Il caso Pioltello, ultima ora: cosa si dice davvero nel “palazzo”

di Aristarco Ammazzacaffé

I fatti, in primo luogo, come per ogni cronaca che si rispetti.
Il Collegio Docenti e il Consiglio dell’Istituto Comprensivo di Pioltello (Mi) – intitolata ad un ragazzo straniero, per giunta musulmano, Iqbad Masih – decidono, in perfetta complicità, lo stop alle lezioni il 10 aprile p.v.. E ciò per permettere alla comunità musulmana (quindi non solo non cattolica, ma neanche cristiana), di partecipare alla loro festività religiosa, il Ramadan. Senza minimamente pensare al rischio ben forte di cadere addirittura nell’apostasia.

Il ministro Valditara prontamente informato da Radio Maria e dai catto-leghisti lombardi, giustamente interviene con queste parole ascoltate e registrate personalmente: “Questa chiusura no, non s’ha da fare né il 10 aprile, né mai. Le delibere del Collegio docenti e del Consiglio di Istituto – scandisce, pacatamente alterato, che lo sentono anche a Piazzale Trilussa – sono irregolari, almeno per tutta questa legislatura. E questo perché – e qui diventa lapidario – una scuola seria non chiude, ma apre; anche a Natale, Pasqua ed Epifania, che tutte le feste si porta via; comprese quelle comandate ed estive (sulla frase in rima però ho qualche dubbio, che con onestà doverosamente dichiaro. Noi, di una certa parte, siamo fatti così.  Quelli dell’altra, se ne facciano una ragione).

“E questa scuola – tra l’altro intestata a uno che io neanche conosco (un vero insulto alle nostre passate glorie nazionali, conosciute in tutto il mondo: vere e proprie eccellenze del Made in Italy che tutti ci invidiano); questa scuola – dicevo vuole chiudere per la festa del Ramadan, pur essendo la peggiore in Lombardia.  Ben sappiamo, senza fare sociologismi di bassa lega, come funzionano questi Istituti con tutti questi immigrati, soprattutto musulmani.
Fossero almeno un po’ cristiani, se non proprio cattolici!”
Così l’equilibrata dichiarazione del Ministro.

Ma, tornando ai fatti più recenti, fino a quelli dell’ultima ora, va registrato purtroppo che, in quasi tutto il Paese, associazioni, intere scuole, centri culturali, maestri e studenti e dirigenti, eccetera eccetera, si sono schierati senza ritegno con una scuola incriminata, difendendo l’indifendibile delibera adottata.

Chiederete in base a quale principio.  Risposta univoca: in base a un presunto diritto all’accoglienza e al rispetto per le altrui identità. Cioè all’acqua fresca. E tirando in ballo, tra l’altro – l’ho sentito con queste mie stesse orecchie – anche l’autonomia scolastica e addirittura la Costituzione. Costituzione che in tanti, e tutti di una certa parte, se non la tirano in ballo anche quando si parla di zucchine e catalogne, non si sentono à la page.
Questa è l’umanità che sta facendo guerra al nostro Ministro: per dei musulmani che vogliono chiudere la scuola per il loro Ramadan!

Finanche la Curia ambrosiana – e questi sono fatti documentati – ha voluto dire la sua, anche se nessuno gliela ha chiesto; addirittura con parole di rispetto e di condivisione per la scelta della scuola fuori legge. Capite a cosa si arriva? E il Papa? Interviene o no? No, non interviene. Anche questa è cronaca vera e dolorosa. (Ma forse forse, a pensarci, se non interviene è anche meglio; sapendo già in partenza cosa potrebbe dire. E questo, un Papa…).

Interviene Mattarella e Valditara sbotta con i suoi fedelissimi: “Non c’è più religione”.

A tale pantomima si è accodato anche – ed è la vera notizia del giorno – anche il Presidente della Repubblica; al quale dobbiamo rispetto per l’età avanzata, ma che non può comunque permettersi di schierarsi con la delibera eversiva di questa scuola; e addirittura inviare un abbraccio – sì, un abbraccio! – a quelli che tale delibera hanno scritto e votato all’unanimità; e dichiarare addirittura, apertis verbis: “Apprezzo il vostro lavoro”. Inaudito! Anche questo abbiamo letto nella giornata di ieri.
No, Presidente. Queste son cose che non si dicono e non si fanno. Un Presidente della Repubblica italiana – mi permetta questa pacata considerazione comunque personale – non può, ricorrendo alla più penosa retorica sessantottina, parteggiare per chi – come la Vicepreside della scuola al centro della polemica –  osa affermare, senza vergognarsi, che all’Istituto Iqmad … (non riesco a pronunciarne il nome neanche sforzandomi. Vorrà pure dire qualcosa!) “non ci sono né italiani, né immigrati, ma solo bambini e ragazzi da istruire ed educare”. Un’autentica menzogna! Ma anche questo ho sentito e lo posso fedelmente testimoniare.

