Archivi categoria: PEDAGOGIA

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Ma la Homeschool non è una cosa seria

di Cinzia Mion

Correva l’anno 2013, al tempo della ministra Carrozza , che aveva appena emanato delle “Linee guida per l’educazione alla sessualità e all’affettività” e ricordo l’alzata di scudi delle forze più oltranziste, per non dire talebane, che si sono subito organizzate per fare un fronte comune…
Si temeva che tale formazione …sdoganasse l’omosessualità! La parola incriminata era “gender” o meglio identità di genere….

Per farla breve schiere di madri “sciamannate” hanno invaso, senz’altro in Veneto –  ma credo anche in altre regioni, anche se non così famose come il Veneto per essere stata la patria della cosiddetta “balena bianca”- dicevo hanno invaso le Presidenze scolastiche per diffidare i Dirigenti dall’organizzare non solo corsi di formazione su queste linee guida ma addirittura corsi contro il bullismo.
Nell’immaginario genitoriale senz’altro era meglio un figlio bullo che a rischio di diventare (anche se per la verità gay si “è” non si diventa) omosessuale.
Sono sorte allora, un po’ come i funghi, le minacce-proposta di farsi la scuola personale-privata-casalinga-genitoriale.

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La scuola è una istituzione pubblica, la homeschool una faccenda privata

di Raimondo Giunta

La scuola ha una sua forma e senza questa puo’ essere tutto ,ma non è più scuola;si puo’ lavorare per rafforzarla e si puo’ con le più spericolate motivazioni lavorare per sbaraccarla.
Nella società della conoscenza,della diffusione crescente dell’istruzione tra la popolazione e dell’imponente disponibilità delle informazioni creata da internet affiora periodicamente la questione se la scuola abbia ancora il diritto di esistere e se abbia ancora un senso.
Un problema che puo’ interessare quanti sono in grado di sostituirla per disponibilità di mezzi personali e culturali e quanti vogliono sottrarre la propria figliolanza alle regole,ai principi e ai valori dal netto profilo pubblico che un’istituzione come la scuola deve sostenere e praticare.Perchè la scuola è un’istituzione pubblica e la homeschool è una faccenda privata.
E allora il problema è proprio questo: la perdita strisciante dell’importanza di ciò che è pubblico nel mantenimento della coesione sociale.
L’incosciente corsa alla privatizzazione di ciò che per il bene di tutti deve essere comune e pubblico.Il danno che si creerebbe a scuola con l’individualizzazione privatistica dei processi di insegnamento ,sarebbe maggiore di quello che si è creato con la privatizzazione della sanità,dell’apparato industriale e finanziario, delle poste,delle, ferrovie e dell ‘acqua.
La legittimazione della homeschool, anche all’interno di una logica emergenziale, sarebbe, infatti, la proclamazione dell’esplicito disinteresse di fare della scuola l’unico luogo in cui i giovani possono apprendere a vivere come comunità, che si riconosce negli stessi valori negli stessi diritti e negli stessi obblighi.
E senza comunità si ha solo un coacervo di individui gli uni contro gli altri armati.Avremmo una società incapace di darsi un progetto comune di sviluppo e di futuro

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Homeschooling, perchè non sceglierla

di Riccarda Viglino

Premesso che ogni scelta va rispettata soprattutto nel caso in cui ci sia alla base la volontà di proteggere la salute dei propri figli, ci sono alcune ragioni, di diverso ordine, che non mi permettono di ritenere utile e proficua questa scelta.

La prima, senza dubbio di carattere educativo e didattico è che essa trascura la dimensione sociale dell’apprendimento. Non solo la socialità intesa come relazione con adulti e pari al di fuori della cerchia famigliare, quella socialità allargata e strutturata fondamentale per la crescita emotiva e la maturazione di adeguate competenze sociali della persona, ma proprio l’aspetto dell’imparare “con gli altri”, e anche per mezzo degli altri. E gli altri sono la classe, nella sua eterogeneità e complessità, quella che oggi spaventa molti genitori ma che è la risorsa fondamentale per l’apprendimento di tutti.

Solo attraverso il confronto con gli altri infatti si prende atto progressivamente delle proprie competenze e specificità, si apprendono strategie, idee, conoscenze e punti di vista diversi dal proprio, si acquisiscono apprendimenti duraturi. La possibilità di imparare nel gruppo dei pari, consente al singolo di andare oltre i propri limiti e di apprendere con maggiore facilità, come hanno dimostrato Vygotsky e l’approccio di Reggio Emilia, che sulle sue osservazioni ha fondato uno dei migliori metodi pedagogici moderni.

