Benvenuto (si fa per dire) Google Bard!

di Marco Guastavigna

Da ieri, il dispositivo di conversazione simulata a scopo estrattivo di Alphabet è disponibile anche nell’Europa comunitaria e di conseguenza in Italia, per tutti coloro che hanno compiuto i 18 anni.
È necessario un account Google e sono esclusi quelli gestiti tramite Family Link o quelli di Google Workspace for Education che risultino appartenere a qualcuno che ha meno di 18 anni.

Al primo accesso veniamo avvisati che le nostre conversazioni con Google Bard potrebbero essere elaborate dai revisori “a fini qualitativi”.
Approfondendo, scopriamo quali sono le misure per la protezione dei dati personali adottate, presumibilmente per evitare osservazioni come quelle fatte dal Garante della privacy, cui a suo tempo ChatGPT rispose bloccando l’accesso agli indirizzi IP provenienti dall’Italia, provvedimento che ancora adesso fior di intellettuali laureati interpretano come un blocco diretto di matrice istituzionale, senza minimamente porsi il problema (che noja, la tecnica!) di come fosse e sia (im)possibile attuarlo.

A leggerlo, il documento sulla privacy è trasparente, in piena coerenza con quanto messo in atto per gli altri servizi a vocazione profilante ed estrattiva: “Google raccoglie le tue conversazioni con Bard, le informazioni relative all’utilizzo del prodotto, le informazioni sulla tua posizione e il tuo feedback. Google utilizza questi dati, in conformità con le sue Norme sulla privacy, per fornire, migliorare e sviluppare prodotti e servizi e tecnologie di machine learning di Google, inclusi i prodotti aziendali di Google come Google Cloud”. Per partecipare alla sperimentazione, insomma, dobbiamo accettare anche in questo caso uno scambio – ineguale – tra servizi ricevuti e lavoro prestato ai fini del raffinamento dei dispositivi.

Per quanto riguarda i singoli utenti, apprendiamo che “Per impostazione predefinita Google memorizza le tue attività di Bard sul tuo Account Google per un massimo di 18 mesi, un periodo che puoi cambiare in 3 o 36 mesi all’indirizzo myactivity.google.com/product/bard.
Anche le informazioni sulla tua posizione, compresa l’area generale del dispositivo, l’indirizzo IP o gli indirizzi di casa o di lavoro nel tuo Account Google, vengono memorizzate nell’attività di Bard. Scopri di più all’indirizzo
g.co/privacypolicy/location”. Il costante tracciamento individuale è dichiarato e verificabile, insomma.

Tornando ai revisori, “Per contribuire alla qualità e migliorare i nostri prodotti, (…) [essi] leggono, annotano ed elaborano le tue conversazioni con Bard. Nell’ambito di questa procedura, adottiamo misure volte a proteggere la tua privacy. Ciò include la disconnessione delle conversazioni con Bard dal tuo Account Google prima che i revisori possano visualizzarle o annotarle. Non includere informazioni che possano essere utilizzate per identificare te o altri utenti nelle conversazioni su Bard”.
La piena protezione dal riconoscimento dei soggetti impegnati nelle conversazioni è quindi a carico degli utenti dei servizi.

Consigliamo di leggere con attenzione tutto il documento da cui abbiamo estrapolato le citazioni e di riflettere su ogni singolo passaggio, limitandoci qui a richiamare ancora la più interessante tra le precauzioni a scarico di responsabilità elencate tra le cose da sapere: “Non considerare le risposte di Bard al pari di consigli medici, legali, finanziari o di altro tipo.”
Abbiamo una sola speranza: che si smetta di appiattire la discussione sulla cosiddetta intelligenza artificiale su ChatGPT, come è avvenuto in modo ingenuo, sensazionalistico e irritante in questi ultimi mesi.

 




PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

Dopo

Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento
Dimensione pedagogica- organizzativa: gli spazi
Dimensione metodologica: esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche.
Digitale nell’apprendimento: ricerca, esplorazione e scoperta
Ricerca e conoscenza
Apprendimento cooperativo e condivisione
Didattica laboratoriale.
Imparare ad imparare

Si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare diversi ruoli fondamentali
  • Importanza degli aspetti emotivi e relazionali anche, e soprattutto, in ambienti digitali.
  • E spiegare cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, – contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente – come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al PNRR.

Valutazione formativa
La valutazione formativa è la bussola che orienta il percorso educativo-didattico. [1]

La valutazione mediante software ha attraversato un momento strumentale con il CAI e il CAD, cioè la valutazione, spesso solo quantitativa, ancora in uso anche nelle Università, alle superiori e nei concorsi. Con questionari spesso a risposta multipla somministrati online e poi valutati con ottica sommativa o dando un peso alle varie risposte col programma stesso (talora poi comunicati in automatico via mail o pubblicati).
Ancora ora una parte della valutazione viene affidata a software ed algoritmi (es: Registro elettronico + tabelloni elettronici degli scrutini ed esami, prove standardizzate…).
Un apprendimento come quello descritto sopra non può invece essere accompagnato e concluso che con fasi di osservazione durante il lavoro, con strumenti e metodologie di valutazione formativa. E con forme di autovalutazione, proprio perché è un percorso personale di esperienza, anche relazionale ed emotiva, condiviso e non una singola performance.
E poi il docente non deve solo rilevare un errore o problema, ma caso mai rifletterci sopra con gli allievi, anche con forme di autovalutazione. E questo la macchina non lo fa. [2]
Il lavoro in ambiente digitale trova la collocazione della valutazione intesa come valutazione formativa in un processo metodologico per competenze che preveda le fasi: Progettazione -> Osservazione -> Riprogrammazione ->Valutazione e autovalutazione-> Documentazione.
Le forme di osservazione e valutazione sono già previste nella progettazione, che, come momenti di verifica, tendono a modificare.[3]

Ancora due annotazioni:
1- la osservazione per la valutazione (del progetto, non solo di singole performance individuali) è fatta di raccolta di informazioni e dati: l’uso di ambienti digitali facilita la raccolta, organizzazione ed elaborazione di dati e fornisce informazioni sul lavoro dei singoli o dei gruppi (chi fa cosa, chi consulta cosa, chi scambia messaggi, risorse…), evidenziando i contributi e documentando i progressi individuali e del percorso.
2- Inoltre l’ambiente digitale facilita, fornendo ambienti e strumenti (prima prassi i siti delle scuole), la documentazione, il rendere pubblico e condivisibile non solo il prodotto, ma il percorso fatto. Documentazione utile a far conoscere il progetto e la ricerca al fine di costruire archivi condivisibili e consultabili, come memoria della didattica ed evitando di fare tutti la stessa ricerca. Auspicabili archivi generali (a livello nazionale e regionale) accessibili.

Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente

 L’ambiente di apprendimento non può prescindere da coloro che lo abitano; in esso i docenti rivestono un ruolo essenziale. ibidem
In ambiente digitale il docente ha ruolo di proposta, di discussione, di progettazione, di mediazione, di coordinamento, di stimolo alla riflessione che deve avvenire durante e dopo il lavoro (meta riflessione). Senza consapevolezza di quanto si è fatto, imparato, dei problemi emersi o scoperti, delle dinamiche relazionali attivate non c’è formazione di competenze digitali utili. Quindi non basta far lavorare i ragazzi, se poi non li si fa riflettere sul percorso, sulle esperienze, sulle dinamiche, sui prodotti. Rivoltella. Inoltre il docente ha una funzione di esempio, di proposta, di co-costruzione del progetto, di coordinamento, di osservazione organizzata delle dinamiche, dei problemi, delle nuove strade che si aprono (ma anche di attenzione e stimolo rispetto ai temi della sicurezza online).

4- DIMENSIONE RELAZIONALE: CLIMA RELAZIONALE D’APPRENDIMENTO E COSTRUZIONE PARTECIPATA DI REGOLE CONDIVISE DI CONVIVENZA

Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Le esperienze di vita degli allievi rappresentano il terreno fertile su cui far crescere nuovi apprendimenti. ibidem
L’ esperienza di esplorazione e collaborazione in forme nuove spesso poco conosciute, con problemi tecnici da affrontare non può avvenire se il docente si ferma ad un atteggiamento di paura: paura di non dominare le tecnologie, di non dominare il processo o le cose sconosciute che si possono incontrare in rete, di dominare o scoprire insieme i due “fronti” quello tecnico-operativo e, in contemporanea, quello formativo ed operativo con la classe.
O se è demotivato o manca di fiducia nelle competenze, tecniche e non solo, in divenire, degli allievi; è utile essere consapevoli del fatto che queste competenze implicite non sono sufficienti a dominare il web e non esserne dominati. I nativi digitali non esistono – Attivissimo ed altri.

Spesso però la collaborazione fra competenze tecniche implicite degli allievi e competenze formative di progetto, di stimolo, meta riflessione e consapevolezza dei docenti per quanto riguarda la cittadinanza digitale, cioè il lavoro collaborativo con due diversi ruoli è esperienza formativa vincente e significativa dal punto di vista relazionale ed emotivo per gli allievi. Perché il docente si è messo in gioco con loro, pur conservando il suo ruolo di controllo, formativo, di organizzatore e tutor, ma accettando il contributo di altre esperienze e integrandosi con esse. Promuovendo gradualmente e consapevolmente autonomia.

Inclusione delle diversità

Per attivare procedure inclusive all’interno della classe ed evitare che le diversità si trasformino in disuguaglianze: è opportuno adottare specifiche strategie. ibidem

Ci sono tre modi per essere “diversi” nell’uso delle TIC e del web:
a- quella della disabilità o di BES cui le TIC offrono da decenni aiuti molto concreti sia in ottica aumentativa che in ottica sostitutiva e o di adattamento dei compiti. In questo il digitale è una risorsa storica e non un problema. Sempre che i docenti siano formati e capaci di usare in modo utile gli strumenti offerti. I disabili spesso se li portano da casa o li hanno usati nelle scuole precedenti. Li conoscono già.
b- Quella del divario digitale fra chi ha, anche a casa, le TIC e la rete e chi no e non può permetterselo (circa il 25  % degli Italiani non ha la connessione o non se la può permettere. Mentre tutti (94%) hanno uno smartphone. I dispersi della DaD (ca 30%) sono stati i disabili e i ragazzi in difficoltà socio-economica, anche perché si vergognavano di farci entrare a casa loro. Questo evidenzia differenze sociali ed economiche all’interno della classe.
Per questo occorre molta attenzione sia nel richiedere agli allievi di portare da casa strumenti digitali che la scuola non può offrire, sia nell’assegnare compiti/lavori a casa che alcuni allievi ed alcune famiglie non possono affrontare. È un problema educativo sulla strada della integrazione, solo in parte e solo a certi livelli di scuola (superiori) aggirabile con l’uso di smartphone, maggiormente, ma non universalmente diffusi. In DaD si è lavorato su questo, il PNRR oltre la spesa tecnologica compulsiva ha un filone apposta. Vedremo.
c- Dell’utilità delle TIC per l’inclusione: le TIC agevolano la possibilità di diversificare i contributi dei singoli allievi all’interno della classe o del piccolo gruppo di lavoro, permettendo quindi la valorizzazione dei vari diversi contributi ed abilità degli allievi, con i loro diversi stili di apprendimento e l’apprendimento tra pari.

Clima emotivo di classe
L’apprendimento avviene attraverso una relazione di empatia; ecco perché il clima della classe determina la qualità dei percorsi educativi-didattici. ibidem
Gli aspetti emotivi e relazionali sono, in “ultima analisi”, determinanti nell’apprendimento che “passa” attraverso il rapporto docente-allievo e tra gli allievi della classe. All’interno di quello che B. Losito ha spesso chiamato il “clima di classe”.[4]
L’apprendimento (e l’insegnamento) sono esperienze emotive, non solo concettuali e il clima emotivo condiziona fortemente (in positivo o in negativo) la riuscita in ogni gruppo di lavoro.
Gli ambienti e le tecnologie sono ambienti emotivi oltre che relazionali e la introduzione di ambienti e strumenti nuovi, da sempre provoca dinamiche di entusiasmo in pochi e di paura e disorientamento in molti  docenti, più ancora che tra gli allievi.
L’empatia da raggiungere dei docenti verso la classe e l’imbarazzo nei confronti di ambienti e strumenti nuovi sono da sempre, un ostacolo alla introduzione delle tecnologie. È quindi un obiettivo da raggiungere, attraverso la scelta condivisa, la formazione (non addestramento) e la esperienza tutorata. Ogni nuovo ambiente di apprendimento porta delle paure di essere incapaci di affrontarlo e potrebbe invece invogliare all’empatia il gruppo che lo affronta insieme.

Il docente

Il ruolo del docente nel determinare il clima di classe è fondamentale, perché i ragazzi imparano da ciò che noi siamo e dalle esperienze significative che facciamo insieme, soprattutto se hanno una componente emotiva. Ovviamente il tipo di relazione si giudica sul lungo periodo (coerenza) e non in base ad episodi temporanei.
È utile al clima di classe ad esempio che un docente:

1. dimostri un atteggiamento di disponibilità all’ascolto
2. dimostri empatia e capacità di tollerare i problemi, per poi cercare di risolverli
3. valorizzi la positività dei propri allievi piuttosto che sottolinearne le carenze
4. sia disponibile al dialogo e all’accettazione di pareri diversi dal suo se li ritiene utili
5. dimostri coerenza e sia trasparente nelle decisioni che riguardano allievi e classe e nella valutazione ibidem

Il tipo di lavoro attivo, collaborativo e cooperativo di una ricerca o di un’esperienza digitale col docente che lavora insieme agli allievi, con competenze e ruoli diversi, ma tendenti allo stesso fine comune non può che rafforzare la conoscenza reciproca, il senso di comunità di apprendimento e quindi il clima del gruppo. Anche cercando insieme le soluzioni e accettando tutti i suggerimenti utili. Diverso è se il docente, in aula o in laboratorio, “porta i ragazzi a lavorare” e poi non si mette in gioco con loro fino in fondo. Il lavoro col digitale esce dai sentieri conosciuti, tende all’esplorazione, al nuovo e quindi alla scoperta di percorsi e problemi nuovi e comuni. Una vera ricerca sa dove comincia, ma non sa come finisce.

