APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA – DIVERGENZA

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DIVERGENZA

Pensiero divergente e convergente, dita e palmo della stessa mano.

di Alessandra Anzini

Per introdurre gli studenti al nuovo approccio de IL MIA, dove la classe diventa Gruppo Divergente di Scoperta e i singoli alunni Coppie Divergenti, racconto una storia, assurda ma efficace:
“C’era una volta un bambino che aveva una madre aggressiva e volgare, tanto da convincersi che tutto il mondo fosse così, finchè iniziò ad andare a scuola e a sentir parlare anche di donne e uomini gentili e amorevoli, i cui pensieri riempivano pagine e pagine dei suoi libri. Fu allora che iniziò a pensare che forse il mondo non fosse poi tanto volgare e aggressivo e quando crescendo imparò ad avere pensieri “diversi” , cominciò a “vedere” la madre, a sviluppare un pensiero critico e finalmente a scegliere come avrebbe voluto la propria vita”.

La scuola dell’obbligo, da sempre allergica alle menti più ribelli, nasce con l’Illuminismo e fa del pensiero convergente il modus operandi, perché garante di risultati certi.
Specchio di questo è un sistema scolastico strutturato su testi dove l’unica soluzione corretta è alla fine del paragrafo o del libro che condiziona un approccio riproduttivo e non produttivo. Genera appiattimento, a volte rielaborazioni, ma non creatività.
A riprova di queste considerazioni qualche anno fa viene sperimentata su bambini della materna la capacità di sviluppare il pensiero divergente rispetto alle varie funzioni che può avere un oggetto e fu rilevato che lo possedeva il 98 % del gruppo, ma testati man mano che crescevano rilasciavano percentuali sempre più basse.
Erano andati a scuola.
Chi di noi almeno una volta nella propria storia scolastica non è stato testimone dell’imbarazzo di un docente di fronte ad una provocazione intellettuale non “programmata”? Continua a leggere

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APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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CREATIVITA’

di Alessandra Anzini

Tutti siamo creativi: come dalla notte dei tempi il ragionamento è il prerequisito alla sopravvivenza degli esseri umani sulla terra così lo è la creatività, che l’uomo preistorico sperimentava magistralmente creando dal nulla.
Uno studio del 2010 di Dietrich e Kanso sfata un altro mito dimostrando che le persone più innovative e creative fanno uso di entrambi gli emisferi, infatti l’ipotesi di una lateralizzazione destra della creatività non è stata ancora confermata.

La radice etimologica di creatività è fare e Picasso l’aveva capito bene quando scriveva: “l’ispirazione esiste ma deve trovarti a lavorare”.
Il verbo inventare deriva dal latino invenio che vuol dire trovare e il suo prerequisito è cercare (a tutti una volta nella vita è stato detto chi cerca trova) che a sua volta dipende dal saper osservare.
Se questo percorso è l’attitudine che ci apre le porte alla creatività non coincide forse con quello dell’esploratore, di cui il bambino ne è la più autentica espressione?
Sempre Picasso esprimeva il suo spirito di esploratore quando affermava “Ho sempre fatto cose che non sapevo fare per imparare a farle”.
Le condizioni affinché si incentivi lo sviluppo del pensiero creativo, confermate dallo studioso Mihalyi Csikszentmihalyi (1997) sono: sorprendere e sorprendersi, approfondire e appassionarsi, impegnarsi e cercare sfide, rilassarsi e aggiungo io che il loro minimo comune multiplo è il Piacere.
Concetto confermato da un altro grande genio come Albert Einstein che affermava: “La creatività e l’intelligenza che si diverte”.
E allora chi più di un docente per sviluppare la creatività e quale contesto migliore se non quello di un gruppo classe dove ci si Ascolta senza giudizio attraverso l’osservazione quotidiana di materiale umano sempre diverso e fertile per trovare quindi creare?
Durante la mia esperienza in classe ho sempre tenuto fede ad un patto silente stretto con gli alunni il primo giorno in cui entrai in aula, ventiquattro anni fa, che in seguito sono riuscita ad onorare con la proposta de IL MIA, IL Maieutic Integrated Approach, raccontato nel libro “Se da piccoli ci avessero detto…” e solo perché non mi sono mai arresa nel voler riscattare la delusione della bambina Alessandra nei confronti del proprio percorso scolastico rispetto a quanto scritto finora e rispetto allo stesso Sistema scolastico che ancora oggi tradisce, perchè definito, salvo rarissime eccezioni, da una burocratizzazione delirante, dal dover sempre e comunque battere cassa con i voti e dall’ansia di finire il programma.

