La promozione sicura autorizza a non studiare più?

computerdi Aluisi Tosolini, ds del Liceo A. Bertolucci di Parma 

Dal 24 febbraio, primo giorno di sospensione delle lezioni in provincia di Parma, ho dato il via ad alcune nuove routine che segnassero il tempo nella nuova dimensione della scuola fuori dalle mura.
Tra queste due mail inviate a tutto il personale del Liceo Bertolucci, una al mattino e una alla sera (intitolate Mattutino e Tramonto), dove oltre a fare il punto della giornata che si apre e si chiude fornisco sia informazioni sulle attività in corso che sull’evoluzione normativa oltre che riflessioni più ampie di matrice culturale a partire dal linguaggio poetico.

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Questo il Mattutino di oggi 3 aprile, dedicato alle riflessioni e alle informazioni in ordine alla conclusione dell’anno scolastico, in attesa dell’uscita del documento La scuola fuori dalle mura pubblicato oggi da Avanguardie educative – Indire ed alla cui stesura ho partecipato e che è centrato proprio sul tema della valutazione.

Ai docenti del Liceo Attilio Bertolucci

1. ipotesi su come avviarsi alla chiusura dell’anno scolastico

Come certo sapete, procede il dibattito sugli scenari di chiusura dell’anno scolastico.
Tra le diverse anticipazioni vi è la bozza di un articolato che il Ministero sta limando e discutendo e che dovrebbe diventare, entro la fine di questa settimana, un decreto legge (perchè per cambiare l’esame di stato occorre una legge, non bastando un semplice DM)

I media stamattina (sia tv che giornali) danno la loro interpretazione del testo evidenziando i diversi aspetti.
Al riguardo credo corretto sottolineare – dal mio punto di vista – alcuni elementi del possibile dibattito sulle norme di chiusura dell’anno scolastico e in particolare sul tema della valutazione e del senso complessivo del nostro lavoro.

Facile infatti che serpeggi, e non solo tra gli studenti ma anche tra insegnanti ed educatori, l’idea che siccome tutto rischia di finire con una sorta di 6 politico, allora tanto vale smetterla di lavorare, e far lavorare, con serietà ed impegno.

In questo mese abbiamo spesso sentito raccontare la storiella del leone e del colibrì.
Il primo scappa davanti all’incendio della foresta, il secondo ci vola sopra portando la propria goccia d’acqua per collaborare a spegnere le fiamme.
In queste settimane abbiamo anche visto e sentito moltissimi leoni da tastiera. Coraggiosissimi nel commentare (e in sostanza irridere) i molti colibrì kantiani che reputano doveroso dar senso alla propria esistenza facendo in primo luogo quanto (molto o poco che sia) è nelle proprie possibilità per spegnere l’incendio.

Rispetto al tema “come finirà l’anno scolastico” credo sia giusto porsi poche ma essenziali domande che vanno al cuore del nostro lavoro e del suo senso.

1. Se pensiamo che di fronte ad una ipotesi tipo “tutti sostanzialmente ammessi al prossimo anno di corso” non abbia molto senso continuare a lavorare con impegno, serietà e tenacia, significa che aderiamo all’idea che la scuola – e l’impegno connesso – sta in piedi solo a motivo della coercizione dei voti, degli esami, dello spauracchio della bocciatura. Ma allora, è bene dirselo, non si tratta di scuola come luogo di costruzione e creazione di cultura ma di altra istituzione totale. Su quale, nello specifico, hanno ben detto Foucault e Goffman.

2. Se fosse così significa anche che la nostra autorevolezza non deriva tanto dall’essere prima di tutto intellettuali, scienziati, persone di cultura, appassionati al sapere ma solo addetti alle istituzioni totali di cui sopra. E’ sempre un mestiere importante, sia chiaro, ma di natura decisamente diversa. Basta saperlo.

3. Di conseguenza, se pensiamo che oggi il nostro lavoro non ha più senso “perchè tanto qui si rischia che sono tutti promossi“, occorrerà pur dirsi per quale motivo il nostro lavoro avrà senso da settembre in poi e aveva senso prima di febbraio. Solo perché addetti ad istituzioni totali? Solo perché signori dei voti e delle promozioni e bocciature?

4. Onestamente credo che questa emergenza e crisi globale, che sta intaccando i paradigmi socio-culturali ed economici su cui si è costruita negli ultimi 50 anni la società nella quale viviamo, costringa ognuno e ognuna di noi di dire e a mostrare nei fatti, nei confronti dei nostri studenti e delle famiglie degli stessi, chi davvero siamo.

Di che pasta ognuno di noi è fatto.
Che genere di uomo e donna, che tipo di persona prima che di educatore, ognuno di noi è.
Oggi, e quando questa crisi sarà finita.

2. Patrizia Valduga
Poetessa irriverente e controversa, partita studiando medicina a Padova ma poi finita a Lettere a Venezia a studiare il barocco e su su fino a Pascoli, dichiarando poi il proprio amore assoluto per Manzoni.
Attorno al 2000 ha scritto questa fulminante quartina.
Credo chiuda bene il mattutino di oggi

“Io sono sempre stata come sono
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono” 




Didattica a distanza e Privacy, l’intervento del Garante

matitaDidattica a distanza e Privacy, il Garante chiarisce e conferma quanto già si sapeva. Interessante rimane la lettura del pronunciamento che fa chiarezza anche sugli obblighi dei responsabili dei diversi servizi online.