Domande
Non è il digitale anche secondo gli studi OCSE 2014, 2015 e più recenti[5], che aggiunge valore di per sé e migliora l’apprendimento, ma il buon docente, il suo atteggiamento nel lavoro e nella relazione e le sue scelte metodologiche.
Ideale sarebbe dare “buone” tecnologie in mano a buoni docenti, ma se queste riflessioni sono condivisibili:
1- PNRR scuola 4.0 e relativa formazione sono su questa strada?  Oppure avremo la solita formazione tecnica orientata al “saper usare” un giocattolo nuovo e stupefacente (pareti e tavoli “immersivi” …)?
2- I docenti, in generale, una volta che la scuola avrà fatto la obbligatoria spesa digitale, sono poi disponibili aiutati e motivati a questa costosissima nuova situazione? O la subiranno, insabbiandola?
3- Avremo fatto un passo avanti ragionevole nella evoluzione dell’uso del digitale a scuola (da parte di tanti) o avremo buttato via un sacco di soldi?

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[1] Lo schema generale di questo contributo si rifà al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare lo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere oggi sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Dobbiamo molte nuove idee e nuovi stimoli sulla valutazione formativa attuata in ambiente digitale al libro di S. Penge
https://www.edizionianicia.it/prodotto/valutare-negli-ambienti-digitali/

[3] Il concetto di circolarità del curricolo didattico è presente da tempo, ad esempio nei lavori di Nichols e Nichols, ma ha trovato una definizione più completa nella proposta metodologica del lavoro per competenze, peraltro spesso osteggiato, mal compreso o deformato nella scuola. Collegata è la esperienza di valutazione formativa nella primaria (talora non bene compresa e attuata) OM 172/20.

[4] Oltre a B.Losito, Goleman, Intelligenza emotiva

[5] Vedi anche Gui, Il digitale a scuola, https://www.mulino.it/isbn/9788815283207




Intelligenza artificiale, libri di testo, riassunti

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Stefano Stefanel

L’intelligenza artificiale e, soprattutto, il suo uso umanistico ha preso alla sprovvista tutti. La scuola, come sempre avviene, tende ad arretrare davanti ad ogni novità e la scandaglia con i crismi della conservazione, chiedendosi, piuttosto attonita, in che modo la sua tradizionale concezione del sapere venga scossa da ogni nuova “diavoleria” in arrivo. L’intelligenza artificiale, sotto le spoglie nemmeno troppo anonime di Chapt A.I., sta dando alle certezze della scuola una scossa quasi pari a quella data dalla pandemia, che ha trasformato in una settimana gli insegnanti in “esperti” sull’utilizzo delle piattaforme digitali, con modalità di apprendimento molto veloci anche se un po’ caserecce e artigianali.

La prima domanda che ci dobbiamo porre è quella relativa alla proprietà di un testo e quindi al confine che deve esistere tra plagio, citazione, rielaborazione. Il plagio è quando copio qualcosa da qualcuno e non dico che l’ho copiata; la citazione è quando copio qualcosa da qualcuno ed evidenzio chiaramente che cosa ho copiato e dico pubblicamente da chi l’ho copiato (di solito in nota), la rielaborazione è quando prendo spunto da qualcosa scritta o detta da qualcuno, la rielaboro e me ne approprio (e a volte “questo qualcuno” lo cito, mentre altre volte non lo cito). Personalmente sono stato convinto da quanto sosteneva San Tommaso D’Aquino, l’ho imparato all’Università quasi cinquant’anni fa, non ho mai avuto dubbi che alla base di ogni corretta pedagogia ci fosse quel pensiero.
Durante i quolibet all’Università di Parigi nel Trecento gli studenti dovevano sostenere una discussione su un tema introdotto dal San Tommaso. Lo dovevano fare appoggiandosi alle autorità del passato classico o alla contemporaneità del sapere cristiano, spesso contaminata da elementi arabi.

Su una cosa San Tommaso non transigeva: lo studente doveva citare la fonte da cui aveva tratto la sua argomentazione. Se non lo faceva veniva punito duramente o addirittura espulso dall’Università parigina perché aveva peccato contro Dio che lo favoriva facendolo studiare e contro la sua famiglia che pagava gli studi.
E aveva peccato di un peccato gravissimo per San Tommaso: l’arroganza di ritenere, da studente, di aver pensato qualcosa di originale, che qualche grande maestro del passato o del presente non aveva mai pensato prima. Quindi per San Tommaso l’unico sapere vero è quello che si riferisce ad una fonte, autorevole (nel caso suo spesso anche un po’ troppo autoritaria) e certa. Quindi bisognava copiare, dire cosa si aveva copiato e da che autore ci era “abbeverati”.

Questa idea non è quella della scuola italiana, che invece pare amare l’originalità degli adolescenti, spesso costruita su orribili argomentazioni nate non si sa bene dove ed ha orrore assoluto della copiatura, sia questa un ingiustificabile plagio, sia questa una corretta citazione. La scuola italiana ritiene che il riassunto sia invece ciò che produce apprendimento. Il libro di testo manualistico è un riassunto, le citazioni antologiche toccano i punti salienti di un testo e quindi ne riassumono i tratti essenziali, la spiegazione frontale del docente è un riassunto spesso di un altro riassunto (il manuale). Tutto insomma si tende a fare a scuola, tranne un sano lavoro sul testo senza mediazione alcuna.

Su questo meccanismo che continua a ritenere che la lezione frontale sia il metodo migliore per trasferire apprendimenti da una testa ben piena (quella del docente) ad una testa ben vuota (quella dello studente) si è abbattuta l’intelligenza artificiale e soprattutto Chapt A.I. che, a velocità irraggiungibile per qualunque essere umano (sulle possibilità dei replicanti si sa poco), produce testi ben scritti, corretti, banali, informati. Testi che comunque possono far prendere bei voti, perché spesso sono molto migliori di quelli prodotti con grande fatica da molti studenti. Personalmente ritengo che se un testo qualcuno lo scrive meglio di me sia corretto che lo scriva lui o lei e non io. Se poi l’intelligenza artificiale mi aiuta a produrre relazioni o testi divulgativi che io poi rielaboro e faccio miei non avrò scrupoli ad usarla, magari citando in calce l’aiuto che ho ricevuto. In questo momento sto scrivendo di mio pugno, anche perché sto esponendo una tesi che trovo molto difficile far interagire con Chapt A.I.

