Archivi categoria: PEDAGOGIA

image_pdfimage_print

Parlare ai giovani con autorità

di Raimondo Giunta

Da tempo sono in palio il principio di autorità e il significato che può e dovrebbe avere nelle relazioni educative, nelle relazioni familiari e nelle relazioni sociali.
Ogni tempo ne ha dato una particolare interpretazione e a noi compete, ogni giorno, tentarne una nuova senza illudersi che quanto sia stato cancellato sul piano intellettuale e sul piano del costume nelle lotte contro molte espressioni del principio di autorità, possa essere nostalgicamente richiamato in vita.
C’ è stato un cammino secolare verso l’autonomia personale di giudizio e di azione che non può essere interrotto, nè messo in discussione.
L’autorità nei nuclei familiari, nelle istituzioni e a scuola, oggi, deve essere ragionevole, consensuale, accettabile, ma anche confutabile.
Anche se a volte sembra che oggi il problema non siano gli abusi nell’esercizio dell’autorità, ma l’autorità in quanto tale.
Per parlare a scuola con autorità ai giovani, oggi, bisogna sapere esercitare attrazione; bisogna avere prestigio; bisogna possedere sapere. Le fondamenta dell’autorità sono l’esperienza, la competenza, l’apprezzamento dell’impegno per il bene comune, la sollecitudine, l’attenzione, la disponibilità, la persuasione e l’ascolto. Continua a leggere

Sette regole per una fondare una “educazione buona”

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Raimondo Giunta

1) La scuola è un luogo strano dove chi sa, fa le domande a chi non sa. Non sarebbe meglio il contrario? L’alunno pone le domande e l’insegnante cerca di rispondere.
Sarebbe la scuola ideale: alunni che hanno desiderio di apprendere e di capire e docenti che sanno e vogliono ascoltare.
Ogni lezione dovrebbe essere una risposta ad una domanda (Dewey).

2) “Il professore insegna a tutti la stessa cosa; il maestro annuncia a ciascuno una verità particolare”(B.Rey): l’insegnamento ex-cathedra conosce l’argomento e spesso misconosce la persona che ascolta e che è tenuta ad ascoltare.
Senza conversazione, senza il faccia a faccia, la contiguità emotiva, il rapporto educativo non decolla, intristisce nel reticolo delle procedure e degli obblighi professionali. L’alunno deve sentire la prossimità umana, la passione, la partecipazione dell’insegnante nel suo faticoso percorso di crescita e di apprendimento.
Una scuola a misura di ciascuno non è possibile, ma nobilita tutto l’impegno per farne un dovere professionale. Continua a leggere

Morta Adele Corradi, aveva collaborato con Don Lorenzo Milani

   Invia l'articolo in formato PDF   

di Sergio Tanzarella

Morta Adele Corradi.
Con lei scompare l’ultima testimone che da adulta collaborò con Milani. Non posso dimenticare che furono lei e Pecorini a chiedermi a Volterra di fare la raccolta degli scritti di Milani.
Una richiesta che mi prese di sorpresa.
“Prima che noi moriamo” mi dissero.
Adele mi ha accolto a casa sua per diverse volte con lunghe e avvincenti conversazioni notturne, ma a cena si andava dalla sorella perché lei diceva di non saper cucinare (ma non era vero).
La prima volta che rimasi a dormire da lei mi disse “non preoccuparti di fare chiasso al mattino presto io sono sorda e non sento niente!”.
Serate bellissime all’insegna dell’ironia e della saggezza. Mi diede in lettura preventiva, nello stile di Milani, il suo futuro libro perché le dessi un parere.
Uno libri più belli su di lui e tanto originale perché scritto da una adulta che ha vissuto a Barbiana e perché scritto da una donna intelligente e acuta.
Si percepiva parlandole quanto Milani la avesse avesse aiutata a capire il mondo e come lei non lo avesse collocato in una teca ma avesse sviluppato le idee di Milani con autonomia e nella sostanza. Una donna eccezionale, averla conosciuta è stato un dono per me.

Intervista ad Adele Corradi curata da Pamela Giorgi, prima ricercatrice Indire

Come cavalli all’abbeveratoio

di Giovanni Fioravanti

“C’è chi insegna/ guidando gli altri come cavalli/ passo per passo”.
Sono i versi con cui si apre la poesia di Danilo Dolci: Ciascuno cresce solo se sognato.
Mi sono ritrovato spesso a riflettere sul loro significato e ho incontrato un analogo riferimento negli scritti di Helen Parkhurst, quando osserva che insegnare è la stessa cosa che portare un cavallo all’abbeveratoio, non si può costringere il discente ad apprendere più di quanto lo stalliere possa costringere il cavallo a bere.
Ecco, la nostra scuola non sogna i suoi ragazzi e le sue ragazze, ma li conduce all’abbeveratoio del sapere. Non si pone dal punto di vista di ciascuno di loro, non si interroga sulla complessità della vita umana, sul futuro di quel ragazzo o di quella ragazza, sul suo destino di donna e di uomo, della sorpresa che potranno essere una volta cresciuti. Chi oserebbe pretendere che si possano educare i ragazzi senza conoscerli, scriveva Roger Dottrens.
Non so se coloro che sostengono la centralità della cattedra e dell’ora di lezione si siano mai posti dal punto di vista dei giovani che hanno di fronte, delle potenzialità che nascondono e riservano.

