La scuola pubblica che verrà non deve essere prigioniera dei cattivi padroni della rete

di Rodolfo Marchisio

Dopo un intervento iniziale in cui auspicavo linee guida dal MI, ma soprattutto soluzioni contestualizzate in autonomia elaborate dalle scuole, vista l’emergenza e dopo avere portato a termine una ricerca sui documenti, sugli studi e le ricerche in atto, pubblicate su Tecnica della Scuola, rubrica Ed. Civica e didattica digitale cfr i temi trattati, ritengo opportuno sottolineare un aspetto di quanto emerso che è stato poco seguito dai molti interventi.

Riassumo:

  • La DaD NON è la didattica digitale che come riconosce anche la commissione Bianchi ed il MI deve tornare dentro una scuola capace di osmosi, perché il digitale è a tutti gli effetti un ambiente di apprendimento, ricerca, collaborazione, cooperazione, oltre che comunicazione. Un mondo da esplorare non solo da usare. Spesso male.
  • La DaD ha bisogno di piattaforme
  • Il MI ha fatto da vetrina alle piattaforme GAFAM quelli che Rampini ha chiamato “I cattivi padroni della rete”. Google, Amazon, Face book, Apple, Microsoft, con particolare riferimento alla prima ed all’ultima. Suggerendone implicitamente l’uso alle scuole e proseguendo la politica di pigrizia mentale, ignoranza ed asservimento a prodotti commerciali nati per il lavoro e non per la didattica e quindi poco adattabili ed a scatola chiusa. Vedi Classi 2,0, LIM, Classi 3.0, ed ora videoconferenza … e via spendendo (2 miliardi ca). Prodotti che non solo non hanno un futuro nella scuola (dare LIM a tutte le 40.749 classi x 2600 – costerebbe oltre 106 milioni), ma che sono il museo vivente nelle nostre scuole, delle scelte errate fatte in nome della mentalità:

a-  “se non riesco a progettare il progresso mi butto sulla innovazione, perché nuovo è sempre meglio” e fa bella figura- cfr Gui Il digitale nella scuola.
b- si fa meno fatica a pensare che la tecnologia salvi una scuola malata che a pensare una scuola nuova. Cfr OCSE 2014 e 2015: è dimostrato che le tecnologie di per sé non migliorano l’apprendimento. “I bravi docenti si”. Su questo esistono ormai centinaia di studi citati anche da Gui e la storia che alcuni di noi hanno vissuto dalla fine anni 70.
Diamo buone tecnologie ai bravi docenti. Ma soprattutto cultura.
Mentre si smantellava la scuola pubblica con le riforme, da Moratti a Gelmini e Tremonti i tagli sono stati di ca 8 miliardi, si investivano 2 miliardi in tecnologie autoreferenziali. Compreso il PNSD e il coding.

  • Le ditte GAFAM, come sappiamo, vivono catturando i nostri dati, rivendendoli e facendoci comprare prodotti o votare in un altro modo (nel periodo Covid 1 hanno guadagnato in borsa 500 miliardi ed Amazon ha fatto i soldi con le consegne a casa che tutti abbiamo usato e che hanno creato in Europa 200 mila disoccupati in più).
  • Con il trucco del consumattore: facendoci credere di essere attori protagonisti della rete mentre siamo li solo per fornire dati e per consumare prodotti “su misura per noi”.

Questi servizi “sono fondamentalmente depotenzianti. Li paghi e credi di ricevere in cambio un servizio. Ma tu gli dai molto più del tuo denaro: gli dai anche i tuoi dati, e rinunci al controllo, rinunci all’influenza. Non puoi plasmare la loro infrastruttura, né cambiarla per adattarla alle tue esigenze”. E. Snowden

Scuola DaD e privacy

  • La scuola pubblica, nel mettere in gioco anche i dati ulteriori di famiglie e docenti necessari alla DaD, non si è posta il problema che, oltre agli oligopoli privati che gestiscono i nostri dati esistono piattaforme alternative o pubbliche:
  • Quelle free od open (da jitsi ad Ada ma l’elenco è lungo) che non creano problemi di privacy
  • Quella pubbliche di consorzi come il GARR che ha sostenuto ca 1000 scuole durante la crisi
  • Quelle pubbliche che altri Stati (Francia) hanno costruito sulla base di jitsi, perché il pubblico controlli il privato, facendo una piattaforma per la scuola e affidando la continuità pedagogica a un ente pubblico, il CNED, con il servizio Ma classe à la maison.

 DaD e Garante della privacy

Cosa c’entra con la DaD? Il garante della privacy, come detto è dovuto intervenire 3 volte:

  • Interventi:

Trattamento dati “Le istituzioni scolastiche e universitarie dovranno assicurarsi (anche in base a specifiche previsioni del contratto stipulato con il fornitore dei servizi designato responsabile del trattamento), che i dati trattati per loro conto siano utilizzati solo per la didattica a distanza.”

  • Ha ribadito il principio della “correttezza (=legittimità) della scuola nel trattare dati personali, purché questi siano coerenti (non esorbitanti) con le sue finalità (art. 18 D.Lvo196/03 e “Privacy a scuola” 2016). Il medesimo principio, unito a quello della non eccedenza, è applicabile ai servizi di supporto (Didattica a distanza)”.
    garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9302778
  • “Il trattamento di dati svolto dalle piattaforme per conto della scuola o dell’università dovrà limitarsi a quanto strettamente necessario alla fornitura dei servizi richiesti ai fini della didattica on line e non per ulteriori finalità proprie del fornitore”.
  • Infine di fronte a una Ds che ha rifiutato il contratto con Google, che lei aveva dovuto firmare mentre Google non lo controfirmava e quindi non aveva valore legale è arrivato a scrivere al MI “gli istituti scolastici hanno sinora provveduto (alla didattica a distanza, ndr) ricorrendo a soluzioni tecnologiche, offerte da vari fornitori, non sempre caratterizzate da garanzie adeguate in termine di protezione dei dati personali e talora notevolmente vulnerabili”. Lo stesso Soro suggerisce di usare (temporaneamente) il registro elettronicoriducendo proporzionalmente il ricorso ad altre piattaforme”.

Conclusioni:

  • Dobbiamo avere la forza e la lucidità, vista la occasione, di pensare a una scuola nuova per il futuro, che vuol dire avere un progetto realizzabile, un uso del digitale dentro una scuola capace di osmosi con l’esterno, ma che non si aggrappi al digitale come tecnologia salvifica.
    E che non rinunci alle classi, non come ambiente chiuso ma come nucleo flessibile di educazione, socialità, relazione, progettualità (il clima di classe favorisce l’apprendimento – Losito)
    L’idea è quella di una città capace di tornare a scuola e di una scuola in grado di aprirsi alla città. Lorenzoni 
  • La didattica digitale (che non è la DaD) è ambiente di apprendimento, ricerca collaborazione, cooperazione oltre che comunicazione, ma bisogna essere consapevoli che
    a- Usare il web senza formare cultura digitale è diseducativo e pericoloso
    b- Scegliere una piattaforma non è come comprare un gadget. È una decisione da un lato politica, occorre “Una politics dell’educazione pubblica digitally enriched che tracci la via. Anche per (regolare) il mercato” (dal quale la scuola rischia di continuare ad essere fagocitata). A proposito di Ed. civica e cittadinanza digitale…
    c- dall’altro strettamente legata alle scelte educative, ai progetti, alla didattica. Al “che cosa ci devo fare, come, in che modo e contesto”. Per quali obiettivi e competenze.
  • La controparte delle piattaforme GAFAM – se proprio non possiamo farne a meno- con annesse responsabilità, non sono le singole scuole e i DS che firmano i contratti, ma sulla privacy, la controparte, per motivi di squilibrio di potere, deve essere il governo. Meglio, come su tasse, violazione norme e Fake news attraverso la UE che ha un regolamento apposta.

Purtroppo siamo ormai abituati a comprare a scatola chiusa e senza pensare.
Per questo occorre formare cultura digitale.

Vale la pena di leggere (grazie a M. Guastavigna e S Penge per le condivisioni di idee):

Mazzoneschi: I Rischi di affidarsi ai colossi della tecnologia per la didattica a distanza.
 Pievatolo: Teledidattica. Proprietaria e privata o libera e pubblica.
Lorenzoni: Le città devono aprirsi agli studenti
Gui, Il digitale a scuola, Il Mulino




La videoconferenza è nata per comunicare, non per insegnare

rete_numeridi Stefano Penge

La DaD è un altro caso di *misuse*, di uso in ambito educativo e scolastico di tecnologie nate per altri scopi e contesti.
La videoconferenza è nata per comunicare, non per insegnare.
Gli ambienti come MS Teams o GSuite sono nati per la collaborazione dei gruppi, non delle classi di bambini.

