Una base solida per il Debate: apprendere in “Comunità di ricerca”

                                 matitadi Annalisa Filipponi

Il Debate è un confronto/scontro di opinioni tra due squadre che sostengono una tesi a favore e una contro un’affermazione data (definita Mozione o Topic).
Le regole della competizione sono specifiche e, tra i diversi modelli quello più diffuso è il WSDC (World SchoolS Debating Championships) [1] che è seguito anche dalle Olimpiadi nazionali di Debate che dal 2017 si svolgono anche in Italia.

Le molte esperienze di innovazione didattica che si stanno sviluppando nelle scuole, riconoscono nella tecnica del Debate una importante opportunità per una didattica che vuole essere più dinamica, attualizzata, attiva e motivante per allievi e docenti.

Il lavoro di un team degli studenti, il ruolo del docente/coach coordinatore esterno all’attività; una fondata ricerca documentale; la strutturazione e l’esposizione di una linea argomentativa chiara, corretta ed espressa con disinvoltura e precisione lessicale sono solo alcuni fra i molti aspetti che riconoscono nell’introduzione del Debate a scuola, una reale opportunità per una svolta rispetto alla didattica trasmissiva che ancora oggi è prassi comune nelle nostre aule.

Eppure il Debate desta in molti docenti fondate perplessità. Infatti in questa nuova esperienza didattica può accadere che la rigorosa struttura tecnica del format si sovrapponga alla comprensione dei contenuti o che vengano riportati dagli allievi con forza espressiva degli argomenti che in realtà possono essere poco corrispondenti ad un reale processo di conoscenza e comprensione dei temi in oggetto. Il formalismo strutturale della gara correlato ad affinate tecniche di public speaking, potrebbero risultare anche stonati in rapporto ai contenuti effettivamente esposti.
Tutti questi elementi di criticità potrebbero rendere fragile la portata di una reale innovazione didattica disciplinare ed interdisciplinare, introdotta con il Debate. [2]

Oltre il (solo) tecnicismo

E proprio riconoscendo questi elementi di criticità, riterrei importante rifondare una nuova, solida prospettiva per il Debate visto come una reale educazione verso una cittadinanza attiva e partecipata.

Il modello attraverso il quale riterrei utile introdurre il DEBATE a scuola come reale innovazione didattica, si fonda sul riconoscimento della necessità di educare il pensiero al confronto con la complessità delle esperienze in un mondo in cui il pensiero appare sempre più a rischio di riduzioni, di banalizzazioni.
Questo metodo, valorizzando contraddizioni, relazioni, complessità, tende alla formazione di un pensiero complesso, ed alla costruzione di un pensiero critico (ragionevole, diretto verso un obiettivo, valutativo). Il procedimento attraverso cui ritengo si possano raggiungere questi obiettivi è un procedimento di ricerca fondato sul dialogo, che favorisca le esperienze del pensiero attraverso l’uso del linguaggio (il riferimento teorico più diretto è relativo al socio-costruttivismo di Vygotskij, che ritiene il processo cognitivo determinato dai contesti socio-culturali di riferimento).

Interiorizzando il dialogo infatti non solo si riproducono le procedure cognitive ed i pensieri espressi dagli altri, ma si attivano meccanismi interindividuali di risposta a tali pensieri, assumendo il procedimento critico ed argomentativo che si produce a livello intersoggettivo come pensiero individuale.

Per ottenere tutto ciò la classe, organizzata con regole specifiche, finalizza il suo lavoro alla ricerca, trasformandosi in tal modo in una vera Comunità di ricerca, tesa allo sviluppo di nuovi percorsi nel ragionamento logico che sarà espresso in un evolversi dialettico di domande e risposte lontano dall’ambito della “chiacchiera”.

In questa Comunità di ricerca si attiva l’analisi dei materiali utili alla strutturazione delle linee argomentative per il DEBATE attraverso il dialogo peer to peer, problematizzando innanzitutto una situazione e spingendo il gruppo a trovare soluzioni.

Come già asseriva Socrate, anche la pedagogia contemporanea ritiene che non si possa apprendere attraverso la sola mnemonica esposizione. Gli studenti infatti imparano: proponendo problemi – discutendone – cercando soluzioni e imparando ad argomentarle.

L’obiettivo cognitivo diviene così non tanto la soluzione di problemi, quanto la loro ricerca. Nella Comunità di ricerca ognuno esprime con ordine il suo punto di vista e sta attento a quello degli altri ed attraverso la dialettica della ricerca si giunge alla costruzione di qualche cosa che è di tutti e dove ognuno riconosce il proprio contributo. Punto di partenza di questo processo didattico è la presa di coscienza della complessità del proprio io, e del riconoscimento di quello altrui. Riflettendo sul pensiero, gli studenti sono poi condotti a chiedersi il significato di alcuni processi quali: comunicare, apprendere, confrontarsi, rispettarsi.

Un ruolo diverso per l’insegnante

Nella Comunità di ricerca [3] così strutturata, necessariamente cambia la posizione dell’ insegnante che per conoscere ed entrare in questa metodologia deve accettare di mettersi in discussione come insegnante e deve avere un reale desiderio di farlo.
La scelta dell’ insegnante verso un’esperienza di reale innovazione didattica può essere dettata da molte e diverse motivazioni, che si intrecciano con l’indirizzo che ha preso la scuola italiana o con una personale analisi della professione docente. L’adesione alla ricerca didattica innovativa può prendere le mosse da diversi punti di vista, legati alla necessità di modificare la propria didattica, al tentativo di recuperare credibilità verso gli alunni, alla presa d’atto che la didattica trasmissiva non è più al passo con i tempi, all’avanzare di nuove e più complesse competenze di cittadinanza che non sono più attuabili con gli strumenti tradizionali della scuola.
E’ necessario iniziare con una ricognizione teorica per collocare i concetti di base di una metodologia didattica innovativa nel loro specifico ambito di riferimento.

L’insegnante e la classe

A questo punto si rende necessario fermarsi ad analizzare il contesto scolastico italiano attuale. In classe l’insegnante è sempre la persona che parla di più. E su questo non ci sono dubbi. Usa il silenzio o per richiamare l’attenzione o per rimproverare: chi ha esperienza di insegnamento sa che l’insegnante sta zitto se fa eseguire dei compiti in classe oppure se c’è troppa confusione si mette in silenzio per avere un atteggiamento di rimprovero. Tipico atteggiamento dell’insegnante e della funzione insegnante così come ancora oggi viene normalmente esercitata nelle scuole italiane, è quello di porre domande di cui conosce già la risposta. Un insegnante sollecita gli allievi e fa delle domande di cui conosce sempre le risposte. Si sente sicuro per questo.

Porre delle domande di cui si sa la risposta nelle relazioni normali non accade mai, non ci sono altri contesti in cui questo succede. Interloquire in questo modo può mettere molto a disagio l’interlocutore: faccio le domande e verifico se tu sai le risposte.

E la posizione dell’alunno in questa situazione di didattica trasmissiva?
Adattandosi al contesto, raramente egli pone domande conseguenti ad una spontanea curiosità intellettiva o domande contestualizzate che si riferiscono ad una sua precisa spontanea curiosità, questo soprattutto perché la gran parte degli argomenti trattati a scuola sono completamente avulsi rispetto ai suoi reali interessi.
L’alunno è facilmente distraibile e usa il silenzio in forma cooperativa con l’insegnante. Accetta cioè la richiesta di non disturbare, ma ha sempre molta poca autonomia di azione. Chi ha esperienza di scuola sa che l’autonomia dei ragazzi è un problema dei nostri giorni: ci sono sempre meno alunni autonomi e sempre più alunni che chiedono in maniera pressante: “E adesso cosa facciamo? E adesso cosa dobbiamo fare? Cosa devo esattamente studiare e per quando?

