Didattica a distanza, ma con insegnanti buoni artigiani

io_noidi Rodolfo Marchisio

Dedicato a tutte le colleghe ed i colleghi che si stanno facendo il mazzo per riannodare il rapporto educativo coi propri alunni
Si parla ormai molto di didattica a distanza e didattica online (che non sono la stessa cosa).

Non sempre in modo proattivo e talora un po’ dispersivo. Ognuno dice la sua.

Premesso che:

1. La didattica online è cosa non semplice e controversa, ma questa è una emergenza.
2. Se pensi che non esistano ricette e offerte commerciali che risolvano e che non esiste UNA soluzione. Che come sempre l’ideale è che i buoni docenti usino in modo intelligente quello che hanno, sanno e possono usare e che si adatta alla loro situazione. Come state facendo.
Con intelligenza, flessibilità, contestualizzazione di strumenti conosciuti e possibili. Per i docenti, per i ragazzi e le loro famiglie
3.   Le scelte tecnologiche sono importanti ma quelle pedagogiche lo sono molto di più (Paola Limone) e che la grave emergenza attuale non è un’occasione per incrementare la didattica a distanza, ma una situazione di assenza della scuola reale da fronteggiare con ragionevolezza. (CIDI)
4. La chiave del nostro lavoro (e del digitale) è la relazione educativa ed è per questa che state lavorando, articolando attività diverse, che le tecnologie veicolano o permettono. Anche la attività di leggere insieme e commentare un libro…

Allora queste poche riflessioni che cercano di condividere un senso, in mezzo a tante proposte ed esperienze diverse, radunando quelle condivisibili e in sintonia, non su con che tecnologia, ma su cosa ci faccio e perché allora ti può, spero, essere utile .

Buon lavoro. Di cuore….
Per leggere tutto




Grazie al digitale la scuola non si ferma. Ma è davvero così?

bambini_maestradi Giuseppe Bagni
presidente nazionale CIDI

In questo periodo di emergenza sono in pochi ad aver mantenuto un atteggiamento coerente e scientificamente sensato. Ancora meno i governanti che hanno saputo resistere alla tentazione di sfoggiare per scopi puramente elettoralistici il proprio potere territoriale, contribuendo a dare l’immagine di una Italia in pezzi nei suoi livelli decisionali, con scelte “fai da te” che hanno seminato caos e sconcerto in tutto il Paese, e dandoci anche un’idea più precisa di cosa potrebbe diventare con il regionalismo differenziato.

Ma ci si poteva almeno augurare che gli esperti di scuola rispondessero all’emergenza sanitaria senza trasformarla in un’occasione di propaganda dei propri “prodotti” vuota ipocrita e pericolosa.
Possibile che nessuno dica che una scuola che svolge “attività formative a distanza” è una scuola meno formativa?

Che “grazie al digitale la scuola non si ferma” è una tesi che può ragionevolmente sostenere solo un rappresentante di software?
Di fronte ad una emergenza come quella che stiamo vivendo è giusto e doveroso sperimentare tutte le risposte possibili, ma sapendo che sono valide solo in quanto emergenziali.
Se non si va a scuola la scuola si ferma.
Se gli studenti saranno connessi, e non più in contatto nelle loro scuole, la scuola si ferma.
Se si inviano compiti ed esercizi online agli studenti da svolgere ciascuno nel chiuso della propria camera (per quelli che ce l’hanno), la scuola si ferma.

La scuola solo su piattaforma non è scuola. È un pessimo surrogato che può essere scambiato per scuola solo da coloro che la vedono ancora come una successione di lezioni, poi di compiti sulle lezioni e infine interrogazioni sui compiti e le lezioni.

No, una cosa è quello che possiamo (e dobbiamo) fare adesso per bloccare la diffusione del coronavirus, dare sicurezza e ridurre il danno scolastico per i nostri ragazzi; un’altra è enfatizzare questi strumenti come fossero l’innovazione capace da sola di disegnare la scuola del futuro.
Se si vuol sostenere questo, allora per lo meno smettiamola di parlare di povertà educativa, di diseguaglianze, di inclusione e di didattica laboratoriale e innovativa.
Se la risposta sufficiente fosse un software e una piattaforma vuol dire che abbiamo scherzato.




