Gramsci, Valditara e le “qualità taumaturgiche del Latino”

di Luigi Saragnese

Come un fiume carsico, che scorre nascosto nel sottosuolo, dove manifesta solo effetti indiretti, per poi emergere apertamente in superficie a intervalli più o meno regolari, la questione dell’insegnamento del latino, e della sua affermata “centralità” formativa, riemerge periodicamente nei dibattiti sullo stato della scuola italiana.

È quanto accaduto anche stavolta con l’intervista del ministro Valditara a Il Giornale del 15 gennaio[1]. Nell’annunciare le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo – assieme ad “innovazioni” quali la “comprensione della civiltà musicale sin dalla prima elementare”, l’”insegnamento della letteratura (comprensiva della Bibbia) e della grammatica”(dalla quale ha inizio – precisa il ministro – la cultura della regola), e della Storia “come una grande narrazione”, priva di “sovrastrutture ideologiche” che privilegi “la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”, Valditara ha posto l’accento su quella che si appresta ad essere uno degli assi portanti del suo progetto: l’apertura all’eredità di “un vasto patrimonio di civiltà e tradizioni” attraverso la reintroduzione del Latino a partire dal secondo anno della scuola secondaria di primo grado. Continua a leggere

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E’ possibile razionalizzare l’attività didattica?

di Raimondo Giunta

A partire dagli anni ‘70 la programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (..e non solo) del mondo aziendale, per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Scelta fatta con il consenso di parte dell’apparato ministeriale, di parte del sindacato, del mondo accademico e di non poche associazioni professionali per una svolta irreversibile verso la modernità.
Si coltivava (e si continua a coltivare) l’ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l’attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni.
Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio non è la fretta e nemmeno l’abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perchè il processo di formazione è diverso da quelli messi in atto in qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta. Continua a leggere

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Verso le nuove indicazioni nazionali Valditara

di Aluisi Tosolini

Prime suggestioni e riflessione sul metodo

L’intervista del Giornale del 15 gennaio 2025 al Ministro Valditara sulle nuove indicazioni nazionali ha generato molto scalpore e molto “dibattito” (e me, personalmente, il morettiano “No! Il dibattito no!!!” del 1976)

Quelle che seguono sono noterelle a margine, e come tali provvisorie e forse persino illusorie, unite ad una riflessione sul metodo.

Indicazioni nazionali o ritorno ai Programmi?

Nella scuola italiana le “indicazioni nazionali” da decenni hanno sostituto i programmi ministeriali (ovvero il preciso elenco degli argomenti da svolgere nel corso delle attività didattiche). Ciò trova il suo punto di avvio nella riforma dell’autonomia scolastica ( DPR 275/1999 e in particolare nell’art. 8 – definizione dei curricoli – e nell’art. 4 – Autonomia organizzativa).
Il dpr 275/99 – che è ancora legge dello stato – ricorda – al citato art. 8 – quali sono i compiti del ministero nella elaborazione delle “indicazioni nazionali”.
Rileggiamo con attenzione Continua a leggere

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APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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ASCOLTO

di Alessandra Anzini

“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Questo scriveva Picasso quando capì che recuperare quella purezza segnica avrebbe significato riattivare ascolto libero, autentico e permeabile al mondo circostante, che gli avrebbe scatenato quella creatività senza limiti, a cui ogni essere umano è votato.

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Ma se io docente agisco col gruppo classe, quindi con il mio mondo quotidiano, solo per farmi ascoltare e non per Ascoltare, come posso pensare di risultare attraente all’alunno e permeabile a tutto quello che può offrire? Potremmo recuperare anche noi, come Picasso, la nostra dimensione più autentica, quella prescolare dove non c’era auto giudizio e pregiudizio e si agiva per il puro piacere di scoprire? Potremmo provare a spogliarci delle nostre paure, dei condizionamenti sociali e culturali? Vestire così quell’habitus che ci permetterà di recuperare la nostra capacità di Ascolto, rendendo la nostra quotidianità scolastica fertile perchè pronta ad Accogliere TUTTE le sollecitazioni dei nostri alunni? Alunni che smetteranno così di essere spettatori annoiati o inquieti ed entreranno finalmente nei nostri mondi di cui diventeranno attori, sceneggiatori e compagni di viaggio? Continua a leggere

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Scuola e società: come possono dialogare?

di Raimondo Giunta

La natura del problema

La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono.
Va da sè che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere.
Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.

La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere nè porte, nè finestre chiuse.
Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori.
Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili. Continua a leggere

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Parlare ai giovani con autorità

di Raimondo Giunta Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni familiari e nelle relazioni sociali. Ogni tempo ne ha dato una particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente richiamato in vita. C’ è stato un cammino secolare verso l’autonomia personale di giudizio e di azione che non può essere interrotto, nè messo in discussione. L’autorità nei nuclei familiari, nelle istituzioni e a scuola, oggi, deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche confutabile. Anche se a volte sembra che oggi il problema non siano gli abusi nell’esercizio dell’autorità, ma l’autorità in quanto tale. Per parlare a scuola con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere. Le fondamenta dell’autorità sono l’esperienza, la competenza, l’apprezzamento dell’impegno per il bene comune, la sollecitudine, l’attenzione, la disponibilità, la persuasione e l’ascolto. Continua a leggere

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Sette regole per una fondare una "educazione buona"

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

1) La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere.
Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).