Didattica a distanza e Privacy

Il Coronavirus ha impresso un’accelerazione al processo di implementazione del digitale a scuola. Questo però richiede un chiarimento e la conferma di quanto già contenuto nella letteratura giuridica, nella legislazione europea e italiana (GPDR, decreto attuativo 101/18).
E il provvedimento del Garante per la Privacy (30 marzo 2020) non si è fatto attendere. Occorre dire: nulla di nuovo sotto il sole. Sono confermati tutti i principi che girano intorno al trattamento del dato personale. E’ ribadito il principio della correttezza (=legittimità) della scuola nel trattare dati personali, purché questi siano coerenti (non esorbitanti) con le sue finalità (art. 18 D.Lvo196/03 e “Privacy a scuola” 2016).
Il medesimo principio, unito a quello dello della non eccedenza, è applicabile ai servizi di supporto (Didattica a distanza).
In questo senso va letto il seguente passaggio: “Il trattamento di dati svolto dalle piattaforme per conto della scuola o dell’università dovrà limitarsi a quanto strettamente necessario alla fornitura dei servizi richiesti ai fini della didattica on line e non per ulteriori finalità proprie del fornitore”.

Tutto il pronunciamento fa riferimento alla facoltà decisionale dei singoli istituti, tramite il Dirigente scolastico, quindi delegittimando ogni iniziativa personale del docente.
In altri termini è confermato il principio dell’istituzionalizzazione di servizi esterni alla scuola.
Si legge infatti: “Nella scelta e nella regolamentazione degli strumenti più utili per la realizzazione della didattica a distanza scuole e università dovranno orientarsi verso strumenti che abbiano fin dalla progettazione e per impostazioni predefinite misure a protezione dei dati.”
Confermata la necessità di un’informativa chiara per il rilascio del consenso da parte genitore al trattamento del dato personale dello studente, che ricordo è minorenne.
Il suddetto caso non rientra nella facoltà attribuita al minorenne dal GDPR (Regolamento europeo per la protezione del dato personale), in quanto il documento si riferisce a un profilo diverso da quello di studente.
Si legge infatti all’art. 8 comma 1, il cui limite d’età in Italia è stato portato a quattrodici anni (Decreto 101/18): ”per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”.

 




Valutazione on line, se ne parla da anni

matitadi Stefano Penge

Ieri sera mi domandavo: dove sono finiti tutti i docenti che hanno partecipato ai convegni sull’e-learning, sulla valutazione online, all’inizio del millennio?
La valutazione autentica, alternativa, tra pari etc. sembravano delle acquisizioni, tant’è che ci si poneva il problema di come applicarle al nascente campo dell’e-learning.
I quiz sembravano strumenti giurassici e si sperimentavano a fini valutativi mappe, portfolio, analisi quantitativi dei commenti (Thinking Types) e dei testi liberi.
Oggi invece siamo da capo: c’è bisogno di distinguere tra valutazione e verifica, tra assessment e evaluation, fra valutazione dell’apprendimento e del processo. C’è bisogno di *parlare* della valutazione online come se l’avessimo scoperta ora. Ma come?

Stamattina mi sono dato una risposta: “vent’anni fa, o giù di lì” (cit Guccini) quelli erano concetti con cui giocare, ma nessuno pensava veramente di metterli a sistema, di standardizzarne l’applicazione quotidiana fuori dai convegni e dalla riviste. Erano giocattoli divertenti, finché restavano confinati nei discorsi tra ricercatori, a scuola e fuori.

Per cui era facile accettare anche ipotesi folli come quella che diceva che nell’e-learning i dati raccolti dalle piattaforme, le interazioni tra corsisti, e non i risultati dei test, erano la fonte primaria per valutare il processo di apprendimento. I rari tentativi di applicare queste idee a grandi moli di dati (mi riferisco, per esempio, alle analisi dei forum INDIRE fatte nel 2005 per conto di Scienze della Comunicazione della Sapienza) non sono mai riusciti a diventare prassi consolidate.

Ripesco allora una bibliografia di un libro sulla valutazione online che poi non ho mai scritto e la posto qui, in modo che chi ha voglia possa farsi un giro. Non è completa e qualcuno di quelli che ci hanno lavorato sarà sorpreso di non ritrovarsi (aggiungetevi pure) ma può essere comunque utile. Ho eliminato tutti i testi non italiani.

Bibliografia su valutazione online – 2012

I. In generale: verso la valutazione online
• Varisco B. M., Metodi e pratiche di valutazione, Milano, Guerini, 2000.
• Varisco, B.M. “Tecnologie didattiche, apprendimento e valutazione”, in D. Persico (a cura di), Tecnologie didattiche e scuola. Atti del Convegno TED, Genova, 12-14 febbraio 2001, Ministero della Pubblica Istruzione – CNR, Istituto Tecnologie Didattiche, 2001.
• Colace F., De Santo M., Vento M., Un modello per la valutazione di ambienti per on-line learning, Atti di Didamatica, AICA, Napoli, 2002.
• Galliani L., Costa R., Valutare l’e-elarning, Pensa Editore, Lecce, 2003.
• Guglielman E., Vettraino L., Guspini M., Complex Learning, in Apprendimento e nuove tecnologie. Modelli e strumenti, a cura di V. Castello e D. Pepe, Franco Angeli, Milano, 2010
• Trinchero R., Valutare l’apprendimento nell’e-learning, Erickson, Trento, 2006.

