Archivi categoria: NOTIZIE

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Concorso ispettivo: legulei ed esperti di contabilità dovranno accertare competenze socio-pedagogiche

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Mario Maviglia

A breve (la locuzione avverbiale “breve” nel lessico della burocrazia ministeriale ha un significato del tutto diverso dal linguaggio comune degli umani…) dovrebbe essere emanato il bando di concorso per l’assunzione a tempo indeterminato di 145 dirigenti tecnici con funzioni ispettive del Ministero dell’istruzione e del merito. Data la rarefazione di questo evento (paragonabile, nel nostro sistema politico-istituzionale, alla nomina, ogni sette anni, del Presidente della Repubblica…), l’attesa è quanto mai spasmodica, e infatti molti studi legali si stanno già organizzando per assistere efficacemente i candidati che verranno “bocciati” nell’inevitabile contenzioso che ne scaturirà.

Tutti si augurano, ovviamente, che le cose si svolgano nelle forme più regolari possibili per evitare ricorsi e contenziosi vari, ma siamo in Italia, patria del diritto, e insomma un contenzioso non lo si nega a nessuno.

C’è un aspetto che però i vari legulei forse non considereranno abbastanza nelle loro azioni legali (non si chiede alcun compenso per il suggerimento che ne facciamo qui…) e riguarda la correlazione (match, direbbero gli anglofoni) tra le competenze richieste per svolgere la funzione tecnico-ispettiva (per come si evince dalla bozza di Schema di Regolamento che il MIM ha trasmesso al CSPI per il previsto parere) e la composizione della Commissione giudicatrice del concorso (sempre secondo quanto previsto dallo Schema di Regolamento). Infatti, se si analizzano le competenze richieste ai candidati dirigenti tecnici, troviamo sei settori di competenze molto ben strutturati sul piano tecnico-professionale e che fanno riferimento essenzialmente ad ambiti di tipo socio-psico-pedagogico: a) competenze in ambito educativo, pedagogico e didattico; b) competenze finalizzate al sostegno, alla progettazione e al supporto dei processi formativi; c) competenze finalizzate a supportare il processo di valutazione e di autovalutazione delle istituzioni scolastiche; d) competenze – sotto il profilo tecnico-scientifico – nelle attività di analisi, studio, ricerca sui processi educativi nazionali e internazionali a supporto dell’Amministrazione; e) competenze nell’ambito degli accertamenti ispettivi, con particolare riferimento agli aspetti didattici, organizzativi, contabili e amministrativi, anche nell’ambito del monitoraggio, del controllo e della verifica della permanenza dei requisiti previsti per il funzionamento delle istituzioni scolastiche paritarie e delle scuole non paritarie; f) competenze nell’ambito relazionale.

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Meritocrazia, meritorietà, merito e scuola

di Cinzia Mion

Il sociologo Luca Ricolfi si è rifatto vivo con un libro, ‘La rivoluzione del merito’, in cui riprende le sue vecchie tesi sostenendo “che le politiche egalitarie e iper-inclusive nella scuola abbiano danneggiato i figli dei ceti più poveri, privandoli dell’ opportunità di utilizzare il merito scolastico come strumento di competizione”(Tuttoscuola).
Rispolveriamo allora l’argomento che da un po’ di tempo ha ripreso fiato.
Che il nostro sia il paese delle raccomandazioni, delle clientele, del familismo amorale, delle caste, delle oligarchie, delle corporazioni e della mafie non abbiamo dovuto aspettare Roger Abravanel con il suo famoso saggio “Meritocrazia”, per scoprirlo!
Semmai lui ha rigirato il coltello nella piaga per farci sentire, giustamente, inadeguati, vergognosi e con una gran voglia di riscatto.
Siamo tutti d’accordo finché si invoca in Italia la carenza della valorizzazione del “merito”, al fine di attivare il cambiamento invocando un vero e proprio moto di orgoglio. Tale valorizzazione deve avvenire all’interno dell’economia italiana e deve inoltre far emergere la necessità di produrre leader eccellenti sia nel settore pubblico che in quello privato.
Siamo anche d’accordo che “il circolo vizioso del demerito” ha condotto ad una società basata sulla cooptazione anziché sulle competenze. Osserviamo anche che tale dinamica si fonda su fedeltà amicali e familiari, su vari “cerchi magici” che in cambio di sudditanza garantiscono privilegi, malcostume che come ben sappiamo sta maramaldeggiando dentro a partiti ed ora perfino nelle associazioni professionali .
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Scuola: sorvegliare e punire. Problemi complessi, risposte semplici

