Revisione delle Indicazioni nazionali. Il partito dei programmi

di Nicola Puttilli

Sul wikidizionario alla voce partito si legge: “raggruppamento politico di cittadini che professano idee comuni per la gestione dello stato e delle amministrazioni pubbliche”. Il ministro Valditara esibisce orgogliosamente sul bavero della giacca il distintivo della Lega, lo stesso partito che nell’Italia centrale presenta capolista alle elezioni europee il generale Vannacci, quello che vuole le classi separate per i disabili, considera anormali gli omosessuali e da ultimo anche le persone con i capelli rossi. Il ministro si è limitato a dichiarare che “nessuno ha fatto più della Lega per l’integrazione dei disabili” (ipse dixit) ma non ha ritenuto di dissociarsi apertamente da simili deliranti affermazioni, né risulta abbia manifestato difficoltà o imbarazzo nel farsi rappresentare in Europa da tale personaggio. Del resto lo dice anche il dizionario pop “cittadini che professano idee comuni”.

All’ombra di questo ameno paesaggio culturale il ministro in questione annuncia la nomina di una commissione incaricata di formulare proposte per la revisione delle Indicazioni nazionali e  delle Linee guida per tutti i cicli scolastici.
Sembra che sia quasi un dovere d’ufficio per ogni buon ministro dell’istruzione tentare, dopo qualche mese dal proprio insediamento, di lasciare un segno indelebile del proprio passaggio a viale Trastevere e riformare i programmi scolastici è una di quelle imprese che può assicurare un passaggio nella storia. Possono ben aspettare i controsoffitti che crollano, gli stipendi degli insegnanti e gli abbandoni precoci, la revisione dei programmi viene prima. Per fortuna ben pochi ci riescono.

I programmi scolastici invece arrivano dopo. Dopo un ampio e diffuso consolidamento culturale derivante da una visione comune di società e della  sua proiezione futura, da un’idea di scuola sufficientemente assimilata e condivisa, con una scansione temporale di lungo periodo, più o meno trentennale (a parte tentativi parziali di riforma che hanno avuto breve durata e scarso impatto sulla scuola reale).
Così è stato per i programmi della scuola elementare del ’55, quelli del bambino tutto “sentimento e fantasia”, specchio fedele dell’Italia da poco uscita dalla guerra e presto collocata sotto l’ala protettrice della democrazia cristiana e dell’alleanza atlantica. Per contro i programmi della scuola media del ’79, della scuola elementare dell’ 85 (il bambino della ragione) e della scuola dell’infanzia del ’91 rappresentano nel loro insieme la rivoluzione culturale e pedagogica che ha percorso gli anni ’60 e ’70, sotto la spinta della pedagogia attiva e del cognitivismo. Le Indicazioni nazionali del 2012, oltre a recepire nuovi fenomeni sociali planetari  presto diventati categorie concettuali come la complessità e la globalizzazione, sono la logica conseguenza dell’autonomia scolastica che decreta l’obsolescenza dei programmi rigidi e uguali per tutti in favore di curricoli ispirati sì a linee di indirizzo nazionali, ma in grado di valorizzare al massimo le risorse e le progettualità dei singoli territori e delle singole scuole.
Sul piano culturale e valoriale complessivo le Indicazioni del 2012 si pongono in linea di continuità con i programmi precedenti, aggiornandone semmai l’impianto concettuale e gli approcci metodologici.

A questo punto una domanda, come si diceva un tempo, sorge spontanea: in poco più di un decennio dalle ultime Indicazioni nazionali sono cambiate in modo così significativo la percezione e le chiavi di lettura della realtà sociale e culturale che ci circonda, comunque tale da giustificare una complessiva revisione dei programmi scolastici? Certamente l’avvento del governo di destra nel nostro Paese ha enfatizzato alcune scelte valoriali a scapito di altre date a lungo per acquisite: la valorizzazione esasperata dell’identità nazionale in contrapposizione al principio di multiculturalità e di accoglienza, l’idea di merito inteso come dato originale e del tutto personale disgiunto dai condizionamenti socioeconomici di provenienza, lo stesso concetto di inclusione che, come abbiamo visto, rischia derive prima impensabili.

Quasi una scelta di campo appare, in tale contesto, anche la recente decisione del governo italiano di votare contro la mozione UE sui diritti LGBT,  schierandosi al fianco delle repubbliche dell’ex impero sovietico, contro le tradizionali democrazie occidentali d’Europa.

Anche sulla scuola spira un’aria forte di restaurazione, le difficoltà poste dalla scolarizzazione di massa e dalla scelta di accoglienza e di piena inclusione non hanno trovato risposta in riforme e investimenti adeguati, inducendo in parte della cittadinanza e dell’opinione pubblica la ricerca di facili soluzioni rivolte al passato: rafforzata enfasi sul principio di autorità, reintroduzione del voto numerico nella primaria con buona pace della valutazione formativa, validità del voto di condotta per l’ammissione all’esame, pressioni sull’autonomia scolastica come nel caso della scuola di Pioltello, ecc.
Si tratta senza dubbio di segnali importanti e da non sottovalutare, rimane tuttavia la sensazione di passaggi troppo accelerati, frutto più di successive forzature imposte dal potere politico che non di reali processi di cambiamento, che in ambito sociale e scolastico richiedono tempi non brevi per essere accettati e metabolizzati. La stessa frenesia delle innovazioni, decise unilateralmente, senza troppi confronti e mediazioni, suggerisce la volontà di voler procedere troppo  velocemente, quasi a voler recuperare in fretta e a qualunque costo, una minorità a lungo subita, soprattutto sul terreno della cultura e della comunicazione.