Meno male che, a far da muro contro questa cecità generalizzata, ci sono personaggi come il Governatore della Lombardia: mica un pisquano qualsiasi, come qualcuno potrebbe pensare. Parlo di Attilio Fontana che, a proposito della decisione della scuola, parla coraggiosamente di “una decisione fuori luogo”; o anche personalità come Riccardo De Corato, nientemeno deputato di Fratelli d’Italia e amico personale di Matteo Salvini (e non so se mi spiego). Il quale De Corato annuncia, senza essere imbeccato da nessuno, un’interrogazione al Ministro “per capire quali azioni intenda intraprendere a fronte di una scelta così inaccettabile” (della scuola incriminata). Testuale, perché non si dica.
Questo sì che è parlare franco, schietto e come Dio comanda.

Ma il Ministro, assediato com’è, che può dire – povero! – di fronte a tanto sfaldamento educativo, etico e religioso? Se non chiedere a persone amiche e fidate di esternare loro al suo posto, ma sempre con obiettività, a cui lui tiene molto, anche di domenica?

Questa cronaca, corretta e doverosa, vuole essere proprio una modesta ma sentita risposta al suo tacito appello.

 

 




Ma esiste ancora la laicità della scuola?


di Cinzia Mion

Il testo che segue non è recente, anzi è datato. L’aspetto sconvolgente però è che è ancora di estrema attualità.
Non ho cambiato una virgola. Potrebbe essere stato scritto stamattina dopo i fatti di Pioltello o di Altavilla (messa pasquale in orario scolastico) in cui ancora una volta è sotto assedio un dirigente scolastico che cerca solo di far rispettare la Legge.

 

 

 

Diceva Guido Calogero, in tempi non sospetti, e precisamente nel 1955, che la fondamentale legittimità della difesa della laicità della scuola consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in maniera insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui. D’altro, canto aggiunge sempre Calogero, il laicismo (parola che non ha un’accezione dispregiativa come si vuol far credere ultimamente) consiste nel fatto di non accettare mai, in nessun caso, l’organizzazione e l’esercizio di strumenti di pressione religiosa o politica o sociale o morale o economica o finanziaria al fine della diffusione di certe idee, e di procurare invece, sempre più, l’equilibrio della loro possibilità di dialogo individuale (G.Calogero “Che cosa vuol dire scuola laica?,in “Mondo”, dicembre 1955).

Calogero, noto come il filosofo del dialogo, fondatore con Aldo Capitini del movimento liberal-socialista è stato tra i protagonisti della cultura laica nel dopoguerra. Norberto Bobbio lo ha ricordato poco tempo prima di morire come suo maestro su la “Stampa” (21 dicembre 2001).

Oggi il laico, che voglia intraprendere tale dialogo con le gerarchie ecclesiastiche, si accorge subito che non è possibile perché queste si professano attualmente i custodi dell’ortodossia della ragione non solo filosofica, come è stato per secoli, ma anche della ragione scientifica, cioè della ragione applicata alle scienze naturali.
Scrive Gustavo Zagrebelsky, a tal proposito, che il dialogo tra la Chiesa e un non cattolico è impossibile perché quest’ultimo interlocutore, per le gerarchie, è “uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare, ma di cui si farebbe volentieri a meno” (da Repubblica 10 gennaio 2007: G.Zagrebelsky , Cosa pensa la Chiesa quando parla di dialogo?)

Di tale convinzione potrei portare testimonianza personale attraverso alcuni aneddoti significativi, che non è però il caso di trattare in questa sede, ma in cui espressamente mi è stato detto che una persona che crede ”vale” di più di una che non crede. L’altro giorno il vescovo di Terni ha affermato che un cattolico “è un laico con una marcia in più”!

