Nuove figure docenti e circo Barnum

di Mario Maviglia

Dopo l’introduzione del docente tutor, sono previste altre rilevanti figure di insegnanti che animeranno la vita scolastica e daranno nuova linfa alla didattica. Siamo in grado di anticiparvi quali saranno queste nuove figure:

  • Insegnante counselor: sarà incaricato di dispensare consigli non richiesti ai colleghi su vari aspetti della vita scolastica e professionale. Al momento sembra non sia prevista la possibilità di offrire consigli anche sulla vita privata e intima dei docenti, ma non è escluso che ciò non possa avvenire in futuro anche in relazione ai risultati che verranno conseguiti nella fase di implementazione di questa figura.
  • Insegnante coach: come dice il nome, questo docente sarà chiamato a rimettere insieme i cocci delle scuole in quelle situazioni particolarmente degradate e disagiate e destinate allo sgretolamento se non vi è un adeguato intervento professionale. Il coach condurrà i colleghi verso le nuove frontiere della didattica rinsaldando i legami tra i docenti e facendo scoprire loro il valore della collaborazione e, in prospettiva, dell’amore universale come collante per la comunità educante. Sarà richiesto, come titolo indispensabile, la patente B.
  • Insegnante supporter: questa figura appare particolarmente importante in questo momento storico caratterizzato dalla visibilità e dalla popolarità. E in effetti il docente supporter ha il compito di andare in giro per il territorio per far conoscere la scuola e attirare nuovi clienti. Ogni scuola deciderà le forme più adeguate per raggiungere lo scopo, ma viene suggerito di non trascurare il contatto vis-à-vis (incontri porta a porta, volantinaggio davanti ai supermercati, omino sandwich, organizzazione di aperitivi di conoscenza ecc.).
  • Insegnante SE (Social Entertainer): ha lo specifico compito di tirar su il morale dei colleghi, facendoli divertire e proponendo un approccio positivo alla vita. Utilizza strategie di vario tipo: si veste da pagliaccio, racconta barzellette, fa giochi di prestigio. Questa figura risulta particolarmente importante in alcuni momenti rituali della scuola: prima di ogni Collegio Docenti, dopo i colloqui con i genitori, dopo l’incontro con i colleghi di dipartimento, tutte occasioni in cui il docente SE deve dimostrare tutta la sua perizia di intrattenitore ameno.
  • Insegnante per l’empowerment: si occupa di far esplodere le potenzialità dei colleghi fornendo loro suggestioni e illusioni circa la loro incontestabile importanza e bravura. Viene assegnato alle scuole poste nelle aree più depresse del Paese. Non agisce nei confronti dei docenti troppo grassi sennò l’esplosione di cui sopra potrebbe causare danni fisici. Titolo preferenziale per ricoprire l’incarico: laurea in ingegneria termonucleare o esperienza maturata nel campo dei cavalli fiscali.
  • Insegnante per l’IP (Inner Peace): l’obiettivo della pace interiore appare quanto mai necessario in quest’epoca convulsa e stressante. Il docente IP supporta i colleghi a trovare un giusto equilibrio interiore in modo che essi possano fondersi con l’armonia universale. Particolare cautela userà con i colleghi un po’ anziani affinché la pace interiore non diventi definitiva.
  • Insegnante MiI (Made in Italy): è incaricato di convertire tutta la strumentazione didattica, tecnologica e funzionale della scuola in MiI. L’approccio richiesto è di tipo pratico-operativo: talvolta basta correggere l’etichetta Made in China in Made in Italy; altre volte occorre andare più in profondità emendando tutte le dizioni non omologate: on/off diventa sì/no, power viene cambiato in potere, software viene emendato in programma per calcolatore elettronico. Richieste particolari competenze in onomatopea e aggiustamenti linguistici artigianali.
  • Insegnante humiliating: è una figura professionale che ha il compito di mettere in pratica la nuova Weltanschauung ministeriale in campo pedagogico. Infatti, tocca all’insegnante humiliating realizzare quel sano principio pedagogico valditariano che consiste nell’umiliare gli studenti che si sono resi colpevoli di gravi comportamenti nei confronti della scuola e/o dei compagni. Per questo incarico sono richieste specifiche competenze sul piano umano e psicosociale: essere molto cinici, dimostrare una buona dose di sadismo, abbondare in quella qualità che viene genericamente definita “stronzaggine”. È inoltre richiesta una buona padronanza nell’uso del cilicio, della verga e di un linguaggio non convenzionale (meglio se scurrile).


