Ma la Homeschool non è una cosa seria

di Cinzia Mion

Correva l’anno 2013, al tempo della ministra Carrozza , che aveva appena emanato delle “Linee guida per l’educazione alla sessualità e all’affettività” e ricordo l’alzata di scudi delle forze più oltranziste, per non dire talebane, che si sono subito organizzate per fare un fronte comune…
Si temeva che tale formazione …sdoganasse l’omosessualità! La parola incriminata era “gender” o meglio identità di genere….

Per farla breve schiere di madri “sciamannate” hanno invaso, senz’altro in Veneto –  ma credo anche in altre regioni, anche se non così famose come il Veneto per essere stata la patria della cosiddetta “balena bianca”- dicevo hanno invaso le Presidenze scolastiche per diffidare i Dirigenti dall’organizzare non solo corsi di formazione su queste linee guida ma addirittura corsi contro il bullismo.
Nell’immaginario genitoriale senz’altro era meglio un figlio bullo che a rischio di diventare (anche se per la verità gay si “è” non si diventa) omosessuale.
Sono sorte allora, un po’ come i funghi, le minacce-proposta di farsi la scuola personale-privata-casalinga-genitoriale.

Ci sarebbe da ridere se non fossimo in grado di capire fino in fondo quali sono le pulsioni soggiacenti a simili fantasie.
“Il figlio è mio e lo faccio diventare quello che desidero io”.
Lasciamo perdere la valutazione sulla tipologia di madre ma il bello è che, rispetto all’orientamento sessuale – perché di questo si trattava – non c’è niente, ma proprio niente da fare, perché esso non risponde ai dettati delle madri (o dei padri)!

Naturalmente stessa sceneggiata si ripresenta quando con la legge 107/15, il comma 16 riparla della necessità di educare bambini e bambine “ai principi di pari opportunità, alla parità tra i sessi, e alla prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni…”CAPIRAI….!
L’ASPETTO PIU’ GRAVE invece della  “HOMESCHOOL” secondo me,  è quello che scaturisce dall’inevitabile INDOTTRINAMENTO, sia che sia intenzionale sia che sia automatico e inconsapevole, da parte della famiglia sui propri figli.
Per chiarire meglio cosa intendo dire riporto un piccolo ma significativo capoverso –  del testo degli ex Nuovi programmi  per la scuola elementare , datati 1985 – che recitava a proposito dei rapporti Scuola, Famiglia e Partecipazione : ”La scuola, rispettando le scelte educative della famiglia, costituisce un momento di RIFLESSIONE APERTA, ove si incontrano ESPERIENZE DIVERSE : essa aiuta il fanciullo a superare i PUNTI DI VISTA EGOCENTRICI E SOGGETTIVI, così come ogni  giudizio sommario che PRIVILEGI IN MANIERA ESCLUSIVA  UN PUNTO DI VISTA E UN GRUPPO SOCIALE A SCAPITO D’ALTRI” (il maiuscolo è mio!)

Io credo che queste parole così sagge inquadrino perfettamente il rischio che –  in questi tempi molto più complessi dovuti  alla società multiculturale, multietnica, multireligiosa in cui l’educazione al CONFRONTO deve essere preponderante rispetto a quella connotata solo dal CONSENSO-  la “homeschool” sia veramente pericolosa.
Naturalmente non sono a conoscenza di quante scuole genitoriali  siano state avviate per ragioni del primo tipo oppure per ragioni strettamente ideologiche del secondo tipo.

Desidero però aggiungere che in entrambi i casi non sono stati rispettati i cosiddetti PERMESSI di cui parla Eric Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale.  Berne infatti pone come presupposto di una sana educazione l’emissione in primis da parte dei genitori –  e degli educatori poi, compresi i docenti – di alcuni fondamentali PERMESSI, che vengono attivati il più delle volte attraverso il linguaggio del corpo e spesso rimangono impliciti ma fanno parte dell’atteggiamento CORRETTO di porsi di un buon educatore.