Agli studenti raramente viene concessa la possibilità di organizzare spazi di tempo in autonomia e dunque l’adattamento al contesto scolastico evolve in parallelo con una progressiva regressione ad uno stadio fanciullesco in cui il riempimento del tempo diventa una sorta di elemento preliminare spesso slegato dal contenuto di quel riempimento.

La principale conseguenza di queste posizioni speculari dei docenti e degli alunni è la modesta disposizione all’apprendimento come dimostrano le molte rilevazioni di organismi internazionali sui livelli degli apprendimenti nelle nostre scuole.
Esiti particolarmente allarmanti per quello che concerne gli ambiti attinenti al LINGUAGGIO.
Difficoltà di attenzione, modesto interesse, poca autonomia, scarsissima capacità di comprensione testuale… noi riassumiamo tutto questo dicendo che i nostri alunni stanno progressivamente “peggiorando”.

La progressiva regressione del linguaggio

I ragazzi e le ragazze del nostro tempo in alcuni settori possiedono abilità sorprendentemente più sviluppate degli adulti, ma dal punto di vista del linguaggio dimostrano delle difficoltà in quanto non sono abituati a parlare, a conversare, a dialogare e tanto meno ad argomentare il proprio pensiero [4].
Questo perché vivono in una società della comunicazione molto frammentata in cui si comunica prioritariamente per immagini o per slogan.
L’uso del linguaggio attualmente è poco esercitato in particolare dai giovani e questo ha pesanti ricadute nella formazione dei processi cognitivi, perché i processi cognitivi sono sempre collegati all’utilizzo del linguaggio.
Più si impediscono il linguaggio e la capacità argomentativa, più si abbassa il livello della comunicazione cognitiva. Gli studi attuali sull’apprendimento dicono che l’approccio educativo che ottiene migliori risultati in questo momento è il costruttivismo socio-culturale, ma in generale varie scuole di pensiero anche contrapposte sono concordi nell’indicare la didattica trasmissiva come quella meno adatta a produrre apprendimenti e competenze durature.

Un apprendimento significativo è andare in bicicletta o saper leggere o saper scrivere. Apprendimenti significativi sono quelli che mi danno delle competenze che acquisisco in forma stabile e che poi posso utilizzare nel contesto in cui mi troverò anche alla fine della lunga esperienza scolastica a cui ho dedicato una parte preziosa della mia infanzia e della mia giovinezza.

La grande responsabilità della scuola

Ritengo che l’esperienza scolastica costituisca un’occasione unica per la costruzione di un percorso di educazione e di cultura. La missione primaria del lavoro scolastico deve tendere alla costruzione di uno “stare insieme” corretto e partecipato. E’ in questo percorso di civilizzazione verso cui deve tendere il tempo scuola vissuto dagli studenti, che intendo l’inserimento dell’innovazione didattica attraverso un Debate che si fondi su solide basi di comprensione, conoscenza, trasmissione, rielaborazione, problematizzazione dei contenuti (oggetto delle gare) che struttureranno le linee argomentative PRO e CONTRO una mozione data. Scansando i rischi di un’esperienza che ricorda più un’esibizione sofistica di contenuti (né pienamente compresi, né condivisi) l’argomentazione del pensiero logico argomentativo in Comunità di ricerca vuole offrire agli studenti l’occasione di un riordino delle idee e delle conoscenze, tramite l’ordine lessicale e logico del linguaggio espositivo consapevole.

Dall’immaginazione all’intuizione al pensiero consapevole

All’inizio della ricerca documentale e della conversazione argomentativa, i pensieri possono rivelarsi anche attraverso immagini che via via si traducono in parole fino al raggiungimento di un processo di conoscenza partecipata e rielaborata.
Solo dopo aver acquisito, attraverso questi passaggi, la consapevolezza contenutistica, gli studenti, sempre cooperando in team, potranno strutturare l’ordine logico funzionale alla team line di una gara di Debate vissuto, a questo punto sì, come esperienza di ludica competizione.
Come il Teatro ha nella recita il punto culminante di un processo esperienziale ricco, articolato e complesso, così la competizione insita nella prassi del Debate, con il contributo arricchente del dialogo in Comunità di ricerca per una rielaborazione critica dei contenuti affrontati, avrà nella gara il punto di arrivo di una vera esperienza di conoscenza.

NOTE

[1] Il World SchoolS Debating Championships è nato nel 1988 in Australia. Sono state organizzate 28 edizioni organizzate per lo più da Paesi di lingua inglese.

[2] Su questi argomenti si può vedere anche un mio precedente contributo dal titolo Integrazione tra i contenuti disciplinari e l’innovazione didattica, pubblicato su questo stesso sito e su www.scuolaoggi.org il 22 novembre 2019. Rimando a quel mio intervento per alcuni approfondimenti su alcune tematiche che affronto anche in questo testo.

[3] Il concetto di Comunità di ricerca ha avuto un serio presidio dalla pratica didattica della Philosophy for Children (Matthew Lipman) e della Kinderphilosophie (Daniela Camhy).
Su questo rimando ad alcune mie pubblicazioni sull’argomento: Educazione al pensiero complesso attraverso la Kinderphilosophie in una comunità di ricerca, Progetto BRI, in www.uniud/cird.it. 2001, ora in Ricerche nella pratica didattica per la formazione degli Insegnanti. Le quindici ricerche del progetto Borsa di Ricerca per insegnanti a Udine, a cura di Marisa Michelini, Forum, Editrice Universitaria Udinese, Udine 2003; Il testo di partenza nella Kinderphilosophie. Una riflessione, in Fare filosofia con i bambini, Edizione, Libreria al Segno editrice, Pordenone 2004; Dalla Kinderphilosophie alla fisica, Edizione, Libreria al Segno editrice, Pordenone 2004; Filosofare con i bambini, in Bollettino C.R.I.F., Roma 2000; Per un’educazione al pensiero complesso, in www.filosofare.net 2001; E’ possibile ragionare sulla vita con i ragazzi di 13 e 14 anni, in Forum BRI, www.uniud/cird.it 2001.

[4] E’ impossibile rimanere insensibili ai dati che l’OCSA-PISA e l’INVALSI ci trasmettono con una precisa periodicità e che ribadiscono i problemi dei nostri studenti e della scuola italiana. Sul sito dell’Invalsi (www.invalsi.it) sono riportati i report sulle due valutazioni e in entrambi i casi sono maggiori i problemi evidenziati rispetto alle positività. La comprensione testuale sta alla base del Debate e dunque chi lavora su questa nuova procedura didattica deve tenere in debito conto quanto viene evidenziato dalle rilevazioni. Il discorso è complesso ed andrà approfondito in seguito, ma certamente le competenze chiave europee (nella nuova edizione del 2018) e l’Agenda 2030 dell’ONU impongono di spostare il focus dell’attenzione.




