Lucia Borgonzoni al Ministero della Cultura è un’ottima scelta: vi spiego perché

di Mario Maviglia

Gentile Presidente del Consiglio,

molti connazionali hanno avuto da ridire sulla nomina della senatrice Lucia Borgonzoni della Lega a Sottosegretaria alla Cultura.
Sì, certo, la signora in questione, nella puntata del 28/06/2018 della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, aveva candidamente affermato che non leggeva un libro da tre anni (per la cronaca, ultimo libro letto Il Castello di Kafka)[1], ma nessuno dei connazionali ha colto la sottile e quasi machiavellica mossa che ha portato alla decisione della nomina della senatrice a quel prestigioso incarico e che lei, Gentile Presidente, ha avallato.
Cerchiamo di spiegare ai lettori cosa c’è dietro. Sicuramente non le sarà sfuggito, Gentile Presidente, che in Italia si legge poco, come peraltro è facile verificare raccogliendo dati in rete[2].
Ma chi può contrastare questa tendenza così deleteria per il progresso civile e culturale del Paese se non una persona che legge poco a sua volta! Qui sta la trovata geniale della nomina della senatrice Borgonzoni a Sottosegretaria.
Infatti solo la senatrice può comprendere empaticamente dall’interno i meccanismi di difesa che vengono messi in atto nei confronti della lettura; può decodificare gli stati psico-cognitivi che spingono tanti italiani a non leggere; può fornire un repertorio fattuale ed empirico delle ragioni del disamore verso la lettura.

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Un economista al comando della scuola. Quando toccherà ad un pedagogista?

di Raimondo Giunta

UNA NUOVA DISCIPLINA

Il nuovo ministro è un nome dell’economia dell’istruzione ed è stato assessore regionale all’istruzione nella Regione Emilia-Romagna. Ogni ministro si porta appresso il proprio bagaglio di cultura, di esperienze e di specifica professionalità. Il bagaglio dell’economia dell’istruzione non è di quelli che si può lasciare a casa ed è molto ingombrante.
Questo ramo dell’economia politica viene fuori con forza dalle riflessioni sulla crisi fiscale dello Stato negli anni ’70 e anche in Italia ha cominciato ad avere i suoi cultori.
Nel DNA di questa disciplina c’è l’impulso a rendere efficiente la spesa pubblica per l’istruzione e soprattutto c’è la preoccupazione a non ad aumentare.
Si è cominciato a dire, proprio perché c’è la crisi fiscale dello Stato, che non è più sostenibile la pretesa di pensare che la composizione della spesa pubblica non debba cambiare e che debba solo crescere. Le risorse per l’istruzione che bisogna strappare all’avidità di altri reparti dello Stato devono essere spese bene, senza sprechi, in modo efficace e ogni innovazione, così come il mantenimento dell’esistente, devono essere sottoposti ad una rigorosa analisi dei costi.
Anche il diritto allo studio e alla formazione, come il necessario prolungamento dell’obbligo scolastico non possono e non devono essere esclusi da una ricerca approfondita di questo genere. Potrebbero non essere inviolabili come si crede. . .
Ma già nei primi tempi qualche dubbio sulle pretese di questa disciplina incominciò a circolare.
In un saggio esemplare per chiarezza e profondità di analisi pubblicato nel n.  239 del quindicinale CENSIS del Febbraio ’76,  U.  Trivellato, che è stato sempre un grande esperto di problemi scolastici e anche Rettore della Facoltà di Statistica a Padova,  indicava le notevoli difficoltà analitiche nel definire l’impiego ottimale delle risorse in campo educativo.
“Queste sorgono già nell’identificazione di una metrica comune delle variabili influenti sul prodotto scolastico; emergono nella valutazione delle relazioni fra output e input per individuare la combinazione efficiente di fattori e permangono nella determinazione delle soglie dimensionali e dei criteri organizzativi per l’impiego efficiente dei fattori”.

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Didattica a distanza, docenti e pandemia.

di Francesco Rocchi

In quanto membro del gruppo “Condorcet-ripensare la scuola”, che per primo ha proposto la rimodulazione dell’anno scolastico, seguo con particolare interesse il dibattito pubblico intorno alla proposta ventilata da Mario Draghi di portare la chiusura dell’anno scolastico a fine giugno, a causa evidentemente dei danni portati dalla pandemia.

