiutare il bambino ad acquisirla.’ (p. 20)

E, più oltre: ‘Saper leggere è leggere con gli occhi, è attribuire direttamente un significato ai segni grafici. (p. 21)
Leggere è attività nell’ambito di un progetto’ (p. 46)
E un progetto richiede strategie di intervento e ricerca. Quindi, tentativi di trovare risposte e soluzioni.
La proposta di Freinet, per certi versi coerente con molte elaborazioni epistemologiche (Propp, Bachelard, Morin,..) è che l’essere umano si costruisce per tentativi intelligenti in base all’esperienza.

Freinet elabora una ‘psicologia sensibile’ postulando che a fondamento del dinamismo che attraversa l’intera realtà ci sia un’energia, una forza, uno “slancio vitale” che via via nell’uomo diventano coscienti. Ricava tale nozione da ‘La scuola attiva’ di Ferrière (e questi, a sua volta, da Bergson), descrivendo i processi psicologici, le modalità della conoscenza e dell’esplorazione ambientale degli individui. La conoscenza non parte da elementi innati; non è predeterminata da istinti o meccanismi fissi: è invece un tâtonnement continuo, un andare ‘a tentoni’, un cercare senza schemi prefissati. A differenza che nell’apprendimento “per prove ed errori” di matrice comportamentista (una pratica fondata sulla casualità, su tentativi riusciti più volte in base a rinforzi esterni), il processo non è cieco e meccanico, ma creativo. E’ l’esperienza compiuta per tentativi che consente l’esercizio motivato dalla vita in un contesto umano di crescita. E’ la legge che Freinet definisce la tecnica di vita, sia del bambino che dell’adulto, e che sta alla base della ricerca scientifica, dell’emergere della forza vitale dei soggetti nonostante i dogmatismi, e che funziona in base alle ipotesi degli individui.
Tutto, nel corso della vita, procede per tentativi sperimentali’ [7], che permettono il funzionamento e favoriscono lo sviluppo naturale dell’intelligenza. In una scuola della ricerca.

Il tậtonnement mobilita meccanismi cognitivi e neurofisiologici, il che consente di accostare  l’ipotesi di Freinet agli apporti attuali delle neuroscienze, della psicologia cognitiva e culturale, del sociocostruttivismo.
Sottomessi a una molteplicità di stimoli provenienti dal loro ambiente fisico e sociale, gli esseri umani elaborano delle risposte a partire dalle loro ricezioni e reazioni.
Queste dipendono dalla loro intelligenza, che tratta tutte le informazioni, in base a propri percorsi interni, tramite la complessità dei processi cognitivi ( la mente è interattiva e ricerca crea interdipendenze fra i diversi eventi di cui si occupa), che funzionano in modo naturale, trasformando le informazioni in conoscenze utilizzabili e trasferibili.
Tale trasformazione permanente è l’atto dell’apprendere, che implica un’attività costante del cervello. Essa richiede tempo di elaborazione, perché ogni conoscenza si sviluppa e si arricchisce nel tempo e non si esaurisce in se stessa ma crea sempre nuovi agganci.
Freinet introduce il concetto di permeabilità all’esperienza. La goccia che scorre sul suolo avanza a caso, secondo i solchi e i pendii. Ma a forza di cadere sullo stesso punto o di scorrere nello stesso senso forma solchi che attirano l’acqua che passerà per i solchi prodotti dall’esperienza. Se la pietra è resistente e impermeabile a questa esperienza, non si scaverà il solco e l’acqua continuerà a spandersi a caso o verrà deviata da accidenti del terreno.
Ma se al contrario, a causa della permeabilità, le gocce scavano il solco, questo dà origine a delle trasformazioni. Lo stesso avviene negli individui. In origine, l’atto è puramente casuale. Ma, molto rapidamente, scava una traccia dove l’atto tenderà a ripetersi. Non c’è , nella direzione da prendere e nel tracciato, niente di già definito.[8]

L’altro concetto introdotto da Freinet è l’atto riuscito, si traduce nella costruzione della realtà (delle conoscenze). L’ostacolo e l’insuccesso creano conflitto interno e richiedono nuovo ricorso all’esperienza, alla prova di realtà. Lo possiamo osservare nel corso dell’acquisizione da parte dei bambini dei meccanismi di base, come il camminare. .
Quando parliamo di permeabilità all’esperienza e di traccia lasciata nel comportamento, non significa che il bambino dovrà obbligatoriamente ripetere a lungo l’atto riuscito, prima di padroneggiarlo. Il tempo necessario dipende dalle differenze fra gli individui.
Ci sono bambini che hanno effettivamente bisogno di ripetere molte volte lo stesso gesto prima che ne sia garantita la riuscita. Il loro corpo è molto poco permeabile all’esperienza. Ma il corpo umano ha possibilità ancora insospettate. Guidati a riconoscere le proprie tracce e piste possono pervenire ai significati, non solo ai meccanismi. Ci vuole il tempo che ci vuole. Ci sono viceversa bambini che hanno una sensibilità all’esperienza talmente acuta che il gesto non ha nemmeno bisogno di venire ripetuto per lasciare la sua traccia indelebile. L’immagine del gesto, l’inizio del gesto, sono sufficienti. La traccia è stabilita.