Integrazione tra i contenuti disciplinari e innovazione didattica

di matitaAnnalisa Filipponi[1]

Il cambiamento non è mai stato così veloce
e non sarà mai più così lento
(Graeme Wood, 2019)

Il paradigma della complessità, caratteristico della società contemporanea, richiede mutamenti ed adattamenti sempre più frequenti e repentini ed ha necessariamente imposto un ripensamento tuttora in corso, sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista didattico.
Come descrive bene Giovanni Lo Storto[2] due saranno i modelli educativi prevalenti: l’ormai tradizionale lifelong learning (imparare nuovi saperi lungo tutto il corso della vita) e quello che possiamo chiamare life largelearning, che, usando le parole di Lo Storto in un passaggio del suo libro “Ero Studente”, possiamo definire in questo modo: “Life largelearning è altro. Non è più la sola determinazione temporale che conta, perché è oramai un dato di fatto che la formazione debba durare tutta la vita. (…) E’ un processo di istruzione e allo stesso modo di vita – ecco perché life – e conta al suo interno opportunità e abilità, conoscenza e umanità

Infatti, posto che si dovrà imparare sempre, è necessario “allargare la formazione, abbracciando ogni occasione di apprendimento che si presenta davanti a noi”. Sempre secondo Lo Storto nessuno è più “studente” in senso tradizionale, non si riceve più la conoscenza in forma diretta e trasmissiva dall’alto, siamo tutti “apprenditori permanenti”. Il life largelearning si realizza quando gli studenti imparano che, oltre allo studio, c’è tutto un mondo da conoscere, quando appare chiaro che continuare a formarsi “all’antica”, anche se in un’ottica multidisciplinare, escluderà da molte opportunità.

Il comfort delle certezze consolidate trasmesse da generazioni di docenti “legati a retaggi del passato che appesantiscono le aule di paura e di fantasmi inutili” nasconde un senso generale di non adeguatezza, che non sempre è facile percepire e da cui è comunque complicato uscire.

Agli antipodi del conformismo mentale, i nostri ragazzi devono imparare a “sporcarsi le mani” capendo che studiare è importante, ma scoprendo anche l’impulso dei loro specifici talenti, delle loro curiosità e dei loro interessi in un rinnovato “eroico furore”[3] culturale. Una formazione pronta a comprendere il cambiamento è ciò che ci permetterà di essere protagonisti del nostro futuro.

In passato la scuola e la formazione degli studenti richiedevano un processo lento, che corrispondeva ad un sistema scolastico da riformare con cautela. Questa lenta trasformazione, che probabilmente è stata funzionale ad un periodo della nostra storia, è giustificata dalla necessità, per lungo tempo percepita, di veicolare conoscenze e abilità utili soprattutto nel contesto scolastico. Tutto questo è rimasto inalterato per molto tempo in quanto i valori e le nozioni trasmesse erano durevoli e molto stabili.
Se però si continuasse per questa strada si finirebbe per chiudere le aule al futuro e questo non è più accettabile.

Come non sbagliare ?

Il rischio di banalizzare, frammentare, disperdere, distorcere i saperi che sono alla base della nostra cultura è alle porte e bisogna saperlo guardare in faccia e riconoscerlo. La preparazione dei nuovi docenti deve essere più articolata, complessa, accurata e costantemente aggiornata. E questa è una fatica che pochi sono disponibili ad affrontare perché non ne riconoscono ancora la portata in termini di urgenza socio culturale e di soddisfazione professionale e personale. La conoscenza e la cultura, a cui siamo stati formati, non vanno disperse, ma riaggiornate per essere nuovamente riconsolidate su basi mobili, elastiche, ma solide. Come i grattacieli di nuova generazione che sanno affrontare senza spezzarsi i terremoti nelle aree più sismiche del mondo.

L’insegnante deve conoscere molto chiaramente i binari entro i quali i contenuti della propria disciplina si articolano anche nella sua dimensione multidisciplinare. I nuclei fondanti disciplinari prevaricano qualsiasi tentativo solo formale di ingabbiarli in programmi, assi, materie. Essi sono una seria analisi epistemica, che si fonda su consolidati e riconosciuti paradigmi scientifici. Questo deve valere anche per i contenuti essenziali degli argomenti che il docente, con il contributo delle sue conoscenze specialistiche, si accinge a porgere (non a trasmettere !!!) ai suoi studenti. Anche i contenuti più semplici e apparentemente solo disciplinari devono mantenere nel contesto pluridisciplinare la loro valenza specifica: il passaggio dal disciplinare al pluridisciplinare deve avvenire attraverso un percorso chiaro e coerente di senso, che mantenga la profondità della disciplina e il suo rigore epistemico dentro un contesto più ampio.

Alla ricerca dei nuclei fondanti

Prima di intraprendere la strada di un qualsivoglia progetto di innovazione didattica, riconosciuto valido da una comunità scientifica di esperti del settore, il docente deve inserire lo studente all’interno delle sintesi concettuali essenziali e corrette dell’argomento che andrà a trattare. Se ad esempio si vogliono far dibattere[4] gli studenti in una comunità di ricerca[5] attorno al pensiero di Machiavelli, prima di scegliere un qualsivoglia argomento su cui dibattere deve essere chiarito dal docente il significato di amoralità del Principe nel pensiero del grande autore toscano, dove la moralità è collegata solo all’utile politico in rapporto all’efficacia e all’efficienza del Principe nello svolgere al meglio la sua funzione. Il nodo concettuale di Machiavelli è che il fine giustifica i mezzi. Solo una volta chiariti quali sono i nuclei fondanti espressi dal Machiavelli nel “Principe” e con la lettura di passi scelti dall’opera dell’autore, il docente potrà inserire il progetto di innovazione didattica (ad esempio discussione argomentativa in comunità di ricerca), che reputa più adatto per attualizzare e rendere più motivante e aggiornato l’approfondimento autonomo da parte degli studenti, l’arricchimento della prospettiva multisciplinare, l’utilizzo delle nuove tecnologie per approdare ad una conoscenza corretta dell’autore e delle sue tesi.

Così, raccordandosi con il rigore contenutistico, l’innovazione didattica riuscirà a condurci tutti – docenti e studenti – dentro un life largelearning che potrà mettere le sue radici in noi per il prosieguo del long lifelearning.

[1] Insegnante di scuola secondaria (primo e secondo ciclo) attualmente è Presidentessa dell’Accademia di Debate e Argomentazione del Friuli Venezia Giulia.
[2] Si vedano sia Le nuove vie dell’apprendimento, articolo apparso sul “Corriere della sera” del 21 novembre 2019, sia “Ero Studente. Il desiderio di prendere il largo”, Rubettino editore 2017.
[3] Il richiamo è ovviamente a Giordano Bruno, un po’ attualizzato.
[4] Mi riferisco più che ad un generico dibattito alla pratica del Debate entrata da non molto nelle scuole, che permette di assumere una posizione pro o contro lo stesso argomento, organizzato come mozione da discutere. La pratica di dibattito in questo caso è successiva alla costruzione di argomentazioni a supporto della mozione o in opposizione alla mozione stessa. Importante è sottolineare anche la funzione della ricerca documentale insita in questa nuova forma di didattica attiva, che permette allo studente di utilizzare l’argomento per sviluppare la sua curiosità dentro una comunità di ricerca che discute e porta all’attenzione di tutti i problemi e le possibili soluzioni.
[5] Il concetto di comunità di ricerca è molto ben sviluppato nella pratica della Kinderphilosophie o Philosophy for Children, dove il lato argomentativo e dialogico permette uno scambio di idee degli studenti tra loro, alla ricerca della costruzione di un pensiero critico complesso. Interessante notare come, per ora in Italia, il Debate sia sviluppato quasi solo nel secondo ciclo, mentre la Kinderphilosopie – che di fatto è un’espressione filosofica e non storico-filosofica – sia appannaggio del solo primo ciclo.