Per ora Draghi non ha detto nulla di preciso, ma per quanto riguarda quella di Condorcet, è da novembre che mi confronto con colleghi e addetti ai lavori. L’ostilità di queste ore, quindi, non mi giunge nuova. Oltre a cercare di convincere gli scettici, però, è importante per me sottolineare che la questione del calendario, pur centrale, non è isolata.

Fin dai suoi inizi, la pandemia è stata, ed è, una sorta di violento stress test che ci sta costringendo, nostro malgrado, a ripensare numerosi elementi del nostro lavoro. Cosa è emerso dal mondo degli insegnanti italiani in questi mesi? Come è stata affrontata dai docenti italiani questa battaglia? E’ di questo che vorrei occuparmi qui, pur consapevole tutti i limiti che un tale quadro complessivo del genere comporta.

Capitolo I: primavera 2020

La didattica a distanza (DAD d’ora in avanti) prima di marzo scorso non esisteva. Poi, da un giorno all’altro, è diventata l’unico canale attraverso il quale la scuola pubblica italiana ha potuto continuare ad esistere. Per i docenti non c’era un chiaro inquadramento contrattuale, nessuna obbligatorietà e, almeno all’inizio, nessun regolamento. Nessuna formazione specifica era mai stata fatta per qualcosa che nessuno s’era mai immaginato.
In questo frangente i tre sindacati confederali, sia pure con sfumature diverse, sottolineano tutti l’eccezionalità della DAD e ne denunciano i limiti, ribadendo di contro il valore della didattica in presenza. La nota 388 del governo, con cui si cerca di disciplinare e indirizzare la DAD, viene respinta dai sindacati confederali, che la considerano illegittima.

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Banchi a rotelle, l’inutile discussione politica. Leggiamo i dati

di Gianfranco Scialpi

Banchi a rotelle, la Ministra Azzolina accusata di inefficienza nell’acquisto dei banchi a rotelle. Sono una minima parte e comunque richiesti dalle scuole. Le critiche di un’opposizione (e non solo) che nel 2008 votò a favore dell’inaccettabile Riforma Gelmini.

Banchi a rotelle, l’accusa alla Ministra Azzolina

Banchi a rotelle, il tema del loro acquisto rappresenta un mantra per l’opposizione che nel 2008 votò la Riforma Gelmini. Continuamente M. Salvini, G. Meloni e qualche esponente di FI accusano la Ministra di un acquisto inutile. “Vorrei comprare banco a rotelle per andare al ministero a licenziare Azzolina” Con tutti i problemi che abbiamo il genio Azzolina vuol far comprare i banchi a rotelle.  Non vedo l’ora di comprarne uno per andare al ministero a licenziarla. (M. Salvini, 24 luglio). ” Azzolina non aveva altre idee che spendere milioni di euro per banchi a rotelle inutili (G. Meloni, 26 agosto).

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Torniamo a scuola senza pasticci, con la didattica in presenza

di Cosimo Quero

Torniamo a scuola senza pasticci, di natura amministrativa e organizzativa.
Torniamo a scuola , per la didattica in presenza, nelle sedi scolastiche.
Riconosciamo che la DAD ha risolto in qualche modo l’emergenza scolastica determinata dalla pandemia.
Ora, la scienza medica è in grado di risolvere eventuali problemi di contagio, nelle singole sedi scolastiche, ove si verificassero.
Ormai la didattica a distanza ha esaurito la sua funzione; non è più adeguata; ha determinato notevoli “diseguaglianze educative”.
L’assunto di quanto propongo: il secondo turno delle lezioni non ha mai “danneggiato” nessuno.
Ho diretto in passato una scuola primaria che aveva trenta classi di secondo turno, di pomeriggio.
Gli alunni del secondo turno, agli esami finali, non dimostrarono insufficienze formative rispetto ai compagni delle classi di primo turno.
Dal 7 gennaio 2021 gli studenti devono tornare a scuola per la didattica in presenza.

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La Ministra come non la penseresti mai

a cura di Aristarco Ammazzacaffé

Appunti di un suo probabile colloquio confidenziale con una amica-collega di Siracusa, fatti recapitare clandestinamente e in esclusiva ad Aristarco Ammazzacaffè.

Location: Ministero dell’Istruzione, Viale Trastevere, Roma
Data da convenire
(Accoglienza affettuosa da parte della Ministra. Convenevoli iniziali da amiche di lunga data. Toni sereni e confidenziali)

Lucia, ma la storia del rientro a scuola dei ragazzi delle Superiori com’è? non si capisce ancora molto: le scuole svolgeranno attività didattiche in presenza per 75% dei loro studenti; e per arrivare al 100% bisognerà ricorrere alla DDI? È proprio così?