Si tratta del permesso DI ESSERE SE STESSI e del permesso di PENSARE (con la propria testa). Sembrano atteggiamenti scontati ma scontati non sono se i genitori stessi , che si presume vogliano il bene per i loro figli , li sconfessano così platealmente, considerando i figli come i loro prolungamenti.




Homeschool, una nuova frontiera?


Visita la nostra pagina sulla “nuova frontiera” pedagogica.
Sempre più famiglie pensano che per tutelare i figli e per evitare il contagi la scuola in casa sia la soluzione giusta.
Leggi gli interventi dei nostri collaboratori.




La scuola è una istituzione pubblica, la homeschool una faccenda privata

di Raimondo Giunta

La scuola ha una sua forma e senza questa puo’ essere tutto ,ma non è più scuola;si puo’ lavorare per rafforzarla e si puo’ con le più spericolate motivazioni lavorare per sbaraccarla.
Nella società della conoscenza,della diffusione crescente dell’istruzione tra la popolazione e dell’imponente disponibilità delle informazioni creata da internet affiora periodicamente la questione se la scuola abbia ancora il diritto di esistere e se abbia ancora un senso.
Un problema che puo’ interessare quanti sono in grado di sostituirla per disponibilità di mezzi personali e culturali e quanti vogliono sottrarre la propria figliolanza alle regole,ai principi e ai valori dal netto profilo pubblico che un’istituzione come la scuola deve sostenere e praticare.Perchè la scuola è un’istituzione pubblica e la homeschool è una faccenda privata.
E allora il problema è proprio questo: la perdita strisciante dell’importanza di ciò che è pubblico nel mantenimento della coesione sociale.
L’incosciente corsa alla privatizzazione di ciò che per il bene di tutti deve essere comune e pubblico.Il danno che si creerebbe a scuola con l’individualizzazione privatistica dei processi di insegnamento ,sarebbe maggiore di quello che si è creato con la privatizzazione della sanità,dell’apparato industriale e finanziario, delle poste,delle, ferrovie e dell ‘acqua.
La legittimazione della homeschool, anche all’interno di una logica emergenziale, sarebbe, infatti, la proclamazione dell’esplicito disinteresse di fare della scuola l’unico luogo in cui i giovani possono apprendere a vivere come comunità, che si riconosce negli stessi valori negli stessi diritti e negli stessi obblighi.
E senza comunità si ha solo un coacervo di individui gli uni contro gli altri armati.Avremmo una società incapace di darsi un progetto comune di sviluppo e di futuro

I giorni difficili della pandemia hanno riacceso gli interrogativi sul destino della scuola ,sull’identità e sul significato che debba avere.
Ne è stata causa la necessità di ricorrere alla didattica a distanza per mantenere nei limiti del possibile il rapporto educativo con gli alunni; una necessità che per alcuni si è subito trasformata in una opportunità per pensare di riconfigurare con uno sguardo proiettato nel futuro gli ambienti di apprendimento e l’articolazione del rapporto tra alunni e luoghi di formazione.
Di cambiamenti nel modo di essere scuola se ne sono visti tanti negli ultimi decenni e in qualche modo la scuola è riuscita a reinventarsi rimanendo se stessa ,conservando la propria forma.La legittimazione della homeschool potrebbe essere il grimaldello per farla saltare.

La scuola è un’istituzione ancora facilmente identificabile per i luoghi in cui le sue attività si svolgono,per le finalità che deve o che dovrebbe realizzare,per l’organizzazione complessiva che la distingue da ogni altro ufficio pubblicoNel tempo la forma della scuola si è dilatata per comprendere nuovi contenuti e nuova popolazione,ma a pensarci bene non è sostanzialmente cambiata.Si sono moltiplicati gli spazi e le aule;si si sono creati tanti laboratori ,si è diversificata l’enciclopedia dei suoi saperi,ma la sua forma(insegnamento in presenza,progressione dei contenuti/classi progressive per età,orari,procedure organizzative,attività )fino ad oggi è rimasta fedele a se stessa.