DIDATTICA A DISTANZA: gestione dell’emergenza o prove tecniche di una scuola smantellata?

bambini_scuoladi Simonetta Fasoli

Leggo diversi e in qualche caso “autorevoli” commenti sulle modalità operative di gestione della forzata chiusura delle scuole adottata nel diffondersi del coronavirus.
Non mi pare il caso di spendere parole sull’opportunità o perfino la necessità dei provvedimenti che hanno interrotto le attività scolastiche per un periodo significativo e per un tempo di fatto non prevedibile.
Mi sembra al contrario dirimente aprire una discussione il più possibile partecipata sui tanti risvolti che la questione presenta.

I toni, al limite del trionfalismo, usati da chi ha responsabilità di governo del sistema scolastico, sono a mio parere non solo fuori luogo ma francamente inquietanti per quello che possono prefigurare. Si afferma che il sistema, in tutte le sue articolazioni, è attrezzato o si sta attrezzando per organizzare la didattica a distanza. Sembra, a leggere non solo tra le righe, che siamo di fronte non ad una soluzione di emergenza come tale parziale e provvisoria, ma all’epifania di una nuova stagione segnata dalle “magnifiche sorti e progressive”.

Provo a esporre, con la sintesi che il luogo e il mezzo richiedono, alcune considerazioni.

1) la didattica a distanza non è, con tutta evidenza, assimilabile all’uso degli strumenti digitali, non solo compatibili ma a certe condizioni auspicabili nella strutturazione di percorsi e ambienti di apprendimento a scuola.
2) ci sono funzioni e obiettivi di natura formativa che traggono senso e possibilità dalla presenza delle condizioni culturali, organizzative e materiali che solo il sistema pubblico di istruzione e formazione può garantire.
3) pertanto, queste funzioni non sono un accidente storico da superare, tantomeno da surrogare.
4) i processi di apprendimento/insegnamento sono inseparabili, per loro intrinseca natura, dai contesti reali e socialmente significativi che li supportano e li connotano.
5) il sistema scolastico è al crocevia dei processi e dei relativi contesti.
6) ogni soluzione “tecnica” che ne prescinda va dunque verso la destrutturazione del sistema e verso un regime di fatto di descolarizzazione.
7) la didattica a distanza, se assume il contorno di una soluzione politico-culturale che esula dalla gestione dell’emergenza, e si appresta ad affiancare (e, in prospettiva, a sostituire) la funzione pubblica che svolge la scuola come luogo riconoscibile e materiale, confina l’educazione/istruzione a un ambito squisitamente privatistico. Capitolo finale di una privatizzazione con cui facciamo i conti da qualche decennio

Per ora mi fermo qui. Mi sembra che queste considerazioni, necessariamente sommarie, dovrebbero tenere alto il livello di vigilanza e attenzione nei confronti di quello che si sta muovendo, e della posta in gioco.

Spiace di aver dovuto registrare, finora, prese di posizione francamente troppo prudenti, quand’anche improntate a vibranti richiami all’importanza della “relazione” nei contesti di educazione.
Bisogna andare ben oltre posizioni prudenti ed espressioni eufemistiche verso la didattica a distanza. Dobbiamo denunciarne, con parole trasparenti e coraggiose, le insidie che nasconde.
Prima che “didattica a distanza” diventi “scuola surrogabile”.




Il curricolo digitale

corso_appcoop_062019di Stefano Stefanel

L’emergenza per il Coronavirus ha portato allo scoperto un tema (che presenta molti aspetti: didattica a distanza, comunità virtuale, scuola attraverso il cloud, smart school, smart working, ecc.), che stava prendendo una strada priva sbocco, cioè quella della contrapposizione tra libri e web.