L’individuo non passa a una nuova acquisizione fin quando l’esperienza in corso non ha creato la sua traccia sicura. Allora l’atto diventa meccanico. E’ tecnica di vita che servirà da solido trampolino per le acquisizioni successive.

Tale è l’ambito di attività di ricerca/ azione dei soggetti nella costruzione, personale e nel confronto con gli altri, delle proprie operazioni nei confronti del codice scritto. Per tentativi intelligenti.

Il tậtonnement è il pilastro su cui poggia il metodo naturale: ‘Esso ha come base la pratica personale, l’esistenza di un gruppo, un sistema di riferimenti, le particolarità fisiologiche e psicologiche di ciascuno e l’organizzazione delle circostanze per l’apprendimento da parte degli insegnanti. Nella pedagogia Freinet- pedagogia della “riuscita”- l’essere si trova ad essere considerato nella sua globalità….ciascuno può essere riconosciuto, accettato e quindi rassicurato su se stesso. Edgar Morin scrive in ‘La connaissance de la connaissance’: “Conoscere è innanzitutto registrare cioè operare su dei segni-simbolo, su delle forme”. Ma non è indifferente il fatto che questi segni possano essere una manifestazione dell’essere profondo.’ [9]

Spesso viene chiesto: ma il metodo naturale su quali bassi pedagogiche poggia?
Le Bohec indica alcune dominanti [10]:

–          l’espressione creazione ( a partire dal desiderio di espressione di ogni essere umano; ‘esso si manifesta a livello dei bambini in una costante formulazione di ipotesi scientifiche, linguistiche, matematiche, filosofiche,..’)

–          la comunicazione ( possibilità di comprensione reciproca, di educazione alla pace, di ricerca critica di sapere sulla base della documentazione di cui si dispone, di formulazione di ipotesi, di problemi, di ricerca di soluzioni)

–          lo studio dell’ambiente (‘non accontentarsi di un sapere astratto…allargare il cerchio a partire da un centro, dal vicino… in questa epoca di incertezze, di sovrabbondanza di immagini, di dispersione forse è necessario e vitale tornare ad essere homo faber e far funzionare le mani e il corpo’, i sensi e l’osservazione)

–          l’organizzazione cooperativa della classe

I sistemi scolastici ( e sociali) possono trasformarsi in inclusivi, aumentando le probabilità che non si generino ostacoli o barriere. Abbiamo identificato questi aspetti nel tậtonnement sperimentale, nell’unità della personalità, nel rapporto gioco-lavoro, nell’importanza dell’espressività dei/nei diversi linguaggi per la/ nella co-costruzione dei saperi e quindi della conoscenza; nell’apprendimento mediato della socializzazione e della cooperazione.[11]

[1] Freinet C., ‘Les invariants pédagogiques- Oeuvres pédagogiques’– Seuil-Paris-1994-vol. 2 pp 383-413 ‘Le invarianti dell’apprendimento’, trad. di A. Goussot; XII invariante
[2] Le Bohec P., ‘La macchina e il gruppo’, in Cooperazione Ediucativa n. 5/1989, La Nuova Italia, Firenze, p. 40
[3] Bocci F. ‘Tậtonnement sperimentale, unità della personalità, gioco-lavoro, espressività, linguaggi e cooperazione. Una attualizzazione del pensiero di Célestin Freinet nella cornice dell’inclusione’ in Goussot A. (a cura di) ‘Per una pedagogia della vita’ , Ed. del Rosone, Foggia, 2016 , pp 185-186
[4] Lentin L., ‘Dal parlare al leggere’, Emme edizioni, Milano, 1979, p. 38
[5] Freinet C., ‘I detti di Matteo. una moderna pedagogia del buon senso’, La Nuova Italia, Firenze, 1962; ‘L’apprendimento della lingua secondo il metodo naturale’, La Nuova Italia, Firenze, 1974
[6] Foucambert J,, ‘Come si impara a leggere’, Emme edizioni, Milano, 1976: ‘Quando uno di questi specialisti sentenzia in materia di lettura, Io penso sempre a quel chimico che voleva insegnare il nuoto perché conosceva bene la composizione delle molecole dell’acqua!’ (p.20)
[7] Freinet C., ‘Saggio di psicologia sensibile (applicato all’educazione)’, Le Monnier, Firenze, 1972
[8] Meirieu Ph., ‘ Pedagogia. Dai luoghi comuni ai concetti chiave, Aracne, Roma, 2018 (a cura di Enrico Bottero)
[9] Le Bohec P., ‘Il metodo naturale come base permanente della formazione’ Cooperazione Educativa n. 11/ 1993, La nuova Italia, Firenze, pp. 4 sgg.
[10] Le Bohec P. ‘C’è un aspetto politico nella pedagogia di Freinet?’ Cooperazione Educativa n. 6/1995, La Nuova Italia, Firenze, PP. 4 sgg.
[11] Bocci F., op. cit. p. 185




A come Assemblea

abcA come Assemblea

da: Alberto Sanchez Cervantes  ‘La asamblea escolar’ Movimiento mexicano para la Escuela Moderna Ed. Practica, 2014, Mexico (trad. e riduzione G. Cavinato)

 