La scuola ha funzionato e funziona per diffondere e difendere la lingua nazionale; propone valori comuni contro ogni forma di separatismo culturale;dà prospettive anche ai diseredati contro i privilegi familiari;trasmette pubblicamente saperi,competenze e tecniche che rendono le persone libere dai vincoli delle corporazioni e rompono il sancta sanctorum del segreto professionale,del segreto del mestiere .
La scuola è luogo di formazione della cittadinanza ,compito che puo’ svolgere e di cui si ha bisogno perché è pubblica,aperta a tutti e non discrimina nessuno.Perchè nei suoi spazi e solo in questi tutti i bambini e tutti i giovani sono uguali,come dovrebbero essere da adulti davanti alla legge.

La homeschool porta al superamento del percorso formativo per classi e forse in un futuro non lontano a quello per anni di corso,..Il superamento del gruppo classe e dell’anno di corso rompe con l’organizzazione tradizionale della scuola,comunemente accettata sia dagli insegnanti,sia dagli alunni,sia dalla stragrande maggioranza delle famiglie.
Per fortuna ancora classe e anno di corso restano i pilastri della scuola.Il superamento potrebbe trasformare l’istruzione pubblica in un servizio a domanda individuale,che la consegnerebbe mani e piedi a quella parte della società che sa formulare le domande e sa come imporle.Un problema che non si puo’ sottovalutare e che in veste mutata si riproporrebbe con la didattica a distanza,se dovesse diventare una modalità permanente del lavoro scolastico.
La home school non ci porta avanti;ma molto indietro.
Ci riporta ai tempi dei precettori privati-




Homeschooling, perchè non sceglierla

di Riccarda Viglino

Premesso che ogni scelta va rispettata soprattutto nel caso in cui ci sia alla base la volontà di proteggere la salute dei propri figli, ci sono alcune ragioni, di diverso ordine, che non mi permettono di ritenere utile e proficua questa scelta.

La prima, senza dubbio di carattere educativo e didattico è che essa trascura la dimensione sociale dell’apprendimento. Non solo la socialità intesa come relazione con adulti e pari al di fuori della cerchia famigliare, quella socialità allargata e strutturata fondamentale per la crescita emotiva e la maturazione di adeguate competenze sociali della persona, ma proprio l’aspetto dell’imparare “con gli altri”, e anche per mezzo degli altri. E gli altri sono la classe, nella sua eterogeneità e complessità, quella che oggi spaventa molti genitori ma che è la risorsa fondamentale per l’apprendimento di tutti.

Solo attraverso il confronto con gli altri infatti si prende atto progressivamente delle proprie competenze e specificità, si apprendono strategie, idee, conoscenze e punti di vista diversi dal proprio, si acquisiscono apprendimenti duraturi. La possibilità di imparare nel gruppo dei pari, consente al singolo di andare oltre i propri limiti e di apprendere con maggiore facilità, come hanno dimostrato Vygotsky e l’approccio di Reggio Emilia, che sulle sue osservazioni ha fondato uno dei migliori metodi pedagogici moderni.

La seconda riguarda l’aspetto sociale della scuola, la possibilità che essa offre agli studenti fin dalla prima infanzia, di far parte di un ambiente sociale diverso da quello famigliare, con le sue regole, un proprio spazio- tempo strutturato ed organizzato, adulti professionisti con i quali entrare in relazione; nella quale i bambini ed i ragazzi possono confrontarsi con l’autorità e la responsabilità individuale. Una scuola che può diventare risposta accogliente e plurale all’individualismo esasperato espandendo i confini dell’IO in progetti del NOI. Un microcosmo sociale che può diventare palestra quotidiana di “allenamento” alla democrazia attiva.

