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Ma il piano estate c’entra poco con il sistema formativo allargato

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Stefaneldi Enrico Bottero

Il Piano scuola per l’estate 2021 è un documento interessante perché prende finalmente atto che, dopo più di un anno di confinamento i nostri ragazzi non hanno solo (e tanto) bisogno di un tradizionale recupero didattico (soprattutto se realizzato con i soliti metodi trasmissivi) ma di luoghi di relazione di esperienze di vita sociale.
Il Piano, seguendo la normativa precedente propone “patti di comunità” tra scuola, Enti Locali, enti pubblici e privati (e assegna fondi cospicui). Assisteremo alla riedizione del sistema formativo integrato (o allargato, secondo la dizione di De Bartolomeis in Fare scuola fuori della scuola, Aracne, 2018, ) quello che abbiamo vissuto tra gli anni 70 e 80? C’è da dubitarne.
Tra allora e oggi abbiamo assistito a un’importante modifica strutturale del nostro sistema. Con il principio di sussidiarietà (formulato per la prima volta da Papa Leone XIII nel 1891 contro lo Stato laico e liberale) è stata attribuita di fatto funzione pubblica ad enti privati. Nello stesso tempo con le leggi degli anni 90 negli Enti Locali è stata introdotta una logica aziendale di tipo privatistico.
Come già notava allora De Bartolomeis “l’allargamento conquista scarso spazio senza il contributo decisivo dell’Ente Locale”.
Oggi purtroppo, in nome dell’efficienza (sic!), la logica privatistica ha invaso lo spazio sociale, anche le Istituzioni. In queste condizioni, come osserva Christian Raimo in un recente articolo pubblicato su Internazionale, è logico porsi la domanda: accordi tra scuola e terzo settore (un terzo settore falcidiato dalla crisi e affamato di contratti) saranno in grado di costruire progetti pedagogicamente fondati e motivati da un reale interesse collettivo? Chi farà la regia di tutto questo ora che Stato ed Enti Locali hanno ormai quasi del tutto dismesso i loro servizi diretti (quasi spariti gli insegnanti comunali di allora, servizi educativi assegnati a cooperative e privati, ecc.) in nome della sussidiarietà? Bastano la buona volontà e i soldi se non ci sono le condizioni strutturali? Spero di sì, naturalmente, ma un’analisi spassionata non permettere di essere molto ottimisti.

Sorridere, voce del verbo insegnare

di Mario Maviglia e Laura Bertocchi

Sorridere per vivere meglio (M.Maviglia)

Nel 1972 Patch Adams, un anomalo e anticonformista medico statunitense, fonda in Virgina il Gesundheit! Institute (Salute, in tedesco). La ricetta di Adams è apparentemente semplice: la salute si fonda sulla felicità ed è possibile intraprendere un percorso di cura e terapia se vi è un approccio con l’altro basato sull’umorismo, la vicinanza emotiva. All’ingresso dell’ospedale da lui fondato ha fatto mettere una frase famosa: “Per noi guarire non è solo prescrivere medicine e terapie ma lavorare insieme condividendo tutto in uno spirito di gioia e cooperazione. La salute si basa sulla felicità – dall’abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione nel lavoro e l’estasi nella natura delle arti”.[1]

L’intuizione di Patch Adams non è la trovata di un medico bizzarro o alternativo; in realtà vi sono prove scientifiche che evidenziano il valore terapeutico del riso. È noto infatti che il riso fa aumentare la secrezione di sostanze come l’adrenalina e la noradrenalina e le endorfine che provocano diminuzione del dolore e della tensione. Ma vi sono altri effetti collegati al riso:

Muscolatura: quando si ride parte la muscolatura … si rilassa e innesca una ginnastica addominale che migliora le funzioni del fegato e dell’intestino (ridere equivale a un buon jogging fatto rimanendo fermi). Solo col riso muoviamo alcuni muscoli del corpo e soprattutto del viso. Quando il cervello invia il messaggio “ridi”, ben quindici muscoli del viso vengono attivati dal segnale …  La risata si riflette dall’espressione facciale ai muscoli del torace e dell’addome (le spalle e il torace si sollevano aritmicamente) sino agli sfinteri. Non a caso dopo una risata a crepapelle si sentono i muscoli della pancia doloranti, come pure le costole.