Sono nati per fare altro ma vengono forzati ad un uso molto lontano da quello per cui erano stati progettati e realizzati.
Non ne faccio un problema etico: è che quando si progetta un s
oftware si parte dai casi d’uso, dai bisogni degli utenti, e si realizzano funzionalità per soddisfare quelli.
Quello stesso software che è perfettamente adatto in un contesto funziona malissimo in un altro. Per esempio: voglio fare un quiz e uso uno strumento che serve a fare i sondaggi. Sembra quasi uguale, ma è pensato in maniera completamente diversa: punta ai risultati aggregati, alle statistiche; probabilmente permette solo tipi di domande molto semplici, non quelle a cui avrei pensato (cloze, corrispondenze, trascinamenti).

Non è la prima volta che succede in ambito digitale: basta ricordarsi la LIM, che è nata per fare presentazioni in azienda ed è stata trasportata – quasi senza trasformazioni – nelle aule di scuola elementare. Prima ancora, le suite di software per ufficio (scrittura/calcolo/database/presentazione) spacciate come software educativo.

Qualche rara volta è successo che si pensasse al mondo dell’educazione come ad un mercato sufficientemente unico e grande per meritare di sviluppare dei prodotti o servizi apposta, da zero. Ma è rischioso e non è andata sempre bene.

Il riuso ha enormi vantaggi per chi produce: riapplicare un prodotto in mercati diversi da quello originale permette di entrare in lizza prima dei concorrenti che perdono tempo a progettare qualcosa di specifico; ma soprattutto permette di recuperare gli investimenti, sia di lavoro che di infrastrutture. Amazon aveva un sacco di server e di banda inutilizzata e si è inventata prima AWS e poi Amazone Chime. Microsoft con Azure e Teams ha fatto lo stesso.

Solo che questo fenomeno ha avuto, ed ha oggi, delle enormi controindicazioni per gli utenti. Piano piano ci siamo convinti che il software educativo, in fondo, non è diverso da quello per la produttività in ufficio. O che una lavagna serve a presentare, non a collaborare. Che una classe è un gruppo di persone che condividono un’agenda e un po’ di file.




Didattica a distanza. Tecnologie digitali e cambiamenti della Scuola

rete_numeridi Cosimo Quero

L’emergenza Covid 19 sta determinando la continuazione degli studi a distanza, con le nuove tecnologie che consentono le attività scolastiche, limitandone i danni di una sospensione prolungata.

Progressivamente, in Italia, le scuole adottano la didattica online; in tal modo si vanno evidenziando   le carenze di strumentazioni tecnologiche inadeguate o mancanti in numerose istituzioni scolastiche.

E’ necessario, in questa fase emergenziale e, soprattutto per il futuro post coronavirus, una riflessione profonda sui vantaggi e sui pericoli della utilizzazione delle tecnologie digitali, nonché sui profondi cambiamenti da apportare alla didattica “in presenza” e alla organizzazione dell’insegnamento.
Occorrerà riflettere sui tempi di funzionamento della scuola; sui pericoli derivanti da una iperutilizzazione dei mass-media; sulle innovazioni profonde da introdurre nella medesima “didattica in presenza”.
E’ necessario che la Scuola Italiana risolva il problema delle differenti “velocità formative” del sistema (dispersione e ritardi nella formazione) tra il Nord e il Sud e nelle zone periferiche e povere delle grandi città.

La didattica a distanza sta, inoltre, proponendo i limiti di una politica pregressa di sottrazione di fondi per l’educazione e la ricerca; di una mancata valorizzazione della funzione docente; di una formazione in servizio e della carenza di strumentazione tecnologica delle scuole.
Le tecnologie digitali propongono la riorganizzazione dell’insegnamento, la riflessione sui tempi, un modo nuovo di utilizzazione dei docenti.
Si pensi ad una utilizzazione delle competenze docenti “specializzate” anche al di là delle classi; ad una revisione profonda dei programmi di insegnamento tramite le nuove tecnologie.
L’Italia deve finalmente proporsi di superare le insufficienze del sistema formativo che emergono anche dalle ricerche valutative internazionali.

Noi proporremo due contributi nella direzione di quanto sin qui affermato, relativi alle opportunità che le tecnologie digitali offrono e ai rischi che un uso inappropriato delle stesse comporta.

LA DIDATTICA A DISTANZA

Occorre precisare, per quel che riguarda l’insegnamento a distanza, che non può ridursi ad una mera assegnazione di compiti, ma deve arricchire l’insegnamento con forme di comunicazione semplici che propongano attività di apprendimento attive da parte degli allievi.
E’ vero che viene a mancare l’interazione “in presenza”, che la valutazione diviene più complessa; ma il rapporto diretto con i docenti può ugualmente mantenersi, come sta in parte già avvenendo, con intensificazione affettiva dei rapporti docenti-alunni.
Va riconosciuta ai nostri docenti una nobile vicinanza emotiva con i loro allievi, ed uno sforzo didattico notevole anche a fronte di una carenza strutturale e di dotazioni tecnologiche delle istituzioni scolastiche.

Intanto è urgente la ricerca di tutti gli alunni che non sono nelle condizioni di seguire le lezioni a distanza che si stanno proponendo, per non aggravare le disuguaglianze educative e gli svantaggi determinati dalle condizioni socio-economiche delle famiglie.
A superamento avvenuto della tragedia che sta cogliendo l’Italia, si proporrà il problema della dotazione tecnologica delle scuole, non a “macchia di leopardo”, ma con sistematicità in tutte le scuole del Paese. Proprio in tutte!
Intanto va riconosciuto che le nuove tecnologie propongono il rinnovamento profondo della didattica e dell’organizzazione dell’insegnamento. Le classi possono restare ancora come punto di riferimento, ma le opportunità offerte da tablet e computer possono consentire “l’apertura” delle medesime con la possibilità di interventi individualizzati e personalizzati.
La composizione e scomposizione dei gruppi classe permettono l’utilizzazione di competenze specializzate dei docenti anche a gruppi di alunni allargati, con apposita riorganizzazione di tempi, gruppi, attività.
L’insegnamento in tal modo può arricchirsi di competenze docenti, di documentari, di programmi filmati. Si pensi ai grandi vantaggi per gli insegnamenti storico-geografici, scientifici, artistici et alia.

  1. I VANTAGGI DELLE NUOVE TECNOLOGIE-

Le possibilità offerte sono notevoli e vanno approfondite. Le tecnologie a scuola supportano al meglio lo sviluppo cognitivo e sociale degli allievi, facilitando la riabilitazione e il normale apprendimento.
Il software consente di esercitarsi sui punti deboli; di creare prodotti e di fruirne la comunicazione.

Le tecnologie informatiche

  • offrono ampie disponibilità di stimoli linguistici, uditivi, visivi e stimolano la motricità;
  • consentono la personalizzazione, la ripetizione dei passaggi critici e il costante monitoraggio dei progressi;
  • rispettano bisogni e ritmi degli alunni che possono assumere il controllo dei propri processi di apprendimento.

Inoltre, realtà virtuale e robot hanno applicazioni specifiche per la disabilità intellettiva e per la diagnosi e l’intervento su soggetti con autismo, stimolando competenze di imitazione, comunicazione e interazione sociale.
L’apprendimento tramite tablet, ad esempio, può essere vantaggioso per due costrutti psicologici:

  • Il flow e
  • l’apprendimento multisensoriale.

Il flow è un’esperienza ottimale dal punto di vista cognitivo ed emotivo, favorita da una attività piacevole in cui ci si sente immersi.

L’apprendimento multisensoriale attiva simultaneamente molteplici canali sensoriali e motori in maniera vantaggiosa per l’apprendimento.

Con le nuove tecnologie è possibile AUTOTESTARSI E AUTOVALUTARSI con enormi vantaggi per lo sviluppo cognitivo.
Informazioni, concetti e conoscenze non si fissano nella mente attraverso la RIPETIZIONE, ma attraverso meccanismi di ELABORAZIONE E RICOSTRUZIONE. (Teoria costruzionistica del sapere. Metacognizione ed Autovalutazione).
Non è l’ascolto ripetuto, ma l’elaborazione e soprattutto il recupero a facilitare il ricordo delle informazioni. E’ lo sforzo di ricordare (etimologicamente, “riportare al cuore”) o di ricostruire, il mezzo attraverso cui si perviene ad una forma di conoscenza duratura.
Occorre perciò rendere motivante un costante auto-testarsi e auto-interrogarsi, quindi l’elaborazione, la ricostruzione, il tentativo di recuperare le informazioni.
A ciò supportano le tecnologie che rendono piacevole il momento valutativo, fornendo un feedback immediato, dettagliato e informativo (non giudicante della persona!) ma focalizzato sulla prestazione adeguata o da migliorare.

In un prossimo contributo considereremo le modalità d’uso delle nuove tecnologie per prevenirne limiti e possibili influenze negative sullo sviluppo.
Siamo consapevoli che l’uso delle tecnologie è solo un mezzo e che urgono riflessioni ulteriori su come esse possono essere usate nella scuola in relazione alle funzioni psicologiche che l’alunno deve acquisire per un buon apprendimento sia cognitivo, sia emotivo e relazionale.