Manifesto per una educazione linguistica democratica

EDUCARE ALLA PAROLA
PER COLTIVARE UMANITA’ E COSTRUIRE CULTURA
MANIFESTO PER UNA EDUCAZIONE LINGUISTICA DEMOCRATICA

Proponiamo ai nostri lettori il manifesto con cui il Movimento di Cooperazione vuole ribadire l’importanza di un modello democratico di insegnamento della lingua.
Ma soprattutto chiediamo ai nostri lettori di sottoscriverlo compilando il form disponbile qui.

Il manifesto e il modulo per aderire sono disponibili anche in una apposita pagina del sito del Movimento di Cooperazione Educativa

Il Movimento di Cooperazione Educativa con questo Manifesto si rivolge al mondo della scuola -insegnanti, alunni/e, dirigenti, genitori- al mondo della cultura e della ricerca, a chi ha la responsabilità di predisporre condizioni favorevoli alla crescita culturale nei territori e nella scuola –amministratori, politici, professionisti…-, a tutti i cittadini/e, in particolare a coloro che guardano con inquietudine l’uso violento e discriminatorio del linguaggio che si va diffondendo e le proposte affrettate che invitano a risolvere semplicisticamente con un insegnamento trasmissivo il problema della povertà linguistica diffusa.


1. EDUCARE ALLA PAROLA

Educare alla parola per coltivare umanità e costruire convivenza civile
Crediamo che educare alla parola nelle nostre società multiculturali significhi occuparsi del futuro: avere la visione di una società futura, più solidale e più giusta, che vogliamo costruire, volgere lo sguardo verso un orizzonte di pace in cui la comunità umana intraprenda un cammino di consapevolezza delle diverse storie plurali e accolga la ricchezza di voci e di lingue che abitano il pianeta.

Poiché crediamo nel linguaggio come strumento di costruzione culturale e nella possibilità di resistere a un uso dell’insegnamento della lingua come strumento di divisione, proponiamo un’educazione alla parola che sia la premessa necessaria per sostenere ideali di convivenza civile, atteggiamenti di rispetto, di solidarietà, di ospitalità nei confronti di tutti/e.

Crediamo che la parola, che consente di condividere l’esperienza, di vedere e far vedere l’invisibile che accompagna l’esperienza, i pensieri e le emozioni, la sofferenza e la gioia, abbia un posto centrale nella nostra vita e debba occupare un posto centrale nella scuola.
Crediamo che l’educazione alla parola vada promossa, oggi, affrontando la complessità del presente, senza negare i conflitti che lo caratterizzano e prendendoli in carico, ma senza rinunciare a coltivare umanità e capacità di condivisione di senso e che la democrazia non può che fondarsi sulla parola, nello spirito del dialogo paritario.
Educare alla parola per coltivare il pensiero critico
Poiché esiste un legame inscindibile tra linguaggio e pensiero – la parola sostiene il pensiero, il pensiero non può che appoggiarsi alla parola per esistere ed essere comunicabile – crediamo che la conquista consapevole e generalizzata della parola e dei linguaggi, di tutti i linguaggi da parte di tutti e tutte, sia strumento di emancipazione e costituisca una difesa dagli usi manipolatori e falsificanti della comunicazione.
Poiché il linguaggio contribuisce a comunicare la realtà sociale ma anche a costruirla, crediamo che educare alla parola, ad usare parole diverse da quelle legate a generalizzazioni superficiali e acritiche, a categorizzazioni indebite e ad atteggiamenti etnocentrici sia cruciale per contrastare la semplificazione con cui viene ridotta, spesso, la complessità che ci coinvolge.
Crediamo che educare alla parola possa aiutare a nominare soggetti, situazioni, eventi in riferimento a categorie linguistiche e concettuali costruite sulla base dell’esperienza e della riflessione, esercitando l’analisi e svelando i criteri retrostanti le scelte linguistiche e gli atteggiamenti profondi che ne stanno alla base: timore, empatia o rifiuto, vicinanza o lontananza mentale e relazionale.
Crediamo che educare alla parola possa aiutare a smascherare usi superficiali e tendenziosi del linguaggio che possono indurre a trovare normali molti atteggiamenti – ed espressioni – che stanno prendendo piede: considerare criminali intere categorie di persone a prescindere dal loro operato, pretendere che ci sia qualcuno/a che deve venire prima di altri/e nel godimento di diritti fondamentali, finanche del diritto alla sopravvivenza, pensare che ci sia un diritto al respingimento di chi cerca la salvezza, … Si tratta di smascherare e denunciare l’uso ingannevole della parola e guardare le situazioni quotidiane a prescindere dalla semplificazione dell’abitudine e del linguaggio abituale, si tratta di sbanalizzare l’ovvio assumendo un atteggiamento di straniamento: non a caso riflessioni fondamentali sullo straniamento sono state proposte dalla narratologia, quindi dagli studi sulla lingua.
Per questo crediamo che una scuola che educa il pensiero debba essere una scuola che si prende cura della parola, del suo uso consapevole e responsabile, e della necessità di indagare continuamente sui significati. Si tratta di costruire atteggiamenti liberi da stereotipi e pregiudizi e disponibilità a confrontarsi con diverse letture possibili della realtà, ampliando la percezione. In questo senso l’educazione al pensiero critico, attraverso la parola, diventa pratica di democrazia.
Mettere l’educazione linguistica al centro della scuola
Proponiamo che l’educazione linguistica sia messa al centro della scuola in questo momento in cui i contesti sociali e scolastici sono caratterizzati dalla presenza di culture e lingue diverse, diversi linguaggi e modalità comunicative: educare alla parola è educare all’arte della convivenza.
Sulla base delle ricerche di De Saussure consideriamo la lingua un sistema complesso formato da linguaggi verbali e non verbali. La pratica didattica del MCE, partendo da questa considerazione, cerca di tener presente questo aspetto poliedrico della lingua, le interrelazioni e gli intrecci tra i diversi linguaggi comunicativi/espressivi, la musica, l’arte, l’immagine, il teatro… Crediamo che scegliere questa prospettiva favorisca l’ inclusione, arricchendo e potenziando la proposta educativa, per dare più opportunità a tutti e tutte.
Essendo la lingua trasversale a tutti gli ambiti proponiamo che dell’educazione alla parola si occupino tutti/e gli /le insegnanti, di tutti gli ambiti e di tutte le discipline, possibilmente in un lavoro cooperativo e di ricerca.
Proponiamo che a questo apprendimento sia dedicato tutto il tempo necessario: il giusto tempo per il dialogo, per la lettura come piacere e come costruzione della conoscenza, il giusto tempo per confrontarsi sui significati delle parole e per capire, per elaborare narrazioni e riflessioni, per godere della bellezza delle espressioni artistiche fatte di parole, per esplorare scientificamente il territorio complesso e affascinante dei codici linguistici, non cedendo all’impulso di semplificare e di ridurre l’apprendimento ad addestramento meccanico e alla conoscenza di un unico modello di lingua considerato immutabile e altro da sè.
Proponiamo che sia rispettato il diritto alla lentezza, come condizione per consentire alla mente di svolgere la sua funzione linguistica di interpretare (e trasformare) il mondo. Il tempo del pensiero, così come il tempo del camminare, il tempo della crescita e il tempo del respiro sono tempi che segnano la vita dell’essere umano da sempre, non possono essere accelerati a piacimento. Capire le parole e trovare parole giuste ed efficaci sono operazioni che richiedono la pazienza e l’umiltà del provare- confrontarsi- riprovare, sorretti/e dal desiderio di coniugare la bellezza e l’efficacia.
Proponiamo che a ragazzi/e e adulti accolti/e nel difficile cammino dell’educazione alla parola sia garantito il diritto all’uso e all’apprendimento della lingua in un percorso di ricerca libero dal timore del giudizio, della sanzione, della valutazione negativa.
Sulla base della lunga esperienza e della ricerca di insegnanti, educatori/educatrici e linguisti, rifiutiamo l’affermazione secondo cui l’obiettivo dell’inclusione e del massimo sviluppo possibile delle capacità di tutti/e e l’obiettivo della qualità della proposta educativa e didattica siano inconciliabili.
Crediamo che il cammino verso questi grandi traguardi possa essere intrapreso, nella scuola e nei luoghi che si occupano di educazione linguistica, curando piccoli passi quotidiani: ossia costruendo, con le proposte didattiche di ogni giorno, contesti scolastici cooperativi e usando strumenti di lavoro adeguati.