Questa posso dirti di averla capita abbastanza. Te la chiarisco e spero di non sbagliarmi, perché la formulazione del Decreto, lì per lì, qualche interrogativo lo pone. Risponderei così: dal 7 gennaio, il 75% degli studenti di un Istituto seguirà le attività in presenza, sostanzialmente con tipologie didattiche pre-covid; ma con funzionamento dell’orario e consistenza delle classi variabile. E questo per garantire la famosa sicurezza. Il 25%, le attività le seguirà con video lezioni – collegandosi da casa con la rete -; attraverso quindi una didattica che abbiamo chiamata Digitale Integrata (DDI).
Queste video–lezioni integreranno le lezioni fatte in presenza. 75% + 25% fa 100%. Giusto, no? Tutta la popolazione scolastica dell’Istituto ci rientra in pieno. È chiaro adesso?

Mah; diciamo più o meno. Il recente decreto sulla Didattica Digitale Integrata sembrava prospettasse un rinnovamento della didattica tradizionale attraverso una sua integrazione con la didattica digitale. Non era così? Non è così?

È un pensiero come un altro. In effetti l’interpretazione è possibile. Ma non so se è quella giusta. Anzi, penso di no. Provo a spiegarmi. Al fondo della decisione di fare un Decreto sulla Didattica Digitale Integrata c’è il fatto che la Didattica a distanza già da maggio non era più in. Si chiedeva da varie parti, e a gran voce, il ritorno a scuola per tutti; e particolarmente per le classi della Primaria e delle Medie.
In quel periodo (e, se è per questo, anche prima e dopo), tutti se la prendevano con me per il lockdown e per il mal funzionamento della DaD. E c’era anche il confronto con l’Europa: eravamo gli unici a aver chiuso le scuole definitivamente e per ogni ordine e grado.
Da qui la pioggia di critiche feroci che mi è piovuta addosso da tutte le parti e il rischio forte per il mio ministero.
La trovata della Didattica Digitale Integrata nasce da qui, come anche il Decreto pronto già a fine giugno (ma registrato a fine agosto!). Il titolo, che avevo scelto io, modestamente, suonava opportunamente accattivante e innovativo (digitale e integrata sono due termini intriganti, che mi sono sempre piaciuti); e, nei discorsi sulla scuola, toglieva spazio e occasioni polemiche alla DaD di cui io ero allora vista come la paladina.
Però qualche dirigente – pensa un po’, un dirigente! – non ha gradito e ha parlato al riguardo di ‘specchietto per le allodole’. E qualche altro gli ha fatto eco – e in dibattito pubblico! – perfino con una battuta infamante, ‘E facimme ammuina’. Capisci? Ma si può? Questa sì, una vera infamità.

Comunque, per non sapere né leggere né scrivere, con il vento cambiato, anche io, come ben sai, ho cambiato la mia strategia complessiva e mi sono riproposta accortamente come la prima paladina della Scuola in presenza. E, coerentemente con questa impresa, mi sono poi buttata nella difesa degli Istituti scolastici come luoghi, sul piano sanitario, tra i più sicuri al mondo. Per dire.

Riconosco che hai saputo giocare bene. In verità, un po’ furbetta sei sempre stata. Toglimi ancora una curiosità sul Decreto: non sono riuscito a cogliere bene l’aggancio che tu prospetti della DDI con il rinnovamento complessivo della scuola. Ma quest’aggancio c’è veramente?

Al riguardo è necessaria una premessa: il decreto non l’ho scritto io; anche perché, a te lo posso dire, non avrei saputo da dove cominciare. Per certe cose bisogna essere preparati e capirle fino in fondo. Io l’ho ovviamente letto, ma più per dovere d’ufficio che altro. L’ha scritto, come sa chi è dentro a queste cose, il mio Capo Gabinetto, il dott. Bruschi, che, a infiocchettare le cose è molto bravo; e che ha opportunamente scritto un testo in cui il punto certo – per come l’ho letto io – è uno solo: impegnare le scuole – che pure avevano già, di loro, mille gatte da pelare – a elaborare il Piano scolastico per la Didattica Digitale Integrata. Questo per far capire che la DDI era una cosa importante. E mettendoci dentro indicazioni e linee guida che Dio solo sa cosa c’entrano con la Didattica digitale; ma comunque ben utili per riempire di parole il discorso. Bruschi in questo è, come ho già detto, bravissimo. Gli va dato merito.
Però, a dirla tutta, alcune volte si allarga un po’ troppo. Vedi la Nota di trasmissione dell’Ordinanza sulla valutazione per la Primaria: due pagine e mezzo e solo e soltanto per fare la sua bella figura con apprezzamenti di qua, consigli scontati di là, manco fosse il ministro. E io faccio finta di niente. D’altra parte, in questa situazione, una come me, davanti a Decreti e Ordinanze, che fa? Firma. Che può fare?

