Archivi categoria: PEDAGOGIA

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La scuola: una comunità di adulti che ha cura di una comunità di alunni

di Raimondo Giunta

Frammenti di riflessione sull’azione educativa

1) La pedagogia è l’attività di riflessione che si esercita sull’azione educativa per poterne delineare in modo persuasivo le finalità e le procedure ad esse congruenti. Riflette sull’educazione come oggetto e sull’educazione come progetto, soprattutto se e quando si vuole mettere in campo un’idea di umanità e di società che abbia come valori fondanti la libertà, la dignità e la responsabilità delle persone. In una società democratica i valori dell’educazione sono quelli che rendono possibile l’esercizio della democrazia. Con questa necessaria e continua opera di riflessione la scuola può essere ancora un luogo di speranza per i giovani e affrontare le sue quotidiane difficoltà. La pedagogia è, quindi, l’educazione che si pensa, che si parla, che si giudica, che si progetta.
“La pedagogia è l’insieme delle strategie che l’intelligenza dispiega in una società, affinchè l’arbitrarietà di un’educazione bene o mal fatta ceda il posto alla scelta di fare meglio”(E. Durkheim-1911). La riflessione pedagogica è indispensabile per contestualizzare il discorso formativo e per poterne rinnovare le pratiche in una situazione di sovvertimento continuo dei saperi e dei paradigmi scientifici. La pedagogia è situata all’incrocio tra educazione reale, educazione possibile ed educazione “sperata”. E’ impossibile educare senza credere, senza sperare, senza preoccuparsi dello stato in cui si trova il bene più prezioso di una società: i suoi giovani.

2) L’attività educativa ha una dimensione naturale di progettualità, di futuro e di liberazione; solo per abdicazione può essere piegata ad una logica dell’adattamento alle condizioni date. Senza finalità non c’è attività educativa. Le finalità ci conducono a scelte di valore che oltrepassano sempre quelle pragmatiche dell’efficacia e dell’efficienza, alle quali si finisce per rifugiarsi talvolta in nome di un malinteso senso di razionalità. Le finalità sottintendono una particolare figura d’uomo: quella che vorremmo è l’uomo consapevole della sua posizione, libero, cittadino, capace di affrontare in modo razionale i problemi, aperto alle novità, disponibile all’accettazione della diversità e al dialogo. Dovrebbero cogliere aspetti della sua consistenza e tentare una configurazione della sua complessità. Devono rispondere alle domande “Chi”, “Perchè” e “Per quale scopo” istruire ed educare. Le finalità devono aiutarci a comprendere in quale mondo vogliamo vivere, quale avvenire speriamo per i nostri figli, quali saperi occorre trasmettere, quale tipo di cultura si dovrebbe privilegiare. La problematizzazione delle finalità educative è la pedagogia.

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Non lo psicologo ma tanta psicologia per curare le patologie della scuola

di Giovanni Fioravanti

Composizione geometrica di Gabriella Romano

Lo psicologo a scuola c’è ormai da tempo, con un eccesso di certificazioni per ogni disturbo specifico dell’apprendimento, per ogni bisogno educativo speciale.

È la scuola che non è mai ricorsa all’ausilio di uno psicologo per curarsi, eppure è da tempo che si segnalano vere e proprie malattie, crisi di identità, malesseri, sintomi di disadattamento e di sfinimento, addirittura pare che sia la scuola ad essere dannosa a se stessa. Ma non è attraverso il continuo ricorso alla clinica che la scuola può pensare di guarire dalle sue patologie.

La scuola più che di psicologi ha bisogno di psicologia a tutti i livelli.
Nelle professioni di relazione la competenza psicologica è fondamentale. Nella scuola questo vale dall’ultimo dei collaboratori scolastici fino al primo dei dirigenti.

Ma la relazione tra psicologia e scuola nel nostro paese non è mai stata delle più felici.
Ci aveva tentato, all’indomani della Liberazione, Carleton Washburne, pedagogista statunitense, a capo della ricostruzione della scuola italiana, mandando cinque insegnanti della scuola elementare all’Università di Ginevra perché apprendessero le teorie di Piaget. Ma il progetto naufragò perché il governo italiano di allora non aveva i soldi per pagare il viaggio e il soggiorno.