Le norme prodotte in funzione dell’emergenza per il Coronavirus mettono nero su bianco, in maniera anche un po’ confusa, metodologie e possibilità che già c’erano e che qualcuno stava già sfruttando. Sui social poi sono fiorite le testimonianze delle varie comunità scolastiche virtuali nate a seguito dell’emergenza o che già si stavano sviluppando. Così il dibattito su libri e web è tornato, ma sotto mentite spoglie, con il web che dimostra come possa essere utile e utilizzato, fermo restando che a casa e a scuola si possono continuare a leggere anche i libri.

Io credo non sia possibile percorrere la china che ha preso, nel frangente dell’emergenza, una parte del dibattito sulla scuola italiana e vada riaffermato un principio cardine molto semplice: è necessario e fondamentale che le scuole si dotino di curricoli digitali che siano di supporto al curricolo d’istituto o che interpretino in forma autonoma il digitale. Non si possono improvvisare classi virtuali, chat didattiche, cloud più o meno operativi o lezioni su you tube senza prima aver predisposto un lavoro progettuale frutto di ricerca e innovazione e ricerca sull’innovazione.

Il Miur ha finanziato nel 2016 per quasi due milioni di euro progetti nazionali per la redazione di Curricoli digitali: da quell’autunno del 2016 ci sono voluti tre anni per arrivare nel novembre del 2019 ad individuare i vincitori di quei progetti, che stanno aspettando (sempre da novembre) che vengano accreditati i fondi e autorizzate le spese per iniziare i progetti. Troppo tempo dunque e tutto troppo lento pur in presenza di soldi e di volontà. Però anche un monito: non si producono didattiche alternative in poco tempo e soprattutto non le si producono durante un’emergenza. Il processo progettuale deve essere graduale, ma non lento, innovativo ma non necessariamente rivoluzionario, attento alle esigenze degli studenti e dei docenti, collegato a device e a software facilmente utilizzabili, economici ed anche abbastanza sicuri da intrusioni.

Se la contrapposizione tra libri e web mi sembra una contrapposizione sterile che mette in secondo piano quello che è l’elemento centrale della scuola e cioè lo sviluppo armonico dell’apprendimento dello studente, lanciarsi in improbabili esperimenti a seguito della chiusura per una settimana delle scuole (in alcune regioni di meno, perché tre giorni di chiusura erano già previsti per Carnevale) significa avere in spregio la pedagogia, non conoscere la multimedialità, sottostimare il processo di apprendimento.
Esiste un passaggio eccezionale dell’Iliade che ci viene in aiuto. Achille si è ritirato sulle navi e i Mirmidoni non combattono più. Ettore fa uscite le truppe da Troia e incalza gli Achei che combattono con i piedi in acqua tanto avanti sono arrivati i troiani. Escono allora in battaglia i due Ajace che respingono i troiani combattendo appaiati e avanzando insieme, ma con metodologie diverse: Ajace Telamonio combatte e avanza da solo, poi si ferma a riposare e i suoi uomini tengono la posizione che ha conquistato; Ajace Oileo invece avanza mentre i suoi uomini da dietro tirano frecce sui troiani in sincronia con i suoi movimenti. Scrive Omero che i due eroi mitologici avanzano insieme come buoi in un campo da arare e i troiani indietreggiano. Diverse metodologie, un unico traguardo.
Ma anche un’altra cosa: precisione millimetrica di tempi e spazi, sincronia, fiducia nel vicino: tutte cose necessarie per frenare l’avanzata di Ettore, ma anche per mettere a punto una didattica efficace e non solo efficiente.