Non mi sembra, dalle cose che dici, che te la passi proprio benissimo. Mi spiace molto per te. Pensavo fossi in paradiso. Però io te lo avevo detto in tutta franchezza: – Guarda, Lucia, tu come insegnante ci sai fare. Sei brava. Ma per fare il ministro ci vogliono grosse competenze e conoscenza non superficiale di tutti gli ingarbugliamenti del sistema.
Già in una scuola di medie proporzioni come la nostra, sapevi che di problemi complicati ce n’erano ogni giorno. E, alcune volte, devi riconoscerlo, anche tu eri un problema, soprattutto per quella santa della nostra preside. Ti avevo detto di pensarci bene prima di accettare. Ma hai voluto fare di testa tua. E tu, la testa dura l’hai sempre avuta. Si vede, d’altra parte, che, nonostante la tua buona volontà e le tue fatiche, tutto il sistema – e lo sai anche tu – male andava e peggio va.
Ma toglimi ancora una curiosità sull’ultima ordinanza per le Superiori (Poi però riprendiamo a parlare di cose nostre, che è meglio). Il passaggio dell’Ordinanza che prevede di garantire l’attività didattica in presenza per il 75% degli studenti: come va tradotto? Voglio dire: con quali modalità possibili per le diverse situazioni? Ho sentite le proposte più varie e variopinte in proposito.

In tutta sincerità, per questi aspetti specifici meglio rivolgersi direttamente a Bruschi che li avrà probabilmente previsti.
Devo confessarti che faccio un grande sforzo a spiegare questo punto (è la ragione per cui finora non ho rilasciato nessuna intervista al riguardo); non è materia che padroneggio molto, l’avrai capito. Io mi trovo più a mio agio su cose concrete, come le operazioni sui banchi e sulle distanze di sicurezza, sia statiche che dinamiche (che non sono proprio la stessa cosa, come ho spiegato mille volte) o il famoso algoritmo sul distanziamento sicuro degli studenti in classe, che è un’autentica invenzione del mio ministero; apprezzatissimo in giro e dintorni.
Per questo, come sai, sono ancora adesso accusata addirittura di essermi interessata poco di aspetti più solidi come i trasporti, gli organici, la tracciabilità per la ripresa delle lezioni a settembre. Ma, per come mi conosci – e tu mi conosci – queste cose che c’entrano con me? Anche se poi io ci metto tutta la buona volontà di questo mondo. Il fatto è che non sono proprio portata; anche se poi devo fare buon viso a cattivo gioco. Ti assicuro però – e tu mi conosci bene – che, per senso del dovere, la mia parte l’ho sempre fatta tutta (Come continuo a ripetere, io lavoro notte e giorno e quest’anno non ho neanche fatto un giorno di ferie, dicono).
Come avrai notato, in questo periodo sono anche molto impegnata come ministra a mandare alle scuole messaggi positivi, attraverso foto che mi ritraggono in formato tessera e lo sguardo rivolto a destra, come nel dipinto di Jan Vermeer: La ragazza con l’orecchino di perla; ma, soprattutto, con diverse mascherine che mi sono fatto fare su misura. Non so a te, ma a me le mascherine che indosso piacciono molto; e due in modo particolare: quella con la scritta: io ho la scuola nel cuore (ovviamente in disegno e tutto rosso brillante) e l’altra: io cuore i miei studenti (dove cuore, sempre disegnato e rosso uguale, sta ovviamente per ‘amo’;). Pensa che quest’ultima mascherina – una curiosità – mi è valsa la lettera infuocata di uno studente di Quarta superiore che mi ha scritto che lui del mio cuore non sapeva che farsene; che già quello dei genitori gli bastava e avanzava; e che quella scritta sulla mascherina lui la considerava come una vera e propria molestia. Pensa! È l’età, capisco. Io poi gli ho telefonato – tu mi conosci – e tutto è finito bene. Gli ho addirittura lasciato il mio numero del ministero, nel caso. Ma sinceramente non so se ha gradito. Perché subito dopo è caduta la linea.