La tesi è questa: perché studiare su un libro di testo (manuale) che riassume qualcosa sia migliore che interrogare Chapt A.I. (o un motore di ricerca) su un qualunque argomento?
Personalmente sono da sempre contrario ai libri di testo e alla loro adozione, perché in un’ottica curricolare non capisco che cosa si possa realmente apprendere dentro un sapere stantio e immobile prodotto altrove in rapporto molto stretto con i vecchi programmi ministeriali. Ma ai docenti italiani piace il libro di testo (manuale), piace spiegarlo, piace risentirlo raccontato dai propri studenti, piace decidere di non utilizzarlo anche se è stato fatto comprare, piace corredarlo di molte fotocopie. E allora perché non piace anche l’intelligenza artificiale, che trasmette, in tempo reale, il libro di testo nella sua realizzazione più immediata e aggiornata? Questa domanda permette di entrare nella logica della scuola (non solo italiana) dove il sapere è controllo e non ricerca.
Una delle idee-base è che è necessario riferirsi ad un sapere certo e codificato per poterlo trasmettere, perché la base dell’apprendimento è comunque di tipo trasmissivo. Da qui ci si sposta poco e lentamente: un salto era stato fatto con la pandemia che aveva imposto idee nuove e nuovi orizzonti. Ma la fine della pandemia ha prodotto il più grande tentativo di restaurazione della storia della pedagogia italiana: tentativo molto forte che sta producendo danni irreparabili ed esiti di apprendimento con molti elementi critici.
A chi chiede un ritorno indietro (magati al 1967) bisogna rispondere che il ritorno c’è già ed è forte, ma trova qualche impedimento e l’intelligenza artificiale, nel campo umanistico, è uno di questi.

Molto spesso intellettuali, docenti e giornalisti irridono l’intelligenza artificiale perché fornisce risposte sbagliate. E’ balzato alle cronache mondiali un avvocato americano che ha citato in dibattimento sentenze inventate dall’intelligenza artificiale, che, successivamente interrogata sul motivo della sua trasmissione di dati falsi, ha chiarito  che aveva solo fatto un esempio tecnico di come si doveva strutturare una mozione che facesse riferimento a vecchie sentenze, che erano state inventate per meglio esemplificare. Tutti sostengono che la mente umane sia più profonda dell’intelligenza artificiale, anche se nessuno sostiene che è più veloce. Ma allora chiedo io: perché il libro di testo sì e l’intelligenza artificiale no? Visto che entrambi non vanno direttamente alla fonte se non in forma antologica o riassuntiva, non vanno direttamente sul testo ma lo selezionano antologizzandolo? Tra un riassunto manualistico e un riassunto dell’intelligenza artificiale c’è solo una differenza:   il manuale trasmette ciò che gli autori sanno mentre lo scrivono, l’intelligenza artificiale sa ciò che i suoi “gestori” in quel momento hanno immesso, e che cambia e si alimenta ogni giorno. Perché il riassunto del sapere posseduto dal soggetto che scrive il libro di testo vale più del sapere posseduto da un motore di ricerca o dall’elaborazione fatta in questo momento dall’intelligenza artificiale?

Il problema dell’apprendimento è stato messo a nudo da Chapt A.I.: se non si va direttamente al testo, si deve procedere per riassunti e tutti i riassunti, vanno rielaborati, analizzati, compresi, rifatti. Il problema si sposta dalla trasmissione del sapere riassunto all’elaborazioni di una argomentazione che poggia su un sapere conosciuto.
Mi sfugge perché le scuole adottino manuali di storia e non semplicemente Wikipedia (facendo risparmiare un sacco di soli ai propri studenti), che in tempo reale, può portarci dentro l’argomento che in quel momento ci interessa. Non mi soffermo su una dato certo: i manuali contengono più errori di Wikipedia, infatti nessuno adotta il manuale nell’edizione del 1998, ma sempre quella del 2023 per il semplice motivo che quella del 1998 è un’edizione con troppi errori, imperfezione, cose superate. Che però sono state insegnate fino a poco prima. Chapt A.I. fa lo stesso: è un manuale a domanda, che interagisce col soggetto che fa le domande. Si tratta di passare dalla valutazione dell’elaborazione e della sua originalità, alla valutazione delle competenze di controllo e rielaborazione. Quindi lo studente non deve “ripetere”, ma deve rielaborare e argomentare imparando a citare correttamente la fonte.

Il passare dal sapere trasmesso al sapere costruito, dalla riscrittura o ripetizione del riassunto alla gestione argomentata del riassunto, dalla staticità delle informazioni ad informazioni in movimento, dai dati acquisiti ai dati cercati può essere aiutato e non poco dall’intelligenza artificiale. Allora forse è il momento di rimuovere la diffidenza verso la tecnologia per far comprendere agli insegnanti la tecnologia e il suo uso, dentro formazioni di senso e non procedure “fai da te”. Credo si debba riflettere su questo: l’intelligenza artificiale è un libro di testo che risponde solo alle domande che vengono fatte. Quindi bisogna insegnare a farle.

Ah, dimenticavo, poi ci sono i testi. La Critica della ragion pura di Kant non teme l’intelligenza artificiale. E’ stata scritta così e così va letta. E’ perfetta perché non c’è nulla da cambiare. Ma questa è, veramente, un’altra scuola.

 




Chat GPT non sa nulla di De Bartolomeis! Ma, ce ne facciamo qualcosa?

di Marco Guastavigna

ChatGPT, chi è il pedagogista Francesco De Bartolomeis?

ChatGPT

Mi dispiace, ma al mio attuale livello di conoscenza, non sono a conoscenza di un pedagogista di nome Francesco De Bartolomeis. Potrebbe essere una persona poco conosciuta o potrebbe non esserci informazioni sufficienti disponibili su di lui al momento. È possibile che sia un professionista meno noto nel campo della pedagogia o potrebbe essere una persona privata con lo stesso nome. In ogni caso, non posso fornire ulteriori dettagli su di lui o sul suo lavoro.

GoogleBard
Who is the pedagogist Francesco De Bartolomeis?

Francesco De Bartolomeis was an Italian pedagogist, critic of art and politician. He was born in Pellezzano, Salerno, Italy, on January 20, 1918, and died in Turin, Italy, on June 29, 2023. He was a professor of pedagogy at the University of Turin from 1956 to 1988
De Bartolomeis was a student of Ernesto Codignola, and he was influenced by the theories of John Dewey. He was also interested in existentialism, and he wrote a book on the subject titled “Esistenzialismo e idealismo” (Existentialism and Idealism).

De Bartolomeis was a proponent of the school of thought known as “pedagogia attiva” (active pedagogy), which emphasizes the importance of student participation and experiential learning. He was also interested in the reform of education, and he played a role in the creation of full-time schools in Italy.
De Bartolomeis was a prolific writer, and he published over 100 books on pedagogy, art criticism, and politics. He was also a regular contributor to newspapers and magazines.
De Bartolomeis is considered to be one of the most important Italian pedagogists of the 20th century. His work has had a significant impact on the development of education in Italy.

Here are some of his most notable works:

  • La pedagogia come scienza (Pedagogy as a science)
  • Esistenzialismo e idealismo (Existentialism and Idealism)
  • La scuola attiva (The Active School)
  • La riforma della scuola (The Reform of Education)
  • L’arte come esperienza (Art as Experience)

De Bartolomeis was a respected and influential figure in the field of pedagogy. His work continues to be studied and debated today.