II. Strumenti di valutazione delle interazioni didattiche
• Bocconi S., Midoro V. e Sarti L. (1999), Valutazione della qualità nella formazione in rete. Una metrica della qualità nei processi di formazione collaborativi in rete, “TD – Tecnologie didattiche”, n. 16, vol. 1-1999, pp. 24-40.
• Talamo A., Zucchermaglio C., Inter@zioni. Gruppi e tecnologie. Roma, Carocci, 2003
• Penge S., “Valutare un gruppo d’apprendimento online”, Atti del Convegno E- learning: formazione, modelli e proposte, Abbazia di Fiastra, Aprile 2004 (Armando Armando, Roma, 2006).
• Penge S., Valutare online, in Atti del convegno Didamatica 2004 (a cura di Andronico A., Frignani P., Poletti G.), Omniacom Editore, Ferrara, pp. 651-662, 2004
• Mazzoni E., Bertolasi S., “La Social Networks Analysis (SNA) applicata alle comunità virtuali per l’apprendimento: analisi strutturale delle interazioni all’interno dei Web forum”, in Je-LKS – Journal of e-Learning and Knowledge Society, n° 2, p. 243-257, 2005.
• Manca, S., Sarti, L. , Pozzi, F., Persico, D. “A mixed model for evaluating CSCL environments”, Colloque TICEMED, Genova, Facoltà di Scienze della Formazione, Maggio 2006
• Ranieri M., “Osservare e valutare gruppi di apprendimento online: soggetti, strumenti, strategie di analisi e intervento”, Colloque TICEMED, Genova, Facoltà di Scienze della Formazione, 2006.

III. Strumenti di valutazione delle interazioni verbali
• Maffei R., “Questioni di stile – L’influenza dello stile di conduzione sui gruppi collaborativi online”, Colloque TICEMED, Genova, Facoltà di Scienze della Formazione, Maggio 2006.
• Mancini I., Baroni B., Analisi Conversazionale e Analisi Sequenziale: applicazioni possibili alla CMC asincrona, su Form@re, n. 27, Maggio 2004.
• Mazzoni E. , La Social Network Analysis: analisi strutturale delle comunità virtuali, in A. Calvani, Rete, comunità e conoscenza, pp. 193-207, Trento, Erickson, 2005
• Molino M., Costruzione del discorso nei web forum collaborativi, in A. Calvani, Rete, comunità e conoscenza, pp. 225-35, Trento, Erickson., 2005.
• Tasso C., Rossi P.G., Morandini A., Virgili C., Personalizzazione basata sull’analisi dei contenuti per strumenti di comunicazione asincrona: il sistema ifFORUM, Atti 43° Congresso AICA, AICA, Udine, 2005

IV Altri strumenti di valutazione delle interazioni
• Comoglio M., Insegnare e apprendere con il portfolio, Fabbri, Milano 2003
• Guastavigna, M. Mappe per capire, capire per mappe, Carocci, Roma, 2004
• Rossi P.G., Progettare e raalizzare il portfolio, Carocci, Roma, 2005
• Varani A., Valutazione, portfolio formativo e TIC, Informatica & Scuola -1 3/2004




Alcune note sulla didattica a distanza

io_noidi Stefano Stefanel

La didattica a distanza è una Didattica digitale e dunque in questo momento (iniziato improvvisamente, ma destinato a durare a lungo) è l’unica possibile. Dopo una fase iniziale di entusiasmo, alimentato di chi si è esposto a sostenere che la Didattica a distanza poteva sostituire quella in presenza, si sta passando a una sorta di dubbio collettivo, alimentato da voci sempre più persistenti di studenti stremati, famiglie oberate e crisi di nervi in arrivo.
Il Ministero fa bene a temporeggiare sulle così dette “promozioni di massa” che poco piacciono ai tifosi della selezione, ma una cosa è certa: sono gli studenti più deboli, svogliati, assenteisti che hanno maggior bisogno della Didattica in presenza, cioè della “vecchia scuola”. Già deboli dentro un sistema cooperativo e comunitario questi studenti sono dispersi nel web e nelle loro lacune, dentro uno sfondo che non li ha dotati di competenze sufficienti per reggere l’urto della scuola in presenza, immaginarsi cosa gli sta succedendo nella scuola a distanza.

Se quindi era già terribile prendersela con i più deboli in periodo “di pace”, immaginiamo quanta violenza ci sarebbe nel prendersela con i più deboli “in tempo di guerra”. Ma di questo ci sono ancora due mesi di tempo per parlarne, cercando, comunque e giustamente, di non dare alibi a nessuno studente che intende limitarsi a sbadigliare invece che a studiare.
Il punto cruciale da affrontare, però, oggi è quello di una Didattica a distanza e di una Didattica digitale (non sono la stessa cosa, ma in questo momento sono l’unica cosa) che sono utilizzate anche da molti docenti che nulla in precedenza avevano sperimentato in merito, molti dei quali erano addirittura strenui combattenti contro il digitale.
Il trasferimento delle metodologie in presenza alle metodologie a distanza, delle metodologie cartacee a quelle digitali può permettere di coprire qualche vuoto, può aiutare gli studenti bravi o bravissimi, ma rischia di gravare il sistema di un nuovo errore, cioè quello di cercare di fare stare il vecchio nel nuovo. La strada da percorrere è quella che permette di ribaltare alcuni stereotipi, per posizionarsi nell’altrove in cui siamo precipitati.

Per questo di seguito indico, in questo intervento, dieci “accorgimenti pedagogici” che potrebbero essere utili per aiutare a definire i confini di una Didattica a distanza che sia una vera Didattica digitale.