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Bruno Ciari e le tecniche Freinet

di Giancarlo Cavinato

Nel 2023 ricorre l’anniversario del centenario della nascita di Bruno Ciari che il MCE è impegnato a ricordare e a diffonderne il pensiero e l’azione.
Un comitato si è costituito per predisporre iniziative e strumenti di presentazione della figura e dell’opera del maestro di Certaldo. Accanto a convegni e ad incontri in alcune delle città dove maggiormente ha inciso la presenza di Bruno e del MCE- Bologna, Firenze, Torino, Roma, sono stati messi a punto alcuni materiali per consentire di offrire  uno sguardo a tutto campo e una documentazione del contesto in cui ha operato Bruno e degli esiti del suo intervento accanto ai compagni del Movimento: una mostra sul giornalino scolastico; dei reprint dedicati agli aspetti centrali del suo pensiero, con una selezione di scritti organizzati per temi: il pensiero scientifico, la didattica della matematica, l’educazione linguistica, il rapporto metodo-contenuti/tecniche e valori, il progetto di scuola unitaria, l’espressione del fanciullo.
Sono estratti da articoli che Ciari scrisse per Cooperazione educativa e per Riforma della scuola, e dalle sue opere, ‘Le nuove tecniche didattiche’, ‘I modi dell’insegnare’, ‘La grande disadattata’ (queste ultime due a cura di Alberto Alberti). Sono materiali pensati per la diffusione all’interno del movimento con la proposta del comitato Ciari di organizzare dei gruppi di lettura da parte dei gruppi territoriali MCE così da acquisire chiavi di lettura e di analisi utilizzabili nella scuola di oggi.

In una società in costante evoluzione Ciari intendeva formare nei propri alunni uno spirito civico e una sensibilità democratica e solidale in controtendenza con le prospettive che si andavano affermando nell’epoca del consumismo e dell’individualismo. Per stimolare la formazione di atteggiamenti aperti e critici e non assuefazione e conformismo Ciari si avvaleva degli strumenti concreti, operativi, di una didattica della manualità, dell’interezza, dell’autodisciplina. Formando al senso del valore di appartenere a una comunità, piccola ma centrale nel periodo della crescita, la classe. Continua a leggere

Esame di Stato primo ciclo: come prepararsi serenamente al colloquio

di Annalisa Filipponi[1]

L’esame di stato conclusivo del primo ciclo dell’istruzione torna nella sua veste conosciuta (tre prove scritte e un colloquio orale) prima della pandemia. La Nota ministeriale informativa n° 4155 del 7 febbraio 2023 del Ministero dell’Istruzione del Merito in relazione al colloquio conclusivo recita: “Il colloquio (DM. 741/2017, articolo 10), condotto collegialmente dalla sottocommissione, valuta il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze descritte nel profilo finale dello studente previsto dalle Indicazioni nazionali per il curricolo, con particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio. Il colloquio accerta anche il livello di padronanza delle competenze connesse all’insegnamento trasversale di educazione civica.

La prima domanda da porsi è quella relativa all’efficacia del colloquio d’esame della Secondaria di I grado, condotto dagli insegnanti di classe a pochi giorni dalla fine della scuola e come ultimo momento di un ciclo di studi, con una modalità che molto spesso si risolve in una carrellata di contenuti raccolti in una “tesina” o con risposte del discente a domande specifiche dell’insegnante quasi esclusivamente correlate alle singole discipline. Una attenta lettura della nota ministeriale nella parte centrale del suo articolato sul colloquio (“particolare attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio”) apre la possibilità a valutare se vi possono essere altre modalità, oltre a quelle conosciute, per condurre un esame che soddisfi appieno la norma e al tempo stesso costituisca un elemento di novità e un’occasione formativa per gli studenti nell’ultima parte e nel primo esame del loro percorso scolastico nel Primo ciclo d’istruzione. Continua a leggere

Apprendimento permanente, per affrontare le sfide del XXI secolo

Stefaneldi Giovanni Fioravanti

Era la scommessa dell’Illuminismo il cittadino cosmopolita del sapere, come dire che solo la ragione può unire il mondo, perché l’uomo razionale non accetta barriere nazionali.
La società della conoscenza nasce nutrendosi della fiducia nell’universalità del sapere come forza unificatrice contro le spinte scioviniste dei vari nazionalismi.
La seduzione dell’apprendimento permanente, per tutta la vita, è l’enunciazione di un particolare atteggiamento illuministico verso esistenze guidate dalla ragione, dalla compassione per l’altro, dalla continua ricerca di innovazione e cambiamento, in cui l’unica cosa che non è una scelta è compiere delle scelte.