L’assemblea è una proposta centrale della Pedagogia Freinet che si propone di sviluppare l’autonomia dei bambini e dei ragazzi.
La formazione di una cittadinanza impegnata, consapevole dei propri diritti e doveri e solidale, è una delle finalità dell’insieme delle tecniche Freinet per una ‘scuola della vita’.
Esse si configurano come lo sviluppo di pratiche scolastiche favorenti la convivenza armonica e la costruzione di un mondo migliore per tutti/e.
Sebbene la violenza abbia radici profonde al di fuori dello spazio scolastico, essa si riproduce in tale spazio quando bambine e bambini manchino di spazi e opportunità per esprimersi e per esteriorizzare i propri sentimenti.
A scuola mancano canali attraverso cui gli alunni possano esporre le loro aspirazioni e i loro problemi, e si coinvolgano attivamente nella presa di decisioni.
La scuola non può costruire anticorpi alla violenza, né formare alunni autonomi, responsabili e liberi, se non ne promuove la partecipazione genuina.

I maestri che praticano la pedagogia Freinet stimolano la comunicazione, la cooperazione e la fratellanza nelle classi attraverso l’assemblea.Grazie ad essa si discutono e superano problemi che altrimenti provocherebbero negli alunni inimicizia, discriminazione, sospetto e altri comportamenti che potrebbero sfociare in aggressioni e molestie.
Nell’assemblea si potenziano valori etici e si preparano i ragazzi all’esercizio dei diritti di cittadinanza.
La società del XXI secolo è segnata da violenza e pratica quotidiana di antivalori, provocati da povertà economica e culturale, contrasti fra modelli educativi e di vita diversi, diffusione irresponsabile di violenza nei media, manipolazione televisiva, consumismo, culto del denaro, uso del potere politico per fini perversi, promozione del successo facile basato su traffici illeciti e non sullo sforzo, la costanza, il lavoro.
Inoltre, i bambini hanno scarse opportunità di condividere e conversare con genitori sempre occupati ed essi, a compensazione della poca presenza, compiacciono ogni loro capriccio. Li iperproteggono per evitare che provino frustrazioni ma, così facendo, ne compromettono lo sviluppo della personalità.
I bambini trascorrono gran parte del tempo libero guardando la televisione, ascoltando musica in cuffia, giocando con la playstation o naufragando in internet, attività che compromettono la formazione di rapporti interpersonali.
Dato l’isolamento in cui vivono, molti non apprendono le norme basilari della convivenza che in altre epoche erano parte naturale della vita dell’infanzia attraverso il gioco: stabilire regole, rispettare accordi , attendere il proprio turno, risolvere conflitti. Abbiamo bambini individualisti, egoisti, irrispettosi, a volte despoti.

I ragazzi e i giovani vivono in un ambiente antidemocratico che non facilita la formazione dei futuri cittadini in quanto la partecipazione sociale è molto limitata se non assente.
Un esito negativo si produce per l’incoerenza fra ciò che viene indicato ai ragazzi come dovere e ciò che vivono quotidianamente (gli adulti non praticano ciò che predicano).
Lo vediamo a scuola quando i bambini non rispettano le regole, si aggrediscono, non accettano di collaborare o ignorano gli insegnanti.
La scuola però può far molto per contribuire alla formazione morale e civica.
Non farlo può avere conseguenze sociali gravi.
Non si può attribuire solo alla scuola questo compito: le famiglie, i politici, i governanti, i proprietari dei mezzi di comunicazione di massa sono anch’essi responsabili.

Non si tratta di fare lezioni o prediche, come troppo spesso si ritiene sia sufficiente per l’educazione morale e civica, impiegando procedimenti che toccano solo in superficie il problema senza trasformarlo, ma di offrire buoni esempi e alternative.
Troppo spesso la scuola risolve ‘addomesticando’ tramite castighi. Ma i castighi provocano apatia, timore, sfiducia, perdita di motivazione. La situazione è aggravata da condizioni di lavoro scolastico autoritarie che inducono disinteresse, noia, individualismo, competitività.
Molti ragazzini aggrediscono perché sono incapaci di stabilire empatia con gli altri e perché nell’ambiente scolastico c’è un clima inadeguato alla convivenza.

La morale non si insegna, è come la grammatica, possiamo conoscere perfettamente le regole, ma essere incapaci di applicarle nella comunicazione quotidiana.
Di più: la conoscenza delle regole è pericolosa, per lo meno nella fase dell’apprendimento, perché può far credere agli alunni, ed anche ai maestri, che basta conoscere le regole per essere ‘cittadini’; quindi possono ritenere che non serve fare nessuno sforzo speciale per integrarle nella propria condotta di vita.

Freinet ritiene che un rinnovamento morale e civile non possa realizzarsi in una scuola autoritaria dove i bambini:
a)     siano isolati dalla vita autentica. La scuola esige loro una serie di comportamenti diversi da quelli a cui sono abituati nel contesto di vita;
b)    siano obbligati a un’obbedienza incondizionata, cioè a pensare secondo le norme della scuola e ad eseguire ordini e di conseguenza si riducono ad essere passivi e sottomessi o conformisti;
c)     non godono di nessuna libertà: in luogo di consentire che si organizzino e si abituino ad assumere decisioni, la scuola induce all’egoismo e alla competitività, impedendo ogni forma di collaborazione;
d)    per reazione all’autoritarismo diventano ribelli, indisciplinati, asociali.

