APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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BURNOUT

di Alessandra Anzini

Burnout in inglese vuol dire ridurre a zero una sostanza attraverso la combustione ed evoca l’immagine di qualcosa che sparisce, perchè brucia.
Già nel 2004 il linguista ed ex Ministro del MIUR Tullio De Mauro, nella prefazione al libro di Vittorio Lodolo D’Oria Scuola di follia, ne scriveva in termini accorati e profetici: “…le pratiche di un ufficio possono pure continuare a essere sbrigate anche se si è colpiti dal burnout, la gente in fila a uno sportello resta interdetta da uno scatto d’ira dell’impiegato, ma infine il lavoro in qualche modo può andare avanti, ma per l’insegnante è completamente diverso. Il rapporto con gli alunni, le famiglie e i colleghi è profondo e positivo, un rapporto personalizzato che si deve affinare e consolidare nel tempo, un rapporto che sollecita risposte positive, su cui si costruisce e senza cui si fallisce, è il principio, il mezzo, il fine dell’insegnare. Il burnout devasta alla radice efficienza ed efficacia del lavoro dell’insegnante e più che altrove fa da base alle patologie psichiatriche”
E dopo una chiara condanna all’assenza delle istituzioni, conclude “ …Il disagio che patiscono gli insegnanti non è un loro fatto privato, tanto meno qualcosa di colpevole. ”

Perché solo ora questa condizione, che sul piano psicologico è uno stato di esaurimento emotivo, mentale e quindi fisico, causato da situazioni frustranti e pressioni esterne, più grandi delle proprie capacità, diventa tanto diffusa da “meritare” l’attenzione dell’Osservatorio sul Benessere dei docenti dell’Università di Milano Bicocca la quale attesta il coinvolgimento del 50% dei docenti? Continua a leggere

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Il diritto all’educazione nel mondo attuale

Il diritto all’educazione nel mondo attuale è un volumetto di un centinaio di pagine scritto da Jean Piaget e pubblicato nel 1951 a cura delle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata da Adriano Olivetti.
Lo proponiamo come contributo alla conoscenza della storia della scuola e dell’educazione.

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La scuola “del futuro” secondo Valditara

di Dario Missaglia

Il documento ufficiale non c’è ma il dibattito è già iniziato, volutamente sollecitato dalle dichiarazioni del Ministro. Giusto ed opportuno intervenire dunque sulle sue dichiarazioni e sui silenzi che non sono meno eloquenti delle parole.
Il Ministro preannuncia le nuove indicazioni per la scuola elementare e media: neppure più scuola primaria né tanto meno scuola di base, come sarebbe necessario per una scuola “ che guardi al futuro”.
Insomma Valditara, quando non costruisce barriere, conserva gelosamente quelle esistenti.
Che questo non venga colto da “associazioni di presidi” che non sanno neppure cosa sia una scuola elementare e cosa siano bambini e bambine dai sei agli undici anni, ci fa capire molte cose.
Un clamoroso silenzio del Ministro riguarda la scuola nella sua struttura materiale.
Il Ministro preannuncia una scuola più ricca di attività e contenuti: più arte, più musica, più attività fisica e sportiva, più storia d’Italia, più grammatica e lingua italiana ed altro ancora. Vedremo (sui contenuti diremo a tempo debito).
Ci preannuncia dunque una scuola a tempo pieno per tutti, dai sei ai 14 anni ?
Perchè o un arricchimento del curricolo si traduce in un tempo più lungo per tutti, un tempo pieno (spazi, laboratori, saperi formali ed informali, attività con il territorio, ecc) con il necessario incremento di organico, oppure stiamo affermando propositi lasciati al vento. Il silenzio su questo punto è determinante: se non ci sarà una scuola di base a tempo pieno, non avremo nessuna scuola del futuro. Continua a leggere

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Gramsci, Valditara e le “qualità taumaturgiche del Latino”

di Luigi Saragnese

Come un fiume carsico, che scorre nascosto nel sottosuolo, dove manifesta solo effetti indiretti, per poi emergere apertamente in superficie a intervalli più o meno regolari, la questione dell’insegnamento del latino, e della sua affermata “centralità” formativa, riemerge periodicamente nei dibattiti sullo stato della scuola italiana.

È quanto accaduto anche stavolta con l’intervista del ministro Valditara a Il Giornale del 15 gennaio[1]. Nell’annunciare le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo – assieme ad “innovazioni” quali la “comprensione della civiltà musicale sin dalla prima elementare”, l’”insegnamento della letteratura (comprensiva della Bibbia) e della grammatica”(dalla quale ha inizio – precisa il ministro – la cultura della regola), e della Storia “come una grande narrazione”, priva di “sovrastrutture ideologiche” che privilegi “la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente”, Valditara ha posto l’accento su quella che si appresta ad essere uno degli assi portanti del suo progetto: l’apertura all’eredità di “un vasto patrimonio di civiltà e tradizioni” attraverso la reintroduzione del Latino a partire dal secondo anno della scuola secondaria di primo grado. Continua a leggere

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E’ possibile razionalizzare l’attività didattica?