2. QUALE SCUOLA PER EDUCARE ALLA PAROLA
Una scuola dell’ascolto e del dialogo
Una classe dove si vivono cooperazione e democrazia non può essere una classe in cui vige la regola del silenzio, in cui si ignorano le ragioni delle proprie e altrui diversità, in cui non si mettono a confronto i diversi percorsi di pensiero. Riteniamo perciò fondamentale riconoscere e garantire a tutti/e il diritto di parola e, reciprocamente, il diritto – dovere di ascolto. Il dialogo e il confronto permettono la conoscenza reciproca che genera fiducia e sono alla base della costruzione della conoscenza.
Consideriamo la comunicazione orale un aspetto fondamentale dell’educazione linguistica: non solo presupposto indispensabile per acquisire competenza nella lingua scritta, ma anche competenza fondamentale di per sé, da curare in tutti gli ordini di scuola. Narrare, argomentare, esporre il proprio pensiero, discutere, parlare in pubblico, prendere la parola in assemblea, condividere esperienze ed emozioni sono irrinunciabili nella scuola cooperativa così come sono fondamentali nella vita sociale.
In ogni percorso di conoscenza la discussione sostiene l’articolarsi del pensiero, stimola i processi mentali, permette di interrogare la realtà scoprendone aspetti diversi e costruendo reti di significati che strutturano conoscenze, configurando il bisogno di porsi delle domande oltre che di cercare delle risposte.
Riteniamo, inoltre, la formazione al dialogo e dell’argomentare rigoroso indispensabili per la capacità di valutare e di scegliere, presupposti della partecipazione democratica.
Una scuola della narrazione
Narrare è un’attività relazionale, la comunità è fatta delle storie che condivide. Sono le storie che danno spazio a una pluralità di voci, idee, modi di essere e di vivere che, tutti, ci caratterizzano come umani. La narrazione consente di comporre in un’unitarietà leggibile la frammentarietà delle esperienze senza perderne la ricchezza.
Poter raccontarsi e raccontare, in qualsiasi forma, dà potere alle persone, le rende protagoniste e nello stesso tempo le avvicina agli altri, ascoltare racconti crea relazioni e apre ad altri mondi e ad altre esperienze.
Coltivare il bisogno e il piacere di raccontare, coltivare spazi di racconto, oltre che uno dei fini, è uno dei mezzi importanti per l’educazione linguistica -e non solo- a scuola. Il racconto porta con sé l’esperienza dell’ascolto che abitua a stare in relazione e a pensare in silenzio, a sentir risuonare dentro di noi, come un’eco profonda, immagini e parole che ci attraversano, mondi possibili ed impossibili che possiamo immaginare. Momento di conoscenza e di intreccio di esperienze, è, nello stesso tempo, un evento reale e una testimonianza che porta la memoria di altri luoghi, persone, eventi.
Ogni narrazione può avere cittadinanza nella scuola: le narrazioni della letteratura e del mito, come le narrazioni che ciascuno/a può offrire all’ascolto o incontrare nella lettura. La narrazione che ha per contenuto la quotidianità è fondamentale, aiuta la conoscenza reciproca e rafforza l’identità del gruppo, rivelando come ciascuno/a sia diverso e unico e nello stesso tempo simile a tutti/e gli/le altri/e, condividendone la comune umanità.
E’importante che, in tutti i luoghi in cui si intraprende un cammino di educazione alla parola, ciascuno/a trovi spazio modo e motivo per esprimersi e per desiderare di farlo in modi sempre più complessi e critici, senza sentirsi giudicato/a. Imparando, noi educatori/educatrici, ad esercitare la difficile arte di ascoltare perché si inizi, insieme, ad abbozzare la costruzione di un noi nuovo.
Una scuola in cui si usa la lingua per comunicare
La parola e la scrittura sono mezzi potenti che mettono in contatto gli esseri umani tra loro, ponti che permettono loro di incontrarsi.
Crediamo in una scuola in cui la parola e la scrittura vengano usate per comunicare, in cui la parola abbia spazio e le scritture vengano incoraggiate e accolte, in cui si lavori insieme per cercare di renderle sempre più efficaci, sempre più adeguate allo scopo comunicativo per cui sono nate. Ricercando anche la correttezza formale e l’adeguamento alle regole del codice, ma come un’esigenza che permette di rendere la comunicazione più efficace, non come il solo aspetto importante. Il lungo percorso verso la capacità di usare parole sempre più efficaci non può non prevedere l’errore, tappa inevitabile in ogni percorso di apprendimento, da non enfatizzare, sanzionare, criminalizzare, allontanando così dalla ricerca del piacere di comunicare con le parole.
La pedagogia Freinet e la pratica del MCE ci propongono alcune tecniche di vita che hanno anche un significato simbolico: il testo libero, la corrispondenza, il giornale scolastico, la scrittura collettiva, la messa a punto collettiva, il libro di vita della classe. Al di là dei mille modi diversi in cui possono essere realizzate e riattualizzate ci indicano una strada da seguire: dare spazio alla parola usata per l’espressione e la comunicazione, in situazioni reali, in situazioni di vita. Ci invitano, inoltre, a non dimenticare che le parole, nate perché negoziate da gruppi di umani per scambiarsi pensieri, possono essere apprese solo nello scambio e nel confronto: la competenza di tutti/e cresce e si affina nei confronti e negli scambi che si intrecciano nel gruppo, in una sorta di laboratorio artigianale in cui si ri-costruisce incessantemente una lingua comune in un continuo processo evolutivo.
Una scuola che accoglie le diverse lingue e le diverse competenze linguistiche presenti
Crediamo che in questo momento in cui i contesti sociali e scolastici sono caratterizzati dalla presenza di culture e lingue diverse, diverse modalità comunicative, differenti competenze, educare alla parola significhi educare al rispetto di tutte le lingue e delle diverse competenze presenti nella classe. Del resto, anche per quanto riguarda la nostra realtà, dobbiamo ricordare che essa è il frutto dell’incontro di molte varietà culturali e linguistiche, in parte tuttora presenti: pensiamo anche solo alla molteplicità dei dialetti che caratterizzano l’Italia, che hanno convissuto a lungo e tuttora convivono con un italiano assunto come lingua veicolare.
Ogni persona che arriva in una situazione scolastica, a qualsiasi età, è competente linguisticamente nella lingua madre -la lingua che ci plasma, che connota la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, le associazioni, gli schemi mentali – e spesso, soprattutto quando si tratta di migranti, anche in altre lingue. Il rispetto e la tutela di tutte le varietà linguistiche, siano esse idiomi diversi o usi diversi dello stesso idioma, fa sì che nessuna lingua diventi un ghetto, una gabbia che separa, un ostacolo alla parità.
Una responsabilità importante della scuola è anche accogliere la differenza di chi ha una competenza linguistica di partenza meno adeguata. Sappiamo quanto la scarsa competenza linguistica possa pregiudicare tutto il percorso scolastico in modo rilevante creando disagi profondi. Sappiamo anche quanto la competenza linguistica sia legata, per tutti/e, alle condizioni fisiche, all’ambiente familiare e sociale di provenienza, al maggiore o minore benessere psicologico, alla ricchezza o povertà di esperienze, alla possibilità o meno di godere di relazioni significative, al maggiore o minore possesso di capacità concettuali e simboliche: condizioni che preesistono e permangono al di là dell’esperienza scolastica.
Ne deve derivare l’impegno, da una parte, a operare scelte, in campo metodologico e didattico, che aiutino tutti/e a migliorare la competenza comunicativa, dall’altra a rifiutare sia una valutazione sommativa fondata sulla presunta misurazione di risultati standard tramite ‘verifiche’ su segmenti di lingua scorporati dalla realtà della comunicazione, sia la rilevazione di inadeguatezze e carenze da classificare rigidamente in categorie e da trattare individualmente con interventi specialistici.