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La scuola che vorrei: insegnare a imparare

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone 

In prossimità della chiusura dello scorso anno scolastico, mi sono trovata ad osservare alcune situazioni che mi hanno incuriosito. In alcune classi di scuola primaria registravo un particolare affaticamento da parte di insegnanti che avevano trascorso l’anno fronteggiando nella propria classe, più situazioni concomitanti di ragazzini con difficoltà comportamentali e di apprendimento.
Da un lato emergevano problematiche particolarmente spinose e specifiche (psicopatologie precoci, comorbilità…) che rischiavano di cozzare con la routine dell’insegnamento riconosciuto come standardizzabile; dall’altro avvertivo la sensazione di un diffondersi a macchia d’olio, negli Istituti presso cui lavoro, di queste problematicità, il che sembrava rendere il fenomeno una tendenza in via di consolidamento.
Quella sensazione di fatica sovrabbondante, che stavo condividendo anch’io mi lasciava perplessa, col timore di essere inadempiente o di non aver bene compreso cosa stesse succedendo, qualcosa mi stava sfuggendo. Decisi di affrontare in qualche modo il disagio andando a verificare queste percezioni, misurare, seppure in modo approssimativo, questo eventuale fenomeno, per poterlo discutere poi col corpo docente.
Ad inizio settembre ho iniziato in modo sistematico la mia piccola ricerca che ha, ahimè, confermato i miei timori. Ho scelto di utilizzare motori di ricerca più accessibili e semplici, accogliere fonti altrettanto accessibili ma riconducili a contesti sanitari o assistenziali, perché insegnanti e genitori potessero eventualmente recuperarli e documentarsi anche in modo diretto. La riflessione sui dati ha sortito però anche una nuova prospettiva e ipotesi di lavoro in queste classi sempre più eterogenee.
Partirei da qualche dato emerso.
Effettivamente, le percentuali di alunni che mostrano Bisogni Educativi Speciali, così come le diagnosi di autismo e di plus dotazione, ogni anno risultano in aumento. I bambini con situazioni riconducibili ai BES, nel 2024, sono quantificati intorno al 10-15% del totale, cioè circa tre ragazzini per ogni classe; mentre coloro che risultano in possesso di una certificazione di diversa abilità si attestano intorno al 2-3%. Continua a leggere

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Apprendere ad apprendere, ma per che cosa?

di Raimondo Giunta

La molteplicità delle agenzie formative come anche il ritmo inesauribile di innovazione e di sviluppo delle conoscenze che bisogna possedere per non restare ai margini dell’attuale società ridisegnano i compiti che la scuola deve affrontare.
La complessità del problema è costituita dal fatto che le altre agenzie (media soprattutto) hanno qualcosa che la scuola non sempre possiede: la capacità di seduzione e di coinvolgimento.
A prima vista sembra quasi impossibile vincere la sfida per coltivare nei giovani il desiderio e il piacere di apprendere. Si dice con monotonia sempre più assillante che per inserirsi in una società, segnata dalle continue trasformazioni dei suoi assetti economico-sociali e dalle innovazioni permanenti del patrimonio tecnologico e scientifico, e per essere capaci di dominare l’incertezza che per questi motivi si viene a determinare occorra un considerevole bagaglio di saperi e di competenze e soprattutto che si debba essere capaci di imparare ad apprendere.
Se ne è fatto un principio, uno scopo e anche uno slogan.