Freinet propone una radicale trasformazione dell’organizzazione d’aula che:
a)     favorisca la libera espressione in tutti gli ambiti: la scrittura di testi, l’espressione delle proprie idee, l’assemblea, l’autogestione, l’organizzazione in gruppi, l’elezione di propri rappresentanti
b)    metta in rapporto con il lavoro creativo e la vita reale attraverso un insieme di organizzatori (il testo libero, il giornale scolastico, le conferenze infantili, l’assemblea, il piano di lavoro, il calcolo vivente, le uscite, la ricerca).
c)     elimini i voti, le qualifiche, le classificazioni, che costituiscono una delle forme più immorali di controllo della scuola tradizionale, abituando alle piccole scorciatoie, a imbrogli, allo sforzo superficiale che ostacolano la formazione di un clima di convivenza democratica.
d)    coltivi il successo, in relazione alle capacità di ciascuno/a, mentre nella scuola tradizionale si coltiva l’insuccesso.
e)     promuova la cooperazione nel lavoro, la democratizzazione, l’assunzione collettiva delle decisioni nell’assemblea.

Alla base dell’educazione Freinet vede la pratica democratica come fondamento della formazione etica del cittadino. ‘La democrazia di domani si prepara con la democrazia a scuola. Un regime scolastico autoritario non può formare cittadini democratici. ’[1]
Occorre formare il cittadino consapevole dei propri diritti e dei propri doveri che sia in grado di partecipare attivamente in una società democratica.

Cos’è l’assemblea scolastica?
E’ una riunione periodica che si realizza con la finalità di presentare, commentare, analizzare e risolvere conflitti quotidiani, di riconoscere lo sforzo e le azioni dei propri compagni e di organizzare il lavoro di gruppo. E’ uno spazio formativo dove si apprende ad esprimere le proprie idee e ad ascoltare gli altri, a sostenere il proprio punto di vista e ad argomentare, a rispettare gli altri e ad accettare i loro errori.

L’assemblea ha lo scopo di:

  1. iniziare gli alunni alla conoscenza e alla pratica dei valori democratici;
  2. attivare la solidarietà, la cooperazione, il pensiero critico, sviluppare autonomia e responsabilità;
  3. regolamentare la disciplina e la convivenza sociale;
  4. prevenire e superare i conflitti sul piano del rispetto, dell’uguaglianza, della tolleranza, della giustizia;
  5. favorire la comprensione delle differenze individuali accettando le idee, le credenze, le preferenze e gli atteggiamenti degli altri;
  6. contribuire all’organizzazione di idee, alla formulazione di giudizi e allo sviluppo dell’espressione orale.

Tali criteri sono le linee guida per valutare e riconoscere i progressi del gruppo e dei singoli ( la valutazione non riguarda solo il percorso individuale ma anche l’osservazione del procedere dei processi di gruppo ).
Bisogna essere convinti e sostenere con le famiglie che non è una perdita di tempo, ma un investimento nella formazione degli alunni.
In Freinet ( ma analoghe esperienze sono state condotte nelle colonie da A. S. Makarenko, a Summerhill da A. S. Neill, nell’orfanatrofio di Varsavia da J. Korczàck,…) la riunione settimanale della cooperativa è uno spazio dove si analizzano e discutono i problemi della classe e si ricercano soluzioni, si definiscono obiettivi e richieste e si progettano i piani di lavoro.
Il lunedì si colloca in classe un quadro murale con 4 colonne che indicano: critiche, congratulazioni, proposte e realizzazioni.
Durante la settimana i bambini scrivono sul tabellone le loro valutazioni sui compagni e sul gruppo firmandole con il proprio nome per essere responsabili delle proprie opinioni.
L’ultimo giorno della settimana i bambini si riuniscono in assemblea e leggono i contenuti del murale commentando le diverse situazioni esposte. L’assemblea è gestita da un presidente e da un segretario.

Esempi:

CRITICHE
Critico Janot che salta dalla finestra della classe ( Claudine)
Critico Eliane, che tiene per sé le forbici e non me le vuole prestare (Maria)
Il presidente chiede agli ‘accusati’ se accettano la critica, chi l’ha scritta argomenta le sue ragioni e l’accusato ha il diritto di replica per difendersi.
A volte la discussione si fa accesa, il presidente mantiene l’ordine e fa sì che si parli uno alla volta. Il segretario registra nel libro dei verbali le decisioni finali.
Se necessario, il maestro interviene per evitare sviluppi non consoni.

CONGRATULAZIONI
Mi congratulo con Stevens e con tutti quelli che hanno lavorato bene per la scelta delle poesie ( Frank e Jean Paul)
Mi congratulo con Patrice che ha fatto una bella barchetta ( Fred)
Le congratulazioni sono il riconoscimento allo sforzo per migliorare gli atteggiamenti e i comportamenti o per i servizi alla comunità.