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Giancarlo Cerini: decine di testimonianze, la nostra raccolta

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La morte di Giancarlo Cerini ha lasciato attoniti non solo chi lo aveva conosciuto personalmente o chi aveva collaborato direttamente con lui, ma l’intero mondo della scuola.
Non si contano i post e i commenti che in queste ore sono stati pubblicati nei social.
In questo documento, curato da Daniele Scarampi, abbiamo raccolto le testimonianze che siamo riusciti a raccogliere in rete.
Chiunque voglia aggiungere la propria può inviarla a info@gessetticolorati.it

Segnaliamo anche tre testimonianze di Marco Campione, Paolo Fasce e Mauro Piras pubblicate nel sito del Gruppo Condorcet

Riportiamo qui il ricordo dei suoi colleghi ispettori dell’Emilia Romagna Claudio Bergianti, Gabriele Boselli, Anna Bravi, Chiara Brescianini, Paolo Davoli, Raffaele Iosa, Agostina Melucci, Maurizia Migliori, Anna Morrone, Francesco Orlando.

Un grande uomo di scuola: Giancarlo Cerini

Avvertiamo il bisogno, in questo giorno della nostra esistenza che induce a riflettere sulla grandezza e la fragilità della condizione umana, di ricordare pensando al magistero di Giancarlo Cerini il senso della funzione ispettiva. Il modo in cui il nostro collega ha sentito e interpretato tale funzione rimanda al significato più profondo del termine, ossia un guardare che sa vedere, un essere-per-altro e per-gli-altri. Ciò ha costituito un in-segnamento, un insegnamento vissuto nella piena consapevolezza e testimonianza dell’essenza dell’educare e dell’educare a scuola, come luogo di sviluppo delle potenzialità di ogni soggetto -soprattutto di chi fa più fatica- e di emancipazione sociale per un’autentica scuola “di tutti e di ciascuno”.

Con Giancarlo la funzione ispettiva viene ulteriormente ad assumere i nobili tratti dell’impegno pedagogico, civile e politico. Possiamo ben testimoniarlo, noi che per anni abbiamo avuto la fortuna di averlo come collega e in seguito Coordinatore del corpo ispettivo dell’Emilia-Romagna.

Vorremmo che persone siffatte potessero continuare per sempre nella loro missione. Non sarà interrotta la lettura dei Suoi lavori. Permarrà certo il ricordo delle parole appassionate, dei significativi interventi, delle numerose iniziative, della saggezza e della passione di questo grande uomo di scuola. Ognuno di noi ha un tempo assegnato; conta come riusciamo a viverlo e come sentiamo la nostra appartenenza alla comunità umana. La morte fisica ci ricorda che non duriamo sempre, ma pure che i nostri pensieri e il nostro agire non terminano con la scomparsa dal visibile. Morire non significa fuoriuscire dall’essere. Coloro che -come Giancarlo o Annamaria Benini- hanno avuto qualcosa da dire ne partecipano prima e dopo la loro vita materiale.
Ricorderemo la Sua lezione nel ripensare la funzione del corpo ispettivo cui Giancarlo ha contribuito con numerosi scritti e con la testimonianza di professione e di vita.