La scuola riparte (anche) fuori dalle mura

spiraledi  Laura Biancato, Amanda Ferrario, Antonio Fini,
Alessandra Rucci – 
dirigenti scolastici

Nella previsione che gli effetti dell’emergenza Covid-19 impongano un distanziamento sociale che si protrarrà per diversi mesi ancora, incombe sull’anno scolastico 2020 – 2021 l’ipotesi di una riapertura graduale e/o limitata, nel rispetto delle norme di prevenzione.

Gli scenari che si aprono sono difficilmente compatibili con l’organizzazione consolidata delle normali attività scolastiche (gestione degli spazi, dei tempi quotidiani e settimanali, mobilità degli studenti…).

Il diritto allo studio dovrà quindi essere garantito mettendo in piedi modalità alternative alle usuali attività didattiche in presenza e privilegiando un sistema “misto” (a distanza / in presenza), che garantisca il rispetto del distanziamento sociale e dell’uso dei dispositivi individuali di sicurezza.
L’effetto non può che essere un ripensamento sostanziale dei paradigmi ai quali siamo abituati da decenni.

1 – La Didattica a Distanza nell’emergenza Covid-19.

In questi mesi di isolamento, la Didattica A Distanza (DAD) si è rivelata una soluzione di emergenza all’improvvisa sospensione delle attività didattiche in presenza.
Avviata con fatica o con rapidità, ben sostenuta da decisioni collegiali o improvvisata, sorretta da linee guida d’Istituto o frammentaria, la DAD non ha avuto nelle scuole italiane una qualità omogenea, forse impossibile da pretendere.

Va precisato che la DAD è comunque una metodologia nuova per tutti, anche per quelle scuole che hanno attivato da anni forme innovative di didattica digitale. È inoltre una modalità mai pensata come standard per la fascia della scuola, essendo (peraltro parzialmente) diffusa soltanto a livello universitario e per la formazione degli adulti.

La gestione emergenziale della DAD ha portato però anche a forme virtuose di reti di supporto, spontanee o indotte da organismi come Ministero e Indire, allo scambio di buone pratiche e al rapidissimo sviluppo di formazione via webinar di tutte le tipologie (formazione peraltro molto richiesta e fruita da grandi numeri).
Sono state redatte e diffuse linee guida, frutto di esperienze pregresse ma anche di ricerca nelle prime settimane di sospensione delle attività didattiche.
Ora, però, il passaggio da quello che si poteva prevedere come un periodo ragionevolmente breve a un futuro ancora incerto, richiede un salto di qualità nella progettazione, per immaginare e risolvere scenari complessi e difficili.

Se le scuole non dovessero riaprire a pieno regime, questo porterà ad effetti sociali difficilmente sostenibili, se solo si pensa alle famiglie con bambini in fascia di scuola dell’infanzia e primaria. E per le istituzioni scolastiche, all’obbligo di prevedere una didattica mista, consolidando le metodologie a distanza e nel contempo riorganizzando completamente gli orari e l’accesso agli edifici scolastici, tempi e modalità delle lezioni in presenza, puntando comunque al massimo della qualità possibile, nella consapevolezza che si tratta di una questione molto diversa (non migliore, né peggiore, ma diversa) dall’ordinaria gestione della scuola.

Per questo, è indispensabile che il centro di governo delle scuole, il Ministero dell’Istruzione, passi rapidamente da interventi di supporto tampone ad una programmazione complessiva di azioni durature ed organizzate che consentano lo sviluppo coerente e graduale dei curricoli, nei vari livelli di scolarità.
Questo supporto rappresenterebbe una base omogenea, a garanzia del diritto allo studio, che ogni istituto potrebbe poi adattare al proprio contesto, nel rispetto dell’autonomia scolastica e della libertà di insegnamento.
Non è pensabile continuare ad operare in una costante “emergenza”, e soprattutto nell’attuale condizione di disomogeneità.

2 – Non una sola “scuola”.

Comunque la si intenda, una ripresa graduale non può basarsi solo su “numeri” da suddividere nel rispetto del distanziamento, o su “classi” da dividere a metà per permetterne l’accesso alle aule, ma deve promuovere un ragionamento più mirato sulle singole situazioni.
A seconda del grado di scuola o dell’indirizzo, va articolata un’organizzazione specifica a livello di Istituto, che tenga conto di un nuovo paradigma di didattica “mista” e di diverse necessità rispetto all’ordinario. Quali sono le priorità? Ci sono attività che non si possono proprio svolgere a distanza? Quali attività, invece, anche a distanza, possono risultare efficaci quanto quelle in presenza? Ci sono anni di corso ai quali dobbiamo porre particolare attenzione? Come seguire meglio gli studenti più deboli?

Uno “standard” generico del tipo “metà classe segue in presenza, l’altra metà segue la stessa lezione a distanza” sicuramente semplificherebbe le scelte organizzative, ma produrrebbe un effetto didattico illogico, visto che le modalità di approccio ad un gruppo in presenza sono completamente diverse da quelle, ad esempio, in videoconferenza.

Dunque, il prezioso e limitato tempo in presenza va indirizzato a priorità riconosciute: le attività di laboratorio, i nuovi apprendimenti, gli studenti più fragili, la formazione dei nuovi gruppi classe…
Qualsiasi ipotesi di soluzione imporrà prima di tutto di distinguere tra i livelli di scolarità e, all’interno di questi, addirittura gli anni di corso e le singole discipline. Non è pensabile un’unica ipotesi organizzativa e metodologica, perchè le età, le competenze, l’autonomia, gli obiettivi, le metodologie e anche i docenti sono profondamente diversi.

 La scuola dell’infanzia.

Comprende una fascia di età nella quale la relazione educativa in presenza e la fisicità rappresentano elementi imprescindibili, che sostanziano e danno un senso alle attività didattiche.
Va detto chiaramente che a questo livello è improprio parlare di didattica a distanza: nella fase di emergenza si è potuto dare continuità all’anno scolastico già iniziato mediante racconti, video e varie proposte di attività da svolgere a casa, con un apprezzabile sforzo dei docenti di mantenere vivo un rapporto con i bambini e, più limitatamente, dei bambini tra loro.
Va costantemente tenuto conto che il “carico” del supporto ad ogni attività proposta grava sempre interamente sulle famiglie.
Lo scenario di riapertura a settembre è difficile da immaginare e una eventuale mancata riapertura sarebbe ardua da sostenere a livello sociale, perché è ben chiaro l’impatto sull’organizzazione delle famiglie, specialmente nel caso in cui entrambi i genitori lavorino.

Tuttavia, per bimbi di 3 o 4 anni sarà evidentemente arduo immaginare di poter garantire le distanze di sicurezza, l’igiene personale prevista dal perdurare dell’emergenza e l’uso delle mascherine.
Una possibile proposta potrebbe essere quella di riavviare l’anno per i bambini di 5 anni, con un’organizzazione per piccoli gruppi, riducendo l’orario di frequenza e prevedendo turni spalmati sull’intera giornata, mattutini e pomeridiani.

La proposta di un supporto a distanza, in accordo e con il supporto delle famiglie, potrà riguardare, per tutti, piccole sollecitazioni ad attività adatte all’età, via web o TV, come riportato nella tabella di sintesi.
Rimane aperto il problema dei più piccoli, il cui “inserimento” sembra difficilmente praticabile, alle condizioni ipotizzate.
La disponibilità continuativa di trasmissioni TV, con fascia oraria fissa ed eventuale replica giornaliera (1h è sufficiente), potrebbe rivelarsi un supporto decisivo per le famiglie.
In ogni caso, la questione “infanzia” non è risolvibile pensando esclusivamente alla scuola: dovranno essere ideate e messe in atto politiche di sostegno alle famiglie, incluse sinergie a livello territoriale, coinvolgendo tutta la comunità locale, i servizi educativi per l’infanzia, i Comuni, le associazioni ecc.

La scuola primaria.

Nell’arco dei cinque anni di scuola primaria vanno evidenziate differenti esigenze e possibilità.
Il primo anno rappresenta una fase delicata e fondamentale, nella quale il percorso degli apprendimenti e delle competenze di base (in particolare l’apprendimento della letto-scrittura) male si adattano ad una didattica a distanza.
La presenza dei docenti, lo sviluppo delle abilità sociali all’interno del gruppo classe, la possibilità di orientarsi in un ambiente di comunità sono fattori indispensabili, e impongono di assegnare una precedenza nelle eventuali scelte organizzative.
Negli ultimi due anni di corso, invece, è possibile che si integrino le attività in presenza con una maggiore incidenza delle attività a distanza, opportunamente pensate per questa fascia di età.
Dovendo individuare delle priorità, la proposta è dunque quella di dare la precedenza assoluta per la presenza a scuola ai bambini di classe prima.

L’impatto psicologico con le prevedibili restrizioni, per bambini di questa fascia di età, è difficile da immaginare. Non potersi toccare, stare distanti, di conseguenza non poter giocare o parlarsi normalmente, tra bambini ma anche tra alunni e docenti, renderà la normale vita a scuola un artificio a mala pena sostenibile.