PROPOSTE
il maestro deve fare attenzione alle richieste e in certi casi spiegare sinceramente perché alcune non sono realizzabili. Ad esempio nella classe di Freinet c’erano proposte tipo:
Vorremmo una bella piscina in mezzo al campo da gioco
Non voglio continuare ad essere il responsabile della tipografia ( Jean Pierre)
Mi piacerebbe che la mostra fosse organizzata meglio ( Paul)
Chiediamo che venga tagliato il grande ramo perché ci disturba quando giochiamo al pallone

REALIZZAZIONI
i bambini annotano i risultati conseguiti, che li motivano a continuare a lavorare con entusiasmo. Vengono alla luce gli aspetti positivi realizzati dalla classe.
Abbiamo dipinto dei bei disegni (Sylviane)
Ho dato una conferenza interessante con Jean Pierre (Roland e Jean Pierre)
Ho costruito una bella scatola per gli insetti ( Richard)

L’assemblea è uno spazio privilegiato di educazione morale e civile, sostituisce il controllo verticale e le punizioni con il dialogo, il consenso, il rispetto e le scelte in un ambiente cooperativo e democratico. Stimola alcuni a impegnarsi e altri a sforzarsi di superare le loro debolezze, rende tutti responsabili delle loro azioni.
Consente di sviluppare capacità di sottoporre problemi, di argomentare, di difendere una causa e di discutere pubblicamente.
La dinamica dell’assemblea personalizza l’ambiente collettivo e facilita l’identificazione dell’individuo con il gruppo.

I maestri e le maestre che praticano la pedagogia Freinet hanno introdotto una serie di varianti all’assemblea pur mantenendo lo spirito educativo della tecnica adattandola al livello, al grado, all’età, alle condizioni infrastrutturali.
In alcuni casi è gestita per una fase dall’insegnante finché i bambini diventano autonomi, in altri dove alunni e maestri hanno più esperienza l’assemblea si installa da principio, ci sono anche esperienze in cui l’intera scuola si raccoglie in assemblea.

Si possono definire le seguenti fasi:

SENSIBILIZZAZIONE
Si promuove la riflessione sul ruolo che gli alunni possono avere in:
a)     la soluzione di conflitti quotidiani tramite il dialogo;
b)    la partecipazione all’organizzazione del gruppo, l’inserimento in commissioni ( materiali, biblioteca, arredamento, igiene, assistenza, giochi,…)
c)     la pianificazione delle attività
d)    la presa di decisioni e l’elezione dei rappresentanti
E’ importante che i bambini e le bambine siano convinti dell’importanza che assume l’assemblea. non deve essere vissuta come un’idea dell’insegnante ma come una necessità per partecipare attivamente alla vita sociale.

ELABORAZIONE DEL REGOLAMENTO DEL GRUPPO
La vita della classe deve essere diretta da regole chiare stabilite democraticamente dagli alunni. A gruppi, i bambini discutono e propongono le norme che daranno corpo al regolamento. Vengono poi analizzate in plenaria e sceglie quelle che costituiranno il regolamento. Sarà la piccola grande Costituzione che regolamenterà i rapporti interpersonali e il clima generale. Con il regolamento i bambini esercitano la loro libertà e nello stesso tempo rispettano i limiti concordati.

INSEDIAMENTO DELL’ASSEMBLEA ED ELEZIONI
Il maestro apre la prima seduta, dà il benvenuto e dichiara formalmente insediata l’assemblea. Si procede poi alle elezioni a cui partecipano anche gli insegnanti e i genitori eventualmente presenti:
a)     il maestro invita l’assemblea a formulare proposte
b)    i nomi si scrivono alla lavagna, i candidati si presentano
c)     il voto può essere palese o segreto ( se la situazione lo richiede, ad esempio se un gruppo di alunni esercita pressioni sugli altri); si decide come attribuire le cariche di presidente, vicepresidente, segretario; a volte gli alunni propongono turni di nuove elezioni per favorire l’esperienza da parte di tutti
d)    il presidente apre e dirige l’assemblea dando la parola

L’assemblea va realizzata ogni settimana, di preferenza il venerdì al termine della giornata ( a meno che la situazione non richieda la convocazione di un’assemblea straordinaria).
Le sedie vanno disposte in modo che tutti possano vedersi in faccia. La durata dell’assemblea varia a seconda dell’età e dell’ordine del giorno: alla scuola dell’infanzia può durare da 15 a 20’, nei primi anni della primaria mezz’ora e via via un’ora o più.

Il ruolo dell’insegnante
a)     assumere le proposte formative dell’assemblea
b)    dare fiducia ai bambini: senza fiducia nei bambini non sta in piedi l’assemblea; il maestro deve essere convinto che possano organizzarsi, esprimere le loro opinioni, decidere, assumersi delle responsabilità ed esercitare la loro libertà in modo sensato. Il maestro che agisce in questa direzione cede parte della propria autorità all’autogestione del gruppo e rinuncia al suo potere tradizionale.
c)     animare i bambini. All’inizio essi porranno resistenza all’espressione delle loro opinioni, sia perché non sono abituati che perché pensano che sia compito del maestro risolvere i conflitti e organizzare il lavoro.
d)    essere imparziale. In certe occasioni l’assemblea non può risolvere problemi particolarmente difficili ( per esempio, un furto o gravi forme di indisciplina) e i bambini attendono dall’insegnante il suo punto di vista e la decisione definitiva. In questi casi il maestro dovrà essere assolutamente imparziale. in questo modo trasmetterà il senso di giustizia. Deve garantire un ambiente di libertà e rispettoso affinché l’assemblea no si traduca in un processo per nessuno, né si applichino sanzioni irrazionali che offendano la dignità. Le misure consentite devono essere scusarsi, riparare il danno, realizzare qualche lavoro a beneficio della comunità.
e)     promuovere la riflessività prima dell’azione: il maestro deve orientare gli alunni perché non prendano decisioni precipitose. E’ importante esercitare a soppesare alternative per la soluzione di conflitti.