Di fronte poi al sempre più accentuato e diretto atteggiamento interventista della Chiesa nelle vicende politiche italiane, tanto da far scrivere a Miriam Mafai, sei anni prima della sua scomparsa, un articolo allarmato dal titolo” L’assedio allo stato laico”(in Repubblica, 6 gennaio 2006): “…si sta offrendo da parte di politici particolarmente sensibili alla laicità (non ne sono rimasti molti per la verità) la questione se siano ancora presenti le condizioni concrete di vigenza del Concordato, minato nelle sue basi di legittimità”

La revisione infatti di quest’ultimo, correva l’anno 1984, ricordava solennemente nel preambolo, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla Costituzione (tra cui la laicità dello Stato), e da parte della Santa Sede le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti tra la Chiesa e la comunità politica.

Scrive Zagrebelsky che un mutamento d’identità dell’uno o dell’altro contraente, contro la Costituzione o contro la dottrina del Concilio, travolgerebbe il Concordato, corrodendone le basi di legittimità.

Laicità della scuola statale

Per chi dovesse nutrire ancora dei dubbi sulla laicità dello stato, e di conseguenza della scuola statale, ricordo la sentenza della Corte Costituzionale del ’11 e 12 aprile 1989 che, interrogata proprio in materia scolastica, si pronuncia in modo incontrovertibile affermando: “I valori richiamati (att.2, 3, 19) concorrono con altri ( art.7, 8, 20 della Costituzione) a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma dello Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica.

Nessuno pensa o afferma che la Chiesa non possa pronunciarsi in qualsiasi materia per enunciare i suoi principi cristiani ma queste pronunce sono destinate alla coscienza dei credenti. Allorquando queste abbiano la pretesa di condizionare i comportamenti dei politici dello Stato italiano siamo di fronte ad una ingerenza che viola i principi del Concordato. C’è da chiedersi semmai di quale tempra siano quei politici che ostentando opportunismo sono pronti ad asservirsi, facendo finta di non rendersi conto che insieme ai molti privilegi riconosciuti dal Concordato alla Chiesa, si permette a questa una ingerenza arrogante anche all’interno della scuola..

Da parte infatti delle gerarchie ecclesiastiche viene richiesto l’appoggio politico per tali comportamenti, approfittando della sudditanza morale di alcuni nostri rappresentanti che non sanno più riconoscere l’orgoglio della cittadinanza e da tempo non assaporano la fierezza che dona il “tener la schiena dritta”.  Quasi sempre tale prassi si accompagna alla strumentalizzazione dei genitori che ignorano la normativa e ci si scandalizza di fronte alla resistenza di qualche dirigente scolastico che non si lascia manipolare e si oppone alle ingerenze.

Mi riferisco ai recenti fatti accaduti in Italia su cui la stampa si è fiondata, dimostrando una ignoranza colpevole, a proposito della richiesta di alcuni parroci o vescovi di venire in orario scolastico nelle nostre classi ad elargire atti di culto (benedizioni, recitazione di preghiere, messe d’inizio anno o di fine anno, visite pastorali camuffate da incontri neutri, ecc)

Ora noi persone di scuola sappiamo benissimo, ed ancora meglio lo sanno i Vicari Diocesani, che però ci mettono alla prova per saggiare la nostra tempra, che con la revisione del Concordato questi atti di culto sono stati banditi dalla scuola che invece ospita le famose ore facoltative di “cultura religiosa”.
Io penso che sia grave violare una legge pattizia.
Penso anche che se viene fatto, cercando di circuire le persone dotate di un fragile senso dello Stato o di una indifferenza che privilegia il quieto vivere, come minimo ciò deve avere un prezzo.

Si vuole non riconoscere più il Concordato? Lo si faccia, tanto è ormai svuotato del suo significato da ambo le parti. Il mio timore è che con l’aria che tira possa venire legittimata ancora di più la cosiddetta potestas indirecta del tempo della Controriforma, introdotta dall’allora cardinale Bellarmino, che rendeva lecita l’ingerenza della Chiesa sulla competenza dello Stato, ogni volta che questa ravvisasse una ragione religiosa .

Mi sbaglio o queste affermazioni le abbiamo ri-sentite di recente?
Riuscirà il nuovo papa, già noto per il suo anticonformismo, ad invertire la rotta?

L’etica del limite

Io credo che alcuni dei conflitti di tipo politico-religioso, oppure scaturenti da contrapposizione tra schieramenti politici, caratterizzati oggi da alcuni rigurgiti volgari e chiaramente esorbitanti dalla comune modalità di un dialogo civile, anche se acceso, siano tutte situazioni che continuano ad avvitarsi su se stesse perchè è venuta a mancare l’etica del limite.
L’etica del limite intesa nel senso sia dell’autocontenimento ma anche della categoria dei confini.