Francesco De Bartolomeis è stato un pedagogista, critico d’arte e politico italiano. Era nato a Pellezzano, Salerno, Italia, il 20 gennaio 1918, ed è morto a Torino, Italia, il 29 giugno 2023. È stato professore di pedagogia all’Università di Torino dal 1956 al 1988. De Bartolomeis fu allievo di Ernesto Codignola, e fu influenzato dalle teorie di John Dewey.
Si interessò anche di esistenzialismo e scrisse un libro sull’argomento intitolato “Esistenzialismo e idealismo”.
De Bartolomeis è stato un sostenitore della scuola di pensiero nota come “pedagogia attiva”, che sottolinea l’importanza della partecipazione degli studenti e dell’apprendimento esperienziale.
Era anche interessato alla riforma dell’istruzione e ha svolto un ruolo nella creazione di scuole a tempo pieno in Italia. De Bartolomeis fu uno scrittore prolifico e pubblicò oltre 100 libri di pedagogia, critica d’arte e politica. Collaborò regolarmente con giornali e riviste. De Bartolomeis è considerato uno dei più importanti pedagogisti italiani del 20 ° secolo. Il suo lavoro ha avuto un impatto significativo sullo sviluppo dell’istruzione in Italia.
Ecco alcune delle sue opere più notevoli: La pedagogia come scienza Esistenzialismo e idealismo (Existentialism and Idealism) La scuola attiva (The Active School) La riforma della scuola (The Reform of Education) L’arte come esperienza (Art as Experience)
De Bartolomeis fu una figura rispettata e influente nel campo della pedagogia.
Il suo lavoro continua ad essere studiato e dibattuto oggi.




PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

 Premessa
Dopo aver sviluppato

si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare ruoli diversi.
  • Cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente, come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al piano.

Cos’è un ambiente di apprendimento, come si articola e organizza? Quali sono i ruoli che il docente deve imparare a giocare quando propone un lavoro in ambiente digitale

PROGETTARE L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO DIGITALE

“L’ambiente di apprendimento rappresenta il contesto in cui gli allievi maturano le proprie abilità e conoscenze e sviluppano le competenze di Cittadinanza; esso è un elemento fondamentale per la realizzazione di percorsi educativo-didattici significativi. Per questo motivo, risulta decisivo dare una conformazione pedagogica all’ambiente di apprendimento. [1]

Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento

Parole chiave: esplorazione, ricerca, relazione, comunicazione, collaborazione, condivisione, costruzione, ipertestualità, lavoro a distanza, capacità di valutare, capacita di scegliere, libertà di espressione. In rete l’intelligenza non sta solo nella mia testa ma nella testa di tutti coloro che interagiscono con me producendo esperienza L. Rosso. Si è quindi parlato a proposito del web di “Intelligenza collettiva” o “connettiva”.
S. Penge definisce l’apprendimento la “Capacità di impadronirsi di un ambiente”.

Le risorse digitali arricchiscono il contesto scolastico, aprendo una finestra sul mondo. Inoltre, costituiscono già un luogo di apprendimento implicito non organizzato e di esperienza fuori dalla scuola (dall’iperscuola di Calvani, all’ ambiente digitale come ambiente in cui viviamo come persone e come cittadini). È necessario inserire la rete e le TIC, quando utili e come esperienza di riflessione e conoscenza del mondo e della cittadinanza “digitale” a scuola e nel lavoro, anche in classe in modo organizzato e consapevole.
Per gestire al meglio gli strumenti e gli ambienti legati al web è importante, dopo uno stimolo iniziale (osservazioni, dati, letture, video…), riflettere e sperimentare insieme i seguenti aspetti:

  1. Conoscere insieme in modo critico, più informato e consapevole, il web nella sua evoluzione attuale, che già i ragazzi vivono “sulla loro pelle”. MI 2018.
  2. Riflettere insieme sulle potenzialità didattiche e formative, ma anche sui pericoli e punti critici della rete.
  3. Educare gli allievi a compiere scelte consapevoli e selezionare materiali e ambienti secondo fini e criteri concordati.
  4. Abituare ad utilizzare in modo critico, consapevole di vantaggi e limiti, gli strumenti delle nuove tecnologie, quando utili. Non saper fare, ma sapere quello che si fa.
  5. Far sperimentare la valenza sociale della rete (cittadinanza, diritti, dati, privacy…)
  6. Affrontare insieme la esplorazione delle potenzialità del web con curiosità, senso critico, ma senza paure.

NB Nelle attività di ricerca, in particolare in ambiente digitale, per le sue caratteristiche di continua novità e di vastità delle esperienze, ha poco senso un approccio trasmissivo da parte del docente, che a mio avviso va limitato al necessario (lessico, prime istruzioni di uso…); si può partire da stimoli (dati, letture, video, esempi) per riflettere insieme e poi verificare, attraverso la esperienza condivisa, le idee emerse. [2]

DIMENSIONE PEDAGOGICA- ORGANIZZATIVA

Spazi

“L’utilizzo flessibile degli spazi, la presenza di arredi e di strumenti adeguati, contribuiscono alla realizzazione di un ambiente innovativo.” ibidem

L’ organizzazione e la forma di un laboratorio, di una classe in cui si usi il digitale, prefigura e condiziona il tipo di didattica, le competenze e gli obiettivi da raggiungere:

1 – Una classe organizzata con 1 pc per banco ed un master sulla cattedra a fronte, riproduce il modello della lezione o esercitazione frontale e non favorisce la ricerca di gruppo.
2- Un laboratorio o una classe organizzata a isole di lavoro o coi PC a ventaglio contro le pareti, è la struttura migliore per una ricerca a gruppi o in piccolo gruppo e favorisce la supervisione dinamica e pro-attiva ed il coordinamento da parte del docente.
3- Un modello 1 (ragazzo) a 1 (PC) suggerisce compiti e lavori individuali, mentre un modello 1 PC 2,3 ragazzi propone una discussione ed una mediazione utile alla ricerca. Imparano a lavorare insieme.
4- La classe con la LIM (o simili) permette una lezione partecipata e animata, ma sempre con un solo protagonista per volta alla lavagna. In molti casi, più che ricerca si fa lezione partecipata e iper-mediale. Se non semplice proiezione.
5- Una classe con tablet portati da casa e modelli didattici a questo ispirati può evidenziare chi ha e chi non ha il computer, (mentre tutti o quasi hanno uno smartphone) e far emergere una frattura digitale interna alla classe (come successo in DaD).
6- L’alternanza classe/altri spazi, laboratori diversamente attrezzati, spazi comuni, classi con LIM condivise a rotazione, postazioni mobili sono soluzioni più economiche e flessibili di tutti i modelli unici (nessuno dei quali è auspicabile né sostenibile economicamente per tutte le classi del paese) e favoriscono l’uscita dalla dimensione esclusiva della classe.

DIMENSIONE METODOLOGICA: Esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche. ibidem

 Digitale nell’apprendimento ——> Ricerca, esplorazione e scoperta

Il “digitale”, come ambiente di apprendimento, se usato in modo attivo, critico e avveduto, ci propone il metodo dell’esplorazione, attraverso gli “inviti operativi dei link[3]” di un mondo, virtuale e reale insieme, talora in modo inscindibile, che si intreccia in modo sempre più stretto col mondo e coi meccanismi che agiscono offline e spesso li condizionano: dal  punto di vista della conoscenza, della ricerca, dell’apprendimento per esplorazione e per tentativi ed errori, ma anche dal punto di vista personale.