Anche per questi motivi, e considerando i numeri medi di alunni frequentanti le scuole primarie e la necessità di distanziamento, è ipotizzabile una riduzione della giornata di scuola ad un turno mattutino o pomeridiano, escludendo per il momento le mense e articolando le classi in più gruppi.
Per la scuola primaria si potranno integrare le attività didattiche in presenza con forme di DAD opportunamente programmate, descritte nella tabella a seguire.

Vanno tenuti presente alcuni principi e vincoli, particolarmente importanti in questo segmento scolare: la ridotta autonomia degli alunni, con conseguente “carico” sulle famiglie, la necessità di un feedback continuo e tempestivo per tutti ma, in particolare, per gli alunni con BES, il mantenimento di un buon livello di socializzazione e di collaborazione tra gli alunni.

La scuola secondaria di primo grado

L’esperienza maturata in questi mesi di DAD emergenziale ha mostrato che, nella maggior parte dei casi, l’uso integrato di piattaforme e registro elettronico e, soprattutto, un corretto bilanciamento di attività sincrone ed asincrone, consente un efficace mantenimento della relazione educativa anche nella modalità DAD, con alunni che si avviano ad una certa autonomia.

Anche in questo caso, tuttavia, va prestata attenzione alla prima classe. Il passaggio dalla scuola primaria è infatti un momento particolarmente delicato, soprattutto dal punto di vista psicologico, in ragione anche delle note problematiche legate alla pre-adolescenza. La formazione del gruppo-classe, ad esempio, con alunni provenienti di solito da scuole primarie diverse (anche se generalmente appartenenti allo stesso istituto comprensivo) è una fase delicata che richiede necessariamente la presenza, almeno per alcuni mesi.
L’esperienza dell’emergenza di quest’anno, manifestatasi a metà febbraio, consente di verificare che almeno il primo quadrimestre necessita senza dubbio di attività costante in presenza.

Nelle classi seconde e terze è invece possibile limitare la presenza, proseguendo con attività di DAD. Alcuni momenti di presenza potrebbero essere opportuni per le classi terze, nella seconda parte dell’anno scolastico, anche se si spera che per quel periodo (primavera 2021) la situazione possa essersi stabilizzata.

Anche in questo segmento, è necessario tenere presenti alcuni principi, già evidenziati per la scuola primaria: il livello di autonomia degli alunni, pure più elevato ma certo non completamente acquisito, il feedback continuo e tempestivo, l’attenzione molto elevata per gli alunni con BES, anche in considerazione dell’aumento della complessità cognitiva, il mantenimento delle condizioni di socializzazione e di collaborazione tra gli alunni.
Anche per la scuola secondaria di primo grado si esclude il tempo prolungato e si ipotizza il ricorso a tempi scuola in presenza abbreviati.
Per gli alunni dell’indirizzo musicale (in particolare per le classi prime) si può prevedere una prima fase con maggiore presenza a scuola (le lezioni sono comunque già individuali o al massimo in coppia e non presentano pertanto particolari problemi di distanziamento) ed una successiva con più ampio ricorso alla DAD.

 La scuola secondaria di secondo grado.

L’esperienza della DAD nel secondo ciclo può continuare anche in previsione di una ripresa graduale. In questi mesi, è stata sicuramente agevolata, rispetto agli altri ordini e gradi di istruzione, dal grado di autonomia e di competenza digitale degli studenti. In generale, le scuole hanno fatto il possibile per organizzare una didattica a distanza sfruttando i registri elettronici e/o piattaforme cloud già in uso, oltre alle piattaforme di alcuni testi in versione mista (cartacea e digitale).

A questo livello, la mancanza di un device individuale e/o di un’adeguata connessione crea l’interferenza più sostanziale per la prosecuzione del percorso di apprendimento.
Il problema generale non è tanto l’accesso ai contenuti, ma una corretta riorganizzazione delle attività didattiche e un necessario ripensamento delle metodologie, che non devono e non possono semplicemente riprodurre pari pari le lezioni in presenza.
Gli indirizzi e le opzioni di scuola secondaria di secondo grado sono, però, molto diversi tra loro e, nell’ipotesi di una ripresa graduale e mista, impongono decisioni non generalizzate, ma calibrate sulle reali necessità didattiche.
Anche in questo segmento l’impatto delle classi prime con una condizione di riduzione della presenza a scuola richiede una individuazione di priorità, per i motivi già esposti.

Nella ormai accertata natura dei percorsi per competenze, anche di tipo trasversale, va riconosciuto che alcune attività di carattere strettamente laboratoriale difficilmente si possono adattare ad una didattica senza la presenza fisica nei laboratori.

Per dar modo agli studenti di frequentare in sicurezza, non vi è altra strada che suddividere le classi in gruppi, riducendo in proporzione il tempo scuola e creando turni mattutini e pomeridiani, ampliando di fatto gli orari di apertura delle sedi.

Ogni istituto dovrà individuare, tra le attività prioritarie da salvaguardare, quelle che non sono pensabili a distanza (per primi i laboratori professionalizzanti e/o sperimentali) e garantire un supporto didattico puntuale e attento agli studenti con difficoltà (disabili, DSA, BES…).

 L’educazione degli adulti

In questo settore rientrano le attività dei CPIA, dei corsi serali e delle sezioni di scuola in carcere. Si tratta di attività che in parte già prevedevano moduli a distanza, che andrebbero pertanto potenziati ulteriormente.
Per l’insegnamento dell’Italiano L2, si possono prevedere momenti in presenza, seguiti da attività di DAD, sempre tenendo presenti le particolarità (anche a livello locale) dell’utenza.
La scuola in carcere può beneficiare dell’istituzione di un canale TV dedicato, con contenuti in parte prelevati da quelli destinati alle classi regolari e in parte progettati ad hoc.

3 – Sintesi delle criticità e delle esperienze virtuose.

Nell’ipotesi di avviare per l’inizio del 2020 – 2021 un sistema misto (in presenza/a distanza), è opportuno mettere in evidenza gli errori e le esperienze virtuose osservati in questi mesi di DAD dovuti alla sospensione delle attività scolastiche, per definire proposte che superino iniziative “di emergenza” e privilegino una progettazione organizzata e coerente.

Criticità pressoché uniformi nei vari livelli di scuola, e che per questo non vengono riportate in tabella, sono:

  • la difficoltà di molti istituti ad avviare le attività ma anche, una volta “partiti”, a mantenere una coerenza organizzativa della DAD;
  • in ogni modo, una mancanza di qualità uniforme sul territorio nazionale (anche tra scuole dello stesso territorio);
  • la mancanza di un dispositivo individuale per ogni studente della secondaria (tablet o notebook);
  • la mancanza o insufficienza di connessione;
  • il basso livello medio di competenze digitali e didattiche, in riferimento alla DAD, di una parte dei docenti e, per quanto riguarda il digitale, anche dei genitori.

Rispetto a questi problemi, che rappresentano l’insieme delle condizioni di partenza, senza le quali non si può pensare ad una didattica “mista” omogenea e diffusa, che garantisca il diritto allo studio per ciascuno studente, vengono in tabella proposte soluzioni diverse a seconda dell’età.

 

Livello Criticità emerse Esperienze virtuose Considerazioni per l ’a.s. 2020-2021
Infanzia La scuola dell’infanzia è un segmento nel quale parlare di vera e propria DAD non ha molto senso. L’età dei bambini rende improbabile una gestione a distanza delle attività didattiche. Video incontri mediati dalle famiglie, per confermare la “vicinanza” degli insegnanti, proporre piccole attività e “incontrare” gli altri bambini.Trasmissioni TV.Mini siti di plesso, costantemente aggiornati con attività da fruire in asincrono. Prevedere condivisione ed accordi con le famiglie.L’uso necessariamente limitato del web e degli schermi digitali deve indurre all’impiego di altri supporti, quali, ad esempio la TV.Privilegiare la frequenza per gruppi, almeno per i bambini di 5 anni.

Le scuole possono valutare l’estensione delle piattaforme cloud, considerando sempre attentamente il carico attribuito all famiglie: sarebbero ovviamente i genitori a dover gestire gli account personali degli alunni.

I contenuti proposti dovrebbero comunque essere fruibili anche semplicemente attraverso smartphone.

È consigliabile, ove ancora non in uso, l’estensione a tutti del registro elettronico, come strumento massivo ed efficiente di comunicazione.

Primaria Il web può essere utilizzato solo con la presenza di un adulto. Piattaforme di tipo scolastico possono essere utilizzate in parziale autonomia solo dalle classi terminali (4^ e 5^).In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Videolezioni sincrone con il supporto dei genitori, con proposte di vere e proprie attività didattiche e per “incontrare” i compagni.Trasmissioni TV.Mini siti di plesso, costantemente aggiornati con attività da fruire in asincrono.

Uso delle piattaforme cloud.

Per la scuola primaria va sviluppato un set organizzato, coerente e continuativo (non frammentato o episodico) di contenuti curricolari dalla prima alla quinta da rendere disponibili (ed eventualmente adattabili) in due modalità integrate:-          una piattaforma fruibile in asincrono-          un canale TV nazionale dedicato, con lezioni consequenziali e organizzate per orari standard

Tutto questo dovrebbe venir supportato e amplificato dai singoli istituti con piattaforme cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali, proposti dai docenti della scuola.