 Il neonato evolve verso il riconoscimento di sé nella misura in cui impara a separarsi dalla madre. Nella misura in cui, attraverso un processo di separazione-individuazione, comincia a percepire se stesso ed i suoi confini, che all’inizio saranno solo corporei, poi un po’ alla volta saranno sempre più riconducibili al sé vero e proprio, tale perché diverso dall’altro da sé.

Tutte le relazioni interpersonali dovranno poi, pena il rischio della simbiosi, deleteria e minacciosa per il sè, essere contraddistinte da questi famosi confini tra sé e l’altro.
Confini che non dovranno essere impermeabili o troppo rigidi altrimenti è in agguato una qualche forma di autismo o l’indifferenza verso l’altro oppure, speciale malattia dei nostri tempi, il narcisismo patologico.

Mi riferisco al sé grandioso che si autoesalta e perde di vista non solo l’altro ma anche la realtà (come sta accadendo a livello apicale della politica…)
Siamo di fronte pur sempre ad un problema di mancanza di confini o di assenza di limiti.
Questo per quanto attiene l’aspetto soggettivo, individuale.

Accennavo prima all’ autocontenimento, mi riferisco a quello mentale.
Per esempio anche  l’adolescente che non rileva i limiti della  sua trasgressione, (quale trasgressione può essere accettabile quale invece va oltre i limiti) non è in grado di attivare un autocontenimento mentale il più delle volte perché i genitori, a loro volta, non lo hanno contenuto mentalmente quando, nella fase dell’opposizione (dai 18 mesi in poi) , incapaci di offrire un solido e valido contenimento mentale alla rabbia del piccolo sono andati in tilt  temendo il conflitto con un bambino di meno di due anni.

Oggi i protagonisti dei conflitti alla ribalta sono però tutti adulti, vaccinati e responsabili più della gente comune perché quasi sempre ricoprono cariche pubbliche.
Il problema, come dicevamo, è anche quello che osserviamo nello scenario della politica dove le gerarchie ecclesiastiche  esorbitano  dai loro confini, non con messaggi spirituali, sempre ben accetti,  ma come ingerenza vera e propria,  condizionando le decisioni  politico-civili,  forzando le scelte attraverso lo spauracchio della sottrazione del consenso (problema questo, ahimè, che denota un tasto debole oggi della democrazia), e  scendendo  in campo invadendo i confini dettati dalle norme concordatarie che  regolano l’espressione della religione nelle istituzioni pubbliche.

Come già ripreso all’inizio del presente contributo, mi riferisco soprattutto alla scuola e alle polemiche sull’ora di religione, sui crocifissi, sulle funzioni religiose e benedizioni in orario scolastico, ecc.
La via che si segue è quella della strumentalizzazione del senso comune della gente che può non sapere che la Costituzione ha trasformato uno stato confessionale in una Repubblica democratica laica- e la Scuola è una istituzione della Repubblica- che può non sapere che la revisione del Concordato tra Stato e Chiesa ha rivisto le norme che regolano la religione a scuola, che può non sapere quali sono i confini tra religioso e culturale, tra sacro e non sacro, tra tradizione e consuetudine, tra innovazione e cambiamento.

 C’è però chi questa distinzione la conosce e sono i soggetti che ricoprono una carica pubblica (altrimenti chi ha permesso loro di accedere a ricoprirla?) e se queste persone non intervengono a spiegare ai portatori di “senso comune “ – che non sono tenute ad avere le idee chiare,  ma hanno il diritto ad  avere qualcuno che gliele chiarisca – quale confine esista tra i termini del problema, significa che manca l’etica pubblica in generale,  in questo caso l’etica del limite.

L’etica del limite che dovrebbe impedire che si strombazzino tali macroscopiche falsità,  (Mario Pirani  parla della “Perdita della verità”) che si sobilli impunemente la gente, che si permetta, anzi si faccia in modo, che questa  rimanga nell’ignoranza (nel senso dell’ignorare) pur di cavalcare umori discutibili,  che si attivino trasmissioni televisive nell’orario di maggiore ascolto,  come il primo pomeriggio della domenica (sia tv pubblica che privata…) invitando i più sciamannati (incrocio tra sciamano e scalmanato…!)  che in questo momento si rendono disponibili a parlare (pardon ad urlare) a favore, per esempio del crocifisso, con un pubblico che accompagna il tutto con un tifo da stadio.