1. Dalle domande agli studenti alle domande degli studenti.
L’attività didattica in chat o in videoconferenza permette un’interazione diretta con soggetti lontani, situati dentro ambienti spesso difformi e non tutti idonei all’apprendimento. La vecchia modalità dell’ “a domanda risponde”, propria ormai solo dei tribunali e delle aule scolastiche, non serve a niente, perché semplicemente mima una situazione in presenza dove prevalgono la memoria e non l’iniziativa. E’ necessario passare dalle domande fatte dall’insegnante allo studente alle domande fatte dallo studente all’insegnante. Da quelle domande si percepiranno la profondità, l’interesse, la competenza. Va ribaltato lo schema: l’interrogazione non parte dalla domanda dell’insegnante, ma da quella dello studente.

2. Dall’interrogazione al colloquio colto.
I video incontri anche individuali possono permettere uno spostamento dal concetto di interrogazione a quello di “colloquio colto”. Che cos’è un colloquio colto? E’ un colloquio tra due persone che condividono punti di riferimento culturali di livello elevato (e connessi all’età del soggetto più giovane). Chi non ha mai sentito parlare dei Promessi sposi non è in grado di discutere i motivi per cui don Rodrigo non voleva che Renzo e Lucia si sposassero, né l’eventuale esistenza di punti di contatto tra la pesta milanese del ‘600 e questa nostra epidemia.
Ma il concetto di colto si estende anche alla trigonometria e alla geografia, alla geometria e all’ecologia. Cioè a tutti quei settori in cui è possibile parlare solo con chi ne sa qualcosa. Ad esempio: per stabilire che cosa è un virus, come si trasmette, come si distrugge.

3. Dall’esperienza di classe all’esperienza personale.
Ogni studente (dai 3 ai 19 anni) sta vivendo un’esperienza diversa. Queste esperienze con colonne musicali personali, dentro luoghi diversi (case grandi con giardini, case piccole piene di gente, case su più piani, case con grandi saloni, case con piccole camere, ecc.) e dentro stili di vita diversi possono diventare il centro della narrazione e il punto di origine della conoscenza. L’apprendimento per sviluppo prossimo di cui parlava Vygotskij è il punto di partenza dell’esperienza didattica e di quella dell’apprendimento. Poiché non ci sono più ambienti simili, perché mediati ormai da esperienze di convivenza non comuni, le esperienze personali di vita nell’emergenza devono essere proiettate attraverso il web dentro lo spazio comune.
Con racconti, foto, musiche, filmati, selfie, cioè con tutto quello che in questo momento attraverso il web restituisce significato che ognuno di noi assegna a quello che sta accadendo.

4. Dai compiti per casa ai compiti di realtà.
Questo è forse uno dei passaggi più difficili: passare, cioè, da un meccanismo didattico ripetitivo e connesso alla successiva verifica sul raccordo tra quello che sta insegnando e quello che si deve imparare, alla descrizione della realtà dentro cui si vive. Questo mutamento di prospettiva importante per gli studenti adulti diventa necessario per quelli più piccoli che non possono essere inseriti dentro un sistema di semplici apprendimenti teorici, avendo perso anche quella laborialità logica che si trova dentro qualunque classe del primo ciclo dell’istruzione.
Dunque cercare di stimolare la realtà e di portarla nella teoria, non fare viceversa costringendo lo studente dentro una realtà in cui con i compiti per casa si cerca di coprire la mancanza della vita scolastica quotidiana.

5. Dalla verifica di quanto trasmesso alla ricerca della complessità: dal disciplinare al pluridisciplinare.
Se già la Didattica in presenza fatta di lunghe spiegazioni e di lunghissime conferenze mostrava il passo e veniva intaccata sempre più spesso da progetti, laboratori, incontri pubblici, viaggi, stage, ecc. la Didattica a distanza fatta attraverso lezioni frontali diventa insostenibile. Se è possibile apprendere attraverso filmati perché non lo si faceva anche prima?
Lo studente debole che si annoiava in classe a sentire lunghe narrazioni solitarie davanti ad un filmato tende a fare altro (guardare il suo cellulare se non è connesso con quello, ad esempio). E’ necessario allora verificare il processo di apprendimento attraverso la complessità.
Non chiedere nozioni o conoscenze secche, ma chiedere un ragionamento attraverso temi molto complessi e articolati, che non si possano risolvere copiando da internet, ma richiedano pensiero ed elaborazione per fare emergere le competenze reali. La complessità per sua natura esige competenze, quindi bisogna dare compiti difficili per cercare l’eccellenza, non per sanzionare i peggiori.
Questa difficoltà deve valorizzare gli studenti migliori, che attraverso la loro competenza approfondita aiuteranno a migliorare la Didattica a distanza. La complessità disciplinare deve raccordarsi con quella pluridisciplinare di cui è ormai pregna la nostra società. Per questo è importante costruire contenuti pluridisciplinari che stimolino gli studenti dentro ragionamenti complessi e non ripetitivi.

6. Dal fare i compiti allo scrivere libri.
La possibilità di condividere testi dentro cloud permette di passare dall’elaborazione di compiti alla scrittura di libri. Poiché questi libri saranno multimediali, possono essere di qualunque formato, contenuto, durata. L’insegnante è il soggetto ordinatore, la scuola è l’editore, i ragazzi sono gli scrittori. Il passare da una scrittura che trasmette quello che ha recepito a una scrittura che recepisce quello che trasmette permette di mettere allo scoperto la genialità o la pochezza del prodotto.
Il lavoro collettivo diventa anche una traccia delle individualità e della loro capacità di adeguarsi o no alle attività di gruppo. In questo caso l’emergenza non produrrà compiti, ma permetterà di editare (sul web) un libro sull’emergenza, che sarà diverso per ogni classe, per ogni gruppo, per ogni elettività.