Crediamo, invece, nella possibilità di favorire la crescita delle competenze linguistiche per tutti/e all’interno di un contesto di lavoro cooperativo.
Crediamo che favorire l’espressione e lo scambio linguistico possa aiutare tutti/e a intraprendere con successo il cammino dell’educazione alla parola e contribuire ad attenuare l’emarginazione che genera sofferenza in chi non ha in partenza strumenti sufficientemente adeguati. Crediamo anche nell’aumento di opportunità che si produce in una scuola in cui sia presente una pluralità di linguaggi, verbali e non verbali e si sperimentino ‘contaminazioni’ fra lingue e linguaggi diversi. La capacità di capire e di comunicare è favorita, in un gruppo, dalla presenza di diverse lingue, la consapevolezza delle strutture della propria lingua emerge più facilmente dal confronto che mette in evidenza somiglianze e differenze tra lingue diverse e aiuta a scoprire potenzialità e vincoli della lingua personale.
Crediamo in una scuola che possa dare legittimità a diversità e differenze permettendo a tutti/e di esprimersi, comunicare, migliorare in competenza e consapevolezza sperimentandosi come cittadini/e attivi/e in grado di produrre cultura e bellezza.
Una scuola che considera ogni lingua un corpo vivo e un possibile oggetto di ricerca
Consideriamo la lingua non come un oggetto statico, un modello da conoscere ma come una realtà complessa e in mutamento in cui e con cui viviamo, e che ci plasma. E’ la casa comune che gli esseri umani costruiscono e adattano di continuo ai loro bisogni. Proponiamo una didattica della lingua non centrata solo sull’apprendimento del codice e di un modello considerato immutabile, ma aperta alla ricerca, che impegni insegnanti e alunni/e nell’esplorazione delle produzioni linguistiche, orali e scritte, che vengono costruite in classe, una didattica volta a indagare le potenzialità degli atti linguistici, le ragioni delle scelte più o meno consapevoli che i parlanti operano all’interno del codice, gli effetti degli atti linguistici considerati come messaggi, le strutture che ne stanno alla base, le regolarità e le trasformazioni.
Crediamo che la complessità della lingua non possa essere affrontata efficacemente con un insegnamento lineare (a partire di singoli elementi –segni, parole, frasi,..- in forma additiva, dal facile al difficile). Riteniamo vada esplorata per approfondimenti successivi dei suoi molteplici aspetti -oralità, pragmatica della comunicazione, semantica, strutture linguistiche delle frasi e dei testi, legami logici instaurati da certe parole…- mettendo al centro la comprensione come costruzione del significato, sfruttando le possibilità del gioco linguistico che fa scoprire l’infinità possibile delle variazioni della forma delle parole e di conseguenza dei significati e gli intrecci tra la lingua parlata, le scritture costruite a scuola, la lingua dei libri. Consideriamo inadeguata una didattica che enfatizzi la grammatica come insegnamento di regole e definizioni avulso dai testi, supportato da esercizi meccanici scarsamente funzionali, spesso solo sulla base delle proposte precostituite e uniformi di un libro di testo. E’ dimostrato, oltretutto, che un insegnamento metodico di questo tipo non influisce positivamente sulla capacità di usare la lingua. Così come conoscere l’anatomia delle gambe non ci fa diventare più veloci nella corsa, come dicevano bene le Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica.
Consideriamo, invece, fondamentale lavorare sui testi e sui significati, stimolare il confronto sui significati attribuiti alle parole e alle espressioni. Nell’ambito di una comunità in cui c’è scambio tra i membri i significati costruiti individualmente vengono messi alla prova, conflittualizzati, ricostruiti e convenzionati continuamente in modi nuovi mettendo in comune le diverse ipotesi in un lavoro paziente di cooperazione interpretativa.
Consideriamo anche importante che sia data la possibilità di sostare sulle parole favorendo e praticando il confronto tra le diverse lingue madri presenti nel gruppo, intimamente conosciute dai parlanti, e la lingua comune. Affrontare la riflessione sulle strutture sintattiche e morfologiche adoperando il più possibile un metodo comparativo su più lingue, anche sui dialetti, in modo da consentire l’emersione della logica interna al sistema di ciascuna lingua permette a ciascuno/a di conoscere meglio la propria.
Una scuola che accompagna con cura il primo apprendimento della lingua scritta
L’incontro con la lingua scritta, uno degli incontri fondamentali della vita, è un momento importante in cui i bambini/e entrano in un mondo comunicativo nuovo, molto diverso da quello dell’oralità: il mondo della distanza, della comunicazione in assenza del destinatario, dei messaggi costruiti in solitudine, invece che in presenza. Incontrano un nuovo, potente mezzo di cui possono apprezzare le potenzialità: scrivere consente di lasciare un segnale durevole e di comunicare superando le distanze spaziali e temporali, leggere può aprire mondi lontani, incredibili, avvincenti, raggiunti grazie alla scoperta di un nuovo, meraviglioso, potere delle parole.
Se vissuto positivamente, l’incontro genera un atteggiamento di curiosità nei riguardi del codice scritto e, per il suo valore simbolico, della cultura tout court, destinato a perdurare nel tempo.
Poiché l’attività spontanea di ricerca ed esplorazione del codice inizia, per tutti/e e in modi diversi per ciascuno/a, ben prima della scuola, e prosegue a lungo, crediamo che un metodo naturale sia l’approccio più corretto: un metodo-non metodo che preveda non un ‘insegnamento’ per tappe successive uguali per tutti/e, ma un accompagnamento dentro un contesto ricco di stimoli che rispetti e favorisca i percorsi individuali e permetta, nel contempo, di intrecciarli e farli interagire nel gruppo.
In un gruppo cooperativo in cui sono favoriti il confronto, la ricerca, l’aiuto reciproco scaturiscono poi, progressivamente, nuove scoperte e consapevolezze che sostengono sia il percorso comune che le ‘esplorazioni’ individuali e in cui ciascuno/a trova e utilizza, come appoggi alla decodifica, dei propri personali punti di riferimento percettivi, affettivi, spaziali, temporali, … Su questa base ognuno/a compie un percorso diverso e con tempi diversi: un percorso di ricerca in cui non possono essere considerati ‘errori’ i tentativi iniziali, le manovre di avvicinamento di chi scopre via via nuovi aspetti del codice e si misura con la possibilità affascinante di sperimentarne l’uso pur padroneggiandolo ancora solo in parte.
Insegnare semplicemente la tecnica della scrittura a tutti/e allo stesso modo e con gli stessi tempi renderebbe chi vi si avvicina per la prima volta (bambino/a ma anche – spesso, in questi tempi di cambiamenti e nuove presenze – adulto/o) solo uno scrivano che riproduce, non uno scrittore che usa il mezzo per i suoi bisogni espressivi, creativi, comunicativi. Fin dall’inizio.
Una scuola che fa incontrare i libri e scoprire la bellezza delle parole
La nostra educazione alla parola sarebbe gravemente carente se non cercasse di offrire occasioni e di elaborare strategie per avvicinare i ragazzi/e ai libri, alla conoscenza e alla bellezza racchiuse nei libri.
Nella scuola devono trovare spazio i libri per la conoscenza, che aprono mondi, offrono tanti diversi punti di vista sulla realtà, suscitano nuovo desiderio di sapere, illuminano e rendono più significativa la nostra stessa esperienza personale del mondo.
Devono trovare spazio i libri da incontrare per il piacere di leggere, per godere della ricchezza offerta, in tutte le culture, dalle opere della narrativa e della poesia, potenti evocatrici di immagini, vissuti, emozioni, pensieri, opere fatte di parole che aprono alla dimensione del ritmo e della musicalità, che avvincono e sorprendono con immagini inattese, che regalano bellezza.
Mettere in mano ai ragazzi/e dei libri veri, attraenti, mediare questo incontro fondamentale crediamo sia il primo e fondamentale compito della scuola.