Per prepararsi a uscire in battaglia contro Ettore e in una situazione drammatica non si può improvvisare o sperimentare, bisogna mandare fuori i migliori perché loro sanno come si fa. E lo sanno perché le loro competenze vengono da molto lontano. Improvvisare, a causa di una emergenza, lezioni a distanza o condividere compiti on line se si è sempre agito di persona e su carta è il peggior modo di entrare in quella struttura didattica innovativa e digitale di cui l’Italia ha molto bisogno. E molto male fanno all’incedere corretto della didattica e dell’innovazione coloro che estremizzano la comunicazione, dando per scontato ciò che è processo, dando per trovato quello che è ancora ricerca. In situazione come queste e davanti a dibattiti surreali su argomenti discussi sul web prima che nei collegi docenti bisogna avere la capacità di pensare e costruire mappe di ricerca che producano una reale curricolarità. Il digitale ha bisogno di curricolo, anche perché non viene da lontano e non ha un programma, dunque si trova nella terra di nessuno, quella delle competenze nominate ma non declinate. Da ormai vent’anni la competenza digitale sta tra quelle chiave dell’area Ocse ed è stata assunta nei programmi di sviluppo per le scuole, di cui i PON sono solo l’esempio più eclatante. Da vent’anni c’è la competenza digitale inserita tra le otto competenze chiave, ma non c’è il curricolo, anzi si stanno sviluppando, quasi di pari passo, il BYOD (Bring You Our Device) e i tentativi di reprimere con mezzi artigianali un processo di sviluppo molto potente. Quello del web è un mondo complesso, dove si possono acquisire contemporaneamente dati, conoscenze, notizie, informazioni, fake news, bufale, stupidaggini e competenze che si intrecciano con confini spesso molto sfumati tra loro.

Se dunque è corretta l’idea ministeriale che la curricolarità digitale abbisogni di una progettualità che nasca da sperimentazioni dal basso, pare molto confusa l’idea che le scuole hanno nel complesso delle competenze digitali, di come si certificano, di come si valutano, di dove si valutano e – soprattutto – di come possano convivere con la repressione sull’uso degli strumenti di proprietà. Tutto questo ha bisogno di solidi curricoli d’istituto, che traccino i confini e in cui il web sia al servizio dell’apprendimento, permetta di costruire repositori e cloud accessibili e scientificamente approfonditi, che integri il sapere dentro strutture di controllo analitico di quanto viene divulgato e sviluppato.

Credo anche sia necessario che la curricolarità digitale parzialmente abbia un appiglio in alto (Università, Miur, Ricerca didattica) e parzialmente nasca da ricerche e azioni di istituto, esperienze che si consolidano strada facendo, formazione docenti e formazione studenti che vanno i pari passo. Sono le scuole che devono iniziare la ricerca e devono perseguire l’innovazione, perché lo ritengono necessario, non perché obbligate dal Ministero o dall’emergenza. Personalmente ritengo molto obsoleta l’dea che il circuito “Spiegazione e assegnazione compiti – Interrogazione o compito sulla spiegazione – Misurazione che si trasforma in valutazione” possa essere considerato virtuoso nel rapporto tra insegnamento e apprendimento, anche perché tiene fuori il rapporto ormai necessario e paritario nel percorso di apprendimento tra formale, non formale e informale nella valutazione degli studenti. La spinta all’innovazione, all’uso di tecnologie informatiche, allo sviluppo del BYOD, che viene anche dalla società civile, non penso stupisca più nessuno (semmai produce inspiegabili reazioni contrarie a difesa della carta, che di fatto nessuno attacca). Anche per questo i riferimenti governativi in relazione alla didattica a distanza, all’uso delle piattaforme, al rapporto con gli studenti in forma diversa da quella tradizionale deve collegarsi a quanto contenuto nei PTOF, non a livello formale, ma proprio a livello sostanziale. In questo come in quasi tutti i settori del sapere e della conoscenza nulla si inventa dall’oggi al domani, ma tutto è sperimentalmente possibile.
Penso non sia inutile ricordare quanto contenuto nel comma 10 dell’art. 21 della legge 59 del 15 marzo 1997 (la Bassanini Uno): “Le istituzioni scolastiche autonome hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa.”

