Archivi categoria: PEDAGOGIA

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La luna e il dito (lettera aperta ai ministri Bianchi e Messa)

di Cinzia Mion

Recentemente è scoppiata una grande polemica a proposito di dati divulgati da “Save the children” intorno alla percentuale dei ragazzini che alle prove Invalsi, e non solo, risulta non siano in grado di comprendere il senso di quello che leggono.
Sembra si tratti di una notizia falsa, gonfiata nei numeri. La polemica all’inizio è divampata su queste presunte fake news.
Poi, più giustamente, si è sviluppata intorno alle conseguenze che potrebbero avere queste notizie se rapportate alla interpretazione conseguente: se da tempo la scuola pubblica non riesce a colmare queste lacune che, ai fini del raggiungimento del senso completo di “cittadinanza” sono basilari, allora bisogna sostenerla dall’esterno…
Se la causa è la cosiddetta “povertà educativa” ecco pronto a farsi avanti il terzo settore, visto che ci sono in vista degli stanziamenti considerevoli del PNRR . La vecchia volpe di Andreotti diceva “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca…!”

Un ottimo pezzo di Missaglia nel sito di Proteo illumina questa possibile deriva insistendo giustamente sul fatto che non si tratta di “povertà educativa” ma si tratta di necessario ed impellente cambiamento della scuola ma non “aggiungendo” qualcosa dall’esterno bensì “costruendo ponti e alleanze virtuose con chi è interessato davvero al cambiamento della scuola e soprattutto modificando in profondità l’assetto, il funzionamento, l’organizzazione e i contenuti della didattica”
Allora io aggiungo: carissimo Dario Missaglia , carissimi Ministri dell’Istruzione Bianchi e dell’Università e della Ricerca M.C. Messa, cominciamo dalla base. A me hanno insegnato che se qualcosa non va, il percorso va rivisto dall’inizio.

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Cultura umanistica, materie umanistiche, digitale

di Stefano Stefanel

Prendiamo una grande squadra di calcio: ad esempio il Milan che ha vinto lo scudetto. Facciamo finta che, dopo il primo tempo, la squadra sia sotto di due gol per errori palesi della difesa. A quel punto l’allenatore pensa: “dato che i difensori hanno sbagliato devo mettere in difesa i più forti che ho” e così sposta due attaccanti (diciamo Giroud e Ibrahimovic) al centro della difesa. A occhio e croce dovrebbe finire sette a zero per gli avversari.  Ognuno deve giocare nel suo ruolo: se sei attaccante attacchi, se sei difensore difendi.

Mi è venuto in mente questo piccolo paragone dell’assurdo pensando alle modalità con cui la cultura umanistica e le materie umanistiche affrontano la questione del digitale a scuola. Il digitale è una “tigre” e, come tutte le tigri, è molto indifferente alle sue vittime. Sta nella sua natura essere interessato a sé stesso, avendo una statura, un peso e una capacità aggressiva che difficilmente si possono mitigare. Davanti ad una tigre abbiamo grosso modo due strade: la prima è cercare di addomesticarla, di non farla arrabbiare, di non impaurirla; la seconda di cavalcarla. Poi qualcuno tenta la fuga, ma la tigre è più veloce e la fuga, di solito, non riesce. La cultura umanistica e le materie umanistiche non sembra intendano “addomesticare” o “addestrare” il digitale, ma lo hanno semplicemente cavalcato, quando era necessario, ed ora non sanno come scendere dalla tigre digitale, perché gli è venuta fame e in groppa ad una tigre non si mangia.
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La rivoluzione pedagogica di Andrea Canevaro

di Maria Teresa Roda

La passione per gli alberi genealogici è sempre stata di casa nel Movimento di Cooperazione educativa: Mai abbandonare le radici, rafforzare il tronco, lasciare che i rami si espandano. A volte usavamo anche l’immagine rovesciata per rappresentare l’albero a testa in giù come lo aveva ipotizzato Platone o come lo si era pensato nel Medio Evo, le radici che tendono al cielo.
Gli anni ’50, per la scuola, per il pensiero pedagogico, per la crescita socio-economica hanno rappresentato il lento ma tenace lavoro delle radici.
L’energia e gli umori nutritizi venivano anzitutto dalla volontà di voltar pagina. La guerra agita fatta di morti confuse seminate da nemici ed alleati, di distruzioni, era comunque finita.
Giovanna Legatti, Giuseppe Tamagnini, Mario Lodi e quel pugno di maestri e maestre innovatori ed innnovatrici, per nulla al mondo avrebbero rinunciato alla domanda su come si poteva cambiare la scuola.
La strada delle tecniche divenne la via che più tardi la Pedagogia Istituzionale avrebbe chiamato “dei materiali mediatori” e della mediazione pedagogica; proprio Andrea Canevaro, saprà come reimpostare paradigmi, concezioni ed assetti del corpo compatto della scuola introducendo i principi lella Pedagogia istituzionale (Vasquesz e Oury).
Gli anni ’60 tolsero il velo al pionierismo, allargarono le sperimentazioni e lo svecchiamento, contribuirono a portare aria fresca dentro alle aule assieme a terrari, erbari, a volte animali ed arnesi disparati. Continua a leggere

Le scuole parallele

di Giovanni Fioravanti

Non c’è niente di più costituzionale dell’istruzione per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, eccetera, eccetera. È l’istruzione, dunque, che può fare la differenza. Eppure, nonostante il ministero dell’istruzione, di istruzione si parla poco nel nostro paese, come se l’istruzione fosse un accidente e su tutto dovesse prevalere l’educazione, che resta termine ambiguo e non identificato.

