Archivi categoria: SCUOLA DIGITALE

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CodeFest 2021: una grande manifestazione per capire come funziona il digitale

di Stefano Penge

Digitale ovunque. Nella scuola, nel lavoro, nel divertimento.
Digitale come servizio, come risorsa a disposizione di tutti, appena girato l’angolo di Google.

Tempo fa [1] scrivevo che ci sono tre miti che circolano sulla rete: 1) che sia un ambiente naturale, 2) che le risorse che offre sono gratuite e 3) che siano infinite. Un supermercato infinito, con scaffali pieni di ogni ben di dio, senza nessuno alla cassa. Tanta formazione alla “didattica digitale” si poggia proprio su questi miti.

C’è ancora chi proprio non riesce ad adeguarsi al flusso mainstream e si domanda: cosa rende possibile tutto questo?  I computer, certo, i cavi e i satelliti, senz’altro. Ma cos’altro c’è, sotto la superficie?
In un senso, sotto ci sono interessi, soldi, potere, che governano questo come altri campi, con buona pace di chi vedo solo futuri rosei in cui intelligenze artificiali e persone andranno a braccetto. Non è per amore della condivisione della conoscenza che possiamo fare ricerche, scambiarci email, tradurre, condividere agende, parlarci a distanza. Ed è curioso che quasi nessuno – in un mondo così attento al profitto, alla conquista di ogni possibile mercato – metta in questione tutta quest’abbondanza di risorse gratuite; non solo quelle create e condivise da docenti-artigiani di buona volontà, ma anche quelle che richiedono enormi centri di calcolo solo per essere distribuite. Cosa ottengono le grandi imprese in cambio di questi servizi gratuiti? Da dove traggono le risorse economiche per restare in piedi? Per quanto tempo questi servizi resteranno gratuiti?

In un altro senso, sotto tutti questi servizi c’è il codice sorgente: un testo che fa funzionare i computer, raccoglie e trasforma dati, inventa mondi e connette persone. Anche oggi, nell’era delle interfacce ammiccanti, dei podcast, dei videotutorial, quello che c’è sotto è sempre un testo. Proprio così: solo lettere, numeri e segni di interpunzione, perché è di questo che sono fatti tutti i programmi che fanno girare il mondo, dagli smartphone ai satelliti.
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Scuola e digitale, è una questione di testa non di età

di Gianfranco Scialpi

Scuola e digitale, l’intervista del Ministro Bianchi collega la competenza all’età.
La questione è più complessa e riguarda la testa.

Scuola e digitale, l’intervista del Ministro

Scuola e digitale. Il Ministro ha rilasciato un’intervista.
La questione del rapporto con l’uso dei dispositivi elettronici è liquidata, riducendo tutto all’età.
Si legge su Repubblica.it: “Tutti i ragazzi che vanno a scuola sono nati in questo secolo, tutti gli
insegnanti nel secolo precedente. Non è una differenza da poco. I ragazzi hanno una capacità
innata di utilizzare gli strumenti digitali. Dobbiamo, già da questa estate, promuovere una scuola più aperta, consapevole del fatto che le competenze del passato possiamo esprimerle in modi diversi; ma anche del fatto che con queste macchine, possiamo fare cose mai fatte prima.
Dobbiamo usare il digitale per aprire le scuole, connetterle fra loro.”

La situazione è più complessa. Gli immigrati digitali

A mio parere il passaggio riportato, ha il pregio di semplificare, ma anche di distorcere la realtà.
Stando alle definizioni di M. Prensky (2001), da una parte ci sono i nativi digitali molto competenti e dall’altra gli immigrati digitali identificati con gli insegnanti che a parere del Ministro faticano nell’alfabetizzazione informatica e nell’acquisizione delle relative competenze. Ora la quotidianità ci restituisce una diversa realtà. Innanzitutto occorre dire che molti maestri e professori hanno colonizzato prima dei ragazzi gli ambienti virtuali.

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Almeno i banchi avevano tutte le rotelle

di nonno Marco

In un anno ho sentito davvero molte sciocchezze, anzi troppe.