7. Dalla penna alla tastiera.
La gestione della tastiera (sia quella di un PC, sia quella di uno smartphone, sia quella di un tablet) è diversa dalla gestione della penna. Il passaggio da penna a tastiera ribalta quello che è il normale senso del procedere.
Per moltissimi studenti la tastiera ha già preceduto la penna: ora non si tratta solo di applicare una sostituzione, ma di comprendere che, dentro una Didattica a distanza che è una Didattica digitale, di nuovo “il mezzo è il messaggio”. Digitare non è mai scrivere con la penna, partendo anche dal semplice fatto che molto spesso ciò che manca al digitale è la pazienza della rilettura di quello che si è scritto. La scuola deve entrare in questo meccanismo e, in questo momento, deve ribaltare la sua priorità iniziale (la penna) per passare alla priorità digitale dei suoi studenti (la tastiera), avendo bene in mente che scrivere con la penna non produce gli stessi effetti che scrivere con la tastiera e pertanto anche su questo è necessario fare scuola (primaria: anche quando si frequenta il liceo).

8. Da segnalare libri (letture) a segnalare link.
In questa fase è necessario che i docenti segnalino correttamente link dove individuare questo o quell’argomento sviluppati in modo corretto. Questo è un lavoro nuovo ed è un lavoro immane. E’ possibile credere ancora che lo studente studi volentieri sul manuale cartaceo, ma forse qualche dubbio in questa fase è necessario farselo venire. Bisogna imparare a linkare (parola pessima: ma ce n’è un’altra?) in forma approfondita, dopo aver girato ore e ore sul web per cercare qualcosa di veramente utile, interessante, ben scritto, ben organizzato.
Qui entriamo nel settore delicato della ricerca didattica, che non può limitarsi a cambiare nomi o a cercare di portare il vecchio programma dentro un nuovo curricolo.
L’emergenza chiede un aumento di profondità e quindi la possibilità di accedere in forma critica e intenzionale ai moltissimi contributi di altissimo livello che si trovano sul web. Diventa perciò necessario “saper linkare”: quando il docente parla agli studenti, deve segnalare riferimenti digitali facilmente reperibili, quando lo studente parla, deve indicare precisamente la fonte da cui ha tratto spunto per quello che sta dicendo.
Va ripristinata la logica didattica di san Tommaso d’Aquino, che pretendeva, durante il quolibet, che i suoi studenti citassero sempre la fonte delle loro affermazioni. A quel tempo avevano solo la memoria, oggi abbiamo un web così enorme che ci sta asciugando la memoria, per cui dobbiamo dare riferimenti chiari, non generici richiami a testi che non sono oggettivamente alla portata fisica (perché cartacei) di nessuno.

9. Dalla lingua madre al plurilinguismo.
Il plurilinguismo dovrebbe diventare la cifra della lontananza. A scuola non si può più parlare solo italiano, ma si deve iniziare a interagire in tutte le lingue con cui abbiamo familiarità, siano esse vive o morte. E’ un lavoro complesso non alla portata di tutti, ma credo sia necessario avviare degli incontri via chat o video con più insegnanti presenti contemporaneamente.
Quelli di lingua straniera avrebbero così la possibilità di presidiare le competenze linguistiche degli studenti dentro importanti contenitori scientifici, umanistici o anche esperienziali. Sia nel primo ciclo sia nel secondo ciclo è importante dare allo spettro plurilinguistico possibilità di spaziare di farsi valere come veicolo.
La didattica dentro il plurilinguismo è una didattica molto complicata e che per questo si sposa con la complessità virtuosa di cui parlavo sopra. Per questo è necessario affinare le competenze del lavoro in team, dentro spettri linguistici differenti su azioni pluridisciplinari complesse. Il senso dell’operazione diventa non solo quello di testare conoscenze, ma soprattutto quello di vedere in che modo si sono sviluppare le competenze, che solo dentro una dimensione plurilinguistica collocano lo studente (anche molto giovane) nella società che si evolve.

10. Dall’orario dei docenti all’orario degli apprendimenti.
Pensare che Didattica a distanza possa rispettare gli orari della Didattica in presenza è una pericolosa perdita di tempo. Mimare da remoto, attraverso video incontri o lezioni frontali, i tempi della presenza significa stare dentro un medium senza averne capito nulla. I consigli di classe, i team docenti, i dipartimenti dovrebbero attivarsi per rivedere la propria progettazione curricolare slegandosi dall’idea (morta) di programma.
I programmi non si potranno finire né quest’anno né mai, ma bisogna, invece, costruire curricoli anche temporalmente al passo con il processo di apprendimento degli studenti. Era una cosa che bisognava aver fatto prima, ma che adesso diventa imprescindibile e come tale deve essere attuata nell’emergenza.
Passata la prima fase accompagnata dall’entusiasmo dei neofiti, degli avanguardisti, degli estremisti del web e di quelli della carta, si deve transitare alla mediazione processuale per capire qual è il tempo migliore per sviluppare apprendimenti e per cementate conoscenze. Inutile rimanere ancorati all’orario: il mattino si spiega il pomeriggio si studia. Il tempo non è più quello che conoscevamo, le giornate sono più brevi di prima perché la solitudine annulla i tempi e cambia i ritmi.
E quindi anche la scuola deve essere diversa. Il tempo della Didattica a distanza e della Didattica digitale non può essere quello della Didattica in presenza, scandita oltre che dalle sveglie mattutine anche dagli autobus, dai treni, dagli scuolabus, dalle mense, dai rientri, dagli orari dei genitori, dallo sport, dalla dottrina, dai gruppi musicali e culturali, dalle feste, dagli incontri, ecc. Bisogna ripensare il tempo della scuola, collegandolo a quello dell’apprendimento in situazione di emergenza. Serve un tempo nuovo, magari un tempo senza tempo, in cui ci siamo perché apprendiamo, non perché siamo obbligati a esserci.