E’ vero che la società attuale produce innovazioni a ritmi sempre più accelerati e che dal 2012, anno delle ultime Indicazioni nazionali, si sono evidenziati nuovi fenomeni di rilevanza planetaria come la transizione ecologica, l’intelligenza artificiale generativa, l’aumento delle disuguaglianze, il ritorno della guerra, anche in terre a noi vicine, come strumento di risoluzione dei conflitti, di cui la scuola non può non tenere conto. E’ pur altrettanto vero che dovrebbe essenzialmente trattarsi, in questo caso, di un aggiornamento con prevalente riferimento ai contenuti delle discipline, mentre la nomina di soli pedagogisti nell’ambito della commissione, lascia presagire la volontà di voler intervenire sulla premessa e quindi sul sistema valoriale e sull’impianto complessivo delle stesse Indicazioni. Una trasformazione incompatibile con lo stato attuale della nostra scuola e della nostra società, l’ennesimo strappo che rischia questa volta, in considerazione della assoluta rilevanza del tema, di essere particolarmente dannoso e pericoloso.

 




Revisione Indicazioni Nazionali: la condanna del restyling

di Giovanni Fioravanti

Non è una buona notizia l’intenzione annunciata dal ministro Valditara di procedere a un restyling delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione.

Pare che, dopo l’epoca dei Programmi, il restyling sia la condanna a cui sono destinate le Indicazioni nazionali. Già nel 2007 il cacciavite del ministro Fioroni aveva provveduto a traghettare le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati del 2004 di Bertagna e Victor Hoz, a firma della ministra Moratti, da un progetto di scuola a domanda a una scuola impegnata a partire dai bisogni di ciascuno, licenziate poi definitivamente nel 2012 dal ministro Profumo.

Al ministro dell’Istruzione e del Merito però non vanno bene, sembra che gli stiano strette.
Dice che a scuola si studia troppo, soprattutto i bambini studiano roba inutile come ad esempio i dinosauri. Sostiene che dobbiamo dare più spazio ai nostri valori, quelli del Paese e dell’Occidente, che la scuola deve assicurare una prospettiva di inserimento lavorativo.
Se poi si prende in mano il programma elettorale delle destre che formano l’attuale governo dovremmo evitare di stupirci, perché al primo punto del capitolo scuola, che è al quattordicesimo posto su quindici punti programmatici, sta scritto: “Rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico”.

E poiché il ruolo delle Indicazioni nazionali è quello di comunicare l’idea di scuola che ha questo paese, l’attuale governo, dal paventato pericolo della “sostituzione etnica” è passato a procedere sempre più speditamente verso la “sostituzione culturale”, a partire dalla scuola, promuovendo Dio, patria, famiglia, che sarebbero gli autentici valori dell’Occidente secondo il ministro dell’istruzione e del merito e i suoi compagni.
Tutto questo, quando, trascorsi poco più di due lustri dal 2012, il paese è ben lontano dal possedere una propria idea di scuola ed è, senza alcun dubbio, ancora estraneo circa quella espressa in premessa alle Indicazioni del 2012.

Neppure si è accorto, e con lui anche buona parte di chi lavora nella scuola, ad esempio, del passaggio dai programmi scolastici, retaggio della riforma Gentile, alle Indicazioni.
Non so quanti insegnanti oggi saprebbero spiegare perché lo stato fornisce Indicazioni nazionali e non più programmi scolastici. Forse sarebbe una domanda da porre anche all’editoria scolastica.

La prima risposta sta nel DPR n. 275 dell’8 marzo 1999 che sancisce l’autonomia delle istituzioni scolastiche, ribadita dall’art. 117 del Titolo V della Costituzione che al II° comma recita: Sono materia di legislazione concorrente quelle relative […] all’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Salva l’autonoma delle scuole che si esercita attraverso gli strumenti dell’offerta formativa, dell’autonomia didattica, dell’autonomia organizzativa, dell’autonomia di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, con la costituzione di reti di scuole.
Nessun programma, ma curricoli di cui sono titolari e responsabili le autonomie scolastiche attraverso quell’organo autonomo di professionisti che è il Collegio dei docenti.

Non spetta dunque al ministro stabilire cosa sia utile o non utile studiare a scuola, perché l’autonomia scolastica è lo strumento che integra la scuola al proprio territorio e permette di partire dai bisogni della persona, come affermano appunto le Indicazioni che il ministro vorrebbe rivedere.
Lì sta scritto che le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale. La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità […]. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato.