 L’introduzione di altre figure è allo studio degli organi competenti, che probabilmente avvieranno una consultazione per raccogliere proposte da parte dei docenti.
Gli insegnanti che non rivestiranno alcuna di queste funzioni (o altre già previste dall’ordinamento vigente) confluiranno nella categoria dei docenti pària, ossia l’insieme di coloro che svolgono il disdicevole compito di insegnare lingua, matematica, storia e tutte le altre discipline, guidati dall’insano convincimento che compito della scuola sia quello di promuovere i processi di apprendimento degli studenti..




Il diritto al disagio e la sua rappresentazione. La fuga dai licei

di Piervincenzo Di Terlizzi  – dirigente scolastico ISIS Zanussi – Pordenone
e Aluisi Tosolini – filosofo dell’educazione

Un ampio articolo a pagina 21 de “Repubblica” del 30 marzo 2023 pone l’attenzione sulla “fuga dai Licei”, cioè sul numero significativo di richieste, ad anno scolastico in corso, di trasferimento in uscita da alcune delle scuole più note delle maggiori città italiane. L’ansia che “devasta”, dice il richiamo del titolo, appare la causa di questo fenomeno.

La narrazione giornalistica della scuola italiana, si sa, ha come centro dell’attenzione i Licei di Roma e Milano e (meno frequentemente) degli altri centri principali: pure questo articolo ne è conferma, individuando, tra le cause possibili della questione, la (nuova, attuale) fragilità degli studenti di fronte alle (usuali) difficoltà richieste dallo studio impegnativo.

Sembrerebbe, dunque, che in buona parte di questi casi la scelta conseguente sia quella di cercare contesti in cui si studi “meno”.
Questa interpretazione, oltre che riduttiva rispetto ai casi individuali di disagio e fragilità, oltre che generica (è una spiegazione che può andare bene in tanti altri tempi e contesti) è anche ingenerosa nei confronti delle altre scuole, e pare basarsi implicitamente sul trito e insuperato assunto socioculturale per cui esistano i contesti “di serie A” (Licei) e quelli “di serie B, o C” (Tecnici e Professionali).

Sennonché, il disagio non pare pensarla alla stessa maniera, e non è di serie A o B o C: se allarghiamo appena un poco lo sguardo, o se, giornalisticamente, andiamo a interrogare chi lavora in scuole che non siano i Licei delle grandi città, il tema si ripresenta anche nelle scuole degli altri ordini, ed anche nelle fasce di età minore, e non si lascia risolvere con la retorica dell’”arrendersi al primo ostacolo”.
C’è disagio all’Università, come hanno segnalato gli stessi studenti all’apertura dell’anno accademico a Padova.
E c’è disagio anche ai Tecnici e ai Professionali, potremmo dire, semplificando; ma è, appunto, una semplificazione, e piuttosto abbiamo da chiederci che cosa stia accadendo di nuovo.

Due rapporti fanno luce sul disagio oggi in Italia

Prendiamo, a tal proposito, due documenti usciti quasi contemporaneamente, in questi stessi giorni: il dossier dell’Ufficio scuola della CEI, intitolato “In pieno inverno. Disuguaglianze e fragilità nel sistema educativo” (link) ed il Rapporto Disuguaglianze della Fondazione CARIPLO, sottotitolato “Superare gli ostacoli nell’età della formazione” (link). Entrambi mettono il lettore a contatto con la dura e stratificata dimensione delle ragioni del disagio attuale: economiche, sociali, familiari.
Leggiamo ad esempio, dal primo testo, questa considerazione, basata su uno studio dei comportamenti degli studenti toscani dopo la pandemia: “In chi già viveva una situazione di marcata privazione di opportunità, come nel caso di molti studenti degli istituti professionali, è presumibile che la pandemia abbia indotto cambiamenti meno evidenti che non in chi, invece, prima dell’emergenza poteva contare su risorse tali da consentirgli di coltivare una progettualità futura che adesso rischia di venire meno” (p. 23). La questione pare, ragionevolmente (e inquietantemente) spostarsi sulle attese per il futuro, sull’idea stessa di futuro possibile da parte degli studenti. Dal secondo testo, cogliamo questa osservazione di Valentina Amorese (p. 75): “Stiamo quindi assistendo ad una crescita delle distanze nelle prospettive di vita delle persone. Questa tendenza contribuisce a costruire e rafforzare un contesto di frammentazione all’interno del Paese”, che ci mette di fronte ad un altro aspetto fondamentale di cui le manifestazioni di disagio sono una sorta di termometro: la polverizzazione delle esperienze, con una perdita secca degli spazi (esteriori ed interiori) di socialità.