Lo studente come oggetto del loro lavoro, come terminale della loro voce.
Se si siano qualche volta posti il problema di pretendere di avere una parte veramente eccessiva nell’attività mentale degli alunni. Se accade che la mente di un insegnante sia sfiorata dall’idea che quella ragazza o quel ragazzo che gli stanno di fronte, di cui se mai disapprova le qualità, possa essere allo stato latente, la crisalide d’una donna o di un uomo che oltrepassa di molto le sue capacità mentali.
Continua a leggere

Una certa idea di scuola dell’infanzia

di Imma Lascialfari

Da insegnante di scuola dell’infanzia, con ormai molti anni di servizio macinati sul mio cammino di maestra convinta, appassionata e impegnata, mi sembra che nel tempo questa scuola abbia preso direzioni non del tutto positive. Da troppo tempo continuo ad assistere quasi impotente allo svilimento di questa scuola, dei suoi valori, nella quotidianità, nel fare pratico, a discapito inaccettabile dei bambini e del loro diritto ad una crescita più rispettosa di quella che vedo.
Da anni.

Questa istituzione così importante, così complessa, così cruciale, nel tempo sostanzialmente non ce l’ha fatta, tolte alcune sporadiche realtà virtuose; non è riuscita completamente ad elevarsi, a perseguire, a concretizzare, a realizzare, l’idea di bambino, l’idea di educazione esplicitata nei vari documenti che si sono succeduti.
A partire dai  Nuovi Orientamenti del ’91, svolta epocale, alle Indicazioni Nazionali del 2012 con la loro revisione del 2018, fino ai contributi più recenti delle Linee pedagogiche del sistema integrato 0-6. Lettera morta. Molti insegnanti non ne conoscono neanche i contenuti. O li hanno dimenticati. Le nuove generazioni di laureati non sembrano averli interiorizzati. Fatte salve ovviamente quelle realtà, troppo poche, dove invece questo non accade. Continua a leggere

C come  CANTIERE. Scuola trincea o scuola caserma?

   Invia l'articolo in formato PDF   

di Giancarlo Cavinato

 Il ministro Valditara cita spesso la parola ‘guerra’ parlando delle condizioni attuali della scuola dove si combatte ‘in trincea’. Ma in guerra la vittoria bisogna meritarla, Di qui l’intitolazione del Ministero al ‘merito’.

I pedagogisti della pedagogia istituzionale, Oury, Lapassade, parlavano piuttosto di ‘scuola caserma’. Riprendendo la domanda di Freinet nei ‘Detti di Matteo’: la scuola sarà caserma o cantiere?

Ci sembra che il ministro e la compagine di cui fa parte pensino propendere per una visione del primo tipo, ben descritta da Freinet: ‘la caserma: con la sua atmosfera particolare senza vita, in cui non ci si comporta affatto come nella vita, ove si rispetta quest’altra legge dell’ambiente completamente poggiato sulla cura d’ingannare l’autorità, di schivare e minimizzare i lavori obbligatori, di ammazzare il tempo contando i giorni, come lo scolaro conta le ore che mancano al temine delle lezioni! La caserma con i suoi vasti e uniformi edifici prospicienti tutti lo stesso cortile […] ‘

Se questa è l’immagine di scuola che nel profondo nutre il neoministro, è evidente che ‘sorvegliare e punire’ come scrive in un articolo su Repubblica Vanessa Roghi è il modo di tenere a freno le intemperanze della ‘condotta’ (che evidentemente è altro dal comportamento e altro ancora dall’individuo considerato nell’interezza del suo stare al mondo).

Freinet e il MCE hanno lavorato per decenni nel denunciare i frutti dello scolasticismo, della settorializzazione come separatezza scuola società.

Ora arriva un ministro che presume che le soluzioni sono semplici:

-non ammettere o ‘rimandare’ a settembre chi ha meno di sei o sei in ‘condotta’

-incarcerare i genitori dei renitenti all’obbligo che non mandano i figli a scuola

– far intervenire le forze dell’ordine per ‘bonificare’ i territori

‘A quando le orecchie d’asino?’ potremmo chiedere al ministro parafrasando ancora Freinet.