L’uso di uno strumento inclusivo come la TV, rende non indispensabile un device individuale se non, forse, nell’ultimo anno di corso.

I testi cartacei (utile guida al percorso) dovrebbero necessariamente avere la versione digitale.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i bambini più piccoli.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Le scuole possono valutare l’estensione delle piattaforme cloud anche per gli alunni più piccoli, considerando sempre attentamente il carico attribuito all famiglie: sarebbero ovviamente i genitori a dover gestire gli account personali degli alunni.

È indispensabile, ove ancora non in uso, l’estensione a tutti del registro elettronico, come strumento di comunicazione immediata e massiva, oltre che individuale.

Secondaria di primo grado In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Uso dell’area didattica dei registri elettronici per le attività asincrone. Uso di piattaforme cloud per la gestione delle classi virtuali e delle lezioni sincrone. Va previsto che ogni studente sia dotato di device individuale (tablet o notebook).Ogni istituto deve dotarsi diuna piattaforma cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali organizzate dalla scuola.

È indispensabile la versione digitale dei testi in uso, da ottenere a prezzi ridotti, per dare modo alle famiglie di acquistare un dispositivo personale (tablet o notebook) ad ogni alunno.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i ragazzi di classe prima.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Si dà per scontato che per tutti sia già in uso il registro elettronico.

Secondaria di secondo grado In questi mesi l’intervento didattico è stato prevalentemente mirato a consolidare competenze e apprendimenti già affrontati in presenza, con forti limitazioni a nuovi argomenti o competenze. Uso dell’area didattica dei registri elettronici per le attività asincrone. Uso di piattaforme cloud per la gestione delle classi virtuali e delle lezioni sincrone.Canali YouTube dedicati.Altre piattaforme per le videolezioni.

Attività laboratoriali virtuali.

Va previsto che ogni studente sia dotato di device individuale (tablet o notebook).Ogni istituto deve dotarsi diuna piattaforma cloud, per permettere le videolezioni sincrone personalizzate e “corsi” su classi virtuali organizzate dalla scuola.

È indispensabile la versione digitale dei testi in uso, da ottenere a prezzi ridotti, per dare modo alle famiglie di acquistare un dispositivo personale (tablet o notebook) ad ogni alunno.

Individuazione puntuale delle attività da svolgere necessariamente in presenza, in particolare per i bambini più piccoli.

Conseguente organizzazione della presenza a scuola per gruppi, con contestuale modifica dell’assegnazione dei docenti alle classi.

Si dà per scontato che per tutti sia già in uso il registro elettronico.

 4 – Proposte operative di didattica “mista” per l’avvio dell’a.s. 2020 – 2021.

Per garantire il diritto allo studio e per il superamento di una provvisoria fase di emergenza, è indispensabile una progettazione “nazionale”, una vera e propria “pedagogia della distanza”, sulla base dell’analisi delle specifiche esigenze di ogni ordine e grado di scuola e singole discipline.
Sarebbe opportuno che il Ministero dell’Istruzione si facesse carico di predisporre linee guida dettagliate, per ciascun livello scolare e per ogni disciplina, con esempi di Unità di Apprendimento a Distanza (UdAD), basate su contenuti il più possibile standard, reperibili su piattaforma appositamente predisposta, ma diffusi anche tramite canali TV dedicati.

Nel rispetto dei singoli PTOF degli istituti scolastici e della libertà di insegnamento, si può pensare che la proposta di una piattaforma di contenuti (su esempio di quella allestita da CNED per il sistema di istruzione francese) possa rappresentare un supporto rassicurante e orientante per ciascun livello di scolarità, lasciando tempo e ampia possibilità di azione ai docenti per integrare ulteriori attività e contenuti, anche attraverso le piattaforme cloud di istituto, laddove esistenti. Per contro, le scuole che non si sono attrezzate o non hanno le competenze adeguate per avviare un proprio “sistema”, potranno trovare beneficio nel proseguire i percorsi curricolari appoggiandosi alla piattaforma “ministeriale”.

L’ottimizzazione dei tempi della docenza è uno dei fattori da rivedere alla luce di un’organizzazione di tipo misto. Se si disponesse di una piattaforma comune di contenuti e di UdAD, il tempo dedicato alla didattica (che in presenza sarà ragionevolmente ridotto a causa delle norme sanitarie e a distanza dovrà essere riorganizzato) potrebbe essere dedicato ad incrementare il supporto formativo e a migliorare la relazione educativa, seguendo anche meglio gli studenti con maggiori difficoltà e personalizzando gli apprendimenti.

L’impostazione generale potrebbe ispirarsi genericamente alla flipped classroom, con i necessari correttivi in base all’età degli alunni e alle specifiche discipline.

Nei mesi che ci separano dall’inizio del nuovo anno scolastico, potrebbero essere istituiti due gruppi di lavoro, attingendo alle migliori “menti didattiche” presenti nelle scuole del Paese:

  • un primo gruppo, con il ruolo di content manager (CM) dovrebbe dedicarsi all’individuazione e allo sviluppo di una piattaforma di contenuti da rendere disponibili a tutte le scuole, anche con la consulenza di esperti, sulla base di modelli predefiniti di pronto uso. L’obiettivo è di “coprire” almeno i nuclei fondanti di ogni disciplina, per ogni classe, per tutti gli ordini di scuola.

Il Ministero potrebbe stipulare apposite convenzioni per regolare i diritti d’autore e/o per lo sviluppo dei contenuti stessi, ferma restando l’opportunità di coinvolgere i docenti del gruppo per la realizzazione delle videolezioni. Potrebbe, infatti, affidare a consorzi di case editrici l’incarico di fornire i contenuti granulari per l’allestimento delle piattaforme.

Si tratta certamente di un impegno enorme, il cui risultato però garantirebbe una base uniforme di contenuti, a garanzia del diritto allo studio. Tali contenuti, inseriti in un repository organizzato (ad esempio su una piattaforma nazionale appositamente realizzata, con criteri di facile accesso. Anche in questo caso l’esempio è rappresentato dalle piattaforme francesi gestite dal CNED), dovrebbero consistere in materiali in formato standard, utilizzabili su tutte le piattaforme cloud delle scuole e in contenuti video facilmente organizzabili per le trasmissioni in TV. Le videolezioni dovrebbero essere brevi (max 15’) e rappresentare la fase espositiva/anticipatoria delle attività. Già il servizio Rai Play Learning, appena avviato, rappresenta una base consistente di ottimi contenuti di apprendimento.

A questo primo gruppo di lavoro potrebbero contribuire in modo significativo, oltre ad esperti del settore della comunicazione, le case editrici, fornendo materiali di base provenienti dai libri di testo già disponibili sul mercato.

  • il secondo gruppo di lavoro dovrebbe svolgere il ruolo di instructional designer (ID). Lavorando a stretto contatto con il gruppo CM, basandosi il più possibile sui contenuti sviluppati e facendo riferimento ad alcuni formati standard, la task force ID dovrebbe produrre una serie di UdAD, una sorta di lesson plan utilizzabili da tutti i docenti, naturalmente adattabili ai singoli contesti.

Il ruolo dei docenti delle scuole, a questo punto, sarebbe agevolato, nel senso di una minore necessità di produrre la maggior parte dei materiali (spesso molto dispendiosi da predisporre soprattutto se di tipo multimediale), ottimizzando le risorse (al momento, ad esempio, decine di migliaia di docenti stanno realizzando video fai-da-te sui medesimi argomenti, anche all’interno delle stesse scuole!). Avrebbero a disposizione inoltre una ricca biblioteca di UdAD e di contenuti, eventualmente da modificare, integrare e contestualizzare. Il tempo risparmiato potrebbe essere così utilmente impiegato per organizzare al meglio la didattica mista presenza-distanza, sviluppare UdAD, fornire feedback, valutare gli apprendimenti, dedicare la massima cura alla relazione educativa e alla personalizzazione, con particolare attenzione agli alunni con BES.

5 – Il ruolo della televisione.

La televisione può giocare un ruolo fondamentale, nell’ottica della diversificazione dei canali comunicativi, della possibilità di raggiungere veramente tutti e, in parte, dello sgravio parziale delle reti telematiche.
Ovviamente, la televisione è un mezzo di comunicazione unidirezionale, per cui rimangono necessari i sistemi interattivi per l’interazione e il dialogo educativo,
Per alcuni segmenti scolari (infanzia, educazione degli adulti, scuola in carcere), la TV può risultare una chiave di volta per il successo delle iniziative formative,
In funzione della realizzazione dei contenuti da parte del gruppo di lavoro CM e, naturalmente, del vasto repertorio di materiali già disponibili, potrebbe essere messo in atto un protocollo d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e la RAI per il dispiegamento di uno o due canali interamente dedicati ai contenuti didattici per la DAD.

6 – La questione “connessioni”.