[1] C. Freinet, ‘Le mie tecniche’, La Nuova Italia, Firenze




La scuola alla ricerca della sicurezza: da ambiente educativo a carcere

bambini_scuoladi Antonio Fini

Dopo il tragico evento di Milano si moltiplicano le “misure organizzative” predisposte dai dirigenti scolastici a tutela di una “sicurezza” impossibile da ottenere.
Le scuole stanno evolvendo.
Da ambienti di apprendimento a carceri.
C’è chi sostiene, giustamente, che siano misure completamente sbagliate, dal punto di vista pedagogico.
Ma c’è una questione culturale molto forte.
E ora siamo nella fase di “moral panic”. È del tutto evidente che non esistono luoghi “sicuri” al 100% e infatti le famiglie, ad esempio, continuano a mandare i bambini in palestre, campi sportivi, piste da sci: tutti luoghi dove ci si infortuna facilmente e nei quali la sorveglianza non è certo così ossessiva.

Intorno agli 11 anni vanno in giro in bicicletta, a 14 anni salgono su motorini e scooter, aiuto!
Ma a scuola no: a scuola tutto deve essere controllato, la vigilanza continua, una sorta di “catena del freddo” per cui il minore dovrà passare sempre dall’occhio di un adulto ad un altro.
A scuola non può esservi alcun rischio. Se c’è, è colpa di qualcuno, anche quando dipende soltanto dal caso.
Certo, lo stato pietoso di molte (troppe!) scuole non aiuta e, anzi, induce un senso di comprensibile insicurezza.
Ma se, al fondo, non si mette mano a questa mentalità iper-protettiva e rivendicativa (grazie agli articoli del Codice Civile e alle interpretazioni giurisprudenziali ultrarestrittive) le cose non potranno cambiare.
E così, nello scenario attuale, la pedagogia è diventata un “lusso” che non possiamo permetterci.




RICERCA D’AMBIENTE IN FREINET E NEL MCE

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 di Giancarlo Cavinato

Nell’introdurre i ragazzi all’esplorazione ambientale, quindi alla conoscenza del sé in un contesto sociale, il metodo della ricerca si avvicina al tatȏnnement di Freinet, in cui la globalità del reale è intuita attraverso l’esperienza diretta di molteplici fenomeni sociali e naturali, attraverso l’osservazione e la manipolazione.

Freinet introduce la ‘classe promenade’: attraverso il contatto con l’ambiente naturale ( il fiume, la cava, il bosco,..) ed artificiale ( la città, il quartiere, i trasporti, la fabbrica,..) i ragazzi osservano, documentano, colgono le trasformazioni ad opera dell’uomo.

Le ricerche d’ambiente sono finalizzate alla comunicazione della realtà vissuta dai ragazzi: le ‘scoperte’ vengono descritte attraverso le lettere (tecnica di base della corrispondenza) .
‘I ragazzi di ambedue le classi trarranno spunto da questo scambio per scavare in profondità nel proprio ambiente e per entrare in contatto con un mondo diverso’ ( B. Ciari)

Successivamente nel MCE la metodologia della ricerca in una società via via più complessa viene ampliata assumendo le proposte di Dewey (‘Logica, teoria dell’indagine’), di Bruner sul transfer di acquisizioni attraverso il modello ricorsivo di costruzione dei concetti a spirale aperta per successivi livelli di approfondimento e gli apporti delle scienze umane e sociali (cfr. il programma di studi sull’uomo di Bruner in cui si indicano le ‘forze di ominizzazione’ nelle diverse culture: gli strumenti materiali, le risorse ambientali, il linguaggio, l’immaginario).

Molta attenzione viene posta sull’aspetto democratico della ricerca.
De Bartolomeis in ‘La ricerca come antipedagogia’) ne rileva il carattere aperto, non riducibile a schemi e metodi preconfezionati. La ricerca coinvolge insegnante e allievi, a differenze del modello trasmissivo e unidirezionale di lezione.

Perché fare ricerca:

  • per la conoscenza della propria realtà
  • la ricerca parte dal principio che il soggetto che conosce è inserito nella realtà che intende conoscere, sta con essa in rapporto dinamico, può diventare un soggetto attivo
  • ogni esperienza ha una fase di contatto diretto con i fenomeni che è impregnato di emotività: c’è uno stretto rapporto fra emozione e conoscenza
  • al rapporto emotivo poco a poco si sostituisce la riflessività: il pensiero consente la mediazione e la simbolizzazione e quindi la creazione di concetti, simboli, modelli interpretativi attraverso tre fasi:
    –   riconosco anche agli altri i caratteri del mio o dei miei problemi ( generalizzo)
    –   tendo ad elaborare modelli esplicativi delle cause dei miei problemi
    –   tendo ad elaborare concetti atti comportamenti che mettono in discussione critica le cause individuando i problemi nel contesto della società, della storia
  • la ricerca apre a un continuo confronto fra presente- passato-futuro con la  costruzione di una visione unitaria della realtà
  • i concetti, le variabili della dinamica sociale devono essere scoperti e costruiti dai ragazzi: non trasmessi. E’ fondamentale il lavorio che produce forme di categorizzazione degli aspetti della realtà.
  • la conoscenza autentica produce interesse critico per le situazioni sociali ed economiche
  • la ricerca non è pura descrizione della realtà ( non si limita a formare osservatori passivi ma individui critici)
  • la ricerca è messa in crisi della ‘oggettività’ del dato.
  • consente un passaggio dall’opinabilità del pensiero comune ( stereotipi,..) alla verificabilità delle affermazioni.

Ogni ricerca deve dare origine a un quadro di riferimento dei problemi e alla presa di coscienza della necessità di nuovi comportamenti di compiere delle scelte.
L’impiego di una serie di concetti socio-economici ( habitat, lavoro, livello tecnologico,..) consente di definire il campo di indagine sul quartiere o sulla famiglia così come di un’indagine geografica sul mondo o di un’indagine storica sulle civiltà, procedendo per somiglianze e differenze.
Acquisire dei concetti interpretativi permette di innestare, a partire dal lavoro di ricerca d’ambiente ,le successive ricerche storiche, geografiche, ecologiche.

A un primo livello l’indagine verte sulla realtà psicologica del ragazzo, esplorando temi quali il gioco, la scuola, la famiglia, le paure, i compagni,… La visione é ancora egocentrica, è una prima ricostruzione di un ambiente che per i b. è ancora destrutturato, sfocato. Si scoprono le prime interrelazioni.
A un secondo livello il campo si amplia al contesto di vita, si estende ai fatti economici, sociali, fisici: il quartiere, la casa, i servizi, i problemi della famiglia, l’urbanizzazione, il rapporto città-campagna, il lavoro, la casa, il tempo libero, la storia familiare e generazionale.

Ad esempio in una classe quarta l’interesse si è concentrato sulle case, sui criteri di costruzione, sulla loro età. E’ così stata svolta un’indagine sul paese acquisendo i dati sul periodo di costruzione degli edifici dall’ufficio urbanistica del comune. Si sono colorati per fasce di età case ed edifici pubblici, determinando così le fasce di sviluppo del paese dal centro urbano verso la periferia e verso il progressivo unificarsi con i centri limitrofi. Confermando la propria ipotesi circa la forza di attrazione di alcune zone rispetto ad altre: legate non solo, come a una prima percezione era stato ipotizzato, a scelte soggettive (‘perché si vive meglio, ‘perché gli piace di più’) ma a precise decisioni economiche e urbanistiche.

A un terzo livello si possono analizzare comportamenti e valori della realtà ambientale e sociale in rapporto a modelli antropologici e sociologici di spiegazione dei fatti umani: l’ambiente, l’economia, le strutture sociali, la cultura, le trasformazioni e le permanenze.

La ricerca non ha sempre un andamento lineare, ma il risultato è un lavoro per tentativi successivi, per approssimazioni, per successivi livelli di approfondimento producendo quadri sintetici delle diverse ricerche ed evidenziando  l’ipotesi non formulata una volta per tutte ma oggetto di definizioni successive.

L’ambiente è costituito da una rete di interazioni fra elementi naturali e sociali che devono essere evidenziate e spiegate dai ragazzi, in cui la dimensione economica accanto a quella culturale e naturale viene progressivamente scoperta nella sua incidenza sulla vita e le dinamiche sociali.
Individuazione di una prima serie di rapporti su cui si basa ogni organizzazione umana, isolandone alcune componenti e permettendo ai ragazzi di riconoscerne, attraverso un’attività logico-conoscitiva, la funzione e l’importanza.
E’ quindi visto come un sistema di relazioni dinamiche tra elementi ( persone cose istituzioni…), l’insieme di tutti gli elementi che possono entrare in relazione dinamica tra loro: il rapporto nel quale ciascun termine influisce sulla struttura e sulla posizione relativa di tutti gli altri).

Viene quindi superato un modello descrittivo dell’ambiente e delle sue caratteristiche, quale si trova nei libri di testo a favore di una selezione degli aspetti della realtà che assumono maggior rilievo selezionando spazialmente e temporalmente il campo di indagine su cui porre/ porsi domande.
La conoscenza non è statica e chiusa, è un’interpretazione della struttura dinamica della realtà, ogni acquisizione rinvia a spiegazioni più approfondite.

La ricerca presuppone il lavoro di gruppo e lo scambio degli esiti di settori su cui si indaga.

L’insegnante ricerca con i ragazzi ed è garante della correttezza metodologica.