E quindi ribadisco quello che ritengo un concetto chiave: si può ricercare, sperimentare, innovare e sviluppare tutto (didattiche, pedagogie, pratiche, verifiche, valutazioni, metodologie, contenuti, ecc.), ma non si “deve” fare nulla perché ci viene imposto dall’alto o dall’emergenza, ma solo perché ci viene imposto dalla necessità di fare il meglio possibile per migliorare l’apprendimento degli studenti. Sta in questo la libertà di insegnamento, nel collegarla alle necessità dello studente, allo sviluppo della professione, all’attenta analisi di quanto viene proposto dal mondo scientifico, culturale, pedagogico. Non ritengo che un’emergenza debba stravolgere il corso degli eventi: se la didattica integrata col web è un valore positivo lo è in tutte le giornate dell’anno, come in tutte le giornate dell’anno è utile e bello leggere un libro, consultare un manuale, scoprire o conoscere qualcosa.

Certamente possiamo fare di più e di meglio e la mia speranza sarebbe di non vedere più docenti girare con obsoleti pacchi di fogli di carta da correggere (ma forse è una speranza un po’ vana), ma quella (in questo caso ben riposta e confermata nei fatti) di tanti docenti che sperimentano metodologie didattiche o modalità di valutazione alternative, mitigando così la passione per l’assegnazione di numeri alla ripetizione dell’identico (compiti e interrogazioni), Ma esternata questa speranza, in qualità di dirigente devo aiutare e favorire il processo di redazione curricolare, non farlo io con imposizioni o iniziative che minano la professionalità del lavoro dei docenti.




Concetti contrastivi: un punto di vista diverso sul tema del “digitale”

matitaConcetti contrastivi è un blog curato da Marco Guastavigna, docente che da decenni si occupa, con occhio critico di tecnoogie e di politiche scolastiche. Senza timori reverenziali nei confronti di nessuno e con la precisa intenzione di contrastare il “pensiero unico” che purtroppo imperversa nel dibattito culturale sui problemi della scuola, Marco Guastavigna offre periodicamente nel suo blog acute riflessioni spesso “controcorrente” ma certamente stimolanti.
Ma leggiamo cosa egli stesso racconta del suo lavoro (red)

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Concetti contrastivi è nato quando nella primavera del 2018 ho cominciato una serie di letture “matte e disperatissime” nel campo del pensiero divergente sul tema del “digitale”, di cui il blog raccoglie e mette a disposizione di chi lo vuole consultare i nuclei sintetici.

Propone materiali con intenzione nettamente politica, prospettiva approfondita mediante economia, sociologia, diritto, antropologia e così via.

Pochissime invece le letture su scuola e istruzione in sé. Sono infatti profondamente convinto che, nell’epoca della platform society e del capitalismo della sorveglianza magistralmente studiato da Zuboff, un’autentica emancipazione culturale debba assumere una visione coraggiosamente critica delle radici della cultura e dei comportamenti proposti dal pensiero mainstream, che considera l’innovazione – confusa con il progresso – un fine e non uno strumento e che innerva in modo totalitario la cultura istituzionale.

Chi si considera cittadino critico e consapevole, prima di rivolgersi direttamente a scolari e studenti, deve denunciare in campo aperto la logica della competizione, che contamina la mentalità professionale e le pratiche didattiche e che è penetrata proprio in conseguenza dell’impostazione dei vari piani ministeriali sull’uso delle tecnologie digitali. Questo richiede una fuoruscita consapevole dall’egemonia di reputazione, prestazione e individualismo che caratterizza l’uso ingenuamente omologato dei “social”, la cui intenzionalità estrattiva finalizzata al profitto ne rende per altro improbabile se non impossibile un uso “corretto”. Implica la piena comprensione del fatto che uno studio acritico del “coding” è una forma di acquiescenza alla codificazione delle menti nella direzione del pensiero unico computazionale. In questo periodo, poi, sarebbe davvero offensiva della democrazia una rilegittimazione etica di chi occupa le istituzioni della Repubblica grazie alla manipolazione digitale del consenso mediante un patto di educazione congiunta ai media.