La scuola della “didattica a distanza”: intervista a Roberto Maragliano

In questa intervista raccolta da Reginaldo Palermo Roberto Maragliano, già docente di pedagogia in diverse università italiane, propone alcune sue considerazioni sulla fase che le scuole italiane stanno attraversando e sottolinea che, finita l’emergenza, la scuola non potrà tornare ad essere quella di prima.




COVID-19: come si rovescia un sistema

io_noidi Ariella Bertossi, dirigente scolastico.

“C’era una volta una scuola con tanti bambini dove ogni giorno si insegnavano e raccontavano tutte le meraviglie del mondo…
Poi arrivarono i sussidi didattici, le lavagne interattive, i computer, internet, la didattica digitale, le flipped classroom, le piattaforme interattive, le banche dati e tutto il mondo on line e gli insegnanti, che facevano il mestiere più bello del mondo, si trasformarono in tanti piccoli videoterminali”.

Potrebbe essere l’inizio di una favola del futuro, ma per fortuna così ancora non è.
La rapida evoluzione del COVI-19, culminato in pandemia, ha scosso profondamente il nostro mondo e in pochi giorni anche il complesso meccanismo che regola l’istruzione nel nostro paese.


La crescita esponenziale del contagio non va d’accordo con la lentezza dei sistemi, tanto più se si parla di sistema scolastico italiano, dove ogni sperimentazione ed innovazione, qualora non bloccata sindacalmente ancor prima della sua nascita, necessita di tempi molto lunghi.
Dopo i primi percorsi di alfabetizzazione digitale e incrementati anche dall’introduzione massiva del registro elettronico e della segreteria digitale, i docenti negli ultimi dieci anni sono stati bombardati di iniziative a carattere tecnologico, con proposte a partire dall’infanzia. Parlare di coding, pensiero computazionale, digital story-telling, e-book, fumetti e bacheche digitali non dovrebbe essere più un mistero per un docente che vuole essere al passo con i tempi.
Non si tratta di affermare la vittoria di una didattica nuova rispetto a quella tradizionale, ma di convenire che la rete e il digitale in genere consentono un livello di interazione e di interattività che una lezione meramente espositiva non offre.
Certamente avere una LIM o un monitor in classe non significa fare innovazione, se il video è solo sostituzione di una lezione espositiva, ma si può affermare che le tecnologie sono le uniche strategie didattiche veramente inclusive in quanto possiedono tutti gli strumenti compensativi e dispensativi che agevolano il lavoro di ciascuno, non solo dei BES.
Consentono inoltre di recuperare i contenuti quando gli studenti sono assenti, mantengono il contatto con gli alunni ricoverati in ospedale o a casa per patologie varie. Sono democratiche perché, data una rete, aiutano tutti nella partecipazione. Si affiancano al ruolo essenziale del docente, non più detentore del sapere, ma come colui che lo organizza, lo struttura e lo rende assimilabile. La sua funzione è determinante e le tecnologie un supporto al suo servizio.

Molti docenti, in genere i più conservatori, sono stati tuttavia spesso riluttanti ad accogliere le tecnologie in classe. Alcuni si sono opposti fieramente al digitale vuoi per pigrizia, vuoi per reale difficoltà dimostrata anche dalla ritrosia nell’uso del registro digitale, che invece ha notevolmente agevolato le operazioni burocratiche, soprattutto durante gli scrutini. In effetti non è semplice cimentarsi con questi strumenti, che per noi spesso sono tutt’altro che intuitivi e per i quali c’è bisogno di assistenza costante soprattutto all’inizio. Pensiamo a tutte le volte in cui abbiamo cambiato un cellulare o un PC negli ultimi anni: le difficoltà nella comprensione
dell’uso c’è stata, magari risolta con un click se in mano ai nostri figli. Ultimamente ho comprato un forno nuovo e ho pensato che se l’avesse comprato mia mamma, che pur cucina bene, a mala pena avrebbe saputo accenderlo.
Il digitale ormai è intorno e dentro di noi e dobbiamo farcene una ragione. Invece non è scontato nella scuola, creando in alcuni casi scuole a più livelli e diversi livelli di stili di insegnamento, dal docente più smart a quello che invece va avanti a fotocopie (con buona pace della tendenza Green).
Gli studenti devono adeguarsi a quanto ogni insegnante propone, nonostante ce ne siano molti ormai che si avvalgono di supporti digitali grazie ai quali parte del lavoro può essere agevolato. Anche nel primo ciclo ci sono tantissime possibilità e stimoli da questo punto di vista, ma certamente è bene che soprattutto i piccoli consolidino le abilità di base che non necessariamente hanno a che fare con il digitale.
È possibile aderire a piattaforme che consentono di iscrivere gli studenti a classi virtuali, offrendo non solo la possibilità di interagire con modalità simili a Facebook (bacheca per commenti, invio di materiali, foto, chat ecc.), ma anche e soprattutto di inviare e ricevere materiali di lavoro, verifiche on line e altri compiti che i ragazzi possono svolgere in classe e a casa. I sistemi consentono di reperire contenuti video, audio, accesso a quotidiani di tutto il mondo per svolgere delle lezioni in classe in modo molto più coinvolgente della lezione frontale e soprattutto, forse, più in linea con le modalità di approccio dei nostri studenti, che per la loro natura sono più avvezzi alle modalità digitali rispetto a quelle cartacee e frontali.