Frammentazione, crisi del senso e disuguaglianza  

La frammentazione sociale e la crisi di senso di certo ha anche a che fare con l’aumento delle disuguaglianze attestate in modo plastico da due infografiche, la prima ripresa dal dossier Caritas ( pag. 5) e la seconda dal XIII Atlante dell’infanzia a rischio pubblicato a novembre da Save the Children (link – pag. 30)

Ma di tutto questo, ovviamente, non è il caso di parlare, per non disturbare il manovratore e la classe dirigente (i cui figli, come dice l’articolo di Repubblica del 30 marzo, frequentano i licei dove si è scoperto esistere il disagio).

Allargare l’orizzonte

Se poi vogliamo allargare l’orizzonte possiamo scorrere le pagine del rapporto The state of the global education crisis: a path to recovery frutto della collaborazione tra Unesco, Unicef e Banca Mondiale pubblicato nel 2021 (link). Il rapporto è stato poi ampiamente confermato dallo studio ONU 2022 sul livello di raggiungimento dell’Obiettivo n. 4 dell’agenda sostenibilità (Istruzione di qualità per tutti – link -) che possiamo riassumere nei seguenti dati riferiti a inizio 2023:

  • nel mondo, sei bambini su 10 dell’età di dieci anni non sono in grado di leggere e comprendere una semplice storia;
  • 244 milioni di bambini e adolescenti non vanno a scuola
  • 617 milioni di bambini e adolescenti non sanno leggere e non hanno le competenze matematiche di base;
  • meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa quattro milioni di bambini e giovani rifugiati non vanno a scuola.
  • si stima che 147 milioni di bambini abbiano perso più della metà dell’istruzione in classe negli ultimi due anni a causa della chiusura delle scuole causata dalla pandemia COVID-19
  • la percentuale di giovani che completano la scuola secondaria superiore è passata dal 54% nel 2015 al 58% nel 2020, con un rallentamento dei progressi rispetto al quinquennio precedente.
  • la maggior parte dei Paesi non ha raggiunto la parità di genere nella percentuale di bambini che soddisfano gli standard minimi di apprendimento in lettura e nel tasso di completamento della scuola secondaria inferiore[1];
  • Nel 2020, circa un quarto delle scuole primarie a livello globale non aveva accesso a servizi di base come elettricità, acqua potabile e servizi igienici di base.
  • Circa il 50% delle scuole primarie ha accesso a servizi come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le infrastrutture adatte ai disabili.
  • Nel 2020, circa 12 milioni di insegnanti di scuola pre-primaria, 33 milioni di insegnanti di scuola primaria e 38 milioni di insegnanti di scuola secondaria lavoravano nelle classi di tutto il mondo e l’83% degli insegnanti di scuola primaria e secondaria avevano ricevuto formazione adeguata
  • nel corso dell’emergenza Covid solo il 20% dei Paesi ha intrapreso misure significative per fornire ulteriore salute mentale e supporto psicosociale agli studenti dopo la riapertura delle scuole;

Supporto psicologico?

Eccoci, fermiamoci a questo ultimo dato, riferito al supporto psicologico che anche in Italia è stato ampiamente attivato in tempo covid e che ancora oggi è alla base di molti percorsi pensati entro il PNRR anti dispersione.
In questo caso la domanda deve essere precisa e radicale: il supporto psicologico a che cosa serve e deve servire? A rendere sopportabile questa scuola a questi studenti? Quasi un antidepressivo anestetizzante rispetto al disagio imperante?
Oppure a cambiare questa scuola per renderla luogo nel quale iniziare a prendere davvero in mano il proprio futuro per costruirlo assieme, diverso?

Il disagio ha infatti a che fare proprio con l’idea di futuro, o della sua precarietà e, addirittura, mancanza.
Mancanza di futuro e spazi di socialità infranti: sono profonde domande di senso, che si possono verificare, del resto, anche in coda al supermercato.
Il “disagio” degli studenti non si semplifica con un movimento tra una scuola e un’altra, perché è il nostro disagio.




E’ il momento di dire Basta alle armi! Promuoviamo cultura di pace

di Roberto Lovattini
(maestro Mce – Piacenza)

Penso alle tante persone che abbiamo visto più volte nelle immagini televisive e che sopravvivono in Ucraina al freddo senza luce, gas e con difficoltà a reperire cibo, con l’incubo di morire sotto le bombe o subire le violenze di un esercito invasore. Nessuna giustificazione per Putin: l’esercito russo se ne deve andare e queste scene non dovrebbero più accadere in nessuna parte del mondo.