Eppure Freinet nel capitoletto ‘Un niente che è tutto’ aveva indicato la strada maestra

per un’educazione che valorizzi gli apporti, le propensioni, le risonanze profonde nei soggetti, la loro ricerca di significato delle attività.

‘Al reggimento la corvée per le patate è il prototipo e il simbolo del lavoro del soldato (potremmo azzardare che costituisce l’equivalente degli esercizi fini a se stessi a scuola). […] Ma il giovane soldato che ha sbucciato patate per tutta la mattina secondo il ritmo del soldato, la sera, va a trovare la sua ragazza che gli dice gentilmente: -Ora dobbiamo preparare la minestra…-

  • Lascia pure le patate, di queste me ne occupo io…-

C’é voluto così poco, ma quel poco è tutto.’

Gianni Rodari nella prefazione a ‘Un anno a Pietralata’ che costituisce il diario dell’esperienza nella borgata romana di Albino Bernardini descrive l’atteggiamento del maestro come ‘presenza di un ottimismo che non ha niente a che fare col sentimentalismo. ‘Per Bernardini non esiste la “cattiveria”(e quindi non ha senso né efficacia la sanzione punitiva e men che meno la repressione). Possono esistere cattive abitudini, e allora si tratta di spiegarsi come e perché si sono formate, e di creare con tenacia una situazione nuova, nella quale quelle stesse cattive abitudini si risolvano in atteggiamenti morali nuovi.’

Nell’incontro con i genitori dei 12 alunni di cui molti pluriripetenti Bernardini afferma: ‘io non voglio solo insegnare ai vostri figli a leggere e a scrivere: lo so, questo spetta a me solamente, ma anche educarli a vivere a scuola e fuori.’

Il MCE dal 1951 pratica una pedagogia intenta al decondizionamento, all’emancipazione da modelli violenti ed egoistici, passivi e subordinati.

Per educare cittadini/e.

Ma in una scuola in cui l’apprendimento passa attraverso nozioni esperienze regole che non possono essere verificate e quindi non stimolano processi mentali nuovi si produce meccanicità e ripetizione.  Spesso allora per fuoriuscire da routine e passività, da frustrazioni, vengono agite forme di trasgressione che generalmente non si riscontrano in una scuola attiva che stimola creatività e processi critici.

In una scuola della riproduzione sociale è facile che prevalgano imitazioni e riproduzioni di esempi e modelli desunti dal clima sociale esterno.

Le attuali misure repressive non fanno che sancire un clima sociale.

Non esistono problemi della famiglia e della scuola (con buona pace dei vari Ricolfi e Galimberti che aspirano a una scuola come istituzione chiusa nel rimpianto di un passato aureo ma privilegio di pochi) ma problemi di cattivo funzionamento della società che influiscono sulla famiglia e sulla scuola’ (Dino Zanella, segretario MCE, 1978).

 

 

 

E come emancipazione: quattro passi per una pedagogia dell’emancipazione

di Giancarlo Cavinato

 La classe cooperativa

Freinet, leggiamo nella quarta di copertina della nostra pubblicazione ‘I 4 passi per una pedagogia dell’emancipazione’ del 2015, consiglia di non  applicare tutte le tecniche in una volta pensando così di formare una classe cooperativa. La fretta, l’eccesso di zelo, l’entusiasmo potrebbero condurre a una sconfitta con conseguenze negative per la conduzione della classe.

Nelle sue raccomandazioni, non tutte attuali  e condivisibili in toto, fra l’altro consiglia:

  • impegnatevi in una tecnica che potete dominare
  • per molto tempo, le pratiche tradizionali e le nuove pratiche nella vostra classe procederanno di pari passo
  • iniziate con il testo libero ma non scolarizzatelo facendolo passare come sostitutivo del tema, solo lasciando la libertà di scelta del soggetto quindi come esecuzione ‘a comando’ (veramente raccomanda anche di conservare il libro di testo ma su questo in Italia siamo andati avanti anche a livello normativo pur essendo l’adozione alternativa praticata in realtà limitate)
  • organizzate la cooperativa di classe il prima possibile (nel 1994 l’allora ministro Lombardi fece una convenzione con la Confcooperative trentina per l’istituzione della cooperativa di classe con nomina di un presidente e un segretario, il deposito di un libretto bancario, l’assemblea dei ‘soci’ e la scelta di attività a partire dalle classi quarte; forse, pur nel segno di un certo economicismo, la formula più vicina alla cooperativa di classe come la facevano Lodi, Ciari, i maestri di cooperazione educata. Dove lo sviluppo di attività remunerative- allevamenti, stampa e vendita di giornalini, realizzazione di spettacoli, mercatini   erano le condizioni per esperienze culturali più ampie- uscite, visite, acquisto di materiali comuni, di cui tutti potessero fruire coltivando lo spirito comunitario.

Continua a leggere