Non c’è dunque commissione, neppure di pedagogisti prestigiosi, che possa sostituirsi alla persona che apprende e al docente che esercita la sua professione.§
A meno che le intenzioni del ministro siano ben altre, ad esempio avere come mira di colpire l’autonomia scolastica, che lascia troppa libertà alle scuole, tornare alla piramide verticistica che sempre ha dominato la gestione dell’istruzione nel paese, per cui il nuovo non ha mai potuto farsi strada ostacolato dalla burocrazia ministeriale e dalla cultura politica dei ministri che si sono avvicendati di volta in volta alla guida del dicastero di viale Trastevere.

E se pensiamo alle esternazioni del ministro a proposito dei fatti relativi alla scuola di Pioltello, oltre all’autonomia, l’inclusione scolastica potrebbe essere l’altra vittima del restyling che ha in mente.
Del resto il sospetto non può che sorgere a leggere i candidati alla commissione di esperti che nutre di nominare.
Intanto il maître a penser, elogiatore delle predelle, professor Ernesto Galli della Loggia reduce dall’ultima esternazione sulla necessità di abbattere idoli e miti come l’inclusione di tutti nella scuola di tutti, a suo dire oggetto della “scuola menzogna” che copre lo scandalo – caso unico al mondo – scrive il nostro professore, per cui nelle nostre aule convivono regolarmente, accanto ad allievi cosiddetti normali, ragazze e ragazzi disabili, alunni con bisogni educativi speciali, ragazze e ragazzi stranieri. Il professore tralascia di scrivere che questo scandalo ci è invidiato da tutto il mondo.

Un made in Italy di quelli che non rendono quattrini e che semmai turba alcune coscienze, comunque un made in Italy che non piace al professore e non è certo quello che intende promuovere questo governo.
La presidente in pectore di questa commissione, professoressa Loredana Perla, ha scritto con il professore Insegnare Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo, uscito nelle librerie a settembre dello scorso anno. Gli autori sostengono che la scuola per essere pedagogicamente efficace, deve insegnare ai bambini e agli adolescenti l’Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità.
Mi sembra che il restyling che ha in mente il ministro sia, almeno da questo punto di vista abbastanza chiaro, essendo pienamente allineato con le politiche del made in Italy di questo governo.
Dietro alle attuali Indicazioni nazionali c’è il pensiero del grande Edgar Morin, la visione di un nuovo umanesimo alle soglie del terzo millennio, come promessa di rinascita della scuola che attende ancora di essere compiuta, ma ora, se queste sono le intenzioni del ministro, siamo alla vigilia della sua distruzione.




Revisione Indicazioni Nazionali: c’è Commissione e Commissione

di Aluisi Tosolini

Mettere mano agli indirizzi generali di un sistema educativo è sempre questione complessa che richiede moltissima attenzione e cura. Spesso si tratta, infatti, di dar corpo a documenti che segnano la cultura di un paese per decenni. E che per definizione vengono in genere affidati ad altissime e riconosciute personalità.
Per fare solo un esempio, pochi sanno che il concetto di post-moderno che ha segnato decenni della cultura contemporanea si deve all’opera di Jean-François Lyotard che nel 1979 pubblicò il volume La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir che gli fu commissionato dal Canada in vista della revisione del proprio curricolo di studi. Lo stesso accadde con Edgar Morin e il volume I sette saperi necessari all’educazione del futuro, commissionato dall’Unesco.

Per questo quando in Italia sento parlare di “revisione delle indicazioni nazionali” mi vengono i sudori freddi, soprattutto se le persone di cui si parla come componenti del gruppo incaricato di procedere alla revisione non brillano certo per essere personalità di altissimo ed indiscusso livello intellettuale e culturale.
Così, riflettendo sul caso italiano e dopo aver letto la precisissima ricostruzione fatta da Cinzia Mion del percorso del gruppo di lavoro che ha portato alle indicazioni nazionali sin dal suo avvio con Ceruti (e l’immediato collegamento con Morin e la sua proposta culturale e metodologica) sino all’aggiornamento del 2012 curato da Italo Fiorin ho pensato di confrontarmi con la precedente proposta nata un decennio prima su impulso del Ministro Luigi Berlinguer.

La commissione dei Saggi e la sintesi di Roberto Maragliano

Sono così andato a rileggermi il volume “Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni I materiali della Commissione dei Saggi” pubblicato nel 1997 dagli Annali della Pubblica Istruzione (il testo è reperibile in rete)

Tre sono le cose che mi hanno impressionato:

  1. Le precise domande – “questioni” poste dal ministro alla commissione dei saggi ed il brevissimo tempo dato loro per produrre risposte concrete
  2. L’elenco dei saggi che hanno partecipato alla commissione: si tratta del gotha degli intellettuali e degli esperti (di ogni tendenza culturale) di quel periodo. Riporto in nota l’elenco dei componenti della commissione così come desunto dall’art. 2 del decreto istitutivo. Invito a leggere l’elenco per capire l’altissimo livello delle personalità cui il ministro chiedeva un pare su quali fossero le conoscenze fondamentali per l’apprendimento nei prossimi decenni
  3. La sintesi di Roberto Maragliano che, come adesso si vedrà, è attualissima ancora oggi

Per quanto riguarda la sintesi proposta di Maragliano riporto qui i sette nodi sui quali la Commissione ha centrato prevalentemente la sua attenzione (pp 73).