“Concetti contrastivi”, insomma, è destinato a chi vuole ragionare sull’istruzione a partire da visione e pratica politiche ed è inutile – anzi, spero corrosivo – per chi continua a considera la propria nicchia di certezze professionali il “focus” della propria riflessione.




Competenza informativa, una buona notizia dalla Finlandia

bambini_maestradi Gianfranco Scialpi

Competenza informativa, la Finlandia parte. Esempio di anticipo di un futuro prossimo, che in qualche modo è già presente. Anche da noi è possibile, partendo dall’educazione civica. Il problema restano i docenti e non solo.


Competenza informativa, la Finlandia anticipa il futuro prossimo

Competenza informativa, ho più volte espresso la necessità di integrare i progetti digitali, troppo identificati con il coding, con percorsi basati sulla gestione critica delle informazioni. La suddetta competenza caratterizzerà in modo significativo il profilo 2.0 del cittadino dei prossimi anni. Una bella notizia proviene dalla Finlandia, che ha un sistema formativo all’avanguardia nel mondo per la sua capacità di coniugare il tradizionale con l’evoluzione delle tecnologie, anticipando molti pezzi di futuro.
Si legge su Valigia blu : “La Finlandia ha inserito l’alfabetizzazione alle notizie e l’insegnamento al pensiero critico nel piano scolastico nazionale nel 2016 ed è un ottimo esempio di come un governo può agire se vuole combattere contro la diffusione di notizie false senza ricorrere a controverse leggi “anti fake news”. L’arma più potente nelle mani della politica è l’educazione e la formazione pubblica, sin dalla scuola primaria. Nel programma della scuola secondaria, poi, la formazione diventa più specifica: gli alunni della scuola di Helsinki dove insegna Kivinen, per esempio, imparano quanto sia facile mentire con le statistiche durante le ore di matematica. Con il professore di storia dell’arte capiscono come il significato di un’immagine può essere manipolato. Studiando storia analizzano la più importanti campagne di propaganda dell’ultimo secolo. Mentre con il professore di finlandese possono riflettere su come le parole possono essere usate per ingannare, raggirare, confondere… L’obiettivo è formare cittadini attivi e responsabili. Pensiero critico, fact-checking e imparare a valutare le informazioni che riceviamo sono questioni cruciali. E sono oggi parte fondamentale delle materie che insegniamo. Attraverso tutte le materie”.

In Italia è possibile replicare il progetto

Anche da noi è possibile replicare il progetto. Esiste una sponda curricolare che si declina nella nuova Educazione civica, istituita con la Legge 92/19 da presentare (ovviamente) dalla scuola primaria. E’ presentata come insegnamento trasversale e impartita dagli insegnanti curricolari. Quest’ultimo elemento è stato confermato dal Decreto-scuola art. 7.
Interessante l’inserimento della cittadinanza digitale come una delle declinazioni dell’educazione civica, quasi sempre non menzionata da personaggi politici (V. Aprea) o dai massmedia.
Si legge all’art.5 comma 2 “1. Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica, di cui all’ articolo 2, e’ prevista l’educazione alla cittadinanza digitale. 2. Nel rispetto dell’autonomia scolastica, l’offerta formativa erogata nell’ambito dell’insegnamento di cui al comma 1 prevede almeno le seguenti abilita’ e conoscenze digitali essenziali, da sviluppare con gradualita’ tenendo conto dell’eta’ degli alunni e degli studenti: a) analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilita’ e l’affidabilita’ delle fonti di dati, informazioni e contenuti digitali; b) interagire attraverso varie tecnologie digitali e individuare i mezzi e le forme di comunicazione digitali appropriati per un determinato contesto.

Siamo pronti?