Una terza motivazione riguarda l’aspetto di giustizia sociale che la scuola è chiamata a perseguire; pur nelle imperfezioni del sistema, in classe si è diversi ma tutti uguali: le stesse opportunità, gli stessi strumenti, lo stesso ambiente di apprendimento. La scuola italiana ha dimostrato nella sua storia di essersi impegnata in molte realtà a colmare le diseguaglianze perseguendo l’equità delle opportunità di formazione sostenendo l’apprendimento di tutti con attenzione particolare ai più deboli riconoscendo l’eterogeneità e diversità dei propri studenti e creando spazi in cui sviluppare il potenziale umano di ognuno di essi. Se la scelta dell’homeschooling dovesse diffondersi, le disuguaglianze sociali verrebbero ancora una volta rafforzate, come la didattica a distanza ha già purtroppo messo in evidenza.

Un’ultima motivazione marginale sotto forma di domanda: quindi siamo davvero convinti che chiunque possa insegnare?  Secoli di studi, di ricerca filosofica, pedagogica, didattica, dibattiti, confronti… Inutili. La verità è dunque banale: chiunque può fare l’insegnante. Magari la mamma che ne dite? La crisi sta rimandando a casa le donne, d’altra parte è quello il luogo dove devono stare, quindi si prendano cura finalmente della casa e dei figli, anche della loro istruzione. Anzi, no. Diamo loro anche lo smart working che è così di moda e di smart non ha proprio nulla, come abbiamo visto durante questi mesi. Aumentiamo il carico di lavoro delle donne, ma soprattutto teniamole in casa.

O forse stiamo pensando di tornare ai precettori….. Questa potrebbe essere la nuova sfida.

 




I limiti della “scuola in casa”

di Simonetta Fasoli

L’esperienza della Dad (l’ormai noto acronimo della didattica a distanza) è come sappiamo nata da un’inevitabile scelta nella fase più drammatica dell’epidemia.
Molto è stato detto sulle possibilità che ha in ogni caso offerto e sugli aspetti problematici che ha fatto emergere. Sottraendomi in questa sede ad una disamina degli uni e delle altre, che esula dal fuoco tematico di questo contributo, mi sembra pertinente soffermarmi su uno dei suoi “effetti collaterali” che merita un supplemento di riflessione. Infatti, lo sviluppo delle lezioni a distanza, segnando in parallelo l’implosione della “scuola materiale” ben fissa nell’immaginario e nell’esperienza di noi tutti, ha dato vita ad una parallela diffusione di una “scuola domestica” del tutto inedita.
Insomma, è scomparso lo “spazio pubblico” che è uno dei tratti fondanti della scuola come istituzione storicamente determinata. Al suo posto, un’inedita affermazione degli spazi domestici come luoghi privati, perfino intimi, diventati lo scenario abituale dei processi di insegnamento-apprendimento. Le “aule”, di cui attualmente tanto si discute nella prospettiva dell’imminente ripresa, hanno preso i connotati degli ambienti domestici. Potremmo dire che questo fenomeno ha dato corpo a un vero e proprio processo di “privatizzazione” della scuola: su questo, ognuno potrà svolgere le proprie considerazioni, in coerenza con posizioni politico-culturali e personali convincimenti.
Al di là della prevedibile eterogeneità delle opinioni, resta il fatto oggettivo di una scuola che, arretrata dal suo “naturale” spazio pubblico, si è diffusa prendendo stabile dimora nelle case degli alunni e degli studenti. È plausibile pensare che la pervasività del fenomeno, e dei processi anche simbolici che ha innescato, possa essere all’origine di un incremento delle richieste di “homeschooling” che si va rilevando nel nostro Paese.
Opzione, come sappiamo, prevista dal nostro sistema giuridico, ma finora praticata in modo del tutto residuale; diversamente da quanto accade, per esempio, in altre aree di lingua anglosassone.