I social network sono luogo di identificazione (oltreché di relazione). Molti dei processi tradizionali di formazione personale e crescita – > individuazione -> autonomia dei ragazzi si sono trasferiti in rete a cominciare dalla identificazione: chi sono? Come mi presento? Per proseguire con le relazioni, con l’immagine di sé modificata attraverso i feed back o la percezione del proprio ruolo nel gruppo.

Il modello della rete è un modello ipertestuale (la rete come metafora dell’ipertesto universale): ne consegue che il web non è una rete di computer (struttura) ma di persone e che le relazioni fra loro sono più importanti del singolo (“nodo”).

Collegare, connettere significa dare/trovare (spesso insieme) un senso alle cose (P.Levy).

Occorre per questo:
1- Che i ragazzi conoscano il web ed i suoi ambienti anche nelle loro componenti e dinamiche attuali: come funziona e perché funziona così. Semplificando: il potere su di noi dei GAFAM.
2- Che imparino a navigare senza perdere l’orientamento e quindi che sappiano tornare al punto di partenza e puntare sempre all’obiettivo della navigazione.3- Che sappiano altresì sfruttare strade, materiali, idee nuove che incontrano nella ricerca.
4- Che evitino di navigare a caso e senza meta durante il lavoro programmato.
5- Che realizzino/sappiano che dietro ad ambienti, siti e computer ci sono persone con le loro idee e emozioni e con le loro scelte (social, siti, piattaforme), ma anche imprese ed interessi molto forti che li sfruttano; quindi che quello che succede nel web “non è responsabilità della rete né degli algoritmi, ma delle persone che hanno scelto i criteri di funzionamento degli algoritmi”. Bauman

Ricerca e conoscenza

Il secondo metodo proposto dalla rete è quello della ricerca.
1- L’eccesso d’informazioni incontrollate formatosi in rete, richiede di costruire competenze di scelta, metodi di valutazione e validazione delle informazioni reperite, in quanto non sempre utili e affidabili e consapevoli che una informazione non è conoscenza se non validata e se non c’è riflessione. Si richiedono oggi maggiori competenze di mediazione da parte del docente.
2- È quindi necessario che la rete non diventi un luogo di saccheggio indiscriminato (copia e incolla, rispetto del copyright, nuove forme di copyright).
3- È altrettanto importante non confondere il metodo (la ricerca) con gli strumenti, per quanto potenti e complessi (Ricercare = Googlare?)
4- Infine  i ragazzi devono sapere che la rete di per se non ha compiti definiti, non ha regole e non è neutrale, ma gli algoritmi che gestiscono le informazioni (motori di ricerca privati), le app, le piattaforme (anch’esse quasi sempre private, anche nel mondo della scuola) rispondono a logiche  commerciali e non di conoscenza. Sta a noi trarre da questi e in generale dalla rete, le informazioni, i materiali, le idee utili formando nuove competenze.
5- E studiare e sperimentare alternative a questi monopoli.

Apprendimento cooperativo e condivisione
La dimensione sociale dell’apprendimento riveste un ruolo essenziale per la crescita della persona. ibidem

Il modello innovativo, accanto a quello dell’utilizzo puro (mail, ricerca attraversi motori, reperimento materiali), da cui è nata e cui si è ispirata l’introduzione del web nell’apprendimento è il modello del collegamento e della relazione fra persone, della condivisione che la rete facilita in modo asimmetrico nello spazio e nel tempo, della cooperazione sia nella ricerca, sia nella costruzione di prodotti, sia nella riflessione allargata e comune (Intelligenza collettiva – P. Levy – o connettiva – De Kerchove)[4] sia nella collaborazione a distanza. Se nella rete l’intelligenza non sta più solo nella mia testa ma nella testa di tutte le persone che interagiscono con me producendo esperienza ed apprendimento (L. Rosso) ha quindi un senso limitato, rispetto all’apprendimento, l’uso individuale a scuola di strumenti digitali, perché la situazione che il web propone e permette è, anche nel lavoro, una situazione di collaborazione.

Didattica laboratoriale.

Il laboratorio è un ambiente di apprendimento che permette l’attivazione di una didattica per competenze, sia quando è attivato in ambienti interni alla scuola, sia quando valorizza il legame col territorio. ibidem

Un laboratorio basato sul digitale deve:

1- prevedere azioni che consentano agli allievi di essere operativi. Non ha senso portare i ragazzi in laboratorio o trasformare la classe in laboratorio per poi chiedere loro ruoli passivi o puramente esecutivi.
2- Incoraggiare la ricerca e la progettualità. La didattica in ambiente “digitale” nasce da un progetto discusso e condiviso.
3- Rendere gli allievi protagonisti nel progettare, realizzare e valutare attività laboratoriali di ricerca e azione dentro e fuori la scuola.

 Imparare ad imparare (allievi e docenti).

Compito fondamentale della scuola è promuovere in ciascun allievo la consapevolezza del proprio modo di apprendere e del proprio cammino. ibidem
Anche in ambiente digitale è fondamentale oltre a quanto già citato, accompagnare gli allievi ad acquisire un proprio metodo di lavoro, di indagine, di studio, di uso delle TIC. E la consapevolezza di esso. Che anche il docente conquista attraverso la esperienza.

Nella seconda parte parleremo di:
Valutazione formativa
Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente
Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Inclusione delle diversità
Clima emotivo di classe
Il docente e l’ambiente emotivo della classe

[1]  Lo schema di questo contributo è dovuto al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare questo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Per “critico” intendiamo un atteggiamento che non si fermi alla apparenza o alla fruizione passiva, ma si interroghi su come funziona e perché funziona così quella piattaforma o parte del web e quindi sia consapevole dei limiti e problemi connessi sia a livello personale che di cittadinanza, formando autonomia di giudizio e di scelta.

[3] Dobbiamo il concetto di “inviti operativi” a M. Guastavigna.

[4] Intelligenza collettiva https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_collettiva
Intelligenza connettiva https://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo/l-intelligenza-connettiva-di-de-kerckhove/3331 https://www.treccani.it/vocabolario/intelligenza-connettiva_%28Neologismi%29/




Curatela di eventi (e di concetti)

di Marco Guastavigna

Il dibattito sulla cosiddetta intelligenza artificiale è sempre più sciatto e polarizzato: a raffiche di affermazioni apodittiche – improntate al sommo ottimismo o al massimo ottimismo, poco importa! – si affianca un’analisi asfittica.
Una delle sciocchezze più diffuse è l’impiego del termine “strumento”. È davvero stancante dover ripetere che abbiamo invece a che fare con dispositivi: contengono e dispiegano pre-decisioni, regole d’ingaggio, condizioni di impiego (anche economiche e discriminanti), mettono in atto retro-azioni e feedback, monitorano interazioni (non sempre in modo chiaro e trasparente). E così via. Per non parlare dell’appiattimento su ChatGPT, su cui fioriscono corsi e corsetti, webinar gratuiti e a pagamento, manuali che esigono il pagamento di royalties e altre iniziative di sfruttamento dell’approccio tecnocratico.