Patti territoriali per la formazione: dalle parole ai fatti

Stefaneldi Raffaele Iosa e  Massimo Nutini

Un commento pedagogico e alcune indicazioni operative sull’ampliamento dell’offerta formativa possibile, per la prossima estate, con i 150 milioni di euro previsti dal “Decreto legge Sostegni”

 

 

Dunque, dal Decreto Sostegni del governo Draghi arrivano 150 milioni direttamente alle scuole come primo segno di carattere squisitamente sociale ed educativo per i nostri bambini e ragazzi che da febbraio 2020 ad oggi hanno patito gli effetti sconvolgenti della pandemia da Covid nell’esperienza scolastica, nella vita sociale, nella dimensione esistenziale di crescita.
Tali risorse si aggiungono ad una cifra di circa 175 milioni destinabile alla stessa finalità nell’ambito del Programma operativo nazionale PON “Per la Scuola” 2014-2020.

Una novità assoluta che deve essere ben compresa e attuata

E’ una novità che rischia di non essere capita in tutta la sua potenzialità da molte scuole ed enti locali e forse anche fraintesa. Non siamo più infatti nel periodo delle passioni generose della primavera del 2020, ma in quello (con la seconda e terza pandemia) delle passioni tristi di questo anno scolastico, in cui il clima sociale ed educativo si è complicato e raffreddato anche con la nuova grande chiusura di tutte le scuole delle zone rosse, di cui oggi non è nota la fine, anche se il Governo garantisce che le scuole saranno (auguriamocelo) le prime ad essere riaperte.

Eppure questa novità arriva giusto al momento in cui emerge, giorno dopo giorno, la drammatica emergenza sociale ed educativa fatta pagare ai nostri bambini e ragazzi con ferite non solo curricolari ma anche e forse soprattutto sociali, emotive, esistenziali, proattive.
Tutti aspetti che hanno (eccome) a che fare con l’educazione e con la scuola nel suo offrire quotidianamente, e insieme, istruzione e formazione.

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La pandemia pedagogica

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di Raffaele Iosa

In questi ultimi tre giorni ho ricevuto molte telefonate e mail da dirigenti scolastici, insegnanti e genitori su cosa (di brutto) sta accadendo in molte classi a seguito del “ritorno a casa” di molti bambini e ragazzi del primo ciclo per via delle zone neo-rosse e la diffusione della “variante inglese”.
In un clima d’ansia collettiva e di forte incertezza, assisto ad una “frenesia curricolare” nelle Dad in corso ben diversa dall’epoca di primavera 2020 che ho chiamato della “didattica della vicinanza” con una generosa azione dei docenti più legata alla relazione educativa che al completare il “programma”. Oggi invece mi raccontano di una specie di una “pandemia pedagogica” di iper curricularismo online di dubbio valore.
Per esempio in una 2ª primaria a tempo pieno 8 ore di lezione online tendenzialmente frontale, con 15 minuti di pausa tra un’ora e l’altra. Sconcertante.

Provo in breve a spiegarmi il perchè di tutto questo.

1. Un’insufficiente fase di riflessione pedagogica sugli eventi scolastici febbraio-giugno 2020 ha prodotto una ripresa delle lezioni a settembre con l’ansia del “recupero del programma” e l’ansia della sicurezza limitante. Da qui in forte aumento di lezioni frontali e di compiti per casa, favoriti anche dal fatto che le regole sanitarie strette in classe riducevano di molto la flessibilità didattica e la progettualità (es. progetti interdisciplinari, uscite, ecc…). Ci vedo perfino una buona fede nei docenti, anche perché i “messaggi” sul recupero o l’allungamento dei giorni di scuola pareva implicitamente criticare gli insegnanti. Si è quindi fatto troppo di jn curricolo tornato duro e lineare.

2. Questa pandemia pedagogica sembra continuare anche adesso in questa seconda peste che inizia questa settimana ma rischia di durare a lungo. Quindi molte ore di Dad, lezioni frontali online, relazione educativa addio. Con effetti depressivi per tutti, anche dei genitori. È evidente che questa seconda primavera di Covid è più dura e pessimista della precedente, ma proprio per questo merita riflettere e rallentare, flessibilizzare e addolcire questa pandemia dell’online direttivo.