Ma al peggio non c’è fine e mi chiedo quale formulazione saprà in futuro battere la polirematica appena coniata da Rossano Sasso: “dobbiamo formare dirigenti e docenti anche affinché puntino all’empatia digitale più che al nozionismo (corsivo mio)”.

La neo-lingua con cui le istituzioni (ma anche molti dei loro più fieri e apparenti avversari) coprono il proprio vuoto culturale e anche molte responsabilità si arricchisce ulteriormente.
Siccome il nostro nuovo sottosegretario non ha però fornito né un’interpretazione autentica né una vera e propria definizione, se non la consueta contrapposizione al “nozionismo”, bersaglio scontato di ogni innovatore che si rispetti, proviamo a farlo qui.

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Rai Scuola: di tutto, (ma) di meno

di Marco Guastavigna

La sindemia ha fatto un’altra vittima.

La Rai ha compiuto una scelta davvero molto discutibile, disattivando completamente la sezione fino a qualche mese fa dedicata alla produzione e alla raccolta di contenuti interattivi prodotti da singoli utenti della sua piattaforma per la costruzione di lezioni multimediali, di cui troviamo ancora una pallida ed ectoplasmatica testimonianza grazie a Wayback Machine.

Utilizzando i vecchi indirizzi, si viene ora proiettati all’interno dell’insieme dei materiali per la scuola prodotta direttamente da Rai Play.
Davvero un vulnus alla didattica.

Non solo perché non aver nemmeno avvisato della decisione le centinaia di insegnanti—tra cui il sottoscritto e numerosi colleghi, a diverso titolo corsisti di TFA, Prefit, Specializzazione per il sostegno — dimostra quale sia l’effettiva considerazione da parte dell’ente radiotelevisivo a proposito di chi non è un professionista della comunicazione.
Ma anche e soprattutto perché il meccanismo sacrificato testimoniava un approccio davvero utile e lucido: la mediazione didattica come autorialità indiretta.

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Didattica digitale integrata: visione cercasi disperatamente

di Antonio Valentino

Parto dal Decreto sulla Didattica Digitale Integrata (DDI) del 26 giugno scorso (in GU dal 20.8), per cercare di capire qualcosa in più sullo stato dell’arte della nostra scuola a tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico: con l’Infanzia, la Primaria e le prime classi della secondaria di I grado aperte da settembre, ma con alterna fortuna e non ovunque (dal 30 novembre, anche le seconde e le terze di quest’ultima); e le ‘Superiori’ che continuano con la Didattica da remoto, con le varianti previste dal Decreto.

Decreto la cui ’sostanza’, come è noto ai più, può essere così sintetizzata:
l’obiettivo: fornire indicazioni (Linee Guida) sulla DDI – intesa come metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento” (?!) –;
il compito: “integrare la didattica in presenza” (con attività laboratoriali e interventi sugli studenti con BES, ove possibile, entro però spazi orari delimitati), garantendo comunque un “bilanciamento tra attività sincrone e asincrone”;
i destinatari: “tutti gli studenti della scuola secondaria di II grado, nelle situazioni in cui c’è Didattica a Distanza” (DaD).

La DDI – si stabilisce – può però essere estesa anche agli altri ordini e gradi scuola, ma solo in caso di un nuovo lockdown generalizzato.
Questo, in buona approssimazione, il quadro generale delle disposizioni entro cui la nuova metodologia della DDI dovrebbe poter esprimere la sua carica innovativa. Se, ovviamente cercandola, la si trovi.
Il passaggio principe previsto, perché l’operazione si concretizzi: “Elaborare un Piano Scolastico di Didattica Digitale Integrata”. Di questo in effetti, in tanti tra ds e docenti, avvertivano acuta mancanza.