Nella stragrande maggioranza dei casi, inoltre, si trascura una questione per altro non nuova, ovvero la progressiva e totale privatizzazione della sfera pubblica e della conoscenza, già largamente praticata e accettata prima che l’emergenza del lockdown la rendesse sintassi della vita collettiva e individuale. Questione squisitamente politica, che l’impostazione e la gestione centrale e da parte delle singole unità scolastiche del PNRR moltiplica e rende sempre più drammaticamente risolta a favore degli attori del capitalismo cibernetico, ormai naturalizzati.

È perciò esclusivamente a titolo di (perverso?) gioco intellettuale che continuo ad approfondire, ad andare comunque oltre l’impressionismo digitale.
E così più esploro, più mi rendo conto che – nonostante il quadro ampiamente compromesso sul piano etico e civile – ci sarebbero spazi di riflessione significativa, qualora vi fosse desiderio di un dibattito autentico e sereno.

In primo luogo, è a mio giudizio sempre più evidente che, nel rapporto tra esseri umani e assistenti artificiali alle attività cognitive, ai secondi spettano compiti esecutivi e ripetitivi, mentre ai primi restano intenzioni, obiettivi, progettazione e (soprattutto) valutazione dell’efficacia del prodotto realizzato dall’agente digitale cui devono aver assegnato un compito preciso e definito in modo articolato.

In secondo luogo, è – sempre a mio giudizio – palese che è necessario che gli insegnanti e i loro derivati, anziché farfugliare ipotesi empiriche di attività scolastiche o pronunciare grotteschi anatemi, sperimentino e valutino gli agenti di assistenza cognitiva in prima persona sul versante intellettuale e culturale prima che didattico.

Un esempio di questo percorso di presa di consapevolezza è la “capacità tecnica” di alcuni dispositivi di transcodificazione di realizzare – in forme varie, dal sommario per punti a una vera e propria sintesi sotto forma di saggio – un riepilogo scritto del contenuto di filmati accessibili in rete, tipicamente da YouTube. Orbene: ciò è interpretabile come ennesima acrobazia operativa oppure come un’opportunità cognitiva.


Qualche tempo fa Gessetti colorati ha presentato la possibilità di estendere ipermedialmente un evento digitalmente riprodotto (un seminario online, la registrazione di una conferenza in prossimità, ma anche un filmato realizzato come manufatto culturale autonomo) mediante applicazioni a ciò dedicate, connettendo al flusso visivo immagini, testi, link e altri materiali di spiegazione, approfondimento, integrazione.
I dispositivi che ho appena indicato (Merlin, YouTubeDigest e altri) ci mettono nelle condizioni di intervenire nella curatela con un’ulteriore risorsa.
Quel che è importante comprendere è che il dispositivo macchinico si incarica degli aspetti più faticosi e ripetitivi (alzi la mano chi considera lo sbobinamento un’attività intellettuale!), mentre i redattori umani conservano pienamente il compito e la responsabilità di valutare la corrispondenza del riepilogo prodotto alla struttura, allo scopo e agli esiti dell’evento, che si desidera conservare e replicare in forma aumentata. Uno schema di elaborazione che, se praticato non come bizzarria innovativa, ma come apparato di meditato arricchimento globale – anche nella direzione dell’incremento della comprensibilità e dell’inclusione –, può valorizzare il patrimonio culturale condiviso mediante la rete.




Soldi, soldi, soldi: PNRR e Scuola 4.0 – Ma voi sapete cosa si sta decidendo nella vostra scuola?

di Rodolfo Marchisio

Le scuole sono sovraccariche in questo periodo, a causa della produzione di progetti – cfr. elenco di Stefanel – spesso legati al PNRR; non sembra tutti utili o realizzabili, né, a mio avviso legati ad una strategia esplicita complessiva che sia convincente, che vada aldilà della causalità:
soldi disponibili -> progetto -> soldi erogati.

Poiché almeno 3 filoni di finanziamenti hanno a che fare con la nuova iniezione di tecnologie digitali nella scuola e tutte con la formazione, se non con un modello di scuola, resta da definire qual è l’incastro temporale e funzionale delle varie iniziative in un progetto complessivo.
Per quanto riguarda il cosiddetto “digitale” riprendiamo l’analisi già introdotta e “curiosiamo”.
Almeno all’inizio parrebbe abbastanza chiaro.

Al fine di coordinare le misure di trasformazione digitale, ciascuna istituzione scolastica adotta il documento “Strategia Scuola 4.0, che declina il programma e i processi che la scuola seguirà per tutto il periodo di attuazione del PNRR con la trasformazione degli spazi fisici e virtuali di apprendimento, le dotazioni digitali, le innovazioni della didattica, i traguardi di competenza in coerenza con il quadro di riferimento DigComp 2.2, l’aggiornamento del curricolo e del piano dell’offerta formativa, gli obiettivi e le azioni di educazione civica digitale, la definizione dei ruoli guida interni alla scuola per la gestione della transizione digitale, le misure di accompagnamento dei docenti e la formazione del personale, sulla base di un format comune reso disponibile dall’Unità di missione del PNRR”. Semplice no?
Si tratta di 2,1 miliardi per Scuola 4.0[1] già stanziati in base al numero delle classi (l’elenco completo dei fondi assegnati). Più altri dedicati ai laboratori (Ist. superiori), Labs (elenco completo).
Chi ha meno di 100 mila euro o ha buon senso o fa la figura del poveraccio, mentre gli altri avranno da 125 a 500 mila euro.


Da dove vengono questi soldi?
Dal PNRR, in genere da fondi UE (compresi i fondi versati dall’Italia) e parzialmente (in genere 2/3) sotto forma di prestiti. Come farà la scuola a restituire questi fondi (parliamo di 125- 250 mila per scuola)? Ne vale veramente la pena o ci stiamo facendo prendere dalla furia “digitale è di moda” e del “tanto è gratis”?
Dice un “esperto”: “unica clausola inderogabile è non scendere sotto il target”. Esageriamo!

Il linguaggio
Ci serve un Project manager (di solito, almeno formalmente, il DS), uno o più progettisti, collaudatori, DSGA, animatore digitale (che vede aumentata la sua dotazione a 2000 euro), un team digitale, un supporto tecnico-operativo al RUP.
Dopo di che se hai dei dubbi puoi aprire “un ticket”.
Basta definire e rispettare il time sheet, il capitolato e il disciplinare.
Sorgono dubbi:
Check list DNSH in particolare con la scheda 3 ex-ante?
Sono iscritti su MePA, i prodotti devono avere la certificazione CAM?
È possibile caricare i file SOLO in formato p7m?

Chi lo scrive, chi decide.
Si stanno formando, talora scalzando i “desueti” Animatori Digitali, nuovi (reali, talora presunti) gruppi di tecnocrati e amministratori “specializzati”: dov’erano nascosti sinora? Hanno avuto una formazione sul campo?
Il DS è, spesso, il project manager, almeno formalmente e come remunerazione, mentre i progetti vengono elaborati da lui, dai docenti più esperti in qualità di “progettisti” o da AD e team. Spesso direttamente dal fornitore.  Un budget del 10% va a costoro (es. 15 mila su 150 mila). Spesso occorrono graduatorie e bandi per scegliere i vari ruoli ed i vari strumenti.