Nemmeno nel Donbass.
Anche i civili del Donbass dal 2014 hanno a loro volta subito violenze e uccisioni da parte dei sostenitori dell’una e dell’altra parte. Esisteva l’ accordo di Minsk che sappiamo essere stato violato da ambo le parti e questo ha portato all’uccisione di tanti civili. Ricordate La Casa dei lavoratori a Odessa dove bruciarono vive 50 persone e fu impedito ai soccorritori di aiutare chi voleva salvarsi?
Come non ricordare che Zelenski voleva e vuole a tutti i costi entrare nella Nato, ben sapendo che questo per i russi costituisce un pericolo per la loro sicurezza. Ricordate cosa successe nel 1960 quando i russi volevano stabilire delle basi a Cuba? Si rischiò un conflitto armato.
Basta spingere l’acceleratore sulla guerra continuando ad inviare armi. Qui non è in gioco la difesa dell’Ucraina, ma la continuazione della guerra sino alla vittoria finale. Fino all’ultimo uomo, come dice Zelenski!

Qual è il modo migliore per proteggere la popolazione civile e garantire la Pace a tutti i soggetti coinvolti?

Ritengo che attualmente ci siano diversi scenari possibili con cui possa terminare la guerra.
Cessare il fuoco e intavolare una trattativa mettendo sul tavolo tutte le questioni. Sapendo che questo costringerebbe tutte le parti in causa a fare un passo indietro, ma aprendo prospettive migliori per tutti in futuro.
La Russia cede spinta da una rivolta interna, anche se al momento non se ne avvertono le possibilità. Le conseguenze sono difficilmente immaginabili e aprirebbero altri scenari non migliori per la popolazione.
Nel caso che la Russia fosse costretta al ritiro, Putin potrebbe utilizzare l’arma nucleare con conseguenze devastanti e mortali per il mondo intero.
La soluzione migliore è la prima. Nessuna guerra risolve i problemi per cui è stata combattuta, ma crea le condizioni per altre guerre. Produce odio e desiderio di vendetta che permangono per tempi lunghi e, nel caso attuale, potrebbe far terminare la vita sul pianeta.
Infatti la differenza rispetto al passato è che oggi premendo un bottone possiamo portare la morte in tutto il mondo e ridurre l’umanità in cenere.

E’ giusto aiutare l’Ucraina, come tutti i popoli che in questo momento soffrono, ma senza sacrificare, inutilmente, la vita di milioni di persone.
Per questo dobbiamo spingere, attraverso mobilitazioni partecipate, affinché i Governi Europei cambino indirizzo e si impegnino per una trattativa seria. Se vogliamo la Pace dobbiamo lavorare per la Pace. E dobbiamo farlo rimanendo uniti con tutti coloro che sono convinti della necessità assoluta di deporre le armi e di avviare trattative.
Dobbiamo chiarirci qual è l’obiettivo che vogliamo perseguire. Vogliamo cercare di fermare la guerra oppure rimanere ciascuno nel proprio ”territorio” e non mischiarci a chi, pur avendo alcune idee diverse dalle nostre, è contro la guerra? Cerchiamo delle soddisfazioni personali? O di gruppo (religioso, politico, ecc…)? Sociale ed economico (classe, nazione, ec..)? Oppure preferiamo trovare una soluzione di Pace che ci consenta di vivere ed eventualmente di dibattere poi su quanto ci differenzia? Sono assolutamente contrario all’invio di armi all’Ucraina e sono per il disarmo generalizzato, ma oggi il tema è di riuscire a fermare la guerra e quindi di tenere insieme che vuole giungere alla Pace attraverso negoziati veri, seri e condivisi.

Sono importanti azioni di disobbedienza di poche persone, ma anche le esperienze come quella di Gragnano in provincia di Piacenza, dove tutta la comunità locale è scesa in piazza per affermare che bisogna dire No alla guerra e dare la parola alla diplomazia. Comune, Parrocchia, scuola, negozianti e popolazione sono scesi in strada per manifestare queste idee. Certo da soli non fermeranno la guerra, ma se tanti Comuni dessero dimostrazione di una simile volontà le cose potrebbero cambiare almeno nelle decisioni del nostro Governo. E potrebbe cambiare anche l’atteggiamento del nostro Governo verso i migranti, se ci fossero più comunità come quella di Steccato di Cutro che mostra solidarietà e umanità verso i superstiti del recente naufragio.
Ma la promozione di una cultura di pace, alternativa all’individualismo sfrenato attuale è un tema che dovrebbe interessare a tanti. Tutti dobbiamo essere cercatori e promotori di Pace se vogliamo cambiare le cose. Chi si disinteressa della pace crea le condizioni perché le guerre continuino ad uccidere persone ma anche soffocare l’idea stessa di un futuro migliore. Sta a noi scegliere!