I nodi sono:

  1. le questioni relative alla sfera dell’identità: dell’individuo che si intende formare, del nostro paese (e delle sue tradizioni storiche, rilette in chiave internazionale), dei processi in atto di globalizzazione (vale a dire europeizzazione e mondializzazione) della cultura, della comunicazione, dell’economia, della politica;
  2. l’esigenza di dare un significato etico ed empirico all’obiettivo di «educare nella e alla democrazia»: l’ultima riforma complessiva dell’istruzione, in Italia, è avvenuta più di settant’anni fa; sia il contenuto di tale riforma, sia la sua distanza temporale dall’Italia e dal mondo contemporanei continuano in varie forme a far sentire il loro peso;
  3. la dialettica che, in ordine all’organizzazione dei contenuti della formazione scolastica, si apre tra un’impostazione curricolare, affidata alla solidità dei quadri disciplinari di base (gli elementi istituzionali delle materie d’insegnamento), e una visione di tipo «reticolare», orientata ad individuare criteri più mobili di aggregazione delle future conoscenze e competenze dei giovani;
  4. il problema della sostenibilità sociale, culturale e ambientale delle dinamiche dello sviluppo, in ordine all’esigenza di coniugare le risorse disponibili con il bisogno di sicurezza e di aspettativa individuale e collettiva nel futuro;
  5. la messa in discussione di una visione esclusivamente «conoscitiva», «verbale» e «acorporale» dell’esperienza individuale e collettiva, e la conseguente promozione di elementi basilari di un sapere pratico, manuale e operativo;
  6. la questione del ruolo della cultura del lavoro nello sviluppo di un nuovo modello educativo;
  7. la sfida che l’innovazione tecnologica e la moltiplicazione delle fonti di informazione e di conoscenza pongono all’azione scolastica e all’individuo in crescita;

Come si può vedere si tratta di nodi attualissimi e sfide non risolte che si ripropongono ogni giorno nel mondo dell’educazione in Italia.

Il tema dell’identità e la sua dimensione plurale

Sul tema “identità”, che oggi è ancora più centrale,  Maragliano scrive:
“molto si è discusso di identità, e lo si è fatto il più delle volte usando il termine al plurale. Nella società del presente, ampiamente differenziata e aperta a un mutamento costante, l’individuo deve orientarsi sulla base di un gran numero di modelli, talvolta anche contrastanti e, lungo tutto il corso della sua vita, deve assumere, di volta in volta, ruoli diversi, a seconda dei contesti di esperienza e di attività. È dunque assai più difficile, oggi, proporre e far sì che un individuo mantenga una sua identità definita: i suoi quadri di riferimento saranno forniti dalla mediazione delle forme sociali e culturali, ma anche da processi centrifughi rispetto a queste, basati sulla possibilità di far leva su una elaborazione cosciente della sua personale esperienza di vita. In questo senso, il problema dell’identità individuale e delle forme di appartenenza dovrà essere al centro dell’attenzione di una scuola rinnovata.
E ciò lo si potrà ottenere sia concedendo un’importanza fondamentale agli aspetti metodologici della conoscenza (si tratta di fornire gli strumenti linguistici, interpretativi, operativi che meglio rispondono alle esigenze attuali di un’alta mobilità tra le diverse forme di specializzazione culturale e professionale) sia lavorando a promuovere un fondamento di solidarietà universale che si anticipi alla definizione delle identità particolari e favorisca il riconoscimento reciproco delle differenze” (pag. 74).

Verso una inedita retrotopia

Negli anni successivi sia la commissione Ceruti e che Fiorin si sono mosse lungo lo stesso sentiero coniugando nel glo-cale la pluralità di appartenenze che derivano dall’eterogeneità dei gruppi in cui le identità si sviluppano.
Certamente – come ha espressamente indicato il Ministro –  rispetto al tema dell’identità cla lettura Valditara si colloca in dimensione diametralmente contraria sia al percorso italiano Maragliano – Ceruti – Fiorin che al percorso internazionale Morin – Unesco (Re-immaginare il nostro futuro assieme. Un nuovo contratto per l’educazione, 2021) – ONU (Transforming Education , 2022) e ONU 2024, Summit per il futuro.

E’ un ideologico guardare all’indietro. Esattamente quello che Zygmunt Bauman in uno degli ultimi suoi saggi chiamò Retrotopia. Ovvero la fuga dal presente percepito come incerto e insicuro per rifugiarsi in un passato tanto rassicurante quanto inesistente perché mitizzato e ricostruito ad hoc. Un’utopia al contrario.