Proprio per l’emergente rilevanza del fenomeno, anche dal punto di vista quantitativo, converrà interrogarsi sui limiti e sulle problematicità in cui incorre. Partirei dal più largo e comprensivo ambito educativo, per poi fare qualche affondo sulle dimensioni della funzione di “istruzione” cui assolve la scuola per mandato costituzionale. Riguardo al primo punto, osservo che la scuola, nella sua materialità, è il primo luogo pubblico con cui entrano stabilmente in contatto i bambini e le bambine, fin dalla Scuola dell’infanzia. In questo spazio protetto e aperto al tempo stesso fanno diretta esperienza di un “altrove” rispetto alle pareti domestiche. Un altrove che ben presto assume i contorni di stimoli, routines e presenze che danno concretezza alle azioni di “cura” e di “intenzionalità educativa” predisposte dagli insegnanti.
Questa è la palestra di vita che fa parlare fondatamente di un “ambiente di apprendimento”. Qui maturano le esperienze di esplorazione percettiva, di relazionalità e di primo distanziamento dalle emozioni senza cui non si dà processo di crescita e di conoscenza.
Alla luce di queste sintetiche considerazioni, è legittimo chiedersi cosa comporta in termini educativi il permanere in una condizione di apprendimento “familiare”, per quanto accorto e sensibile alle esigenze dei piccoli. È opportuno interrogarsi sulle limitazioni che inevitabilmente gravano in un contesto di apprendimento integralmente privatizzato. E viene da chiedersi di che natura potrà essere l’inevitabile impatto con il mondo “là fuori”, se l’ingresso nei suoi contesti, formali e non formali, risulta essere procrastinato.
Superfluo sottolineare, da questo punto di vista, la difficoltà a sviluppare le competenze relazionali connesse al senso civico e alle forme più elementari della convivenza. C’è da temere che questa tendenza, magari animata dalle migliori intenzioni, di trattenere nel “nido” i piccoli possa mostrare nel tempo le sue insidie, favorendo il formarsi di personalità narcisistiche, caratterizzate da atteggiamenti auto-riferiti e, al limite, antisociali.
Non meno irto di effetti problematici il percorso di un bambino o una bambina, gestito in ambiente domestico, dal punto di vista dello sviluppo degli apprendimenti.
La prima forte riserva nasce considerando le specifiche competenze che sono in grado di mettere in campo i genitori. Non si discute che possano avere il prezioso bagaglio di competenze acquisito, come si dice, nella “scuola della vita”…ma come negare che, da sola, non basta? Non basta, se non è supportata dalle necessarie conoscenze scientifiche e psicopedagogiche sul delicato e complesso processo di sviluppo. Si dirà che a volte neanche la competenza professionale è sufficiente a garantire rispetto ad approcci non efficaci o addirittura impropri…Vero: mi viene da dire, figuriamoci senza!

Resta da considerare brevemente il nodo problematico costituito dall’assommare in una sola figura la funzione genitoriale e quella docente nei confronti dell’istruzione impartita ai propri figli. Un “corto circuito” di cui non sfuggono le molteplici implicazioni. L’apprendimento è processo complesso, nel quale elementi propriamente cognitivi e dimensioni emotivo-relazionali sono inestricabilmente connessi. Altrettanto, e forse più complesso il rapporto genitore-figlio, in cui più intensamente giocano fattori che sono stati ampiamente studiati dalle psicologie dinamiche di diverse scuole. Per questo, è quanto mai opportuno separare nettamente la figura del genitore, nella sua insostituibile funzione educativa, da quella dell’insegnante. La presenza di un “testimone empatico”, dotato di specifiche conoscenze scientifiche, è quella che più efficacemente accompagna e sostiene il soggetto in crescita nell’appassionante avventura dell’apprendimento.
E, da ultimo ma non in ordine di importanza, il ruolo fondamentale svolto dal gruppo dei pari, che nella scuola è istituzionalmente predisposto. Come sappiamo dalle più accreditate teorie dello sviluppo e dell’apprendimento, il gruppo dei pari è un prezioso referente per esplorare percezioni e conoscenze. È insieme ai pari che si co-costruisce il processo di conoscenza, si negoziano significati, si progettano azioni. I pari nel gruppo di apprendimento sono potenti vettori di nuove acquisizioni, non paragonabili ai pur preziosi “compagni di gioco” che si invitano nello spazio privato domestico.