Ho visto le foto. Belle. Stai bene.
Ancora, scusami, una rassicurazione. Ho seguito il dibattito a tratti acceso sulla nuova valutazione nella Primaria. Si riuscirà a realizzare una svolta significativa?

Tu sai che questo non è un terreno che mi appassiona più di tanto. Sai che c’era un decreto che prevedeva il passaggio dal voto al giudizio descrittivo; bisognava fare un’ordinanza in tempo utile e noi l’abbiamo fatta, anche se il momento non è dei migliori: problemi di pandemia ancora preoccupanti e tempi strettissimi che ci separano dagli scrutini quadrimestrali di fine gennaio. Tu sai d’altra parte come la penso al riguardo. Però ti pregherei di non farne parola in giro. Una ministra non può contraddirsi su decreti e ordinanze che firma. Ma almeno a te lo posso dire: questa impalcatura del giudizio descrittivo non mi convince. Il vero unico strumento comunicativo, semplice efficace immediato e anche educativo, per me continua ad essere il voto, anche nella Primaria. Io penso ovviamente che la valutazione debba essere educativa. Ma cosa c’è di più educativo di un bel 4 quando il ragazzo merita 4 e 8 quando si merita 8? Il resto è letteratura. E poi, i voti ci sono da sempre stati. E ora vogliamo cambiarli? Mah!

Su questo non sei cambiata per niente rispetto a quando eravamo colleghe. A differenza di quello che pensavo io, quando se ne discuteva, tu tifavi sempre per i voti.

Comunque, adesso c’è questa novità e bisogna farla funzionare. Bruschi a queste cose ci crede, anche se pure lui fino a un certo punto. Certamente però non si può negare che è una complicazione in più per le scuole, per gli insegnanti e per le famiglie; e per me che dovrò vedermela con i Sindacati. Sono gatte da pelare.

Ma i problemi su questa novità – relativa, d’altra parte – e anche le polemiche sulle altre cose messe in campo, non devono buttarti giù. Non è che i tuoi predecessori, a conti fatti, se la sono cavata meglio. Hai presente Bussetti? E mi limito a lui. Io mi sono sempre domandata: Ma questo, dove l’hanno trovato? Per dire.
Ma, scusa, a proposito delle tue perplessità sui tempi per gli scrutini del primo quadrimestre: potevi proporre lo spostamento della prima applicazione al giudizio di fine anno. La ministra sei sempre tu, dopo tutto.

Ministra? Se se. [in napoletano. Sì, sì. Sfotti pure].
(Sorrisi a perdere, da vere amiche…..)

Contagi quante dichiarazioni al vento!

di Gianfranco Scialpi

Contagi a scuola, fioccano le dichiarazioni, spesso contraddittorie. In assenza dei dati è inevitabile.  La scienza lascia “il palcoscenico” alle chiacchiere.

Contagi a scuola, tutti dicono la loro!

Contagi a scuola, tutti rilasciano dichiarazioni. Purtroppo queste risultano non coerenti tra loro. Da una parte, ovviamente troviamo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, la Ministra Azzolina e molti componenti del CTS (Brusaferro, Miozzo, Locatelli…).
Essi confermano che i contagi a scuola sono d’importazione e comunque seguono l’andamento sociale.
Pochi giorni fa Agostino Miozzo ha dichiarato al Corriere della Sera (23.11.2020) : ”I dati ci dicono che i contagi in età scolastica non sono significativamente diversi da quelli di altre classi di età e non abbiamo evidenze per capire se siano avvenuti a scuola o fuori.”

L’OMS conferma la tesi “Le scuole devono restare aperte. I bambini e gli adolescenti non sono considerati fonti principali di trasmissione del coronavirus” (Il Fatto Quotidiano, 20.11.2020)
Sul versante opposto troviamo due tecnici: A. Crisanti e M. Galli.
Quest’ultimo ha dichiarato al Gazzettino:  “Abbiamo clamorosamente toppato il contenimento dell’infezione dopo il lockdown di marzo. Mi rendo conto che ci sono esigenze diverse come quella della scuola, importantissima, ma il riaprire troppo presto per richiudere sarebbe uno smacco ancora peggiore perché sarebbe costato qualcosa nel mezzo”.

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