I componenti della commissione dei saggi
(DD.MM. n. 50 del 21 gennaio 1997 e n. 84 del 5 febbraio 1997)

Prof. Evandro Agazzi Docente Università Genova
Dr. Giuliano Amato Presidente Commissione Antitrust
Prof. Achille Ardigò Sociologo
Prof. Carlo Bernardini Docente Università «La Sapienza» Roma
Prof. Maurizio Bettini Docente Università Siena
Prof. Carlo Bo Rettore Università Urbino
Dr. Carlo Borgomeo Presidente Soc. imprenditorialità giovanile
Prof.ssa Liliana Borrello Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Dr. Carlo Callieri Vicepresidente Confindustria
Prof. Carlo Cipolla Docente Università Pavia
Prof. Vittorio Cogliati Dezza Legambiente
Prof. Franco Crespi Docente Università Perugia
Prof. Francesco Dal Co Architetto
Prof. Paolo Damiani Presidente Associazione Italiana Jazz
Prof. Tullio De Mauro Docente Università Roma
Dr. Giuseppe De Rita Presidente CNEL
Prof. Gianfranco Dioguardi Docente Università Bari
Prof. Umberto Eco Docente Università Bologna
Prof. Paul Ginsborg Docente Università Firenze
Prof.ssa Rita Levi Montalcini Presidente Istituto Enciclopedia Italiana Roma
Prof. Mario Luzi Docente Università Firenze
Prof. Roberto Maragliano Docente Università Roma III
Prof. Umberto Margiotta Docente Università Venezia
Dr. Mario Martone Regista
Dr. Alfredo Carlo Moro Magistrato
Prof. Riccardo Muti Teatro alla Scala Milano
Dr. Maurizio Nichetti Regista
Prof.ssa Caterina Petruzzi Ispettrice Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Giovanni Polara Docente Università Napoli 2
Prof.ssa Clotilde Pontecorvo Docente Università Roma
Prof. Antonio Portolano Ispettore Ministero Pubblica Istruzione
Prof. Luigi A. Radicati di Brozolo Docente Università Normale Pisa
Prof. Giovanni Reale Docente Università Cattolica Sacro Cuore Milano
Prof. Luisa Ribolzi Docente Università Genova
Suor Enrica Rosanna Preside
Dr. Eugenio Scalfari Giornalista
Prof. Emanuele Severino Docente Università Venezia
Dr. Antonio Tabucchi Scrittore
Prof. Silvano Tagliagambe Docente Università «La Sapienza» Roma
Card. Ersilio Tonini
Prof. Nicola Tranfaglia Preside Facoltà di Lettere Università di Torino
Prof. Uto Ughi Musicista
Prof. Mario Vegetti Docente Università Pavia
Prof. Edoardo Vesentini Docente Università Normale Pisa




Revisione Indicazioni Nazionali: la mania di lasciare tracce

di Mario Maviglia

 Si sa ancora poco di cosa voglia fare esattamente il Ministro Valditara riguardo la revisione delle Indicazioni Nazionali del 2012, su cui dovrebbe lavorare un’apposita commissione di esperti. Per la verità, come osserva il Manifesto on line del 4 maggio 2024, già lo scorso 12 ottobre il Ministro, rispondendo in Senato a un quesito sull’insegnamento della storia e della geografia, aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per rinnovare la didattica: “La modifica della progressione dei contenuti, degli obiettivi e dei traguardi per le discipline di storia e geografia sarà valutata nell’ambito della revisione delle predette Indicazioni nazionali”.
Adesso che si conoscono i nomi dei componenti la Commissione e ci sono già le prime critiche, il Ministro ha dichiarato attraverso i social: “Si rilassino i contestatori e i polemisti di professione, non appena il decreto di nomina della Commissione di studio sarà registrato, sarà avviata una consultazione ampia del mondo della scuola.”

Lungi da me l’intento di rientrare tra i “contestatori e polemisti di professione” richiamati dal sig. Ministro, però vorrei sommessamente indicare a Valditara alcuni interventi che potrebbero “rinnovare la didattica” senza necessariamente intervenire sulle Indicazioni nazionali di cui, per la verità, non si sente la necessità.

Un primo intervento riguarda la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti. Il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti attualmente vigente è quanto di più lontano si possa immaginare per garantire un rinnovamento della didattica. A parte la querelle sui 24/30/60 crediti per poter insegnare, dal sapore più kafkiano che pedagogico, siamo sicuri che i test siano gli strumenti più idonei per selezionare i migliori candidati docenti? Sono sicuramente molto “economici”, ma che siano in grado di conseguire l’obiettivo per cui vengono utilizzati è tutto da dimostrare. A ciò si aggiunga che la stessa individuazione dei commissari di concorso è diventata un’operazione quanto mai macchinosa e difficoltosa in quanto coloro che accettano questo tipo di incarico (docenti e dirigenti scolastici particolarmente masochisti) non sono esonerati dal servizio e questa prestazione aggiuntiva viene retribuita con compensi talmente irrisori che suonano offensivi.
Difficile che questo sistema sia in grado di selezionare i migliori docenti. E d’altro canto fare l’insegnante in Italia non è una professione così attrattiva, né sul piano economico né su quello sociale, come avviene in altri Paesi occidentali e non solo. Ecco una bella sfida che il Ministro potrebbe accogliere se volesse davvero “rinnovare la didattica”: valorizzi la professione docente!