Elly Schlein, la cultura, gli insegnanti 

di Mario Maviglia

 Avviso ai lettori: questo non è un articolo a favore o contro Elly Schlein. È il tentativo di fare un ragionamento di carattere generale sulla comunicazione in riferimento soprattutto al mondo della scuola, considerato che proprio sulla comunicazione gli insegnanti fondano la loro azione. Si presume quindi che essi siano in grado di gestirne il meccanismo di funzionamento e di comprendere la natura e il peso di ciò che si afferma.

Subito dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie del Pd, è apparso sui social un post – condiviso anche da parte del mondo della scuola – così concepito:

“Elly Schlein
Mega miliardaria
Figlia di un luminare
È cittadina americana, Svizzera [con la S maiuscola] e italiana
Ha fatto campagna elettorale per Obama
Vice governatore dell’Emilia Romagna
Bisessuale
Sensibile a tematiche del mondo lgbtq+
Ebrea aschenazita
Mai visto un povero
Mai vista una fabbrica
Mai vista una casa popolare
Mai lavorato
Sarà il nuovo Segretario del PD.
Secondo la dirigenza del PD è la persona giusta per avvicinarsi ai problemi del popolo e della classe lavoratrice!!”

Il post è interessante per quello che dice e per quello che vuole indurre a far credere al lettore. Innanzi tutto la sottolineatura che la Schlein sia “ebrea aschenazita” contiene un sottofondo velatamente razzista, se non antisemita. Nel citare un qualsiasi politico italiano (soprattutto se di sesso maschile) non si sentirebbe alcuna necessità di aggiungere che è “ariano” o “cattolico” o “cristiano” o “marrano”. Questo dato, nel contesto del post, non aggiunge nulla di significativo rispetto all’eventuale valore politico del personaggio se non come subdola sottolineatura denigratoria, del tipo: “e in più è anche ebrea aschenazita”.
Probabilmente non cambierebbe molto se la Schlein fosse “ebrea sefardita”, ma questa puntigliosa precisazione merita di essere segnalata perché il Regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n, 1728, “Provvedimenti per la difesa della razza ariana” (in sostanza la prima legge razzista emanata dal Regime fascista) si era limitato a distinguere tra “razza ariana” e “razza ebraica” senza ulteriori specificazioni.
La storia ha dimostrato che comunque questa “semplificazione” giuridica ha prodotto i suoi amari e mortali frutti (a strange and bitter crop, cantava Billie Holiday in Strange Fruit). In questo contesto stigmatizzare che una persona è ebrea vuol dire, consapevolmente o meno, che ci si rifà a quel panorama ideologico e questo, per un insegnante o un educatore, può essere “imbarazzante”, diciamo così.

Il fatto che la Schlein sia “mega miliardaria” si potrebbe liquidare con un liberatorio “beata lei!”. Ma il post vuole evidentemente veicolare altri messaggi, meglio specificati nella parte finale del post stesso. Il primo messaggio è che per essere un leader di sinistra occorre essere povero, nullatenente, meglio se con le toppe al culo (mi si conceda il francesismo). Insomma ci deve essere una identificazione non solo ideale con il proprio elettorato (immaginato ovviamente povero, nullatenente e con le toppe al culo), ma anche materiale.
La storia, in effetti è ricca di leader di origini popolari, se non povere: il padre di Mussolini era un fabbro, la madre una maestra elementare; il padre di Hitler era una guarda di frontiera dell’Impero asburgico e la madre una domestica. Non proprio “mega miliardari”, come si vede, ma ciò non ha impedito loro di creare quei “mega” danni che tutti conosciamo. C’è un ulteriore aspetto da segnalare rispetto alla ricchezza della Schlein. In un Paese come l’Italia che conosce un tasso di corruzione e di evasione fiscale tra i più alti tra i Paesi avanzati è alquanto strano che non ci si scandalizzi per fortune quanto meno sospette di certi personaggi anche pubblici e si vada invece a sottolineare lo stato di ricchezza di una persona che non ha altra colpa se non quella di essere nata in una famiglia ricca (con l’aggravante di essere “ebrea aschenazita”…).
Oppure si vuole inferire che siccome una persona è ricca non può comprendere i problemi del “popolo”. Anche in questo caso va registrato che finora questa comprensione del “popolo” non è stata poi così perfetta, a prescindere dalla Schlein; anzi, stando a quello che dice l’Istat, il numero di persone in povertà assoluta in Italia è quasi triplicato nel periodo 2005-2021, passando da 1,9 milioni a 5,6 milioni, ossia il 9,4% della popolazione. E tra i minori la povertà assoluta si è più che triplicata, passando dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. E magari i governanti che hanno guidato l’Italia tra il 2005 e il 2021 hanno “visto un povero, una fabbrica e una casa popolare”, ma ciò evidentemente non è bastato ad arginare l’aumento così poderoso della povertà.