Il quale Piano però, per essere elaborato come si deve, deve qualificarsi con ‘ingredienti’ di peso puntualmente indicati nel Decreto. Tra questi, si segnalano, a ben leggere, soprattutto i seguenti tra i fondamentali:

– “integrare il Regolamento d’Istituto con specifiche disposizioni in merito alle norme di comportamento da tenere durante i collegamenti ….” (guai – si sottintende – a evitare questo imperdibile passaggio);

– “disciplinare le modalità di svolgimento dei colloqui con i genitori, degli Organi Collegiali … e di ogni altra ulteriore riunione” (la cui urgenza e significatività, chi la può negare?);

– “Individuare gli strumenti per la verifica degli apprendimenti inerenti alle metodologie utilizzate” –  e qui siamo nell’ordinario – e  specificare (è la nota qualificante) che “… qualsiasi modalità di verifica di una attività svolta in DDI non [può] portare alla produzione di materiali cartacei …” (non sia mai …)

Una perla a sé è la seguente:
preoccuparsi (soggetto, gli insegnanti) “di salvare gli elaborati (sic!) degli alunni medesimi e di avviarli alla conservazione (sic! Sic!) all’interno degli strumenti di repository a ciò dedicati” (No comment)

C’è da chiedersi, anche solo con questi richiami, e senza voler tirare in ballo l’autonomia e altro: ma, un Ministro come fa a pensarle così e tutte insieme o a consentirle? Ce ne vuole!

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Tecnologie per lo sviluppo umano?

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Nel documento che pubblichiamo, Marco Guastavigna e Stefano Penge, due grandi esperti di tecnologie e di quella che viene spesso denominata “didattica digitale”, discorrono sull’uso delle TIC nel campo della conoscenza in
funzione di uno sviluppo caratterizzato da emancipazione, equità, sostenibilità.
Nella introduzione spiegano le motivazioni e le finalità del loro ragionamento che proprio in questa fase si rivela di particolare importanza per evitare che anche dopo l’emergenza di prosegua con una contrapposizione assoluta e del tutto sterile fra tra “digitale-sì” e “digitaleno”.
Sembra una bella chiacchierata fra amici, ma in realtà è un documento ricchissimo di elementi di riflessione che apre prospettive culturali, sociali e pedagogiche (ma in definitiva politiche) sulla pervasità del “digitale” nella scuola.
E, al terminedella lettura si capirà perchè agli autori non piace affatto l’espressione “didattica digitale”.

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Dalla didattica a distanza alla didattica digitale integrata

di Daniele Scarampi

C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti (Henry Ford)

La didattica digitale concretizza ormai da tempo quel processo d’insegnamento/ apprendimento capace di superare la metodologia tradizionale costruita sulla centralità del docente  – in luogo di quella dell’alunno – e sulla trasmissione frontale dei saperi (cfr. PNSD, 2015), poiché l’ambiente di apprendimento non coincide più con il solo spazio fisico  delimitato dall’aula, ma si realizza anche in ambiente virtuale, in cloud. Di più: le potenzialità del digitale realizzano una prospettiva metodologico-didattica in grado di condurre verso la comunicazione multicanale (che raggiunge contemporaneamente più persone anche molto distanti tra loro) e, soprattutto, verso una società della conoscenza (la knowledge society ipotizzata già nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000) basata sullo sviluppo delle nuove tecnologie e sui più innovativi metodi d’apprendimento.

Con il DPCM emanato l’8 marzo scorso, in piena emergenza epidemiologica, il Governo si è espresso sia sulla possibilità di programmare lezioni a distanza sia sulla necessità di non intendere tali lezioni solo come una mera trasmissione di consegne e di compiti da svolgere a casa; saranno poi, più nel dettaglio, la Nota dipartimentale 17 marzo 2020 n.388 e il DL 25 marzo 2020 n.19 a dare le prime indicazioni operative in merito alle attività didattiche a distanza e a riconoscere la necessità di estenderle a tutte le scuole di ogni ordine e grado. Infine interverranno il DL 8 aprile 2020 n.22 (convertito nella Legge 41/2020) a sancire l’obbligatorietà di attivare percorsi didattici strutturati a distanza e il DL 19 maggio 2020 n.34 (il cosiddetto Rilancia Italia) a finanziare interventi utili a potenziare gli strumenti tecnologici in dotazione alle scuole, in ausilio a studenti e famiglie.

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