Si parla molto in questi giorni di fine agosto di due terribili storie di stupri che hanno coinvolto maschi adolescenti verso ragazze coetanee fino al limite di bambine (10 e 12 anni). Ne parla la politica, le televisioni grondano di dibattiti non sempre equilibrati. Ma non c’è occasione (informativa o politica) nella quale oltre alle analisi sui luoghi (in genere “aree a rischio degradate”), oltre lo scandalo di registrare e girare via web gli stupri ottenendo migliaia (pare) di giovanissimi guardoni, oltre a tutto questo viene sempre la domanda e la lamentazione: “E la scuola cosa fa?” Cosa potrebbe fare?”.
Di questo vorrei un po’ riflettere qui, perché (che si voglia o meno) la “domanda di scuola educativa” pare stavolta oggetto condiviso come “luogo utile” a formare diversamente i nostri giovani sui costumi quando questi sono così gravi e sconcertanti.
E sui quali non c’è dubbio che il tema non sia quello banale di una scolastica “educazione sessuale”, ma di una più complessa “educazione all’affettività e alla relazione”, che innerva la vita quotidiana dei nostri bambini e giovani oltre la sessualità in senso stretto. E che, naturalmente, parte dall’educazione familiare (su cui molti sono i guai del presente), ma che poi potrebbe trovare nella scuola un luogo di “comunità” che si auto-educa agendo su valori positivi realizzati non solo a parole (e certo non con le prediche) ma nell’agire quotidiano della vita della scuola. Continua a leggere