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Mario Maviglia

Nel recente decreto Caivano, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 settembre scorso per contrastare il disagio giovanile e la criminalità minorile, vi sono alcune misure che riguardano anche la scuola e i minori. In particolare, viene introdotta la pena fino a due anni di reclusione nei confronti di quei genitori che si rendono responsabili dell’abbandono scolastico dei figli; gli stessi genitori possono andare incontro anche alla revoca dell’assegno di inclusione, qualora destinatari. Com’è noto, attualmente i genitori che si rendono responsabili dell’evasione scolastica dei figli rischiano un’ammenda di 30 euro, come previsto dall’art. 731 del codice penale.

Una vasta letteratura (anche ministeriale) ha dimostrato che i fenomeni di abbandono scolastico nascono in quelle situazioni caratterizzate da degrado sociale, economico e culturale all’interno delle quali le figure che dovrebbero esercitare una funzione educativa di guida e di sostegno ai ragazzi nel loro sviluppo di crescita (i genitori, in primo luogo) non appaiono in grado di assolvere adeguatamente a tale compito. Pensare che un inasprimento delle pene previste possa risolvere o attenuare un problema così complesso è pura utopia, o, forse più correttamente, astuta demagogia.

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Ciao maschio …

di Cinzia Mion

Il recente femminicidio che ha visto come vittima una ragazza di 29 anni incinta di sette mesi, di nome Giulia, ha sconvolto il Paese e non solo. Al di là dell’attenzione morbosa che ha suscitato questo evento, dobbiamo sapere che dopo ne sono successi altri e che le statistiche affermano che per mano di un uomo muore una donna ogni tre giorni.

Il femminicidio è un termine specifico che definisce in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro manifestazioni, per motivi legati al genere. Quasi sempre ad opera dei compagni o da parte soprattutto degli ex. Quante volte abbiamo sentito dire: lei lo lascia e lui l’ammazza!
Il termine “genere” sta ad indicare l’identità di genere su cui sarà necessario dare qualche delucidazione perché su questa definizione sono sorte moltissime deformazioni informative, quasi tutte in malafede. Lasciamo da parte per ora il tema dell’orientamento sessuale e quello della “disforia di genere” altrimenti mettiamo troppa carne al fuoco. Ne riparleremo se vi interessa. E tralasciamo anche il problema orripilante degli stupri che richiede un capitolo a parte. Continua a leggere

Stupri e adolescenti: fine del maschio e infosfera

di Raffaele Iosa

Si parla molto in questi giorni di fine agosto di due terribili storie di  stupri che hanno coinvolto  maschi adolescenti verso ragazze coetanee  fino al limite di bambine (10 e 12 anni). Ne parla la politica, le televisioni grondano  di dibattiti non sempre equilibrati.  Ma non c’è  occasione (informativa o politica) nella quale oltre alle analisi sui luoghi  (in genere “aree a rischio degradate”),  oltre lo  scandalo di registrare e girare via web gli stupri ottenendo migliaia (pare) di giovanissimi guardoni, oltre a tutto questo viene sempre la domanda e la lamentazione: “E la scuola cosa fa?” Cosa potrebbe fare?”.

Di questo vorrei un po’ riflettere qui, perché (che si voglia o meno) la “domanda di scuola educativa” pare stavolta oggetto condiviso come “luogo utile” a formare diversamente i nostri giovani sui costumi  quando questi  sono  così  gravi e sconcertanti.
E sui quali non c’è dubbio che il tema non sia quello banale di una scolastica  “educazione sessuale”, ma di una più complessa “educazione all’affettività e alla relazione”, che innerva la vita quotidiana dei nostri bambini e giovani oltre la sessualità in senso stretto. E che, naturalmente, parte dall’educazione familiare (su cui molti sono i guai del presente), ma che poi potrebbe trovare nella scuola un luogo  di “comunità” che si auto-educa  agendo su valori positivi  realizzati non solo a parole (e certo non con le prediche)  ma nell’agire quotidiano della vita della scuola. Continua a leggere

Generale Vannacci, Luca Ricolfi lo difende

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di CinZia Mion

Lettera aperta a Luca Ricolfi.