Sul fatto che la Schlein non abbia mai lavorato, ad esclusione del suo impegno politico, dalla sua biografia ufficiale emerge che si è occupata da sempre di cinema, scrivendo recensioni per alcune testate e blog e frequentando dal 2003 il Festival internazionale del Film di Locarno. Ha lavorato al documentario Anija-La Nave (Istituto Luce – Cinecittà) di Roland Sejko, che racconta la fuga collettiva dall’Albania verso l’Italia di migliaia di persone sulle grandi e piccole navi, ricevendo il premio David di Donatello come miglior documentario 2013. Nello stesso anno, gira un video-inchiesta con Pippo Civati sul tema dei fondi italiani non dichiarati in Svizzera.
Anche ammettendo che ciò non costituisca un lavoro, e dunque facendo rientrare la Schlein tra la schiera di coloro che non hanno mai lavorato, cosa pensare di quei tanti politici italiani che non hanno mai fatto in vita loro un “lavoro” diverso da quello del politico? (Tra questi ricordiamo la stessa premier attuale di Fratelli d’Italia, nonché Presidente del Consiglio, e l’attuale leader della Lega, nonché Vicepresidente del Consiglio e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti).

Sul fatto che sia bisessuale o sensibile alle tematiche del mondo lgbtq+ credo che non sia il caso di spendere parole in quanto si tratta di scelte personali che, peraltro, non vanno a comprimere i diritti degli altri, ma anzi ne allargano l’orizzonte.

Al di là di ogni considerazione politica, ciò che forse si tende a denigrare è il fatto che trattasi di una donna giovane, non convenzionale, autonoma, di vedute internazionali, di famiglia ricca. E poi è “ebrea aschenazita”, colpa non emendabile.

Detto questo, ognuno è libero di essere pro o contro la Schlein; ma almeno si cerchi di andare oltre il repertorio del qualunquismo e del pregiudizio, soprattutto da parte degli insegnanti. Ragionare è un processo cognitivo ancora attuale.




Perché Valditara non può essere il Ministro dell’Istruzione

di Domenico Sarracino

L’attacco del ministro Valditara alla Preside del liceo “Da Vinci”di Firenze non va sottovalutato perché di portata ben più vasta e profonda di quanto possa apparire. E non solo perché colpisce una Dirigente scolastica che ha fatto il suo dovere professionale e civico –la qual cosa già di per sé costituisce fatto inaccettabile e fortemente censurabile – ma perché si scaglia contro uno dei pilastri che hanno connotato il profilo della nuova scuola italiana nata in quei giorni di formidabile apertura e conquiste democratiche che furono i primi anni ’70. Una scuola – che affogava nel nozionismo acritico e ripetitivo, nelle impomatate baronie universitarie, che selezionava ed escludeva sulla base della provenienza sociale, che proponeva un sapere astratto ed accademico, che chiudeva porte e finestre intorno a sé, e si faceva impenetrabile al mondo che le stava intorno – veniva scossa dall’irrompere del ‘68 e poi riorganizzata intorno ai Decreti Delegati ed in particolare intorno al DPR 416 che determinava la nascita degli Organi Collegiali “al fine di realizzare un modello di scuola basato sulla partecipazione” e volta “ad interagire con la più vasta comunità sociale e civica”.
Una scuola che doveva e deve vivere il suo tempo, promuovere la pacifica convivenza, incrociare dialetticamente il passato ed il presente, per educare a vivere criticamente, liberamente e consapevolmente; che doveva e deve rimuovere gli ostacoli che impediscono e frenano la piena realizzazione di uomini e donne, di cittadini e cittadine, secondo l’intento costituzionale. Un modello di scuola, certo, che si è realizzato solo in parte perché da subito incontrò limitazioni, ostacoli ed avversione, e che oggi va certamente rivisitato, badando bene, però, a salvaguardare l’idea di democrazia partecipata e di apertura al mondo reale ed alle sue trasformazioni.
Le minacce del Ministro alla brava collega che non si è voluta chiudere nelle quattro mura della sua scuola, che ha richiamato il male dell’indifferenza, che non si è rintanata nel suo “particulare”, che tiene presente la lezione della storia e il mandato educativo che le è stato affidato colpiscono non solo lei, ma tutta la nostra scuola e i pilastri che la sostengono, colpiscono un modello di società che dalla Costituzione è chiamata ad aborrire la violenza, la sopraffazione, la prepotenza, il manganello, ed a vigilare con la responsabilità democratica ed il senso civico affinchè questi metodi siano fermati al loro spuntare, prima che il silenzio, le complicità e il girarsi dall’altra parte ne permettano il dilagare, come appunto insegna la lezione della nostra storia non tanto lontana. “I care” è il noto motto di Barbiana, significa “mi interessa, mi sta a cuore, partecipo, dico la mia, non lascio correre, mi rendo responsabile”, e così facendo il Priore insegnava a vivere, ad essere cittadini liberi e sovrani. Il ministro Valditara invece non vede , non sente e non parla di un’azione violenta che ha colpito una scuola, ma non solo: interviene sulle parole importanti della Preside non per apprezzarle e farle sue , ma per contestarle, per considerarle una colpa e per minacciare provvedimenti. In sostanza provvedimenti contro chi ha servito ed onorato la Costituzione. Provvedimenti contro la Costituzione, contro quella Carta che non è un pezzo di carta morta ma che deve vivere in ogni cittadino. Su cui ha giurato solennemente, ma tanto leggermente pur di correre a coprire l’importante ruolo di ministro. La verità a cui si giunge è che questo ministro o non conosce la Costituzione e i fondamenti della Scuola italiana o li conosce, e peggio ancora, se ne frega. Nell’uno e nell’altro caso non può essere il ministro dell’istruzione della nostra Repubblica.