Da tempo dunque i docenti si misurano con le tecnologie e, anche a seguito della con il Piano Nazionale della Scuola Digitale, L. 107/2015 si è dato un grande slancio moltiplicando le proposte di didattica digitale. Tutti i docenti hanno a disposizione un buono acquisto annuo per poter dotarsi di attrezzature informatiche e aderire a corsi di aggiornamento per adeguarsi alle novità che la professionalità docente, sempre più complessa, continuamente pone.

Poiché tuttavia da alcuni l’aggiornamento non è considerato un dovere, l’adesione a tutte le proposte è stata subordinata alla propria professionalità e al singolo desiderio, quindi non generalizzata. Nella scuola si viaggia a più velocità, esercitando la pazienza da parte dei nostri studenti che, come sempre, si adeguano a quanto viene loro proposto. Su che basi poi però tutti i docenti debbano certificare la competenza digitale dei propri studenti non sempre si sa…
In questa situazione di estrema variabilità succede però che ad un tratto arriva un virus che si espande con una velocità e pericolosità tale da causare la sospensione prolungata delle attività didattiche.
Dopo l’euforia dei primi giorni, durante i quali nessuno si è particolarmente preoccupato pensando che la situazione si risolvesse in tempi brevi, ora lo scenario è cambiato, creando la necessità di dover agire per sopperire a quanto gli alunni stavano perdendo con la mancata frequenza scolastica. Da un timido inizio con l’invio di materiali via mail o tramite registro elettronico, la forza della didattica digitale si è riversata nell’ordinario come un fiume in piena, facendo nuotare con stile i fautori dell’innovazione e ad annaspare chi invece di digitale proprio non ne ha voluto sapere. Nel giro di poche settimane, a guardarla dal di fuori, la scuola sembra totalmente stravolta: aule vuote, docenti a registrare videoconferenze, materiali digitalizzati, connessioni potenziate, tecnici costantemente impegnati in supporto e tanto, tanto mutuo insegnamento.

È stata la più grande formazione sul campo mai vista, che ha stanato i più “conservatori” costringendoli a produrre digitale, fosse anche una foto, ma digitale. Il trionfo dei docenti più giovani, contro i “dinosauri” che sicuramente possiedono competenze disciplinari e professionali maggiori, ma che dal punto di vista strumentale si sono affidati anima e cuore al collega appena arrivato, ma competente. Sì competente, perché di fatto in questa situazione è stata la competenza digitale a salvare da un annegamento certo.
Ed è questa stessa competenza che è posseduta maggiormente dagli studenti che dai docenti: sono spesso loro a poter guidare i docenti che iniziano, sanno come risolvere i problemi e dove andare a cercare i tasti giusti. Docenti e studenti ritrovano un terreno comune, sul quale forse è il docente a sentirsi meno sicuro, ma che invece fa sentire a suo agio il nativo digitale.
Quando tutto sarà finito, l’emergenza da COVID -19 ci avrà lasciato delle grandi opportunità, un nuovo modo di fare scuola, il conoscersi dal divano di casa, nei nostri affetti e nei nostri gusci, magari con il cane vicino, nella nostra dimensione umana oltre che professionale. E i docenti?

Quelli che stanno facendo scuola a distanza sono elettrici, galvanizzati, presi in un vortice totalizzante, novelli “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Si sentono utili, contenti, certamente anche molto stanchi perché il lavoro di preparazione è intenso e totalizzante: sanno di aver creato un ponte che senza questa opportunità ci avrebbe messo più tempo ad attivarsi. Le video lezioni di gruppo poi sono state spesso uno spasso, un clima da gita scolastica, ma molto proficuo. Insomma direi un successo: speriamo che tutto non sparisca insieme al morbo!

Ogni istituto ha organizzato e messo in piedi quanto possibile per raggiungere i propri studenti, dai bambini della scuola primaria fino alle sezioni dei corsi serali. Improvvisamente la domanda “cos’hai fatto a scuola”, posta ogni giorno dai genitori e alla quale spesso si sente rispondere un “niente” diventa inutile: un genitore ha ora il polso di quanto accade a casa, può seguire concretamente cosa il figlio fa e soprattutto che cosa il docente propone.
Stiamo assistendo al rovesciamento di un sistema: il docente con la funzione di controllo sugli studenti diventa controllato da chi, preoccupato per il protrarsi della mancata frequenza, comincia ad essere insofferente e si informa, chiede, sollecita, propone, confronta, giudica, valuta. In questa situazione i docenti dimostrano tuttavia molta disponibilità e collaborazione. In un’organizzazione che non ha mai contemplato il lavoro di docenza da casa, senza strumenti, senza formazione e senza organizzazione alcuna, i docenti hanno messo in campo le loro risorse, ognuno come ha potuto, considerando la propria funzione e la contingenza di un momento che vede nella scuola e nell’istruzione forse l’unica parvenza di normalità dove nulla è più normale.