Mi ha colpito moltissimo, prof. Ricolfi, il suo intervento apparso sul Gazzettino il 25 agosto dal titolo “Quale potere può limitare la libertà di pensiero”.
Il riferimento è presto detto: il caso del generale Vannacci.

Dopo una dotta introduzione in cui lei ha addirittura fatto riferimento al concetto hegeliano di “eterogenesi dei fini” (che stringi stringi non significa altro che ottenere risultati opposti a quelli desiderati) lei entra nel merito della sua tesi.
Le dico subito che se non si fosse già esposto con un saggio sulla Scuola, insieme alla moglie, la prof.ssa Mastrocola, probabilmente non avrei letto l’articolo.
Non ero d’accordo con la vostra tesi espressa in quel saggio e non sono d’accordo con quello che ha argomentato lei a lungo in difesa di Vannacci, nell’articolo succitato.
Mi presento: sono un’anziana dirigente scolastica che ha speso la vita molto oltre all’età della pensione per la Scuola. Non per la scuola elitaria come fate voi, ma per la scuola più difficile, quella faticosa che richiede passione, non solo per il Sapere, ma passione per i ragazzi, anche quelli caratterizzati da “povertà educativa”, quelli che hanno bisogno di docenti motivati profondamente e indefessamente alla ricerca della didattica più adeguata per farli arrivare non solo all’apprendimento ma al piacere della “comprensione”, a quell’effetto illuminante che io descrivo come brivido mentale.
Ma ritorniamo più pedestremente alla questione del “Generale” e al suo diritto a dire quello che pensa. Continua a leggere

Diplomi facili e lacrime di coccodrillo

di Mario Maviglia

Puntuale come un orologio atomico di ultima generazione, ogni anno, a conclusione degli esami di Stato, scopriamo che alcuni istituti paritari registrano un andamento anomalo nel numero di diplomati. Una sorta di bolla speculativa ciclica, ampiamente prevedibile, drammaticamente tollerata. Il fenomeno è ben noto ed esiste da decenni; io stesso (quando ero in servizio come ispettore scolastico) presi parte come consulente tecnico, nel 2004, all’operazione “Diplomi no problem”, coordinata a livello nazionale dalla Procura di Verona (magistrato Papalia) e coadiuvai gli inquirenti ad Agrigento nell’indagine che interessò una delle 32 scuole superiori oggetto di indagine in tutta Italia.
Ecco perché è quasi commovente la meraviglia con cui i vari commentatori ancora oggi presentano notizie simili e desta empatica vicinanza la rituale promessa del Ministro di porre fine allo scandalo[1].

La rivista Tuttoscuola[2] dà un resoconto ben documentato di quanto è successo quest’anno in occasione degli esami di Stato 2023. I risultati sono stati ripresi dal quotidiano Repubblica[3], soprattutto in riferimento alla particolare situazione di alcuni istituti paritari della Campania, e segnatamente di Napoli.
Il meccanismo è molto semplice e, peraltro, del tutto legittimo, oltre che ampiamente noto. In sostanza, nel passaggio dalla classe quarta alla classe quinta (ossia, la classe terminale del secondo ciclo di istruzione) alcuni istituti paritari registrano un andamento del tutto anomalo nelle iscrizioni (la bolla speculativa di cui sopra).
In particolare, Tuttoscuola ha individuato 92 istituti paritari (che rappresentano il 6,5% dei 1.423 istituti paritari che portano studenti all’esame di maturità) dove gli iscritti tra il quarto e il quinto anno registrano incrementi che vanno da +1.500% a +6.800%. (Avete letto bene! Da  1.500 a  6.800% in più di incremento). Continua a leggere