Pur essendo al di fuori del tema portante di questo documento, che intende focalizzare l’attenzione sugli aspetti didattici e organizzativi, non si può evitare di ricordare il problema della connettività internet. Secondo le più recenti statistiche, ma anche dalla rilevazione sul campo effettuata da molte scuole durante il periodo emergenziale, la percentuale di famiglie che non dispone di connessione fissa, per vari motivi (dalla indisponibilità sul territorio a scelte economiche), è ancora elevata, con grandi differenze tra le diverse regioni. Le connessioni mobili, a loro volta, risultano spesso insufficienti. È del tutto evidente che ciò costituisce un vincolo fortissimo per la DAD, al punto da impedire, in parte o del tutto, alcune delle misure e delle attività presentate come “possibili” dal punto di vista didattico. Si tratta di una questione che, evidentemente, non può essere risolta dal mondo della scuola ma richiede un impegno complessivo da parte dello Stato per superare al più presto il divario digitale che ancora affligge vaste aree del Paese.

7 – La formazione dei docenti.

Le risorse attualmente a disposizione delle scuole polo d’ambito per la formazione dei docenti (40% del finanziamento totale), oltre a quelle già assegnate alle singole scuole (il restante 60%) sono probabilmente, in molti casi, al momento, “congelate” a seguito degli eventi emergenziali.
Certamente erano state già ipotizzate attività formative, sulla base delle priorità individuate dalla nota ministeriale prot. 49062 del 28/11/2019.
Tali risorse potrebbero essere ora concentrate su una formazione estesa e diffusa, focalizzata sulla nuova priorità della DAD e principalmente orientata agli aspetti metodologici, oltre che tecnologici. Le attività formative potrebbero essere avviate anche subito ma si può valutare di rinviarne una parte a fine agosto-settembre, in funzione della eventuale realizzazione di quanto esposto in precedenza.
Si rende necessaria una rapida sequenza contrattuale per sancirne l’obbligatorietà, peraltro già prevista, come è noto, dalla L.107/2015.

8 – Conclusione. La scuola (anche) fuori dalle mura.

La crisi del COVID-19 ha dimostrato l’importanza delle competenze digitali e della relativa infrastruttura, sia a livello generale che nel particolare delle famiglie e dei singoli individui. E’ un insegnamento imprevisto ed imprevedibile, che però conferma tutti gli sforzi fatti negli ultimi decenni per portare innovazione metodologica e digitale nella scuola italiana.
Nessuno può più tirarsi indietro.
Nel momento in cui la didattica è realizzata completamente (o in parte, come si potrebbe ipotizzare per il futuro) online, la didattica “fuori dalle mura” deve affidarsi anche ad altri contenuti, alternativi o integrativi al “libro di testo”, con una modalità diversa di “fare scuola” ed un ripensamento generale dell’organizzazione e del “corredo” di ciascuno studente.
Non si può più pensare che bastino diario, quaderni, libri e penne. Nello zaino ci dev’essere anche un tablet o un notebook, almeno a partire dagli alunni delle scuole secondarie.
Non bastano nemmeno più gli strumenti digitali “dentro le mura” della scuola.
I dispositivi digitali devono essere individuali e diffusi.

Vanno tenuti perciò in evidenza i seguenti principi:

1 – La scuola non è solo “tra le mura”. La didattica non si svolge solo in presenza, ma trova una sua dimensione anche nel cloud. L’accesso a materiali multimediali per l’apprendimento, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, è garanzia di inclusione e di continuità, al di là delle emergenze, secondo una linea già attuata per la connettività negli spazi pubblici (piazze, biblioteche ecc.)

2 – Oltre “il programma” e il “libro di testo”. La didattica contemporanea si fonda sullo sviluppo di curricoli e competenze trasversali, e ha superato da tempo il concetto di “programma” e di “libro di testo” come veicolo univoco di contenuti.

3 – Le competenze digitali. E’ diventato irrinunciabile formare le nuove generazioni ad un utilizzo responsabile e consapevole delle tecnologie e del web. Ciò è possibile solo con la disponibilità e la progressiva dimestichezza che si sviluppa con un device individuale.

4 – Ogni studente, un dispositivo. Ogni alunno, almeno dalla prima classe della secondaria di primo grado, deve avere un tablet o un PC nel proprio “corredo scolastico”, esattamente come oggi ha il diario, i quaderni, penne e matite. Almeno una parte della spesa prevista per i libri di testo deve essere destinata all’acquisto di un dispositivo digitale. La spesa complessiva per le famiglie deve rimanere invariata.

5 – Ogni istituto, un sistema. Ogni singolo istituto deve dotarsi di un sistema organizzato di connessione e regole per l’accesso, di piattaforma cloud, di un progetto didattico che comprenda l’utilizzo dei device individuali e criteri per la scelta, di accompagnamento formativo per i docenti, assistenza tecnica interna (anche per gli Istituti Comprensivi) e polizze assicurative adeguate relative all’uso dei device.




Perchè il piano della Ministra per settembre non può funzionare

arcobaleno
di Rodolfo Marchisio

Dopo un primo intervento relativo alla fase 1 “Fate quello che potete e che oggi è prioritario” ho deciso di tacere, perché nella seconda fase densa di fatica, ricerca, dubbi da parte dei colleghi, più pareri e consigli non sarebbero stati uguali a più conoscenze.

Era secondo me il momento di cercare di dare un senso, suggerire una direzione ai colleghi e lasciare che con l’aiuto di quelli più esperti o di pochi affidabili esperti esterni (non interessati a venderti una piattaforma) trovassero la loro strada.
Convinto che nella eterogeneità delle scuole (livelli, ambienti, problematiche, competenze, strumenti…) e dei docenti (stili di insegnamento) o delle famiglie (competenze e possibilità) e nella assenza di una soluzione migliore di altre anche teorica fosse bene che ogni scuola scegliesse, mediando, quella più adatta alla sua situazione.
Più contestualizzata e possibile. Possibile per i docenti, per le famiglie e per i ragazzi.

Adesso siamo al passaggio dalla fase 2 alla 3.
Cosa abbiamo imparato e cosa faremo il prossimo anno? Esistono alcuni studi (Mi, Invalsi, CIDI etc…) e molti pareri cui fare, con cautela, riferimento.

Ovviamente la ottica era ed è quella che

1-   La didattica online è cosa non semplice e controversa, ma questa è una emergenza. 

2-   Non esistono ricette e offerte commerciali che risolvano e non esiste UNA soluzione. Come sempre l’ideale è che i buoni docenti (OCSE 2014,15) usino in modo intelligente quello che hanno, sanno e possono usare e che si adatta alla loro situazione. Con intelligenza, flessibilità, contestualizzazione di strumenti conosciuti e possibili. Per tutti.

3-   Le scelte tecnologiche sono importanti ma quelle educative lo sono molto di più e che la grave emergenza attuale non è un’occasione per incrementare la didattica a distanza (la scuola del futuro?), ma una situazione di assenza della scuola reale da fronteggiare con ragionevolezza. (CIDI)

4-   La chiave del nostro lavoro (e del digitale a scuola) è la relazione educativa ed è per questa che si è spesso lavorato, articolando attività diverse, che le tecnologie veicolano o permettono. Anche la attività di leggere insieme e commentare un libro
” La rete non danna e non salva”. Permette. Rodotà

Che occorra condividere un senso, in mezzo a tante proposte ed esperienze diverse, radunando quelle condivisibili e in sintonia, non solo su “con che tecnologia, ma su cosa ci faccio, come, perché” , che sono problemi strettamente collegati.

Poche osservazioni mentre sta per uscire una analisi più completa

È mancata una regia dall’alto
La prima osservazione è che è mancata una regia tempestiva dall’alto. Meno male, così i bravi docenti hanno trovato bene o male (dati MI,CIDI, Tecnica della scuola, le osservazioni Invalsi) la sua strada. Non sempre una “buona strada”. Sulla soddisfazione di docenti e allievi le prime ricerche sono discordanti. Vedi dati parziali indagine CIDI su 750 docenti

Il MI è intervenuto 2 volte (per dare un contributo prima e la ultima per il problema della valutazione finale soprattutto).
La sua conclusione è che la situazione “è a macchia di leopardo” (?)

Diritti, piattaforme, privacy e garante. Non siamo in Cina.
La privacy dei cittadini e le conseguenze delle scelte delle piattaforme sono stati oggetto di 2 interventi di Soro. In una democrazia (seppur malata) la privazione di diritti (una decina) deve essere: 1- Decisa dal governo (e quindi non dalle Regioni o dai Comuni) 2- Ben definita 3- Limitata nel tempo.

Per quanto riguarda le scuole:
Le istituzioni scolastiche e universitarie dovranno assicurarsi (anche in base a specifiche previsioni del contratto stipulato con il fornitore dei servizi designato responsabile del trattamento), che i dati trattati per loro conto siano utilizzati solo per la didattica a distanza.”