A scuola è messo in scena il gioco sempre nuovo e aperto della conoscenza: in uno spazio pubblico, allestito intenzionalmente dai docenti e arricchito dalla creatività imprevedibile dei bambini e delle bambine. È l’anticipazione del grande gioco sociale che in modi sempre più articolati e complessi impegnerà gli adulti che saranno diventati. Perché privarli di tutto questo?




Homeschool, ovvero segnali di naufragio

di Stefano Stefanel               

Il Ministero dell’Istruzione e, a questo punto, anche il Governo intero credo abbiano preso, sulla scuola, una strada che porterà in un vicolo cieco.
Incredibilmente da fine giugno il dibattito è stato spostato dalla didattica alle misurazioni, con continui monitoraggi che si smentiscono tre loro e una sottovalutazione dell’importanza di permettere alle scuole di partire da settembre in modo diverso da quanto avvenuto nel settembre 2019.
La questione dei banchi ha spostato l’attenzione da cosa ci si deve fare su quei banchi a cosa si può comprare per cercare di tornare come prima. Come prima, però, non si torna, almeno in tempi brevi.

La scuola ha dimostrato una grande forza e la didattica a distanza un forte contenuto di innovazione, utilissimo nel momento dell’emergenza.
Ad un certo punto però si è spostata l’attenzione dalla forza della scuola, della sua didattica, della sua resilienza, della sua capacità innovativa alla debolezza delle aule troppo piccole, degli organici non sufficienti, dei soldi da spendere non per la didattica, ma per mascherine e prodotti igienizzanti. E mentre si perde tempo dietro alla speranza di far funzionare spazi sbagliati e costruiti in altri tempi e per un’altra scuola ci si fa sfuggire la potenzialità del MES e l’importanza che la scuola stia con le sue competenze nel Recovery Fund (tutto questo lo si può leggere nel mio contributo apparso anche su Gessetti colorati col titolo Una scuola per l’Europa).
Il discorso che qui ho solo abbozzato è stato già condotto con grande maestria da Aluisi Tosolini nel contributo apparso su Gessetti colorati dal titolo Onlife school. Non mi soffermo dunque oltre e rimando al citato intervento.

Lo sbaglio compiuto dal Ministero e fatto proprio dall’opinione pubblica può portare a distorsioni non da poco, una delle quali è la così detta “Homeschool”, cioè una sorta di scuola familiare o scuola privata di pochi. Cento anni di grande pedagogia hanno portato una scuola non attrezzata all’innovazione ad essere fortemente innovativa e un passaggio storico che poteva essere letale per la crescita degli studenti ad essere invece un’opportunità. Questo ci ha detto l’emergenza che abbiamo vissuto e da lì dobbiamo partire. In questa estate andava cambiato tutto: spazi, tempi, contratti. Non lo si è fatto e non lo si vuole fare, ma la risposta inversa di chiudere bambini e ragazzi dentro una bolla familiare per cercare di salire nella scala dell’istruzione attraverso la segregazione è quanto di più deleterio può esserci.

La battaglia deve essere fatta per cambiare la scuola, non per eliminarla. Lo spazio comune, il ruolo del docente, la sua competenza che si sviluppa negli anni e che porta innovazione e pedagogia applicata dentro la scuola  sono valori di civiltà che una chiusura dentro la famiglia o dentro luoghi di apprendimento ristretti possono azzerare in poco tempo. Bisogna battersi perché i più piccoli tornino dentro spazi comuni, tempi comuni, saperi condivisi. La personalizzazione degli apprendimenti deve essere l’elemento che guida le diversità verso un sapere di cittadinanza e dentro una società della conoscenza aperta. Le “sette” chiudono e l’idea di “Homeschool” è quella di trasformare la crescita e il sapere in società chiusa e segreta.

Il dibattito va riportato sulla didattica, sulla flessibilità organizzativa e sui percorsi di apprendimento. Non sulle confraternite familiari che qualcuno ad un certo punto chiama scuola.