Un secondo intervento riguarda la sburocratizzazione della scuola. Difficile forse chiedere questo a chi di burocrazia vive. Però ci solo livelli di decenza sotto i quali non si può scendere. Se il Ministro volesse passare alla storia potrebbe cominciare a mettere il bavaglio (non quello che la sua maggioranza mette alla stampa che nelle classifiche internazionali è passata dal 41° dal 46° posto in quanto a libertà) alla produzione di atti amministrativi rivolti alle scuole.
Misura ed essenzialità: questi potrebbero essere i principi guida dell’apparato amministrativo del MIM. E soprattutto: non molestare le scuole con richieste di dati che l’Amministrazione ha già, in un modo o nell’altro.
Certo, anche le singole scuole (e particolarmente i dirigenti scolastici) devono stare attenti a non andare oltre la misura del lecito nel processo di burocratizzazione. L’attenzione va rivolta al lavoro d’aula e alla cura dei processi di apprendimento, non alla produzione di rapporti, relazioni, verbali, progetti, piani et similia che nessuno legge. Ma l’esempio deve essere dato dal management amministrativo: il Ministro può fare molto sotto questo profilo, anche senza il supporto di alcuna Commissione…

Un terzo intervento riguarda la cura dei risultati scolastici e, dunque, delle azioni politiche da attivare a questo fine. Ogni anno l’Invalsi provvede a rilevare lo stato dell’arte delle conoscenze e competenze degli studenti delle canoniche classi filtro. Invece di elucubrare sulla possibilità di inserire i risultati Invalsi di ogni alunno all’interno della scheda di valutazione (decisione tecnicamente scellerata in quanto le prove Invalsi nascono con un altro fine), bisognerebbe considerare piuttosto tutti i risvolti “politici” dei risultati e su questo un Ministro avrebbe molto da dire (e da lavorare).
Così, ad esempio, se dall’analisi dovessero emergere situazioni particolarmente critiche su alcuni apprendimenti in determinate aree del Paese (come succede), il decisore politico dovrebbe farne oggetto di attenta analisi e provare a mettere in atto interventi di vario tipo per invertire la rotta.
Ad esempio, possono essere definiti interventi di tipo formativo per incrementare le competenze metodologico-didattiche dei docenti negli ambiti considerati, oppure l’adeguamento della strumentazione didattica o altri interventi di diverso segno. In ogni caso, il decisore politico dimostrerebbe di saper intervenire per tentare di dare una risposta ai problemi rilevati. Qui invece si interviene sulle Indicazioni nazionali senza sapere quasi siano i problemi rilevati.

È tipico di molti animali marcare il territorio per lasciare il segno della loro presenza; spesso si ha l’impressione che alcuni Ministri adottino questo comportamento etologico per marcare a loro volta la loro presenza, per lasciare traccia del loro passaggio.
E su come gli animali marchino il proprio territorio preferisco non approfondire.

 

 

 

 

 

 

 




Revisione Indicazioni Nazionali: l’assalto alla diligenza di Galli Della Loggia & C.

di Cinzia Mion

Operatori scolastici vi prego : state tutti con le orecchie alzate! Sono una vecchia dirigente scolastica in pensione e mi permetto di allarmarvi.

Il  Ministro Valditara e il suo entourage stanno per sferrare un attacco alle “Indicazioni nazionali per il curricolo per la scuola dell’infanzia e del il primo ciclo”, testo che ha visto la sua prima stesura nel 2007, con il Ministro Fioroni.

Presidente della commissione che allora ha steso la prima versione del documento è stato Mauro Ceruti, allievo del grande Edgar Morin,  ancora prolifico nonostante la veneranda età.
Alla presentazione ufficiale  delle Indicazioni era stato invitato anche Morin stesso ed io mi sono “fiondata” a Roma, a quel tempo potevo permettermelo(!), per ascoltare e vedere da vicino il grande saggio di cui avevo letto uno scritto all’interno di una  raccolta di altre dissertazioni dal titolo “La sfida della complessità” (1985) a cura appunto di Bocchi e Ceruti, che mi aveva affascinato! Era presente tutto il Gotha (compreso Cerini) della scuola e non solo.

Sono tornata a casa gasatissima. Eppure ero già in pensione ma non avevo smesso il mio lavoro di formazione.
Nel 2011, presso una scuola dove ero stata dirigente, ho partecipato a Treviso ad un focus group organizzato da Cerini sulla rivisitazione delle Indicazioni per la scuola dell’infanzia, ricavandone ulteriore entusiasmo.
Nel 2012 ha avuto l’imprimatur la nuova edizione delle “Indicazioni nazionali”, a cura appunto di Giancarlo Cerini, spesosi sempre in nodo molto illuminato per la Scuola , soprattutto dei più piccoli, mancato di recente e che ci mancherà sempre.