2) “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B.Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento.
Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale. Continua a leggere

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Morta Adele Corradi, aveva collaborato con Don Lorenzo Milani

di Sergio Tanzarella Morta Adele Corradi. Con lei scompare l’ultima testimone che da adulta collaborò con Milani. Non posso dimenticare che furono lei e Pecorini a chiedermi a Volterra di fare la raccolta degli scritti di Milani. Una richiesta che mi prese di sorpresa. “Prima che noi moriamo” mi dissero. Adele mi ha accolto a casa sua per diverse volte con lunghe e avvincenti conversazioni notturne, ma a cena si andava dalla sorella perché lei diceva di non saper cucinare (ma non era vero). La prima volta che rimasi a dormire da lei mi disse “non preoccuparti di fare chiasso al mattino presto io sono sorda e non sento niente!”. Serate bellissime all’insegna dell’ironia e della saggezza. Mi diede in lettura preventiva, nello stile di Milani, il suo futuro libro perché le dessi un parere. Uno libri più belli su di lui e tanto originale perché scritto da una adulta che ha vissuto a Barbiana e perché scritto da una donna intelligente e acuta. Si percepiva parlandole quanto Milani la avesse avesse aiutata a capire il mondo e come lei non lo avesse collocato in una teca ma avesse sviluppato le idee di Milani con autonomia e nella sostanza. Una donna eccezionale, averla conosciuta è stato un dono per me. Intervista ad Adele Corradi curata da Pamela Giorgi, prima ricercatrice Indire ]]>

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Come cavalli all’abbeveratoio

di Giovanni Fioravanti “C’è chi insegna/ guidando gli altri come cavalli/ passo per passo”. Sono i versi con cui si apre la poesia di Danilo Dolci: Ciascuno cresce solo se sognato. Mi sono ritrovato spesso a riflettere sul loro significato e ho incontrato un analogo riferimento negli scritti di Helen Parkhurst, quando osserva che insegnare è la stessa cosa che portare un cavallo all’abbeveratoio, non si può costringere il discente ad apprendere più di quanto lo stalliere possa costringere il cavallo a bere. Ecco, la nostra scuola non sogna i suoi ragazzi e le sue ragazze, ma li conduce all’abbeveratoio del sapere. Non si pone dal punto di vista di ciascuno di loro, non si interroga sulla complessità della vita umana, sul futuro di quel ragazzo o di quella ragazza, sul suo destino di donna e di uomo, della sorpresa che potranno essere una volta cresciuti. Chi oserebbe pretendere che si possano educare i ragazzi senza conoscerli, scriveva Roger Dottrens. Non so se coloro che sostengono la centralità della cattedra e dell’ora di lezione si siano mai posti dal punto di vista dei giovani che hanno di fronte, delle potenzialità che nascondono e riservano. Lo studente come oggetto del loro lavoro, come terminale della loro voce. Se si siano qualche volta posti il problema di pretendere di avere una parte veramente eccessiva nell’attività mentale degli alunni. Se accade che la mente di un insegnante sia sfiorata dall’idea che quella ragazza o quel ragazzo che gli stanno di fronte, di cui se mai disapprova le qualità, possa essere allo stato latente, la crisalide d’una donna o di un uomo che oltrepassa di molto le sue capacità mentali. Continua a leggere

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Una certa idea di scuola dell’infanzia

di Imma Lascialfari

Da insegnante di scuola dell’infanzia, con ormai molti anni di servizio macinati sul mio cammino di maestra convinta, appassionata e impegnata, mi sembra che nel tempo questa scuola abbia preso direzioni non del tutto positive. Da troppo tempo continuo ad assistere quasi impotente allo svilimento di questa scuola, dei suoi valori, nella quotidianità, nel fare pratico, a discapito inaccettabile dei bambini e del loro diritto ad una crescita più rispettosa di quella che vedo. Da anni. Questa istituzione così importante, così complessa, così cruciale, nel tempo sostanzialmente non ce l’ha fatta, tolte alcune sporadiche realtà virtuose; non è riuscita completamente ad elevarsi, a perseguire, a concretizzare, a realizzare, l’idea di bambino, l’idea di educazione esplicitata nei vari documenti che si sono succeduti. A partire dai  Nuovi Orientamenti del ’91, svolta epocale, alle Indicazioni Nazionali del 2012 con la loro revisione del 2018, fino ai contributi più recenti delle Linee pedagogiche del sistema integrato 0-6. Lettera morta. Molti insegnanti non ne conoscono neanche i contenuti. O li hanno dimenticati. Le nuove generazioni di laureati non sembrano averli interiorizzati. Fatte salve ovviamente quelle realtà, troppo poche, dove invece questo non accade.

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