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QUESTO MANIFESTO

Ci auguriamo che questo Manifesto aiuti tanti/e insegnanti, che già operano o intendono operare secondo i criteri che proponiamo, a riconoscersi parte di un grande gruppo in cammino per una scuola migliore, inclusiva, democratica e per una società meno ingiusta. Crediamo sia legittimo, da parte di ogni insegnante, rivendicare il diritto a costruire proposte pedagogico- didattiche in base a scelte legate a convinzioni maturate sul piano professionale, sociale e politico.
Non possiamo non riconoscere, a questo proposito, il ruolo fondamentale giocato dal contesto territoriale in cui la scuola si colloca, che può frapporre ostacoli o offrire opportunità all’esercizio del diritto alla parola e all’educazione alla parola. Sappiamo quanta importanza rivestono la presenza o l’assenza di offerte culturali, di spazi pubblici pensati per l’incontro, di biblioteche, di sostegni alle attività delle scuole e di tutti i luoghi dell’educazione linguistica, il considerare o meno l’educazione alla parola come fondamentale di per sé, al di là di obiettivi legati a traguardi istituzionali o a parametri giuridici.
Non possiamo non riconoscere, infine, quanto sia importante, per i/le docenti, un contesto lavorativo in cui l’insegnante non si senta isolato/a nella propria funzione, oberato/a dalla necessità di affrontare sempre nuove problematiche e incombenze burocratiche, in difficoltà nel costruire con i colleghi/colleghe situazioni di condivisione, confronto, ricerca.
Difficoltà ulteriori possono essere rappresentate dalla difficoltà di proporre pratiche didattiche diverse da quelle ‘trasmissive’ ancora diffuse (anche se non certo in linea con i contenuti della legislazione scolastica, delle Indicazioni Nazionali in primis) o di essere fatti oggetto di richieste arbitrarie. Crediamo che in questo caso, a fronte di richieste o disposizioni non rispettose dei diritti dei bambini/e – il diritto all’espressione, ad essere consultati/e, a non essere discriminati/e, a partecipare, – sia legittimo rispondere con azioni di disobbedienza civile.

 




Democrazia e comunità nascono a scuola

Grande successo del convegno svoltosi a Pavone Canavese nei giorni 4 e 5 ottobre.

tavolo

Qui sono disponibili anche i materiali dei diversi interventi

La relazione introduttiva dell’onorevole Lucia Azzolina, sottosegretario all’Istruzione
Le slide dell’intervento della prof.ssa Cristina Marta, dirigente scolastica a Pavone Canavese
Le slide dell’intervento del prof. Raffaele Iosa, già dirigente tecnico Miur
Le slide dell’intervento del prof. Mario Maviglia, già dirigente tecnico Miur
Le slide del professore Rodolfo Marchisio, docente di italiano e storia

Cyberbullismo dei grandi (a cura di R. Marchisio)
cyberbullismo-dei-grandi-link-okCyberbullismo dei grandi – 2 (a cura di R. Marchisio)

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LESSICO PEDAGOGICO: CONTRATTO DIDATTICO

di Enrico Bottero

Una nuova voce del Lessico Pedagogico

Il contratto didattico è il contratto  che si realizza tra  l’insegnante e gli allievi. Se viene rispettato da tutti il contratto garantisce che le relazioni all’interno della classe si svolgano senza difficoltà. Il contratto può essere esplicito o implicito (Brousseau). Il contratto legittima gli status, i ruoli, le attese di ognuno nei confronti degli altri, sempre a condizione che non ci siano inganni o errori di interpretazione. Quando in una situazione didattica all’allievo viene assegnato un compito, la sua realizzazione dipende dalle domande che vengono poste, dalle informazioni fornite in fase iniziale e soprattutto dagli obblighi e dai vincoli (espliciti o impliciti) posti dall’insegnante.

Il contratto didattico non è immutabile nel tempo ma si modifica con l’evoluzione della storia della classe, delle relazioni con gli insegnanti e degli allievi tra di loro.
Ecco due   esempi differenti di messaggi dell’insegnante che condizionano il contratto didattico:
1. “L’importante non è capire ma eseguire correttamente il compito perché su quello sarai valutato”;
2. “Non è l’esecuzione corretta del compito  l’obiettivo principale ma realizzare una comprensione. Attraverso il compito sarà solo quest’ultima ad essere valutata”.
Il tipo di contratto didattico condiziona inevitabilmente il processo di apprendimento.




Come si fa ad insegnare?

balconidi Nanni Omodeo Zorini

Fra qualche giorno dovrebbe esserci la ricorrenza della nascita di Marcella Balconi; ieri ho cercato inutilmente la mia narrazione di quando l’avevamo fatta venire a fare una lezione di preparazione al concorso magistrale come M.C.E. e Cgil scuola. Non avendolo trovato lo riscrivo daccapo. Da qualche altra parte sempre nel Web ho già raccontato cose del genere. Ma dato che ora non le ritrovo non mi costa niente ricominciare daccapo.

Da quando avevo smesso di essere insegnante elementare avevo dovuto abbandonare l’attività dei gruppi pedagogico didattici che avevamo piacevolmente e utilmente fatto vivere per anni nel gruppo M.C.E.
Periodicamente (cioè praticamente quando il ministero se ne ricordava di bandire i concorsi), col sindacato scuola Cgil e come movimento organizzavamo dei momenti di supporto, formazione e preparazione al concorso magistrale.