 




Ci sono tante idee di scuola

di Raimondo Giunta

  • In giro ci sono tante idee di scuola, ognuna delle quali ha il proprio seguito di fedeli.
    C’è quella che hanno gli insegnanti, che grosso modo ricalca l’esperienza che hanno fatto anche da studenti, ma debitamente integrata con le correzioni che la diversità dei tempi reclama.
    Un’idea che finisce in genere per esaltare la scuola che “forma” e ”dà cultura”; una scuola che trova compimento nell’Università e che procura un’occupazione stabile e decorosa.
  • C’è quella di cui sono convinte tantissime famiglie; a loro interessa una scuola breve, senza tante pretese culturali, disciplinata al punto giusto anche per sovvenire alle loro difficoltà educative, tutta proiettata sulle opportunità di lavoro. Sono le famiglie che non si possono permettere lunghi percorsi di studio per i propri figli e che a volte vedono di malocchio il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 15 anni. Ma il mondo è vario e ricco di sorprese, perchè ci sono anche quelli che vogliono una scuola lunga, distintiva, distanziante e censitaria nella popolazione che la deve frequentare e nel curriculum; è gente che non ha problemi per l’avvenire dei propri pargoli e dalla posizione sociale inattaccabile da qualsiasi crisi economica.
  • Alla scuola che crea e alimenta distanze sociali si oppone quella ugualitaria, che dovrebbe dare a tutti una chance proporzionata ai meriti individuali, che soccorre gli alunni in difficoltà, creatrice di buoni costumi e di attiva cittadinanza; ricca di passioni umane, sociali e civiche; è la scuola degli insegnanti e dei dirigenti generosi che non si arrendono mai.
  • Per la fortuna di tutti anche i grandi opinionisti si interessano di scuola.
    Gente che sa da dove veniamo e dove dobbiamo andare, che ne ha per tutti i problemi e che vede quello che il resto dell’umano genere non vede.
    I loro discorsi sulla scuola si nutrono di rigore ,di realismo e di serietà; fanno la differenza con la Koinè pedagogico-didattica che imperversa nelle scuole e che sta creando moltitudini di idioti.
    I loro colloqui fanno curriculum anche per un Capo di Governo e per un Ministro della Pubblica Istruzione.
    Piangono sulla miseria degli stipendi degli insegnanti, ma in genere non li ritengono preparati per quello che dovrebbero fare, anche per colpa delle immissioni in ruolo ope-legis.
    Detestano quanto sa di accompagnamento e di sostegno e in genere prediligono una scuola che nella selezione, nella disciplina e nell’elevatezza del curriculum deve trovare le proprie fondamenta per risorgere dalla palude in cui sta imputridendo.
    Non guasterebbe a parere di uno dei più noti una pedana sotto la cattedra e l’obbligo per gli alunni di alzarsi in piedi quando l’insegnante entra in classe. Se fossimo in Francia potremmo definirli fautori di un’école repubblicaine et antipédagogique. Se fossimo in Francia…
  • C’è anche l’idea di scuola (e non poteva mancare) che producono e diffondono i centri studi delle consorterie aziendali; una scuola tutto fare, tutto agire; una scuola che si fa più nei locali delle fabbriche che nelle aule; una scuola che abilita ad operare, ma un po’ incurante del sapere pensare.
    Tutta immersa nel presente e sicura del futuro che ci sarà.
    In poche parole, una scuola spiccia, solerte, efficiente, efficace.
    La scuola dei tempi moderni, molto ammanicata nelle stanze ministeriali.
  • Ci saranno sicuramente altre idee di scuola, ma non è insensato distinguerle tutte in quelle che ne fanno una magistra vitae e in quelle che ne fanno una ancilla societatis.
    Per quanto le prime per i tempi che corrono siano soggette a prenderle di sana ragione e a incorrere in quotidiane e severe sconfitte, sono proprio queste idee ad appassionarmi ancora ai problemi della scuola, forse per la collaudata imperizia personale nel cogliere e comprendere le opportunità che il mondo offre.