Poste le condizioni, occorre chiedersi se i docenti italiani sono pronti a raccogliere la sfida di un’istituzione che non teme di confrontarsi con l’informazione non solo cartacea. La risposta rimanda a una situazione a macchia di leopardo, dove competenze alte, coesistono anche all’interno dello stesso istituto con altre inadeguate. Bisogna aggiungere che un impedimento è dato dalla martellante propaganda a identificare il digitale con il coding.
Costituisce un distrattore e nello stesso una banalizzazione e una semplificazione del digitale, dimenticando spesso che il Web è caratterizzato da un profilo 2.0. (interazione, condivisione e partecipazione) Personalmente sono convinto che legarsi a una sola prospettiva sia limitante. Occorrono più approcci, dove la gestione delle informazioni, sempre più invadenti e caratterizzanti il Web, ricopre una funzione importante. Comunque solo un approccio variegato può attuare rendere saggi e consapevoli (M. Prensky) i nostri ragazzi.




Codice sorgente, un fenomeno letterario: nasce la prima mostra mondiale

Prima mostra al mondo sul codice sorgente
un fenomeno letterario

La nostra Associazione è da tempo partner di Codexpo.org associazione di Promozione Sociale senza scopo di lucro, che ha come scopo quello di realizzare la
Prima mostra al mondo sul codice sorgente

Inteso non come fatto tecnico ma come letteratura, lingua (ormai 7 mila come le lingue del mondo), fenomeno storico, culturale.
Il progetto e molti materiali sono già pronti, ma allestire ogni stanza costa ca 3000 euro e poi potrà essere esportata in tutta Italia.
Per questo sosteniamo attivamente e vi invitiamo a sostenere lo sforzo di raccogliere i fondi per la costruzione delle prime stanze, che saranno portate a maggio a Torino nell’ambito del progetto UNITO/CODEXPO.org Festival del codice sorgente.
Un evento di 5 giorni organizzato da Università e Codexpo.org di cui noi di Gessetti siamo partner ufficiali.
Così potrete vedere cosa si è realizzato con il vostro aiuto.

Il video di presentazione (2 min) : https://youtu.be/jWqEqJnHCN0
Se vuoi andare direttamente alla pagina della campagnahttp://sostieni.link/2252
Perché sostenere codexpo.org? http://codexpo.org/crowdfunding
Cosa ti regaliamo in cambio del tuo aiutohttp://codexpo.org/crowdfunding/gifts

Per saperne di più procedi nella lettura

Chi siamo
Ciao!
Noi di Codexpo.org siamo un gruppo di persone molto diverse per esperienze, professione, età e provenienza. Siamo programmatori, ma anche docenti di scuola e università, ricercatori. Il nostro sogno è quello di allestire, una stanza alla volta, il primo museo del Codice Sorgente. Per questo ci siamo uniti per formare una Associazione di Promozione Sociale (cioè un ente no- profit) a livello nazionale.

Cos’è il codice sorgente? È quel testo magico che sta dentro ai computer e che fa funzionare la maggior parte degli oggetti con i quali interagiamo – persino questo sito e il dispositivo con il quale lo stai leggendo.
Usiamo ogni giorno computer e programmi, ma raramente ci fermiamo a riflettere sul fatto che ogni programma è stato scritto da qualcuno, in qualche momento, in un certo linguaggio; cioè ogni programma è prima di tutto codice sorgente, cioè una forma di testo.
Il nostro obiettivo è raccontare al mondo cosa c’è dietro e oltre la superficie dei programmi: far scoprire a tutti, esperti e non, la ricchezza culturale del mondo della programmazione. In particolare, vogliamo far vedere come la scrittura dei programmi non sia solo un’attività tecnica e ripetitiva, ma possa avere aspetti personali e artistici accanto a quelli universali e razionali.
La scrittura di codice è una forma particolare di scrittura. Se si guarda alle pratiche di scrittura e lettura del codice sorgente si ritrova (quasi) tutto quello che accompagna la scrittura di un testo letterario: grammatica, regole, modelli, ma anche stili, personalità, mode. E poi manuali, scuole, concorsi, …