Cosa avremmo fatto senza questa opportunità? Come avremmo sopperito senza la rete ad un periodo di chiusura così lungo e del quale non vediamo ancora la fine?
Ma intanto a scuola ancora non si torna, costringendoci a compiere ulteriori passi: le attività proposte in modo autonomo e indisciplinato vanno organizzate, definite e chiarite. Quanti sono gli studenti raggiunti? Con che modalità? C’è uniformità di proposte? E come valutiamo? Questi tutti i dubbi e i quesiti che, un passo alla volta ci troviamo ad affrontare ed emerge, con nuova insistenza, il problema maggiore di tutti i docenti: la valutazione. Anche in questa situazione, dove valutare è un’incognita perché dall’altra parte dello schermo ci potrebbe essere chiunque, la valutazione tenta di riprendersi il podio tra le attività del docente.
Anche nell’emergenza, quando l’accento dovrebbe essere posto sull’essenziale e cioè sul dare degli strumenti di apprendimento, la valutazione arrovella e strugge (tutto sommato comprensibilmente) le menti dei poveri docenti. È certamente importante dare valore a quanto i ragazzi producono e fanno, dare un feed-back, sollecitare, spronare, ma in questi frangenti una valutazione non può essere che positiva, perché se in classe a volte i ragazzi dormono, ma ci sono, on line basta un click e non ci sono più. Qual è dunque il fine di averli connessi con il mondo della scuola? Il voto? La burocrazia uccide l’umanità ed è in situazioni come queste che c’è bisogno di far sentire la vicinanza, più che usare una didattica a distanza, come ha ben detto la dott.ssa Giovanna Boda del MIUR.

In questi giorni molti hanno capito che forse non è la mail il canale comunicativo da preferire, che ci sono strumenti ed un mondo enorme a disposizione e soprattutto che c’è bisogno di formazione perché dal digitale non si torna indietro, perché la abilità e le competenze da coltivare sono altre e sono ormai evidenti, perché la didattica deve fare i conti con ambienti che, anche se non sono i nostri, questi ormai sono.
Se entrando in classe finora molti cellulari andavano depositati in un cassetto, forse ora andranno rivisti come risorsa e strumento e magari, non considerandoli più banditi, ma mezzo di studio, gli studenti li sostituiranno con qualche libro letto di nascosto, sotto il banco, come facevamo noi con le poesie decadenti.

Auspico pertanto che questa terribile esperienza, che stavolta è toccata a noi, non passi invano, ma ci arricchisca di esperienze preziose e upgrades notevoli.
Un ultimo pensiero vorrei mandarlo a noi dirigenti, che in questa situazione siamo stati in prima linea districandoci tra i non detti dei proclami e le interpretazioni dei DPCM susseguenti: se da un lato abbiamo sperimentato uguali forme di comunicazione a distanza, ci siamo sentiti molto più uniti, ma ancora una volta, purtroppo, sempre più soli.




La didattica a distanza e la scomparsa dell’infanzia

io_noiLa didattica a distanza rappresenta la risposta più adeguata all’emergenza da Coronavirus. Purtroppo può favorire la scomparsa dell’infanzia. Occorre salire di livello per attuare una didattica a distanza, ma interattiva con gli alunni.

 

 

La didattica a distanza è sicuramente una buona soluzione

La didattica a distanza rappresenta la risposta più adeguata all’emergenza da Coronavirus che ha portato alla sospensione delle lezioni e condurrà probabilmente alla chiusura delle scuole. Non ci sono alternative! Meglio ne esiste una: inviare tramite WhatsApp o altro servizio IM compiti o schede. Questo è giustificabile per un arco di tempo breve. Purtroppo non sappiamo se la scuola riaprirà il 6 aprile. Sicuramente a quella data sarà passato dalla prima sospensione (5 marzo). Quindi occorre salire di livello, trasferendo per quanto è possibile il far scuola quotidiano nell’ambiente virtuale. E questo significa proporre nuovi contenuti, affascinando (motivando) gli studenti senza il supporto della prossimità fisica che significa il tono della voce, lo sguardo, la mano sulla spalla… Senza dimenticare il contributo che offre la dinamica relazionale e sociale di una classe.

La didattica a distanza e il rischio dell’intermediazione dell’adulto

Sicuramente la didattica a distanza compromette la prossimità fisica, ma una sua “vulgata” può far eclissare anche il bambino. Una tipologia di didattica a distanza, infatti rimette al centro i genitori, coinvolgendoli più direttamente, Sono loro, infatti ad accedere ai contenuti, attraverso il registro elettronico o altri ambienti virtuali. Sono loro ad effettuare il download e qualche volta l’upload. Gli alunni, invece diventano i terminali del processo di consegna. Una certa didattica a distanza non ha come interlocutori diretti gli alunni, bensì i genitori. In quest’ottica essi assomigliano a dei segretari che ricevono la corrispondenza per poi passarla alla persona interessata. In altri termini, una certa traduzione semplificata e riduttiva della didattica a distanza favorisce l’intermediazione dell’adulto, eclissando il bambino. Occorre quindi individuare soluzioni come file audio o video dove l’alunno riappare per presentare il suo prodotto. Sappiamo benissimo che l’alunno non cessa di esser bambino. Questo si declina nell’immediatezza, nello stupore e nella fiducia che caratterizza il profilo di alunni. Probabilmente questo è l’aspetto più interessante del nostro lavoro: interagire con persone che ancora non hanno quei filtri degli adulti. Gianfranco Scialpi