L’apprendimento è un processo continuo che non tollera più d’essere relegato alle sole aule scolastiche e alle loro forme rituali di istruzione, perché la vita esige sempre un di più di conoscenza per affrontare problemi e innovazioni che non hanno un punto di arrivo, cambiamenti che richiedono responsabilizzazione e processi decisionali i cui effetti non riguardano solo il singolo individuo, ma l’appartenenza collettiva alla comunità mondiale.
Siamo entrati nel tempo del problem solving, dell’apprendere a risolvere problemi, dove non è più sufficiente essere istruiti su problemi già risolti da altri, ma piuttosto è necessario imparare come dare soluzione a quelli che hanno da venire, per i quali non esistono ancora formule ed eserciziari.

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Un’educazione nuova per il XXI secolo?

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disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Enrico Bottero

Gli educatori della Lega Internazionale per l’Educazione Nuova, riuniti in Congresso a Nizza nel1932, redassero una Carta che iniziava con queste parole: “L’attuale crisi impone a tutto il mondo di concentrare gli sforzi nella direzione di una rinnovata educazione. In vent’anni l’educazione potrebbe trasformare la società e infondere uno spirito di cooperazione capace di trovare soluzioni ai problemi del nostro tempo. Nessuno sforzo nazionale è sufficiente per raggiungere questo risultato.
La Lega Internazionale per l’Educazione Nuova rivolge un appello urgente ai genitori, agli educatori, agli amministratori e agli operatori sociali affinché si uniscano in un vasto movimento universale. Solo un’educazione che realizzi in tutte le sue attività un cambiamento di atteggiamento nei confronti dei ragazzi può inaugura-re un’epoca liberata dalla rovinosa competizione, dai pregiudizi, dalle preoccupazioni e dalle miserie che caratterizzano la nostra civiltà attuale, caotica e insicura”.
Quegli educatori, pur molto diversi tra loro, credevano che solo una nuova educazione avrebbe potuto formare cittadini aperti al mondo, tolleranti e solidali, evitando così nuovi sanguinosi conflitti.
Avevano una forte visione provvidenziale, poi, purtroppo, smentita dagli eventi successivi. Oggi, dopo quasi un secolo, abbiamo meno certezze sulla possibilità di cambiare il mondo grazie all’educazione e tuttavia quelle parole ci interrogano ancora.

Questo articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista Encyclopaideia.
Lo si può leggere integralmente cliccando qui.

La pedagogia per amica

di Raimondo Giunta

Quand’ero studente di filosofia a Padova guardavo con sufficienza la pedagogia, perché pensavo che dovesse interessare i maestri elementari o i futuri direttori didattici, ma non gli studenti che avrebbero dovuto insegnare storia e filosofia nei licei.  Non mi aiutava a cambiare opinione nei confronti di questa disciplina l’avversione viscerale verso il cattedratico che ne teneva le lezioni, per la sua esibita alterigia accademica.
Quando venne la stagione della libertà dei piani di studio non mi sembrò vero che potessi togliermi dai piedi la pedagogia.
La sostituii con filosofia della religione.

L’insegnamento alle medie mi ha costretto ad una rapida inversione di rotta; non ho avuto giorni migliori e più felici di quelli trascorsi con i ragazzi che andavano dagli undici ai quattordici anni e per come sono fatto, per non perdere tempo e per fare nel modo migliore il mio lavoro, mi sono messo subito davanti testi di didattica, di pedagogia, di psicologia, di linguistica, di storia delle istituzioni scolastiche, di sociologia dell’educazione.
Sono stati anni ti travolgente entusiasmo e di fervide letture.
Ho incominciato seriamente a chiedermi quali fossero le finalità del lavoro che facevo, come sarebbe stato giusto farlo, che cosa ne doveva essere dei ragazzi delle mie classi. Mi ponevo queste domande ogni volta che mi scontravo con una difficoltà o con un problema imprevisto. Erano i ragazzi senza prerequisiti; erano i ragazzi stanchi per il lavoro fatto nei campi; erano i ragazzi che non volevano starci a scuola; erano i ragazzi che non avevano a casa tempo, spazi e modi per imparare; erano i ragazzi di famiglie numerose che non ci credevano; erano i ragazzi che si distraevano e quelli che provavano vergogna per come si sentivano, per come erano vestiti e per come erano giudicati. Da tutti mi dovevo fare capire; da tutti mi dovevo fare accettare e da tutti qualcosa dovevo ottenere. Continua a leggere