Dice anche che quei fornitori che permettono l’uso dei servizi (gratuito) solo se si accetta che i dati vadano altrove sono nell’illegalità: E’ peraltro inammissibile il condizionamento, da parte dei gestori delle piattaforme, della fruizione dei servizi di didattica a distanza alla sottoscrizione di un contratto o alla prestazione– da parte dello studente o dei genitori – del consenso al trattamento dei dati connesso alla fornitura di ulteriori servizi on line, non necessari all’attività didattica.”
Rispetto a questo la scuola è stata lasciata sola, perché la scelta e il pagamento dei fornitori (dai 3 ai 9 mila euro) spetta alle scuole. Come la responsabilità connessa.

Didattica a distanza e Privacy.
“Il Coronavirus ha impresso un’accelerazione al processo di implementazione del digitale a scuola. Questo però richiede un chiarimento e la conferma di quanto già contenuto nella letteratura giuridica, nella legislazione europea e italiana (GPDR, decreto attuativo 101/18).
E il provvedimento del Garante per la Privacy (30 marzo 2020) non si è fatto attendere. Sono confermati tutti i principi che girano intorno al trattamento del dato personale. E’ ribadito il principio della correttezza (=legittimità) della scuola nel trattare dati personali, purché questi siano coerenti (non esorbitanti) con le sue finalità (art. 18 D.Lvo196/03 e “Privacy a scuola” 2016).  Il medesimo principio, unito a quello della non eccedenza, è applicabile ai servizi di supporto (Didattica a distanza).”

“Il trattamento di dati svolto dalle piattaforme per conto della scuola o dell’università dovrà limitarsi a quanto strettamente necessario alla fornitura dei servizi richiesti ai fini della didattica on line e non per ulteriori finalità proprie del fornitore”.

Perché i doppi turni non possono funzionare

1-    Fare i doppi turni, per esperienza di docente ed allievo è un passo indietro. Ma è una emergenza…
2-    Per dividere ogni classe in 2 o 2/3 + 1/3 e rispettare le distanze, non potendo abbattere i muri, occorrono più locali (fino al doppio) o che durante il pranzo si disinfettino tutte le aule, bagni, etc. Il personale è sufficiente? Piantiamo delle tende in cortile?
3-    Visto che dopo la “riforma” Moratti” ma soprattutto la Gelmini/Tremonti è stato equiparato orario in organico con orario frontale (più la dotazione postuma di alcuni colleghi tuttofare) dove prima bastava un docente adesso ne occorrerebbero 2. LI assumiamo? Chi le ha volute le “classi pollaio”
4-    Si può pensare di fare gruppetti interclasse con gli “avanzi”, ma salta la continuità didattica, le relazioni ed il clima di classe quando la relazione educativa ed il rapporto coi compagni è più necessario. E poi con quali docenti?
5-    Le conseguenze sulle famiglie prevedono una modifica di orari rispetto agli attuali. Tornano in pista i nonni, quelli sopravvissuti agli errori di governo e regioni ed alla immunità del gregge?

Una scuola depredata sino ad ora, che insieme alla sanità è stata oggetto dei maggiori tagli indiscriminati, avrebbe bisogno di tante risorse e solo con abnegazione ammirevole sta reggendo una crisi grave e imperscrutabile.
Scopriamo che i “fannulloni” di ieri sono gli “eroi” nei tempi di crisi?

Didattica a distanza
I MI precedenti hanno scelto le attrezzature (ed oggi proporrebbero una piattaforma) dietro la spinta di industrie, esperti di turno, per moda o scambiando la innovazione per progresso Gui (nuovo è sempre meglio?). Ma a parte una costosa formazione mirata all’uso dello strumento di moda, dalla LIM al coding (4 milioni in sospeso anche ora?), non hanno costruito nella scuola una cultura del digitale, quella che adesso ci manca. Né nei docenti, né nei ragazzi. Dove sono i presunti nativi digitali che ne sanno più di noi?

Questa esperienza se meditata e vissuta come un enorme e tragico laboratorio dal vivo di cittadinanza agita (rispetto degli altri e delle regole, solidarietà…) e di cittadinanza e cultura digitale, invece di aggrapparsi ad un programma non più credibile, potrebbe aiutare a farlo. Di questo vorrei riparlare la prossima volta.




Qualche considerazione su valutazione e didattica a distanza

computerdi Cinzia Mion

La prima osservazione che mi sgorga subito, dopo aver cominciato a leggere il testo di Bruschi, che ho conosciuto al tempo della ministra Gelmini, ma che fra l’altro trovo molto migliorato(!), è l’espressione “comunità educante” che non molto tempo fa è stata inserita in uno specifico articolo dell’ultimo contratto della scuola e che mi ha provocato un moto di stupore. Sì, perché certe espressioni quando vengono partorite la prima volta in un dato contesto, con un certo significato e nel tempo sono rilanciate, a livello culturale, sempre nello stesso modo, secondo me non si possono d’emblèe offrire con un significato altro.
Mi riferisco al concetto nato all’interno del personalismo cattolico nella prima metà del secolo scorso, in un tempo in cui la monocultura connotava il comune sentire in Italia e quindi all’interno delle varie comunità civili intorno alla scuola. Tutti allora siamo stati educati al CONSENSO. In famiglia, in parrocchia, a scuola,ecc. I Valori erano comuni.

Società multiculturale e confronto

La situazione però oggi è fortemente cambiata. La società è diventata multiculturale, multietnica e multireligiosa. Non è più possibile pensare alla comunità educante come ad un dato già costituito. E insieme al consenso, riferito alle norme di civile convivenza, la scuola dovrebbe saper anche educare, in modo particolarmente significativo, al Confronto.
Le “Indicazioni” suggeriscono infatti che insieme al pensiero riflessivo si solleciti anche l’insegnamento del decentramento del proprio punto di vista.
E’ per questo che il consenso non basta più, bisogna insegnare la competenza del confronto, attraverso prima di tutto l’arte di ascoltare.

Solo la Scuola può in modo intenzionale e sistematico insegnare la competenza dell’argomentare e controargomentare, indispensabili per sapersi confrontare.
Bisogna vedere quanta energia i docenti attuali mettono in campo per educare al “pensiero riflessivo”, richiesto da questa competenza, oppure se preferiscono la tradizionale triade: lezione, studio, interrogazione e verifica , come restituzione che avviene in genere inesorabilmente attraverso il pensiero riflettente.
Sembra che Bruschi questo l’abbia capito bene perché raccomanda che non si cada nella trappola della “mera assegnazione di compiti…”
A proposto del riferimento consolidato al senso della comunità educante, riflettente spesso le ideologie di appartenenza della famiglie, amo ricordare un passo addirittura dei programmi per la scuola elementare del 1985 che recitava, a proposto dei rapporti tra scuola e famiglia: ”La scuola, rispettando le scelte educative della famiglia, costituisce un momento di riflessione aperta, ove si incontrano esperienze diverse: essa aiuta a superare i punti di vista egocentrici e soggettivi, così come ogni giudizio sommario che privilegi in maniera esclusiva un punto di vista e un gruppo sociale a scapito d’altri”

Capitale Sociale

Sarebbe meglio utilizzare allora il concetto di “Capitale sociale” (anche se non mi esalta la definizione di capitale al posto di ricchezza sociale) coniato da James Coleman. Si tratta anche qui di co-costruire , perché questa ricchezza sociale si attiva solo attraverso l’interazione sociale, le reti sociali e la fiducia. Consiste nell’insieme delle risorse contenute nelle relazioni familiari e sociali della comunità, comprese le Associazioni professionali e gli EELL, che risultano utili per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini/e o ragazzi/e. Le relazioni fiduciarie alimentano la capacità di riconoscersi, di scambiarsi informazioni, di aiutarsi reciprocamente, di creare legami (bonding) e gettare ponti (bridging).
Ho voluto rendere chiara qual è la differenza tra il concetto classico di “comunità educante”e quello più dinamico e attuale di “capitale sociale”, nella consapevolezza grosso modo della pseudocoincidenza del riferimento e del fatto inconfutabile che queste relazioni fiduciarie vanno sollecitate e monitorate. Il principale attore dovrebbe essere qui il Dirigente Scolastico .

Comunità professionale di docenti

Rileggiamo però ora il dettato di Bruschi”La didattica a distanza…da un lato sollecita l’intera comunità educante, nel novero delle responsabilità professionali e prima ancora, etiche di ciascuno, a continuare a perseguire il compito sociale e formativo del “fare scuola”, ma “non a scuola”e del fare, per l’appunto, “comunità”…(il corsivo è mio)
E’ evidente allora che Bruschi sta facendo riferimento alla “comunità professionale dei docenti” altrimenti chiamata “comunità di pratica”, quando parla di comunità educante. Esiste infatti già a livello istituzionale questa espressione, già inaugurata ufficialmente dalle Indicazioni Nazionali”(2012) , su cui poggiano già ricerche e approfondimenti.

Andiamo però per gradi.

