Archivi categoria: PEDAGOGIA

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Valutare uno studente e misurare un divario non sono la stessa cosa

di Stefano Stefanel

Il dibattito sul merito è subito scivolato sul de-merito. È di questi giorni lo scambio mediatico sull’uso dei voti inferiori al quattro, che ha avuto nel Ministro Valditara uno dei suoi protagonisti. La questione del demerito e dei voti inferiori al quattro rientra in quella passione tutta italiana per la docimologia del negativo che sta letteralmente facendo cadere la questione del merito nella gabbia (non salariale, ma non meno divisiva di quella) del de-merito. I sistemi scolastici più evoluti, come quelli nordici, tendono a diminuire l’esistenza o l’impatto delle valutazioni negative, perché fortemente interessati a quelle positive. Ma anche i sistemi scolastici più selettivi (come quelli dell’estremo oriente asiatico) utilizzano strumenti misurativi per selezionare in ingresso e poi impongono standard di rendimento altissimo, che vedono le valutazioni negative come semplici elementi di blocco al prosieguo degli studi.
Il sistema scolastico italiano invece si definisce inclusivo e ha come suo principale obiettivo la lotta alla dispersione scolastica, per cui non si comprende come la questione della docimologia del negativo venga posta in maniera così sommaria. Mi sfugge, cioè, come sia possibile pensare che uno studente in difficoltà riceva uno sprone a fare meglio da una serie 2 o di 3 dati con l’intento di punire incoraggiando, cioè creando un ossimoro valutativo-punitivo, che dovrebbe fare orrore a chiunque si occupi di pedagogia.

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I figli e gli allievi perfetti che vorremmo

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE


di Monica Barisone

Ci aspettiamo veramente tanto dai nostri ragazzi. Dovrebbero riuscire ad andare nelle scuole che noi non abbiamo frequentato, portare buoni voti col minimo sforzo, saper fare le scelte giuste già da piccolini, frequentare gli amici consoni a status e interessi, amare in modo equilibrato, essere sportivi con esiti eccellenti e almeno un po’ artisti. Si vorrebbe cioè il trionfo della prestazione sulla giocosità, dimenticando quanto quest’ultima sia di sostegno alle funzioni relazionali, sociali, affettive e cognitive (Di Quirico, 2016).

Che fatica per i figli! Che ansia dover a malincuore manifestare i propri limiti! Ai loro giovani occhi, i genitori, sembrano non reggere l’impatto con la realtà, con gli esiti medi o talvolta scarsi, dei nostri figli. Nella loro fragilità, i genitori credono ingiusti quei risultati modesti, incongrui rispetto all’impegno che si sforzano di impiegare nel garantire le condizioni ritenute ottimali per il loro sviluppo.

La preoccupazione dei ragazzi di oggi è quindi proprio quella di deludere tutti gli adulti di riferimento, genitori, insegnanti, allenatori…Le nuove generazioni non si ribellano, non fanno rivoluzioni. Il senso di inadeguatezza è a volte così bruciante da far pensare che l’unica possibilità di sopravvivenza sia il ritiro sociale.

Siccome per noi adulti possedere un lavoro oggi sembra ancora rappresentare l’unica competenza a vivere necessaria, nella manifestazione del valore personale dei nostri ragazzi tendiamo a porre al centro solo il rendimento scolastico e sportivo, unitamente alla loro competenza a socializzare. Timidezza e riservatezza sono bandite e considerate falle di produzione, dimenticando che, se queste caratteristiche umane sono sopravvissute nel tempo, significa che all’occorrenza potrebbero risultare delle risorse, ad esempio per proteggersi dai male intenzionati. Il mito odierno prevede che i nostri cuccioli e adolescenti siano soprattutto performanti ma questo significa anche sviluppare grandi competenze nella gestione dell’ansia. Queste però raramente gliele insegniamo!
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Settanta anni fa moriva Maria Montessori: ma sulle monete troveremo Raffaella Carrà

di Alvaro Belardinelli
(articolo pubblicato per concessione dell’autore e del giornale dell’Unicobas)

Notizia del 6 settembre 2022: a rappresentare l’Italia in Europa e nel mondo, nel 2023 la Zecca dello Stato italiano conierà le monete da due euro con l’effigie di Raffaella Carrà (che RaiNews trionfalmente definisce “regina della TV” e “regina del tuca tuca”).
Brava persona, Raffaella Carrà: nulla da eccepire sulla sua professionalità di ballerina e cantante, nonché presentatrice televisiva e donna intelligente. Tuttavia, con tutto il rispetto per donne come lei, se ripensiamo ai tempi (dal 1990 al 1998) in cui le banconote da £ 1.000 riportavano l’immagine di Maria Montessori, qualche perplessità è inevitabile.
Sotto i ponti del Tevere, del Po e del Piave l’acqua continua a scorrere velocemente malgrado la siccità, e i risultati si vedono nella cultura e nella weltanschauung dello Stivale, i cui orizzonti si fanno sempre più angusti e pedestri.
Su monete e banconote della vecchia lira in centoquarant’anni abbiamo avuto i grandi della nostra Storia: Giuseppe Verdi, Maria Montessori, Camillo Benso conte di Cavour, Cristoforo Colombo, Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Giulio Cesare, Raffaello Sanzio, Michelangelo Buonarroti, Marco Polo, Vincenzo Bellini, Alessandro Volta, Gian Lorenzo Bernini, Caravaggio, Galileo Galilei, Guglielmo Marconi, Antonello da Messina, Tiziano Vecellio, Gian Lorenzo Bernini, Alessandro Manzoni.
Nomi e immagini che fanno l’identità di una nazione, la memoria storica di un popolo. Di un popolo che legga, s’intende, e che conosca il proprio passato. Di un popolo che abbia frequentato con successo la Scuola, e che della Scuola abbia compreso, con gratitudine, l’importanza.