Fascismo sì/fascismo no? Il vero problema è il ruolo del Ministero

di Pietro Calascibetta

L’esternazione di questi giorni del Ministro Valditara nei confronti della preside di Firenze è sicuramente un intervento inopportuno perché invece di stigmatizzare comunque la violenza davanti a una scuola tira fuori una sua personale valutazione storica della contemporaneità dandone un imprimatur istituzionale, una valutazione che se non compete, come lui dice alla preside, meno che mai compete ad un ministro anche se è un docente di diritto (romano) in più è un atto di per sé diseducativo nei confronti dei ragazzi da parte di un adulto gerarchicamente superiore che sconfessa un altro adulto che nel suo ruolo ha deciso di fare un intervento sui propri studenti per dare un segnale che almeno nell’istituzione scolastica che frequentano, vivaddio, c’è una figura istituzionale che si preoccupa di loro e non se ne lava le mani lasciandoli nella convinzione che se la devono cavare da soli.
Spero che non si cada nella solita polemica fascismo sì, fascismo no perché la vera questione che spero emerga in questo caso non è il pericolo fascista dove molti della destra vorrebbero portare il discorso per meglio controbatterlo, ma il ruolo del Ministro e del Ministero nell’insegnamento della storia nella nostra scuola. Perché di questo si tratta.