Innanzitutto chiariamo che la scuola attuale usa il termine “comunità”, attraverso sempre i suoi testi ufficiali, ricavandolo dall’approccio socioculturale interattivo vigotskiano. Tale termine infatti sta ad indicare in primis la classe come comunità che apprende, ossia un contesto ricco di risorse multiple e dislocate, che vengono attivate dal docente e messe a disposizione di tutti. Analogamente dovrebbe avvenire per la comunità professionale dei docenti, all’interno della quale le azioni socialmente orientate sono: la consultazione reciproca, la richiesta di aiuto, lo scambio di informazioni e di saperi, il porre questioni, l’avanzare domande, la discussione, il confronto sulla prassi che richiede la de-privatizzazione delle pratiche didattiche, la negoziazione di significati condivisi. Il problema è che, per fare in modo che la suddetta comunità professionale possa esplicare bene il suo lavoro, devono essere ritagliati all’interno dell’orario di lavoro dei docenti dei “tempi adeguati” per dialoghi di riflessione.
La scuola primaria ha già a disposizione due ore alla settimana , gli altri ordini di scuola invece non ne dispongono. La mia sollecitazione allora è rivolta sia a Bruschi, e quindi al Ministero dell’Istruzione, che alle OOSS affinché nel prossimo contratto chiamino con il vero nome la comunità professionale di docenti distinguendola dalla comunità scolastica più in generale e cerchino di prevedere per tutti gli ordini di scuola i tempi per avviare quel confronto fermentativo che permette di crescere insieme. Tutti gli ordini professionali hanno le loro “comunità di pratica”, a maggior ragione i docenti dovrebbero avere la possibilità reale di farla funzionare. Quei docenti che sono i professionisti della scuola, cui è assegnato un compito nobile e di importanza essenziale perché sono alla base della formazione di tutti cittadini del Paese.

La valutazione delle attività didattiche a distanza.

In merito al tema della valutazione ritengo che Bruschi sia stato nella sua nota più innovativo di certi docenti abbarbicati al “voto”. Ripropongo infatti le sue parole che non arrivano a parlare di “valutazione formativa” ma per tale denominazione manca veramente poco…”Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato , la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio..ma la valutazione ha sempre un ruolo di valorizzazione, di indicazioni di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche…Si tratta di affermare il dovere alla valutazione… come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione di eventuali lacune (io aggiungo:tutti aspetti formativi se il docente se ne fa carico…modificando la sua strategia didattica ed aggiustando il tiro) all’interno di criteri stabiliti da ogni autonomia scolastica, ma assicurando la necessaria flessibilità”.
A dire il vero non so se Bruschi abbia avuto veramente l’intenzione di alludere un po’ alla valutazione formativa e differenziare, sollecitando l’uso del termine criteri, la misurazione dalla valutazione.
Sta di fatto che questa lettura è possibile, comunque augurabile.
La sovrapposizione delle due operazione infatti è l’errore più macroscopico che viene commesso dai docenti, se sono sprovvisti di una sufficiente cultura docimologica che richiede l’esplicitazione dei veri e propri criteri di valutazione. Il PTOF ne pretende la dichiarazione.
Chissà poi se il riferimento alla flessibilità intende mettere in guardia rispetto all’uso sconsiderato del registro elettronico quando suggerisce medie aritmetiche…
Spero ardentemente che non scorgere nessun riferimento al termine VOTO costituisca un invito esplicito a non usarlo, almeno in questa emergenza, provando così a prendere atto che è possibile, anzi migliora il processo di insegnamento-apprendimento.
Provare per credere!

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La didattica a distanza non è un nemico della buona didattica

arcobalenodi Enrico Bottero

Questa emergenza ha messo la scuola di fronte al problema della didattica a distanza e dei suoi strumenti.
Anche in assenza di una piattaforma pubblica messa a disposizione del Ministero (come accade in altri Paesi), molti insegnanti si stanno impegnando con costanza e attenzione utilizzando diverse piattaforme disponibili per mantenere un rapporto, non solo didattico, con i loro ragazzi.
Il loro lavoro è prezioso anche per il futuro e conferma che la didattica a distanza, pur con i suoi limiti, non è un nemico della buona didattica. Negli stessi giorni molti hanno aperto una discussione sul senso della didattica a distanza, sulla sua necessità, obbligatorietà e limiti. Dal mondo della scuola sono emerse diverse riserve.
Quella che stupisce di più invoca le norme contrattuali per sostenere la non obbligatorietà. Sul tema non mi pronuncio per assenza di competenza in merito, anche se resta lo stupore. Mi limito a osservare che sulla non obbligatorietà alcuni giuristi hanno sollevato qualche dubbio.

Qualcuno rifiuta anche la necessità di un “giuramento di Pestalozzi”. I medici sono una cosa, si dice, gli insegnanti un’altra. Non sono d’accordo. La professione docente è una professione di cura, anche se non del fisico. Esiste dunque un obbligo morale, deontologico, anche se non ancora formalizzato. Purtroppo chi unisse queste obiezioni, spero pochi, oggi avrebbe argomenti per giustificare il suo non fare nulla. E questo non sarebbe un bel messaggio nel momento in cui molte categorie di lavoratori sono impegnate ad aiutare la collettività a superare l’emergenza.

Ci sono poi le obiezioni più fondate. Si fa notare come nella situazione attuale (assenza di strumenti digitali in molte case, rete non buona in molte zone d’Italia, diversità culturali ed economiche tra le famiglie nel dare un supporto ai ragazzi ) la didattica a distanza non faccia che aumentare le disuguaglianze. È certamente vero ma questi sono aspetti negativi su cui è necessario lavorare chiedendo interventi politici che li riducano (è ciò che hanno fatto alcune Associazioni come il MCE). Intanto, però, è meglio darsi da fare con quello che c’è perché non fare nulla sarebbe certamente peggio.

In qualche caso la critica alle attuali condizioni della rete e delle competenze tecnologiche si estende alla didattica a distanza in quanto tale. L’argomento è interessante perché inoppugnabile: la superiorità della relazione autentica e viva tra insegnante e allievo rispetto alla relazione virtuale. Un’affermazione giusta (e ovvia) se fatta in nome di un fondato metodo di insegnamento/apprendimento che fa tesoro della ricerca sui problemi dell’educazione e delle esperienze delle migliori didattiche attive.
Il rigetto della didattica a distanza potrebbe tuttavia nascondere il tradizionale rifiuto del metodo e delle tecniche, un rifiuto che ha una lunga storia nell’idealismo italiano (Gentile è molto più presente di quanto non si pensi nel nostro inconscio collettivo).
Contro questo rifiuto hanno combattuto generazioni di insegnanti attivisti: da Celestin Freinet, con il suo “materialismo pedagogico” e il primato delle tecniche, a Bruno Ciari (“la tecnica – scriveva Ciari – non è altro che la realizzazione dei valori, i quali non esistono affatto per sé, come nell’iperuranio platonico, ma solo in quanto si attuano nella vita della scuola”) a Francesco De Bartolomeis (v. il suo bel libro I metodi nella pedagogia contemporanea, Loescher, 1963). Le tecniche e le condizioni materiali fanno il metodo, ne sono la concretizzazione (il che non vuol dire però che l’insegnante ne sia schiavo).
Devono naturalmente essere utilizzate bene, con competenza, in modo non passivo, al servizio di una buona pedagogia. Il problema non è dunque l’alternativa didattica a distanza/ didattica in presenza ma quale didattica si fa.
La professoressa a cui scrivevano i ragazzi di Barbiana aveva un’idea chiara idea della scuola e della valutazione, faceva “selezione di classe” e non aveva a disposizione le attuali tecniche ma quelle della scuola moderna (lavagna, quaderno, aula scriptorium/auditorium), nate per diffondere l’alfabetizzazione ma poi ridotte a strumenti di fidelizzazione delle masse agli ideali nazionali. Siamo sicuri che tornando a scuola e allontanata la didattica distanza si tornerà (o, dovrei dire, si passerà?) a una scuola fondata sul coinvolgimento degli allievi, sulla valutazione formativa, su una didattica differenziata, sul lavoro di gruppo, su una scuola attiva e non trasmissiva, il cui unico scopo è la riuscita di tutti gli allievi?
Poiché è l’organizzazione materiale che rende concreto il metodo (e non lo spirito di gentiliana memoria, un velo che copriva la realtà di una pedagogia sostanzialmente autoritaria anche se formalmente seduttiva) è lecito pensare che in alcuni casi le abitudini storicamente consolidate imporranno le loro leggi. Le routine spesso prevale, anche a nostra insaputa.
“Quando il dito indica la luna – scriveva un saggio – lo sciocco continua a guardare il dito”. Facciamo dunque uno sforzo, guardiamo la luna e impegniamoci utilizzando per l’apprendimento di tutti le tecniche che abbiamo a disposizione in quel momento.
La scuola nuova attiva, diceva Célestin Freinet, deve essere “moderna”. Molti insegnanti lavorano già a questa scuola, in mezzo a molte difficoltà. Non lasciamoli soli. Impegniamoci insieme quando sarà finita l’emergenza, anche con una rinnovata competenza digitale. Oggi la sua assenza non è altro che analfabetismo, un avversario storico della scuola e delle sue promesse di emancipazione.