Il “paradigma culturale della complessità” ha intriso di sé tutto il documento delle Indicazioni, rendendolo adeguato ai tempi per poter  affrontare da parte delle nuove generazioni, che abiteranno ancora più la complessità, la difficoltà della coniugazione delle logiche anche contrapposte (Morin) facendo in modo di tenere insieme, per esempio, “l’uguaglianza e la differenza” (cfr:”La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze”da : Premessa Indicazioni, primo paragrafo,Cultura, Scuola, Persona”)

Questo paradigma doveva in parte soppiantare quello precedente della “linearità” che obbediva alla logica binaria caratterizzata dalla “o” escludente: o bianco o nero, o vero o falso, ecc.
Nel caso preso in considerazione, alla luce delle dichiarazioni del Ministro:” italianità“ o ”non italianità”.

L’applicazione del paradigma della complessità richiede un “pensiero riflessivo”, molto impegnativo, che supera di gran lunga quello “riflettente” di semplice restituzione dei contenuti dei libri di testo o della lezione frontale, tanto cari a quelli che si stanno attrezzando oggi per attaccare le “Indicazioni”, e che è stato anche esaltato sempre da Galli della Loggia e dalla sua cerchia.
Insieme alla riflessività, che attraversa tutto il testo del documento, si rintraccia anche la l’importanza della competenza del “decentramento” del proprio punto di vista che risulta essere un altro filo rosso a partire dalla scuola dell’infanzia!
Il compito di monitorare l’applicazione delle Nuove Indicazioni è stato affidato a Italo Fiorin che ha curato molto bene e accuratamente, anche come Coordinatore del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni, il più recente testo (2018) “Indicazioni Nazionali e nuovi scenari”, su sollecitazione sia delle spinte dell’attualità, sempre più digitale,  sia della’Agenda 2030 che ha fatto uscire dallo sfondo il tema della “sostenibilità”.

Accanto a queste tematiche stavano anche emergendo problematiche derivanti dalle migrazioni e dalle difficoltà a fare interagire culture diverse, aspetto che spesso invece di essere agevolato da modalità corrette di “interculturalità” è stato cavalcato nel frattempo da alcune forze politiche al fine di creare scontri e sollevare rifiuti nei confronti delle “diversità” etniche, culturali e religiose.
Il nuovo testo ha affrontato questi scenari al fine di modernizzare il testo delle N.I. del 2012.

State “in campana” ragazzi (posso chiamarvi così?) perché stanno per scipparci una bussola fondamentale per la nostra scuola, bussola che ci indica la strada maestra per quella “riflessività” che potrà salvare noi e i nostri giovani futuri dal rischio di subire manipolazioni e farci trovare spiazzati e indifesi rispetto a tutte le complessità che abitano oggi il mondo. Tra le quali oggi compare “l’Intelligenza artificiale” che potrebbe aiutare la funzione del “problem solving” ma non di sicuro quella del “problem posing”. Essere in grado di problematizzare la realtà e i suoi eventi è una competenza che affonda le sue radici nella riflessività sofisticata tipica solo della mente umana ben coltivata.

Anche Edgar Morin recentemente ha fatto sentire la sua voce con un agile  pamphlet dal titolo emblematico “Svegliamoci” con cui intende salvare il PENSIERO che è a forte rischio di inaridimento.




Revisione Indicazioni Nazionali, pedagogia identitaria e dinosauri

di Raffaele Iosa

Se qualcuno del mondo della scuola pensava che il governo Meloni, (cioè il ministro pro tempore Valditara) avrebbe governato la scuola concentrandosi su questioncelle contrattuali, o gestionali o occupazionali, si sbagliava di grosso.

Al centro, confuso e loquace,  dell’operare di questo docente di diritto romano antico, puro leghista  non alla Bossi ma  alla Vannacci, c’è invece una questione grande e delicata: cambiare nel profondo  il cuore culturale del fare scuola.
Cambiarlo mettendo al centro quella che viene decantata “identità italiana”, messa contro quella da loro chiamata “cittadinanza planetaria”, brutta figlia del pensiero globale e della visione interculturale di Edgard Morin, considerato (giustamente) l’ispiratore delle attuali indicazioni nazionali per la scuola di base.

Una  regressione nazionalista quindi, che ha giù avuto numerosi segnali, dalla guerra contro la scuola di Pioltello per la giornata di chiusura in occasione del ramadan, a continui distinguo nazionalisti,  con la patria italica da riscoprire e con i nostri piccoli concittadini da curare con una nuova terapia dell’identità nazionale,  perché maleducati da una scuola soi disant troppo multiculturalista.

Questo pensiero “nazionale” è al cuore  della destra, espresso con  messaggi culturali cui il facondo ministro della cultura offre ogni giorni simpatici siparietti di banalità. D’altra parte che cosa aspettarci da questa alleanza politica così bizzarra: un partito erede del fascismo nazionalista con un partito separatista e trafficone, con un partito pseudoliberal figlio dei danè lumbard.