Detta così, però, potrebbe sembrare una cosa rituale e fine a se stessa. Lo scopo fondamentale era favorire l’ingresso nella scuola di insegnanti di qualità, motivati, competenti e colti. E insieme fornire un supporto formativo alle nuove leve di colleghi insegnanti, usciti dall’istituto magistrale (divenuto poi liceo pedagogico), e anche dall’Università per insegnare nelle scuole medie e superiori.
La modalità prevalente che utilizzavamo e seguivamo: tra i colleghi direttori didattici e dirigenti scolastici, o tra insegnanti disponibili e competenti formavamo una squadra.
Sceglievamo in comune un percorso formativo definendone il curricolo. Poi ciascuno di noi con le diverse modalità personali di presentazione faceva una chiacchierata/lezione.
La mia chiacchierata spesso era supportata e surrogata da diapositive che avevo realizzate nella mia esperienza di maestro M.C.E.
Accanto a queste lezioni, in cui oltre alla comunicazione interagivamo con i nostri destinatari interlocutori, fornivamo delle tematiche da sviluppare per la prova scritta. Desumendole dalle tracce degli ultimi concorsi, e ipotizzando i temi che avrebbero potuto dovuto essere scelti e individuati dal ministero.
Gli elaborati scritti venivano da ciascuno di noi analizzati, smontati, commentati. E seguivamo una griglia tassonomica che avevamo concordato. Provando a ipotizzare il voto finale in quarantesimi che allora veniva utilizzato. Fornendo consigli scritti e a voce commentando con ciascuna persona quando li consegnavamo il suo elaborato.
Un certo anno, oltre a noi già operatori scolastici, decidemmo di chiedere il contributo anche di qualche figura esterna al mondo della scuola di particolare prestigio e rilevanza.
Contattai pertanto l’amica e compagna Marcella Balconi.
Ho ancora in mente il giorno in cui ella venne da noi.
Centinaia di donne e uomini, giovani e meno giovani colmavano la sala del sindacato alla camera del lavoro.
Ero abbastanza imbarazzato quando Marcella arrivò.
La sua immancabile sigaretta accesa. Qualche tiro appassionato, strizzando gli occhi … e mi disse subito: “ma guarda, caro Nanni, che io non intendo fare una lezione vera e propria in senso classico… Intendo chiacchierare con loro…”
Non c’era ancora il divieto formale ed esplicito a fumare nei luoghi pubblici.
Con il suo sguardo calmo e sicuro, guardò il suo uditorio…
Poi cominciò…
Si rivolse direttamente a qualche volto o sguardo che la colpiva particolarmente.
E cominciò ad interloquire.
Dopo i primi contatti, cominciarono ad alzarsi le mani chiedendo di parlare.
Lei guardava, osservava, accogliente, contentandosi di passare la parola da una persona all’altra. Apparentemente poteva sembrare una cosa alla buona. Informale.
Con il mio occhio di organizzatore, nutrivo qualche piccola immotivata preoccupazione.
Però, dalla platea, gli interventi personali erano tutti molto ricchi, oltremodo interessanti, e indirettamente collegati gli uni agli altri.
Ci fu qualche altra sigaretta per Marcella.
Poi verso il finale del tempo previsto, tirò le conclusioni mettendo magistralmente in relazione quanto era stato detto.
Non le era sfuggito nessun intervento o racconto personale.
Col suo tono sicuro e sapiente, usando un colloquiale “tu”, passò da una notazione all’altra di quelle emerse tra gli astanti…
Concluse, con la sua voce forte e rassicurante: “in pratica, la lezione che mi è stato chiesto da Nanni e dagli altri compagni di tenere per voi, l’avete svolta voi.…”
Le mie preoccupazioni precedenti svanirono immediatamente. Senza esserci raccordati intenzionalmente, la brillante e geniale neuropsichiatra infantile, ci aveva regalato una autentica lezione di come deve e dovrebbe essere l’azione educativa. Collettiva, senza distinzione tra chi espone e i suoi uditori. In una continua interazione reciprocamente arricchente. Nessuno insegna davvero a nessuno: al massimo chi ha più competenze soprattutto metodologiche, le mette a disposizione dei discenti. E si impara tutti insieme. Ero esterrefatto, entusiasta… Ritrovai in quel contesto e in quella modalità, il maestro elementare che ero stato. Che non ha una verità pronta da regalare sminuzzata a bocconi. Molte volte anch’io mi ero ritrovato quando facevo il professore o il maestro, a dire ai miei alunni che trovavo molto interessante quello che loro avevano detto che li ringraziavo per avermi aiutato.
Il tono e il clima di una vera azione educativa deve basarsi su una relazione profonda di interazione reciproca. Tutti partecipano attivamente. Ciascuno dalla sua parte.
Non entro nei particolari di quanto emerso in quella lezione con la stupenda psichiatra infantile. Militante politica, partigiana, fiera e sapiente comunista, era stata perfettamente coerente con se stessa.
Crescere insieme. Costruire insieme collaborando. Senza barriere o distinzioni di campo.
Al termine, la platea tardò moltissimo a svuotarsi. Tutte e tutti avevano qualcosa da dire personalmente a Marcella. Che con il suo occhio attento e profondamente disponibile, ascoltava tutte e tutti.

[Qualcosa del genere devo averlo già raccontato da qualche parte. Non ho ritrovato il testo degli anni scorsi. Ho ripercorso volentieri quei momenti. E regalo la narrazione ridotta all’osso e al nucleo di quella stupenda lezione attiva, che fu regalata a tutti noi. Soprattutto a me. E ne ringrazio quella stupenda persona. Siamo nell’epoca delle celebrazioni. Cent’anni fa lei era nata. Mi piace ricordarla così. Come quella volta in cui avevo imparato a conoscerla direttamente: e mi aveva raccontato che ricordava il mio nome, la mia storia, di quando ero nato, di chi ero… Non perdeva i particolare per strada. La sua lunga ricca e arricchente esperienza umana e professionale, era sempre totalmente integra: GRAZIE ANCORA COMPAGNA!]

Mi piace ricordare questa esperienza significativa in questo amaro momento di analfabetismo culturale e mentale. Di rigurgiti di fogna fascisti. Una figura luminosa ed emblematica, da ricordare non solo come celebrazione. Ma come modello mentale. E come esempio.




LESSICO PEDAGOGICO: IL PROGETTO

LESSICO PEDAGOGICO
di Enrico Bottero

PROGETTO
Metodo pedagogico in cui l’insegnante si propone di mobilitare gli allievi attorno a un’attività che ha lo scopo di realizzare qualcosa, anche al di fuori della scuola (fare uno spettacolo, preparare un’uscita, preparare una mostra, ecc.). Il progetto può avere anche uno scopo intellettuale. In questo caso, tuttavia, si preferisce parlare di pedagogia del problema. Il progetto è stata una pratica molto diffusa nelle scuole attive e ha visto tra i suoi sostenitori Dewey, Kilpatrick, Freinet. Il valore pedagogico del progetto consiste nel fatto che, attraverso di esso, si motivano gli allievi. Si pensa sempre di far acquisire conoscenze formali, ma non prima di aver finalizzato l’attività. La priorità è che l’attività abbia un senso per i suoi protagonisti. Il concetto di progetto è stato recentemente modificato dall’uso inflazionato di questo termine per indicare ogni documento che serve a indicare obiettivi di una scuola o di sue attività specifiche. Spesso il progetto è anche uno strumento di controllo e promozione delle innovazioni didattiche e organizzative. Si tratta di un utile strumento organizzativo che tuttavia non va confuso con la pedagogia del progetto.

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