di Raimondo Giunta

A partire dagli anni ‘70 la programmazione didattica ha introdotto nelle relazioni educative il lessico (..e non solo) del mondo aziendale, per sradicare quello di derivazione umanistico-pedagogico, di cui si serviva la quasi totalità del personale insegnante. Scelta fatta con il consenso di parte dell’apparato ministeriale, di parte del sindacato, del mondo accademico e di non poche associazioni professionali per una svolta irreversibile verso la modernità.
Si coltivava (e si continua a coltivare) l’ambizione di replicare a scuola le strategie aziendali di massimizzazione dei risultati anche in presenza e in costanza di scarsità delle risorse disponibili. Le risorse scarse a scuola, oltre a quelle finanziarie come sanno anche le pietre, sono il tempo disponibile e l’attenzione degli alunni, sviata da mille sollecitazioni.
Si dovrebbero fare miracoli sfruttandole al meglio. Ma il meglio non è la fretta e nemmeno l’abbandono di quelli che per diversi motivi non tengono il ritmo e non riescono a farcela.
Solo la tracotanza intellettuale può fare credere che il processo di formazione può essere finalizzato ad ottenere i risultati che si vogliono in un determinato tempo e magari in un solo modo. Formare ed educare giovani, però, è alquanto diverso dal produrre bulloni o pezzi di ricambio, perchè il processo di formazione è diverso da quelli messi in atto in qualsiasi attività aziendale. Appartiene ad un altro pianeta. Continua a leggere

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Verso le nuove indicazioni nazionali Valditara

di Aluisi Tosolini

Prime suggestioni e riflessione sul metodo

L’intervista del Giornale del 15 gennaio 2025 al Ministro Valditara sulle nuove indicazioni nazionali ha generato molto scalpore e molto “dibattito” (e me, personalmente, il morettiano “No! Il dibattito no!!!” del 1976)

Quelle che seguono sono noterelle a margine, e come tali provvisorie e forse persino illusorie, unite ad una riflessione sul metodo.

Indicazioni nazionali o ritorno ai Programmi?

Nella scuola italiana le “indicazioni nazionali” da decenni hanno sostituto i programmi ministeriali (ovvero il preciso elenco degli argomenti da svolgere nel corso delle attività didattiche). Ciò trova il suo punto di avvio nella riforma dell’autonomia scolastica ( DPR 275/1999 e in particolare nell’art. 8 – definizione dei curricoli – e nell’art. 4 – Autonomia organizzativa).
Il dpr 275/99 – che è ancora legge dello stato – ricorda – al citato art. 8 – quali sono i compiti del ministero nella elaborazione delle “indicazioni nazionali”.
Rileggiamo con attenzione Continua a leggere

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APPRENDIMENTO PER VIA EROTICA

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ASCOLTO

di Alessandra Anzini

“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Questo scriveva Picasso quando capì che recuperare quella purezza segnica avrebbe significato riattivare ascolto libero, autentico e permeabile al mondo circostante, che gli avrebbe scatenato quella creatività senza limiti, a cui ogni essere umano è votato.

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Ma se io docente agisco col gruppo classe, quindi con il mio mondo quotidiano, solo per farmi ascoltare e non per Ascoltare, come posso pensare di risultare attraente all’alunno e permeabile a tutto quello che può offrire? Potremmo recuperare anche noi, come Picasso, la nostra dimensione più autentica, quella prescolare dove non c’era auto giudizio e pregiudizio e si agiva per il puro piacere di scoprire? Potremmo provare a spogliarci delle nostre paure, dei condizionamenti sociali e culturali? Vestire così quell’habitus che ci permetterà di recuperare la nostra capacità di Ascolto, rendendo la nostra quotidianità scolastica fertile perchè pronta ad Accogliere TUTTE le sollecitazioni dei nostri alunni? Alunni che smetteranno così di essere spettatori annoiati o inquieti ed entreranno finalmente nei nostri mondi di cui diventeranno attori, sceneggiatori e compagni di viaggio? Continua a leggere

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Scuola e società: come possono dialogare?

di Raimondo Giunta

La natura del problema

La scuola vive dei suoi rapporti con la società; si alimenta delle sue esigenze, si muove sulla spinta dei suoi problemi. Scuola e società reciprocamente si richiamano; si dovrebbero aiutare, ma più spesso negli ultimi tempi confliggono.
Va da sè che per cogliere frutti buoni, però, è necessaria la loro stretta, solidale collaborazione, nella distinzione dei compiti e dei ruoli e nel rispetto delle funzioni professionali, culturali ed educative che in autonomia la scuola deve svolgere.
Se la scuola non entra in sintonia con i problemi della società e con i temi culturali del proprio tempo, prima o poi perde la propria ragione d’essere.

La riflessione su questo nodo cruciale dell’istruzione deve essere permanente e costituirsi come principio di orientamento nell’azione quotidiana a scuola, per evitare il rischio che si avviti e si impoverisca nella sua solitaria autoreferenzialità. La scuola non può tenere nè porte, nè finestre chiuse.
Operazione assurda e inefficace; ci penserebbero gli alunni e le famiglie eventualmente a portare dentro la scuola il mondo che sta fuori.
Il problema è come la scuola debba pensare e vivere le questioni che agitano la società e questo non è di pacifica e concorde soluzione. C’è un modo proprio della scuola per svolgere questo compito e solo rispettandone stile e natura si possono avere risultati utili. Continua a leggere

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Parlare ai giovani con autorità

di Raimondo Giunta Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni familiari e nelle relazioni sociali. Ogni tempo ne ha dato una particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente richiamato in vita. C’ è stato un cammino secolare verso l’autonomia personale di giudizio e di azione che non può essere interrotto, nè messo in discussione. L’autorità nei nuclei familiari, nelle istituzioni e a scuola, oggi, deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche confutabile. Anche se a volte sembra che oggi il problema non siano gli abusi nell’esercizio dell’autorità, ma l’autorità in quanto tale. Per parlare a scuola con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere. Le fondamenta dell’autorità sono l’esperienza, la competenza, l’apprezzamento dell’impegno per il bene comune, la sollecitudine, l’attenzione, la disponibilità, la persuasione e l’ascolto. Continua a leggere

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Sette regole per una fondare una "educazione buona"

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

1) La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere.
Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).

2) “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B.Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento.
Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale. Continua a leggere

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