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Gianni Milano, quando a Torino nasceva la pedagogia cooperativa

di Gianni Giardiello

Ho conosciuto Gianni Milano, tanti, tantissimi anni fa. nei primi anni ’60, entrambi insegnanti elementari alle prime armi, entrambi frutti un po’ acerbi degli insegnamenti di Francesco De Bartolomeis. Lui più precoce di me di un paio d’anni aveva già ricercato e contattato alcuni esponenti del movimento italiano che faceva riferimento alla pedagogia popolare di Celestin Freinet, il Movimento di Cooperazione Educativa.
Aveva già capito che le idee di quel movimento pedagogico erano assai simili alle sue, al suo modo libertario di intendere il rapporto fra maestro e alunni, a cominciare dalla capacità/ necessità che il maestro si metta al servizio degli apprendimenti di tutti gli alunni a partire da quelli più deboli, alla importanza di costruire un ambiente educativo favorevole alla cooperazione, alla analisi critica degli avvenimenti e al confronto delle idee, proponendo tecniche e strumenti di lavoro in classe capaci di favorire tutto ciò. Ci ritrovammo insieme nel nascente gruppo MCE di Torino con Fiorenzo Alfieri, Daria Ridolfi, Silvana Mosca, e altri.
In quel gruppo Gianni portò subito i suoi interessi per le problematiche dei gruppi umani più indifesi per le questioni del sottosviluppo, dello sfruttamento, delle guerre. Scoprimmo subito di avere un comune interesse per la didattica della storia nella scuola elementare e media, e ci mettemmo insieme a lavorare sui problemi di quegli insegnamenti. Continua a leggere

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Adriano Olivetti e il suo messaggio educativo

di Silvia Sartorio

Quello che proponiamo è il testo dell’intervento che Silvia Sartorio, insegnante di scuola primaria che da tempo studia il pensiero e l’opera di Adriano Olivetti, ha svolto  nella mattinata del 31 gennaio in occasione del Congresso provinciale di Cisl Scuola presso le Officine H a Ivrea.  

Siamo a Ivrea,  nel cuore delle architetture olivettiane, vita pulsante della “Fabbrica” Olivetti, come di consueto la definiva l’ingegner Olivetti (in realtà era un’industria multinazionale con consociate sparse in tutto il mondo).
La mia sarà una introduzione sintetica con brevi cenni al luogo dove oggi ci troviamo riuniti per poi condurvi attraverso alcuni concetti ricorrenti dell’etica olivettiana relativi alla formazione integrale della persona in un’ottica pedagogica e andragogica e di life long learning.

Per necessaria brevità i miei saranno solo cenni, spero significativi, e mi scuso fin da ora con coloro che già conoscono la storia di Adriano e della Olivetti perché radicati sul Territorio, o per esperienze di vita o di lavoro o per studi di interesse.

Partiamo dunque dal luogo in cui oggi si svolge il Congresso.
Siamo ospitati nel Polo Officina, cosiddetta, H, una sede che raccoglie enti formativi e culturali che sono certa Adriano avrebbe apprezzato.
L’officina H è situata nel cuore del distretto di architettura industriale olivettiana che a partire dal 2001, è diventato sede del “Museo a cielo aperto dell’architettura moderna” , MAAM, e fa parte del Quarto Ampliamento progettato dagli architetti Figini e Pollini e rimaneggiato da Eduardo Vittoria che progettò per sopravvenute esigenze di spazio la copertura del cortile interno per ospitare grandi lavorazioni con torni automatici e presse e le linee di montaggio. Continua a leggere

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APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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BURNOUT

di Alessandra Anzini

Burnout in inglese vuol dire ridurre a zero una sostanza attraverso la combustione ed evoca l’immagine di qualcosa che sparisce, perchè brucia.
Già nel 2004 il linguista ed ex Ministro del MIUR Tullio De Mauro, nella prefazione al libro di Vittorio Lodolo D’Oria Scuola di follia, ne scriveva in termini accorati e profetici: “…le pratiche di un ufficio possono pure continuare a essere sbrigate anche se si è colpiti dal burnout, la gente in fila a uno sportello resta interdetta da uno scatto d’ira dell’impiegato, ma infine il lavoro in qualche modo può andare avanti, ma per l’insegnante è completamente diverso. Il rapporto con gli alunni, le famiglie e i colleghi è profondo e positivo, un rapporto personalizzato che si deve affinare e consolidare nel tempo, un rapporto che sollecita risposte positive, su cui si costruisce e senza cui si fallisce, è il principio, il mezzo, il fine dell’insegnare. Il burnout devasta alla radice efficienza ed efficacia del lavoro dell’insegnante e più che altrove fa da base alle patologie psichiatriche”
E dopo una chiara condanna all’assenza delle istituzioni, conclude “ …Il disagio che patiscono gli insegnanti non è un loro fatto privato, tanto meno qualcosa di colpevole. ”