FASI DELLA RICERCA

EMERGENZA DEI PROBLEMI: si parte da domande e problemi che suscitano interesse
DEFINIZIONE DI UN’IPOTESI DI RICERCA: tentativo di capire come risolvere il problema
DEFINIZIONE DEL CAMPO: ambito spaziale e temporale della ricerca

Il CAMPO non è un dato. La definizione di campo è un’operazione che si fa in modo funzionale al problema e all’ipotesi.
Nella definizione di campo l’operazione fondamentale è la scelta di certi nessi relazionali da indagare tralasciandone altri concentrandosi su punti focali.
Il campo può essere il Veneto, ma è definito correttamente quando si precisa che si intende occuparsi di un aspetto, non di tutto: ad esempio della sua economia   per cui ci si andrà chiarendo che ci si occupa della distribuzione della forza lavoro nelle differenti attività produttive; o dell’emigrazione ( quando? oggi, un secolo fa?)
Si ottengono risultati positivi quando a un certo punto ci si rende conto di dover cercare una spiegazione più generale prendendo in considerazione nessi più ampi.

SCELTA DEL CAMPIONE quanti e quali individui o istituzioni controllare.
Il dato è il punto di riferimento di un’indagine. Di per sé non dice nulla, acquista significato per confronto e sulla base di parametri scelti ( es. costo del trasporto in confronto con altre città o paesi). Si possono avere impossibilità a rilevare i dati da tutta l’estensione del campo di indagine. Ci si serve delle tecniche del campione per rilevare dati da una parte dell’universo di indagine’ che per induzione si possono considerare probabilmente validi per tutto il campo. ( rappresentatività del campione).
Un campione è tanto più rappresentativo quanto più rappresenta le varietà interne all’universo ( es. per calcolare la quantità media di calorie consumate da abitanti di un paese di 1000 persone con un campione di 100 unità, devo riprodurre proporzionalmente il livello di vita- classi di reddito e di occupazione, età. In una ricerca si è comparato il consumo medio di carne o di pesce delle famiglie in un mese)

LE FONTI più vicine- più lontane dall’esperienza dei ragazzi: la biblioteca di classe, gli audiovisivi, il digitale.

GLI STRUMENTI
I ragazzi dovranno poter controllare con sicurezza metodologie e strumenti e metterli alla prova in contesti più complessi ( indagine statistica, visualizzazione grafica, concetti di ordine, relazione, interazione, causalità,..)
Strumenti fondamentali ( ipotesi, mezzi di indagine, rappresentazione grafica, costruzione modello di spiegazione) devono essere conquistati autonomamente: intervista, questionario, dati statistici, documenti,….
Il questionario é strumento complesso alla cui costruzione si giunge per momenti successivi ( colloquio informale, domande senza un ordine, classificazione domande nel testo scritto, formulazione sempre più chiara,..)
Nella formulazione delle domande bisogna   possedere un’idea chiara di ciò che si intende sapere e dell’uso che se ne vuol fare.
Ci possono essere domande con risposte guidate ( sì-no) o a risposte più libere ( più vicine alla tecnica dell’intervista).
Nel primo caso é facile quantificare risposte e stabilire relazioni fra i dati.
Nel secondo caso l’ utilizzo é più complesso. Possono costituire strumento di controllo del significato delle prime ( es.: in un’inchiesta sul passaggio da campagna a città può essere utile confrontare i dati quantitativi sul numero di anni del passaggio di residenza con domande tipo ‘che abitudini avete cambiato?’)
La precisa rilevazione dei dati è condizione indispensabile: rilevazione diretta ( es. registrazione di quante auto passano per una via in una certa ora; questionari; interviste;…) o indirettamente ( giornali, fonti statistiche,…)
Con le fonti indirette si hanno risposte univoche quantificabili, , con le dirette si privilegia il contatto interpersonale.

RACCOLTA DI INFORMAZIONI ED ELABORAZIONE DEI DATI IN TABELLE con scelta dei criteri di classificazione. E’ la fase centrale.

MESSA IN RELAZIONE DEGLI ELEMENTI
La relazione è un confronto fra due fenomeni: a una variazione del primo corrisponde una variazione del secondo

TESI ( DEDUZIONE) risultante dalla relazione fra variabili se si individuano i rapporti causa-effetto.

RAPPRESENTAZIONE DEI RISULTATI E COMUNICAZIONE
La relazione, punto di arrivo – strumento di controllo degli apprendimenti- non deve avvenire solo alla fine ma già nel corso ricerca ci vogliono momenti di scambio delle informazioni e di discussione sull’andamento del lavoro. Bisogna abituare a inserire sempre annotazioni sulla metodologia di lavoro ( motivazione delle scelte, strumenti impiegati, distribuzione dei compiti all’interno del gruppo di lavoro, valutazione del funzionamento del gruppo,..) suggerire tecniche per vivacizzare la comunicazione: cartelloni, PP, disegni, rotazione degli espositori, animazione,… tecniche di drammatizzazione, role playing e simulazioni, burattini, cantastorie, montaggi multimediali, reportage fotografici, video, cartelloni, schede di ricerca, giornalino e corrispondenza, mostra.

Al termine si verifica l’  EMERGENZA DEI CONCETTI. E DELLE STRUTTURE E FORMULAZIONE DI MODELLI ESPLICATIVI.

fonti
C. Freinet ‘La scuola del fare’, Junior, Bergamo, 2002
C. Freinet ‘Le mie tecniche’ La Nuova Italia, Firenze, 1990
G. Giardiello B. Chiesa ‘I campi di indagine scuola elementare’, ‘Gli strumenti per la ricerca’, I contenuti della ricerca’, La Linea, Padova, 1976
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