Cosa facciamo
La nostra “mission” è quello di costruire una o più esposizioni dedicate al codice sorgente, per la prima volta al mondo.
Perché ci sono musei dedicati ai computer, ai videogiochi, alla storia dell’informatica, ma finora nessun museo dedicato al codice sorgente.
Oltre a questo, che è il nostro obiettivo principale, organizziamo eventi pubblici sul codice sorgente: seminari, conferenze, incontri, corsi di formazione, laboratori di ricerca interdisciplinare, esposizioni temporanee. Abbiamo una particolare attenzione alla scuola e all’università, perché vogliamo dare una mano ai ragazzi nel loro difficile percorso di orientamento scolastico e professionale, combattendo i pregiudizi e le discriminazioni

La mostra
La mostra consisterà in una serie di spazi tematici (stanze) in cui vengono esposti e spiegati frammenti di codice sorgenti particolari (come il codice che ha guidato l’Apollo 11, o quello dei primi videogiochi sui vecchi minicomputer degli anni ‘60, o ancora le poesie scritte in un linguaggio di programmazione come l’ALGOL o il Perl).
Ma non è solo questo: ci saranno delle stanze dedicate alle migliaia di linguaggi di programmazione (da quelli più noti a quelli quasi sconosciuti e impossibili da usare), stanze che mostrano come lavora un programmatore, quali strumenti usa per scrivere e correggere.
E poi ancora stanze dedicate a tutte le persone, uomini e donne, che hanno reso possibile tutto questo inventando i linguaggi di programmazione o scrivendo i codici sorgenti che fanno girare il mondo.
Il nostro progetto completo prevede la realizzazione di 10 stanze tematiche. Ogni stanza avrà un suo stile, una sua caratteristica sia in termini di arredamento che di metafora.
Accanto alle schede informative, verranno installate opere multimediali interattive, che puntano a far partecipare il pubblico, a farlo giocare e perché no, a farlo programmare magari per la prima volta. Al centro della mostra, la stanza del GOLEM, dove i codici sorgenti opensource vengono raccolti, macinati e rappresentati in mille forme diverse.
La mostra è stata progettata per essere installata ovunque in maniera modulare. Le dieci stanze saranno indipendenti e potranno essere esposte anche in maniera autonoma a seconda del contesto e dei destinatari.

Come spenderemo i soldi raccolti.
Una stanza costa in media 3.000 €. I fondi raccolti saranno destinati all’acquisto dell’attrezzatura e dei materiali indispensabili per allestire le prime stanze della mostra ed all’acquisto dei servizi relativi (stampa dei pannelli, realizzazione del catalogo, delle locandine, dei dépliant). Una volta realizzata la stanza, siamo pronti per andare ad esporla in giro per l’Italia. Magari anche nella tua città…

codex

Per questo Vi invitiamo a
1- vedere il video e visitare la pagina di spiegazione su PDB di Banca Etica.
2- Contribuire per quello che potete o ritenete con carte anche virtuali o prepagate, Pay Pal, bonifico, in modo facile e guidato. NB Il CF dà lavoro alla cooperativa extraliberi.it che si occupa di insegnare un lavoro ai detenuti di Torino www.extraliberi.it
3- Condividere via social e far conoscere questa importante iniziativa davvero unica al mondo.

Il video di presentazione (2 min) : https://youtu.be/jWqEqJnHCN0
Se vuoi andare direttamente alla pagina della campagna: http://sostieni.link/2252
Perché sostenere codexpo.org? http://codexpo.org/crowdfunding
Cosa ti regaliamo in cambio del tuo aiuto? http://codexpo.org/crowdfunding/gifts

SE vuoi fare o farti un regalo curioso puoi scegliere tra decine di tee shirt (o felpe) con Logo o Codice sorgente personalizzato.
I codici sorgenti per personalizzare la tua tee-shirthttp://codexpo.org/crowdfunding/codici

Adesso che ci conosci hai voglia di aiutarci un po’?
Grazie per quello che potrete fare. Vi aspettiamo a Torino in primavera.

Il referente del progetto è
Rodolfo Marchisio
codexpo.org
marchisi@inrete.it
http://codexpo.org
https://www.facebook.com/codexpo.org/
https://twitter.com/codexpoorg/