Giorni fa commentavo un articolo di Mario Maviglia su Nuovo Pavone Risorse che stigmatizzava l’intervento della Sottosegretaria Paola Frassinetti che contestava ufficialmente la partecipazione dello storico Eric Gobetti ad un incontro dedicato alle foibe con gli studenti di una quinta ( secondaria di secondo grado e non della primaria !) di un istituto superiore calabrese etichettando lo storico come negazionista, quando in realtà lo storico non nega affatto le foibe, ma cerca di collocarle nel contesto storico di quegli anni individuando le co- responsabilità di quanto è avvenuto prima e dopo quegli avvenimenti.
Un Ministero che dà la linea sull’interpretazione autentica dei fatti storici e che dà la patente agli storici che di mestiere fanno ricerca, mi sembrava di per sé eccessivo.
A questo punto mi sono detto che bisogna guardare più a fondo ciò che sta avvenendo in una prospettiva più ampia che va oltre Valditara.
E’ il Ministero ( cioè la politica) che deve fornire ai docenti l’interpretazione autentica dei fatti storici da insegnare in aula? E’ una questione più delicata di quanto si immagini perché non riguarda l’oggi.
Mi sono ricordato allora che cominciano ad essere sfornate dal Ministero nel silenzio generale “Linee guida” su argomenti diciamo storico-culturali. Mi sembra di capire che un’entità “politica e amministrativa” qual è di fatto il Ministero abbia cominciato a spiegare ai docenti come devono trattare i contenuti di alcuni specifici argomenti. Posso capire (ma fino ad un certo punto) le Linee guida metodologiche per trattare la dislessia o su come declinare in obiettivi le finalità disciplinari stabilite per legge. Si tratta di indicazioni operative su come applicare le norme ordinamentali, sono indicazioni “tecniche”, ma non capisco questo nuovo filone di Linee guida.
Che siano “Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica” firmate da Bianchi oppure “Linee guida nazionali per una didattica della Shoah a scuola” o, chissà fra poco “Linee guida sulla guerra in Ucraina” o su una presunta “Guerra civile in Italia” non mi interessa proprio, non mi interessa l’argomento, né mi interessa che le abbia prodotte un governo di sinistra o di destra.
Spero che non ci sia uno spoil system rispetto agli argomenti di storia.
E’ il principio che trovo sconvolgente e un pericoloso precedente. E’ proprio sulla scia di questa nuova tipologia di Linee guida, la sottosegretaria Frassinetti solo per dare un segnale che la destra “vigila” sulla memoria delle foibe, si permette di sanzionare pubblicamente una libera decisione di una scuola di incontrare uno storico, decisione che attiene all’ambito della famosa libertà di insegnamento a cui tutti si appellano anche a sproposito.
La trappola in cui si può cadere è quella di lasciare che passi la narrazione che c’è una storia di sinistra e una storia di destra che ciascuna parte politica difenda la sua storia. In mezzo ci sarebbero non solo i docenti con i loro studenti, ma anche la democrazia perché in democrazia c’una storia anche travagliata, ma sempre condivisa.
Questo è un messaggio per la sinistra a congresso che è alla ricerca della sua identità. Chi va con lo zoppo comincia a zoppicare. La Costituzione non garantisce forse la libertà di pensiero e la libertà di insegnamento?
Trovo questo atteggiamento ministeriale di oggi come quello di ieri umiliante anche per i docenti che dovrebbero avere la professionalità per saper scegliere le fonti e i percorsi più adatti per formare nei propri studenti quella competenza critica prevista dalla normativa soprattutto per la storia contemporanea.
Ricordiamo sempre su questo sfondo il caso della professoressa di Palermo che aveva osato affrontare il tema della discriminazione con i suoi studenti sempre delle superiori parlando delle leggi razziali di ieri e del decreto sicurezza di Salvini di oggi e che si è trovata sospesa e senza stipendio, sanzione annullata poi solo dal tribunale del lavoro, ma non rivista dal Ministero anche dopo il cambio di governo .
A questo punto mi viene alla mente tutta le discussione frettolosamente archiviata nata intorno all’introduzione nell’ordinamento penale dell’aggravante delle affermazioni negazioniste della Shoah, dei fatti di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti rispettivamente dagli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale.
Allora vi fu un acceso dibattito tra chi riteneva un segnale importante sanzionare le affermazioni negazioniste e chi invece affermava che l’idea di una verità storica di stato non solo sarebbe stata aberrante, ma avrebbe sancito l’impotenza di tutta una società a combattere il negazionismo sul terreno dell’educazione, dell’informazione e della cultura.
Qual è quindi il ruolo della scuola oggi nell’insegnamento della storia, soprattutto quando è contemporanea? Come si può insegnare storia quando se dici una cosa sei di sinistra e se ne dici un’altra sei di destra? Vogliamo fare della scuola una palestra di scontro politico? E’ questa l’educazione civica ?




A proposito dei fatti di Firenze. Comunicato della Associazione Gessetti Colorati


Secondo quanto riportano le cronache a Firenze un gruppo di giovani di Azione Studentesca (movimento vicino ad ambienti neo-fascisti) aggredisce studenti del liceo Michelangelo.
La preside del liceo Da Vinci di Firenze Annalisa Savino invia una circolare ufficiale agli studenti, alle famiglie e al personale della propria scuola ricordando che “il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone”.

“Il fascismo – ricorda la preside – è nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti”.

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, nel corso di una trasmissione televisiva, interviene con queste parole: “E’ una lettera del tutto impropria, mi è dispiaciuto leggerla, non compete ad una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista”.
Conclude il Ministro: “Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole; se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure”.

Come educatori, uomini e donne di scuola che da decenni lavorano a contatto con i giovani non possiamo che plaudire alle parole della preside di Firenze alla quale va tutta la nostra solidarietà e la nostra stima e ribadire il nostro dissenso nei confronti della violenza, in tutte le sue forme e in tutti i suoi colori.
Contrariamente a quanto afferma il Ministro noi crediamo invece che i presidi e i docenti abbiano non solo il diritto ma anche il dovere di indicare agli studenti e alle studentesse i rischi che gli episodi di violenza, ma anche l’indifferenza, possono nascondere.
A scuola non basta fare un’ora settimanale di educazione civica: per parlare di democrazia, di pace e di tolleranza ogni occasione può essere importante.

Ivrea, 23 febbraio 2023
Associazione Gessetti Colorati