I genitori, gli allievi e il collegio talora non sono stati neppure consultati
E il progetto si blocca in C. di Istituto come segnalato da M. Guastavigna.[2]
Ma non era un progetto educativo per innovare la scuola? Non si dovrebbe partire dal progetto educativo e dagli OOCC?

Dubbi.
Voi incaricate già anche il collaudatore? Anche se non ha ancora nulla da collaudare (pertanto nulla da inserire in timesheet)?
Vorrei sapere se il KIT xxxx”, Kit xxxx”, il Modello xxxx e xxxx con schiena aperta, che i docenti di matematica hanno richiesto per implementare (sarebbe integrare, arricchire?) l’ambiente innovativo dedicato alle scienze, possono essere inseriti nelle spese per l’acquisto di dotazioni digitali(?)

Altri “filosofici”
Un carrello per spostare le macchine può essere considerato tecnologia digitale?
Un tavolo che fa da supporto alla robotica può essere considerato nel digitale?
Un carrello STEM vuoto va conteggiato?
Sicuramente sono tecnologie, ma ormai confondiamo tecnologia con “digitale” anche se non ci sono chip. Cfr. Treccani.
Si può fare una parete immersiva?[3]
Ma il vero dubbio da cui partire potrebbe essere “Quali sono i requisiti minimi che deve avere un ambiente per essere innovativo? Ci sono degli elementi che si devono obbligatoriamente inserire in un ambiente per essere innovativo? Gli aggettivi sono usati in libertà. Innovativo e digitale sono sempre più sinonimi.
Più concretamente:
Possiamo far ridipingere i muri?
L’esperto: si ma dipingendo soggetti digitali. (!)
E comprare le tende? Si, se servono a oscurare l’aula per proiettare.

Focus tecnocentrico.
Parola d’ordine “digitalizzare” (qualunque cosa voglia dire).
Puoi togliere solo per incrementare le attrezzature tecnologiche (Infatti è scritto dal 60% fino a 100%).

Scorciatoie
Affidare tutto ad aziende esterne, alcune, come sempre in passato, nate apposta, forniscono pacchetti con progetti, preventivi e formazione.
Il Pnrr scuola 4.0, in affanno, sta scivolando verso l’asservimento digitale al privato. L’ennesimo.
Si avvicina la scadenza (forse rimandata a luglio o ottobre fra polemiche: ci mangiamo le vacanze!).
Risposta: “meglio fare tutto prima. Adeguarsi ai pacchetti offerti dalle ditte (!) rispettare quel che “vogliono loro” (NdA ministero) e affidare alle ditte (!).
Poi qualcuno la contrabbanderà come una “rivoluzione digitale della scuola”. La misura della innovazione calcolata sul numero e sul costo delle tecnologie comprate.
Ma senza cultura digitale comprare macchine è buttare soldi dalla finestra, perché usare il digitale senza cultura è non solo pericoloso, ma diseducativo, non motivato e perdente.
C’è chi invita alla riflessione “Dispiace leggere e sentire in giro stupidaggini, anche da aziende che creano e offrono specchietti per le allodole approfittando del gap conoscitivo di molti docenti sull’argomento. Usiamo bene i soldi pubblici, studiamo, informiamoci con i colleghi che usano già ciò che vorremmo acquistare, scegliamo bene per noi e per i nostri studenti.
Che il PNRR sia anche un’opportunità di crescita professionale! Solo così avrà una vera ricaduta sulla qualità dell’istruzione nel nostro paese.
In effetti chi ha scelto di integrare l’esistente, spesso non utilizzato da tutti, sta facendo una scelta ragionevole. Chi punta agli effetti speciali digitali aumenterà il museo delle tecnologie dalla vita breve.

I “pacchetti”
Fioriscono seminari con esperti Google o altri fornitori. Non impariamo dai nostri errori e rimaniamo prigionieri degli stessi “padroni” da cui potevamo liberarci.

Osservazioni dopo una prima lettura.
Non viene spesso discussa e dimostrata la utilità didattica ed educativa di quello che affannosamente si compra. Non ne è dimostrata quindi la necessità.
Non viene prima discussa (anche coi genitori o in collegio) la esigenza didattica ed educativa e le ipotesi educative e didattiche di questi acquisti. Gli acquisti affannosi non sono legati ad un nuovo progetto di scuola.
Spesso non sono previste ipotesi pedagogiche verificabili non legate alla stanca, falsa retorica che accompagna da decenni il “digitale” (“si annoiano meno, si creano situazioni nuove, il digitale facilita di per sé l’apprendimento, il lavoro di gruppo, il futuro nel mondo del lavoro” …)
Dubito che saranno monitorate e verificate utilità e vantaggi di queste spese ingenti.
Sarà possibile alle scuole avere questi soldi, ma restituirli? Chi, come e entro quando?
La cosa assurda è che le scuole che hanno molti problemi (dall’organico, alle risorse, alla sicurezza, soprattutto alla mancanza di un progetto di scuola insieme autonoma e Costituzionale, che garantisca però a tutti una base comune…) avranno soldi, tanti, per cose che non sono tra le loro priorità, ma una forma di condizionamento esterno non corretto metodologicamente, perché legato alla convergenza fra:

  • priorità emerse a livello europeo nel PNRR (ricostruzione e resilienza) insieme ad altre, a livello macro
  • mode, ministeriali e non solo, non pedagogie provate, che affidano alle tecnologie “digitali” il santo potere di risolvere i problemi della scuola
  • interessi delle grandi aziende che hanno da sempre nella scuola un facile mercato di riserva (Google non ci molla più da quando siamo caduti nella trappola delle piattaforme sponsorizzate dal MI e da cui siamo ancora pigramente dipendenti)
  • la apparente (e sempre più in bilico) abbondanza di fondi e prestiti del PNRR. Ammesso che arrivino.

Allora le scuole devono contestualizzare con realismo e buon senso le linee d’azione senza farsele imporre. Anche per quanto riguarda la relativa formazione.
Le conclusioni di Giannelli (ANP): “Ci troviamo nel paradosso per cui la nostra scuola, che soffre da sempre di carenza di risorse, ha il problema opposto: troppe risorse che non sa come spendere”.
Una riflessione su cui vorremo tornare è come dovrebbe cambiare il ruolo del docente, la didattica, la organizzazione di tempi e spazi, il progetto di scuola e delle scuole (obiettivi e competenze da raggiungere) su cui pare ci sia qui scarsa attenzione e consapevolezza.
E su cosa ne pensano i colleghi.

[1] https://pnrr.istruzione.it/infrastrutture/scuole-4-0-nuove-aule-didattiche-e-laboratori/

[2] Sulla motivata delibera contraria del liceo Albertelli vedi https://www.tecnicadellascuola.it/il-no-del-liceo-albertelli-al-pnrr-non-guarda-affatto-alle-urgenze-reali-non-e-una-battaglia-contro-le-tecnologie

[3] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-liceo_albertelli_di_roma_e_i_fondi_del_pnrr_perch_non__andata_come_ve_la_racconta_repubblica/39130_49699/

[3]  “Immersivo” significa “Nel quale si entra completamente, rimanendone avvolti”. Non può esistere una “parete immersiva”, può esistere uno spazio immersivo, chiuso a 360°.