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I limiti della “scuola in casa”

di Simonetta Fasoli

L’esperienza della Dad (l’ormai noto acronimo della didattica a distanza) è come sappiamo nata da un’inevitabile scelta nella fase più drammatica dell’epidemia.
Molto è stato detto sulle possibilità che ha in ogni caso offerto e sugli aspetti problematici che ha fatto emergere. Sottraendomi in questa sede ad una disamina degli uni e delle altre, che esula dal fuoco tematico di questo contributo, mi sembra pertinente soffermarmi su uno dei suoi “effetti collaterali” che merita un supplemento di riflessione. Infatti, lo sviluppo delle lezioni a distanza, segnando in parallelo l’implosione della “scuola materiale” ben fissa nell’immaginario e nell’esperienza di noi tutti, ha dato vita ad una parallela diffusione di una “scuola domestica” del tutto inedita.
Insomma, è scomparso lo “spazio pubblico” che è uno dei tratti fondanti della scuola come istituzione storicamente determinata. Al suo posto, un’inedita affermazione degli spazi domestici come luoghi privati, perfino intimi, diventati lo scenario abituale dei processi di insegnamento-apprendimento. Le “aule”, di cui attualmente tanto si discute nella prospettiva dell’imminente ripresa, hanno preso i connotati degli ambienti domestici. Potremmo dire che questo fenomeno ha dato corpo a un vero e proprio processo di “privatizzazione” della scuola: su questo, ognuno potrà svolgere le proprie considerazioni, in coerenza con posizioni politico-culturali e personali convincimenti.
Al di là della prevedibile eterogeneità delle opinioni, resta il fatto oggettivo di una scuola che, arretrata dal suo “naturale” spazio pubblico, si è diffusa prendendo stabile dimora nelle case degli alunni e degli studenti. È plausibile pensare che la pervasività del fenomeno, e dei processi anche simbolici che ha innescato, possa essere all’origine di un incremento delle richieste di “homeschooling” che si va rilevando nel nostro Paese.
Opzione, come sappiamo, prevista dal nostro sistema giuridico, ma finora praticata in modo del tutto residuale; diversamente da quanto accade, per esempio, in altre aree di lingua anglosassone.

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Homeschool, ovvero segnali di naufragio

di Stefano Stefanel               

Il Ministero dell’Istruzione e, a questo punto, anche il Governo intero credo abbiano preso, sulla scuola, una strada che porterà in un vicolo cieco.
Incredibilmente da fine giugno il dibattito è stato spostato dalla didattica alle misurazioni, con continui monitoraggi che si smentiscono tre loro e una sottovalutazione dell’importanza di permettere alle scuole di partire da settembre in modo diverso da quanto avvenuto nel settembre 2019.
La questione dei banchi ha spostato l’attenzione da cosa ci si deve fare su quei banchi a cosa si può comprare per cercare di tornare come prima. Come prima, però, non si torna, almeno in tempi brevi.

La scuola ha dimostrato una grande forza e la didattica a distanza un forte contenuto di innovazione, utilissimo nel momento dell’emergenza.
Ad un certo punto però si è spostata l’attenzione dalla forza della scuola, della sua didattica, della sua resilienza, della sua capacità innovativa alla debolezza delle aule troppo piccole, degli organici non sufficienti, dei soldi da spendere non per la didattica, ma per mascherine e prodotti igienizzanti. E mentre si perde tempo dietro alla speranza di far funzionare spazi sbagliati e costruiti in altri tempi e per un’altra scuola ci si fa sfuggire la potenzialità del MES e l’importanza che la scuola stia con le sue competenze nel Recovery Fund (tutto questo lo si può leggere nel mio contributo apparso anche su Gessetti colorati col titolo Una scuola per l’Europa).
Il discorso che qui ho solo abbozzato è stato già condotto con grande maestria da Aluisi Tosolini nel contributo apparso su Gessetti colorati dal titolo Onlife school. Non mi soffermo dunque oltre e rimando al citato intervento. Continua a leggere

Ci sono tante idee di scuola

di Raimondo Giunta

  • In giro ci sono tante idee di scuola, ognuna delle quali ha il proprio seguito di fedeli.
    C’è quella che hanno gli insegnanti, che grosso modo ricalca l’esperienza che hanno fatto anche da studenti, ma debitamente integrata con le correzioni che la diversità dei tempi reclama.
    Un’idea che finisce in genere per esaltare la scuola che “forma” e ”dà cultura”; una scuola che trova compimento nell’Università e che procura un’occupazione stabile e decorosa.
  • C’è quella di cui sono convinte tantissime famiglie; a loro interessa una scuola breve, senza tante pretese culturali, disciplinata al punto giusto anche per sovvenire alle loro difficoltà educative, tutta proiettata sulle opportunità di lavoro. Sono le famiglie che non si possono permettere lunghi percorsi di studio per i propri figli e che a volte vedono di malocchio il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 15 anni. Ma il mondo è vario e ricco di sorprese, perchè ci sono anche quelli che vogliono una scuola lunga, distintiva, distanziante e censitaria nella popolazione che la deve frequentare e nel curriculum; è gente che non ha problemi per l’avvenire dei propri pargoli e dalla posizione sociale inattaccabile da qualsiasi crisi economica.
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