Eccoci oggi alla formazione di una Commissione che dovrebbe  ri-scrivere la scuola di base per una agognata rivoluzione di destra  di tutti gli italici da Bolzano a Trapani, avente come scopo quello di “rifare gli italiani ritornando alla tradizione autoritaria”.
Il previsto ritorno ai voti in scala camuffati nel primo ciclo, come il voto di condotta  che boccia sono primi segnali di questo neo-vetero-scuola, ma c’è anche altro nel sociale, come gli interventi in tema di aborto. Esempi  di un tentativo nazional conservatore di cambiare l’anima degli abitanti di un paese europeo chiamato Italia.

Interessante è che la Commissione sia (per ora) composta da soli pedagogisti. Brutta immagine per un ministro che vede costoro come “pedagoghi” portati al discorrere  della chiacchiera separata dall’essere scuola  come incontro tra generazioni e luogo di costruzione del futuro,
Più che di futuro il ministro  vuole tornare al passato, un passato banalmente  italico, dall’imparare a memoria Fratelli d’Italia a leggere ogni settimana un pezzetto del libro Cuore, a studiare fin da piccoli con storielle i “grandi”  del nostro stivale, mescolando Machiavelli (che era fiorentino e uomo globale) e Giulio Cesare (più romano di lui non con c’è) come padri della patria.

L’assenza degli storici di professione e l’assenza di un dibattito iniziale aperto a diverse scuole di pensiero ci dice chiaro e tondo  la logica, che è quella  separativa tra “noi italici” e “loro anti-italici” (che potremmo anche chiamare con un nome più semplice e naturale: antifascisti).
Personalmente ritengo questa operazione puramente di facciata e di corto respiro.
Non pare d’altra parte fulgida la carriera ministeriale dell’attuale ministro della Minerva.
C’è infatti un limite al discorrere pedagogico che giorno per giorno rileva la banalità  di questo dicastero.

L’ultima novità, massimo esempio di dilettantismo, è la polemica sul fatto che i bambini si occuperebbero troppo…di dinosauri.
E’ probabile che nessuno a viale Trastevere abbia pensato al fascino di altre epoche molto lontane e misteriose, troppo lontane per servire a fare di un bimbo un robusto e obbediente italico.  Davanti ai dinosauri il povero italico scoprirebbe malgrè soi che la storia non comincia lungo il Tevere. E’ pericoloso. Ma si dimentica, questo ministro,   così come la questione dei dinosauri ha avuto  nella favolistica infantile ma anche adulta, riferimenti profondi al vivere e al convivere, al sé che incontra l’altro, come ci ha insegnato l’amico dei bambini Spielberg, non solo con i suoi film dinosaurici ma ad esempio con ET, capolavoro dell’amicizia dell’alterità.
A viale di Trastevere forse non si conoscono  le teorie di Propp sulla favolistica popolare. Non si sa nulla di bambini reali. Lo dimostra questo fatto:  cadere nelle polemiche contro i dinosauri è francamente troppo.  Da ridere e piangere.

Ma proprio queste banalità ci devono preoccupare, ci obbliga a tener alta una  dialettica coraggiosa e franca, sviluppando l’autonomia delle scuole come luogo elettivo di pluralismo da difendere giorno per giorno perfino dalla dinosaurofobia.




E’ mancata Paola Falteri, una combattente per l’insegnamento della storia

C’è molta commozione nel mondo della scuola per la scomparsa di Paola Falteri, geniale docente di antropologia culturale all’università di Perugia che a partire dagli anni ’70 molto si impegnò per costruire un approccio innovativo e progressista all’insegnamento della storia.

Riportiamo qui il ricordo di Antonio Brusa, già docente di storia all’università di Bari e presidente della Società Italiana di Didattica della Storia.

Paola Falteri è stata una combattente  per l’insegnamento della storia.
Scrisse un libro con Mila Busoni nel quale rompeva le barriere fra l’insegnamento della storia e quello dell’antropologia e sosteneva che fin dalle elementari ai bambini si dovessero offrire orizzonti culturali vasti e la conoscenza di popolazioni lontane e diverse. Un percorso affascinante, non solo per l’Mce, il Movimento del quale Paola è stata grande animatrice.
Lavorai con lei nell’Osservatorio interculturale, diretto da Milena Santerini. Dovevamo affrontare la questione: quale storia insegnare in una società ormai multiculturale come quella italiana? La storia mondiale, fu questa la nostra risposta, l’unica in grado di abbracciare tutti, uomini e donne di ogni parte del mondo.
Ci lascia, Paola, mentre dal governo giungono sirene identitarie e la proposta di una storia che, di fronte all’esplosione delle diversità umane, chiede agli italiani di ripiegarsi su se stessi, sulle proprie leggende, sui Pinocchi e sui Libri Cuore. Così, ci accingiamo a questa nuova battaglia in difesa di una storia cognitiva, libera dai gioghi identitari, senza di te, ma con la ricchezza dei tuoi libri e del tuo insegnamento.

Nel sito del Movimento di Cooperazione Educativa una pagina in cui la ricorda chi ha avuto modo di conoscerla e di lavorare con lei.