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“Scuola media unica”: sessant’anni portati male

di Giovanni Fioravanti

La scuola media unica ha sessant’anni, la legge istitutiva li ha compiuti il 31 dicembre scorso. Anche la sua gestazione è stata lunga, circa altri sessant’anni prima di vedere la luce. Nel 1905 la Reale Commissione, istituita per volontà dell’allora ministro dell’istruzione Leonardo Bianchi, si era pronunciata a favore della scuola media unica, ma l’opposizione si manifestò subito soprattutto da parte liberale e socialista, tanto che si opposero Salvemini e Galletti, Croce, Gentile e Codignola. Poi come è andata la storia è ormai cosa nota.
Del resto nel dicembre del 1962 a votare contro la legge numero 1859  non furono solo missini e monarchici, ma anche i comunisti, sebbene con motivazioni differenti.

Ma di scuole di “mezzo” non ne abbiamo più, né inferiori né superiori. L’istruzione è ora organizzata per cicli: primo e secondo. Poi le scuole sono primarie e secondarie.

L’articolo 1 della legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 affidava alla scuola media unica il compito di concorrere “a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione” e a favorire “l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”.
Cinquant’anni dopo, nel 2012, le Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo Ciclo, a proposito di finalità da affidare alla scuola, puntano direttamente allo scopo: “La finalità è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base”.

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Didattica del recupero o didattica da recuperare?

di Simonetta Fasoli

Ho letto in questi giorni in articoli dedicati alla scuola nell’ambito del territorio romano, spesso con toni comprensibilmente allarmati, dati e commenti circa l’avvenuto, sensibile incremento di corsi pomeridiani di recupero attivati nelle Scuole primarie. Ricorre il tema delle competenze linguistiche basilari (si parla di “comprensione del testo”) e logico-matematiche in vistosa carenza, per cui si rendono necessari tempi suppletivi (in orari pomeridiani) programmati dalle scuole.
Ferme restando la variabilità dei fatti e la complessità della casistica, che vietano giudizi sommari, penso sia opportuno, e perfino urgente, accompagnare la conoscenza dei dati con qualche considerazione e qualche spunto di riflessione. A partire dal concetto di “recupero” e dalle modalità con cui viene realizzato: spesso, infatti, si confondono i piani. Si devono recuperare i “contenuti” (nel senso più ampio) o non piuttosto gli strumenti di approccio? Nel primo caso, il riferimento sono gli obiettivi fissati; nel secondo sono i percorsi.

Nel primo caso, prevale un criterio quantitativo, per cui è sensato intervenire su un incremento del tempo scolastico. Nel secondo, è analizzata la qualità dell’apprendimento, che suggerisce di rivedere le metodologie del processo di costruzione della conoscenza.
Ma c’è una questione di fondo che, a mio parere, comprende entrambe le ipotesi e che potrei formulare così: più che di una didattica del recupero, parliamo del recupero della didattica!

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Caro Ministro, l’orientamento educativo è altra cosa

di Simonetta Fasoli

Quasi sul finire dell’anno, il ministero dell’Istruzione e del Merito ha emanato un provvedimento che adotta Linee guida concernenti l’orientamento, il D.M. 328 del 22/12/2022.
Si tratta di un testo che si presenta con l’ambizione di assumere un’ottica di sistema, e non solo perché investe i diversi segmenti del sistema di istruzione secondaria di primo e secondo grado, ma anche perché mira ad inserirli in un’unica cornice istituzionale, pur nelle distinzioni dei rispettivi ordinamenti. Il filo conduttore è nell’idea di orientamento che attraversa l’intero percorso delineato, quasi a farne una chiave di volta.
Se questa è, come sembra, l’operazione, è il caso di fare qualche riflessione di approfondimento.
Il testo, in più di un passaggio, parla di “orientamento educativo”: ebbene, partiamo da questa espressione, per sottrarla al rischio di usarla come una formula che da sé basti a dare senso (vorrei dire, “dignità pedagogica”) alle indicazioni date.
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L come Laboratorio

di Giancarlo Cavinato

Cosa caratterizza un laboratorio seguendo la pedagogia Freinet?
Intanto un laboratorio è, per sua definizione, un’attività pratica finalizzata a una produzione e che coinvolge diversi soggetti in un determinato contesto appositamente predisposto e si avvale di materiali, strumenti, tecniche e organizzazione. Il laboratorio è, scriveva Levi[1], una mente collettiva in funzione.

La classe cooperativa fin dai tempi di Freinet è una classe laboratorio. Ma con l’istituzione del tempo pieno, con attività che coinvolgono più classi in  modalità di classi aperte, con la presenza di una pluralità di insegnanti, è l’intera organizzazione scolastica che può essere progettata e realizzata come un insieme di laboratori che affrontano i diversi ambiti dell’esperienza e delle realizzazioni umane: gli aspetti artistici, corporei, materici, scientifici, tecnologici, espressivi e creativi.

Gli alunni possono in tale ‘sistema’ fare esperienza di ciascuno di tali ambiti, capirne la rispondenza a bisogni umani,  ed essere in grado di sviluppare propensioni, affinità e preferenze per qualcuno di tali ambiti così da orientarsi nelle possibili scelte quando dovranno decidere il loro percorso grazie anche alle esperienze che avranno avuto occasione di fare.

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