Perché solo ora questa condizione, che sul piano psicologico è uno stato di esaurimento emotivo, mentale e quindi fisico, causato da situazioni frustranti e pressioni esterne, più grandi delle proprie capacità, diventa tanto diffusa da “meritare” l’attenzione dell’Osservatorio sul Benessere dei docenti dell’Università di Milano Bicocca la quale attesta il coinvolgimento del 50% dei docenti? Continua a leggere

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Il diritto all’educazione nel mondo attuale

Il diritto all’educazione nel mondo attuale è un volumetto di un centinaio di pagine scritto da Jean Piaget e pubblicato nel 1951 a cura delle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata da Adriano Olivetti.
Lo proponiamo come contributo alla conoscenza della storia della scuola e dell’educazione.

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La scuola “del futuro” secondo Valditara

di Dario Missaglia

Il documento ufficiale non c’è ma il dibattito è già iniziato, volutamente sollecitato dalle dichiarazioni del Ministro. Giusto ed opportuno intervenire dunque sulle sue dichiarazioni e sui silenzi che non sono meno eloquenti delle parole.
Il Ministro preannuncia le nuove indicazioni per la scuola elementare e media: neppure più scuola primaria né tanto meno scuola di base, come sarebbe necessario per una scuola “ che guardi al futuro”.
Insomma Valditara, quando non costruisce barriere, conserva gelosamente quelle esistenti.
Che questo non venga colto da “associazioni di presidi” che non sanno neppure cosa sia una scuola elementare e cosa siano bambini e bambine dai sei agli undici anni, ci fa capire molte cose.
Un clamoroso silenzio del Ministro riguarda la scuola nella sua struttura materiale.
Il Ministro preannuncia una scuola più ricca di attività e contenuti: più arte, più musica, più attività fisica e sportiva, più storia d’Italia, più grammatica e lingua italiana ed altro ancora. Vedremo (sui contenuti diremo a tempo debito).
Ci preannuncia dunque una scuola a tempo pieno per tutti, dai sei ai 14 anni ?
Perchè o un arricchimento del curricolo si traduce in un tempo più lungo per tutti, un tempo pieno (spazi, laboratori, saperi formali ed informali, attività con il territorio, ecc) con il necessario incremento di organico, oppure stiamo affermando propositi lasciati al vento. Il silenzio su questo punto è determinante: se non ci sarà una scuola di base a tempo pieno, non avremo nessuna scuola del futuro. Continua a leggere

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Gramsci, Valditara e le “qualità taumaturgiche del Latino”

di Luigi Saragnese

Come un fiume carsico, che scorre nascosto nel sottosuolo, dove manifesta solo effetti indiretti, per poi emergere apertamente in superficie a intervalli più o meno regolari, la questione dell’insegnamento del latino, e della sua affermata “centralità” formativa, riemerge periodicamente nei dibattiti sullo stato della scuola italiana.

È quanto accaduto anche stavolta con l’intervista del ministro Valditara a Il Giornale del 15 gennaio[1]. Nell’annunciare le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo – assieme ad “innovazioni” quali la “comprensione della civiltà musicale sin dalla prima elementare”, l’”insegnamento della letteratura (comprensiva della Bibbia) e della grammatica”(dalla quale ha inizio – precisa il ministro – la cultura della regola), e della Storia “come una grande narrazione”, priva di “sovrastrutture ideologiche” che privilegi “la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”, Valditara ha posto l’accento su quella che si appresta ad essere uno degli assi portanti del suo progetto: l’apertura all’eredità di “un vasto patrimonio di civiltà e tradizioni” attraverso la reintroduzione del Latino a partire dal secondo anno della scuola secondaria di primo grado. Continua a leggere

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