Lo Stato, invece, una sua idea di istruzione ce l’ha, avendo per dettato costituzionale (art. 117, com.1, lett. n) legislazione esclusiva relativamente alle norme generali dell’istruzione. Questa idea è addirittura prescrittiva ed organicamente sancita dalle Indicazioni Nazionali relative al Primo Ciclo e al Secondo Ciclo dell’Istruzione.

Per fare solo un esempio il nostro Stato ritiene prescrittivo che al termine del primo ciclo di istruzione le nostre ragazze e i nostri ragazzi, in uscita dalla terza media, siano in grado di leggere testi letterari di vario tipo (narrativi, poetici, teatrali), di scrivere correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo) adeguati a situazione, argomento, scopo, destinatario. Di produrre testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori.
Di padroneggiare e applicare in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; di utilizzare le conoscenze metalinguistiche per comprendere con maggior precisione i significati dei testi e per correggere i propri scritti.

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Concetto di identità: cos’è la teoria Gender

di Giuliana Sarteur

 Nella società c’è un gran bisogno di classificare i comportamenti sessuali e ricercare il senso della così detta normalità. Identità sessuale è un concetto recente ed è un concetto in evoluzione in ogni singolo soggetto a seconda dell’età: deve tener conto della psiche e del modello del tempo in cui vive. L’identità sessuale quindi non e un concetto statico, ma evolutivo e dinamico: parte dalla fase pregenitale per giungere alla genitalità, dinamico perché anche quando l’identità è raggiunta non resta mai eguale. E’ infatti soggetta a tutti i cambiamenti del nostro corpo, informazioni che la nostra mente assimila, a tutte le relazioni che si interrompono e si costruiscono nel corso della vita. Il partner è lo specchio per raggiungere una identità sessuale certa.

I pilastri fondamentali per la costruzione dell’identità sono due: la figura dell’accudente ( relazione con la madre ) e il pilastro dell’autonomia, cioè saper fare scelte e saper costruire il proprio essere sessuato. Questi pilastri devono essere molto solidi e se uno dei due è debole l’altro deve sopperire.
La base di partenza è indicata dal corredo cromosomico – XX o XY – l’arrivo è diversificato e non prevedibile e si chiama IDENTITA’.

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La “potenza” della psicologia dell’apprendimento per la professionalità docente

di Cinzia Mion

Più volte ho raccontato che la mia salvezza professionale come docente la devo all’incontro con il Movimento di Cooperazione Educativa al mio secondo anno di ruolo.
Non intendo ora riprendere l’elogio delle tecniche Freinet ma sottolineare il fascino incredibile che ha esercitato su di me l’approccio con la PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO (o dell’educazione che dir si voglia) che sarebbe la riformulazione della vecchia PSICOPEDAGOGIA. Non va confusa con la Psicologia dello sviluppo (chiamata un tempo “psicologia dell’età evolutiva) e nemmeno con la Pedagogia. Sono stata iniziata a questa avvincente avventura cognitiva da Lydia Tornatore. Sulla scia poi ho continuato con la prof.ssa Metelli di Lallo, all’università di Padova, poi con Piero Boscolo che è subentrato dopo di lei , e via via con Clotilde Pontecorvo , Anna Maria Ajello, e il loro gruppo fino al recente Wiggins con la sua intrigante progettazione finalizzata alla COMPRENSIONE PROFONDA E DURATURA.
Naturalmente la strada era stata aperta dal grande Bruner cui mi sono abbeverata fino alla fine delle sue produzioni. Il pensiero che “va oltre l’informazione data (! )” e “le idee strutturali delle discipline”, definite più recentemente come “impianti epistemologico disciplinari”, sono stati i suoi pilastri, insieme alle “motivazioni intrinseche “ verso l’apprendimento, che nessun altro come lui ha saputo rendere più coinvolgenti. Ecco, credo che quelli che altre volte ho definito “brividi mentali” io li abbia provati anche alla lettura di Bruner , dopo aver capito che ciò che da allora mi ha contraddistinto è stata una motivazione fortissima alla CURIOSITA’ EPISTEMICA che, come una febbre benigna e stimolante , non mi ha più lasciato.

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Il corpo va a scuola. Specialisti di educazione motoria alla primaria

di Giovanni Fioravanti

Si fa fatica a frequentare la scuola con il corpo, pare che non si sappia dove metterlo. Prima c’erano i banchi e i compagni di banco, corpo a corpo silenziosi. Poi vennero i tavolini mono posto, ognuno per sé. Comunque in classe il corpo deve stare seduto. Poi c’è l’ora di educazione fisica, oggi motoria, in cui appunto educare il fisico che in sostanza è il  proprio corpo.
Il corpo, tradizionalmente ignorato nelle nostre classi, improvvisamente ha rivendicato la sua presenza, la sua considerazione quando con la didattica a distanza ci si è accorti della sua assenza, come vicinanza necessaria, vale a dire come relazione.

Del resto, il nostro corpo è quella fisicità che ci consente di socializzare, quelli che noi con estensione anglosassone chiamiamo “social” non hanno nulla di sociale, appunto perché mancano della corporeità, della fisicità delle persone. I nostri social sono popolati da ectoplasmi, da entità senza corpi, da spiriti liberi che assumono nickname e le sembianze di un avatar.
I corpi non girano più, non si muovono, seduti a scuola come nelle stanze di casa a compulsare la rete digitale.

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