3. Lo stato d’animo, lo stress, le depressioni e le tristezze nei nostri bambini e ragazzi sono in aumento. Servirebbe anche nell’online una vicinanza dialogante e rassicurante senza l’ansia nevrotica dei programmi.
Per questo il mio messaggio è di riflettere bene su una fase più drammatica della precedente. Più relazione educativa attivistica, più I CARE donmilaniano che tabelline, capitoli di storia, compiti per casa.

Per una pedagogia dell’autonomia. Oltre i compiti, un’altra scuola è necessaria

di Giancarlo Cavinato

La situazione della sospensione della scuola nel periodo del lockdown  se da un lato ha visto molti insegnanti impegnati alla ricerca di pratiche possibili a ‘bassa intensità tecnologica’ per promuovere esperienza, gioco mentale, mantenere forme di interazione e ascolto (cfr. il blog senzascuolawordpress.com) , dall’altro ha visto piovere nelle case già sovraccariche di problematiche schede ed esercizi (giungendo perfino  alla ‘raffinata perfidia’ di alcune situazioni in cui sono stati chiesti a insegnanti di inviare i compiti per la settimana pasquale) a seguito di lezioni trasmissive. Coniugazioni di verbi, studio di regioni, frazioni ed equivalenze… tutta una tradizione mnemonica si è riversata su alunni su cui per di più gravava il ‘sospetto’ della soluzione da parte degli adulti. E agli insegnanti l’ingiunzione di una valutazione sommativa standard applicata a una situazione del tutto nuova. Eppure proprio alcune proposte circolate (fare della casa, del nucleo familiare, dello spazio circostante luogo e sede di attività e di ricerche) andavano proprio nella direzione che Freinet ha così chiaramente delineato.

La pedagogia Freinet è una pedagogia dell’emancipazione e in quanto tale prevede precisi dispositivi che evitino assuefazione, saturazione, meccanicismo e, soprattutto, un aumento delle differenziazioni fra alunni e il conformismo (i ‘diligenti’ che svolgono regolarmente i compiti assegnati e i ‘negligenti’ che non stanno al passo). E’ emblematico l’esempio nel film ‘L’école buissonnière’ di Jean-Paul Le Chanois (1949) dell’alunno che non ricorda la data della battaglia di Azincourt ma dimostra un elevato grado di consapevolezza e di conoscenza della lunga marcia per la conquista dei diritti umani,

Freinet cercava di sviluppare nei ragazzi l’autonomia e l’autoorganizzazione attraverso le tecniche  con lo scopo che  il gruppo, attraverso un’organizzazione della classe  cooperativa, sia impegnato  in attività significative, in ricerche intorno a temi di  interesse, in laboratori. Quindi nemmeno a scuola è produttivo assegnare compiti, evitando il triangolo banale “spiegazione/studio – compito/interrogazione –  valutazione”.

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C come cooperazione

di Giancarlo Cavinato

Cooperazione è l’opposto di individualismo, egoismo, sopraffazione, depredazione delle risorse comuni, guerra. Pratiche, queste ultime, che si sviluppano in tempi rapidi, non  richiedono particolare preparazione e riflessione. La cooperazione, al contrario, non si improvvisa in base ad impulsi. Richiede pazienza, tempo di attesa, ascolto, dispositivi da mettere in funzione con cura e costruzione lenta. Così si istituisce una classe cooperativa come ambiente di vita in Freinet.

Educare alla cooperazione è necessario per ritrovare interesse ai valori collettivi e dare senso alla vita, per immaginare e costruire mondi migliori.

Nel mondo attuale segnato da pesanti disuguaglianze e individualismi distruttivi educare alla cooperazione  è necessario per costruire equilibrio sociale, per combattere l’iniquità e l’ingiustizia, perché siano  riconosciuti  i diritti fondamentali a tutti gli esseri viventi e ognuno/a si assuma la responsabilità della  loro realizzazione.

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