La questione che ancora qualche sindaco leghista sta cavalcando, nell’ignoranza generale purtroppo, anzi nell’indifferenza generale, è quella appunto del crocefisso.

Non si ascoltano i teologi che si affannano a spiegare che il crocifisso non può essere definito semplice simbolo culturale ma che per la religione cristiana (la croce) e per la religione cattolica (il Cristo in croce) non sono solo simbolo religioso ma la quintessenza delle religioni cristiane.
Questi sono i confini che andrebbero rispettati se si avesse l’etica del limite.

Ha ragione U.Galimberti  che afferma che oggi  abbiamo de-sacralizzato il sacro?
E che dire delle stesse gerarchie ecclesiastiche che permettono, e qualche volta si fanno veicolo, di questa de-sacralizzazione come quando appoggiano chi dice, a proposito della benedizione a scuola, che in fondo “dura solitamente pochissimi minuti e non richiede particolari preparativi, né lascia tracce visibili”? (vedi sentenza del TAR Umbria 677 del 30 dicembre 2005).
Se si toglie alla religione il senso del “rito” e del “simbolo” cosa rimane di essa?

Il problema è proprio questo: che pur di “marcare” il territorio, pur di farne una questione di potere (anche qui varcare i confini per affermare se stessi attraverso un simbolo usato spesso come una vera e propria  clava) molti sono disponibili a declassare il crocifisso a simbolo culturale o peggio ad annoverarlo tra gli arredi oppure ad affermare “c’è sempre stato, che male c’è, svalutando talmente la sua presenza tanto da non farlo emergere dallo sfondo: geroglifico sul muro ormai dimenticato.
Mi chiedo se chi crede veramente sia così disponibile a tollerare tutta questa pesante strumentalizzazione in nome del crocifisso, senza sentirsi dolorosamente un po’ ferito come quell’uomo in croce.
Cosa dovrà ancora succedere in nome del potere e del consenso, carpito sulla buona fede della gente semplice, perché possa farsi sentire con voce forte l’etica del limite?

Differenza tra identità e identificazione

La cultura religiosa, che viene collocata nell’ambito della scuola, si presume che venga patrocinata per realizzare unidentità forte e coesa ispirata ai valori religiosi della religione della maggioranza del Paese.
Per quanto attiene tale obiettivo bisogna però individuare la differenza tra “identificazione” ed “Identità” facendo ricorso alla psicologia che individua l’identificazione come un percorso che sostiene il primo nucleo della crescita personale che poggia sulla somiglianza, ed un secondo momento che poggia invece sulla differenza, ineludibile per il passaggio autentico all’identità.
Anche l’identità sessuale obbedisce a questo processo: identificazione con lo stesso sesso e differenziazione dal sesso opposto.

E.Erikson afferma che l’acquisizione di un’identità, sia sociale che psicologica, sia un processo complesso che comporta una definizione per somiglianza con certuni e per differenza con altri.
L’identificazione è invece un processo più debole perché dettato dalla dipendenza e dalla ricerca dell’assimilazione; l’identità invece implica una maturazione più solida e consapevole, in grado di argomentare i motivi della posizione assunta.
Vogliamo un risultato solido, in grado di reggere agli urti della cultura post-moderna oppure una assimilazione identificatoria, prodotto inconsapevole dell’etnocentrismo culturale?
Se questa è la base della maturazione dell’identità nessuno dovrebbe opporsi alla inclusione, tra le materie obbligatorie per tutti, di una disciplina che solleciti la conoscenza delle principali religioni (le tre grandi monoteiste ma anche quelle principali del mondo indiano e cinese) che potrebbe andare sotto la denominazione di “conoscenza dei fatti religiosi”, come aveva previsto in un primo tempo la commissione incaricata di realizzare i Nuovi Programmi per la scuola elementare (1982-84), ma che dopo la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli” ha dovuto, a maggioranza, cedere il passo a ”religione” ineludibilmente solo cattolica, con i conflitti successivi che tutti conosciamo.
La nostra ignoranza per quanto attiene le altre religioni è abissale ed in una società multietnica, multiculturale e multi religiosa, sottovalutare questo aspetto è colpevole oltreché stupido, perché sottrae occasioni di autentico confronto riducendo tutto soltanto alla sollecitazione del consenso.

Questo depotenziamento delle occasioni di dialogo interreligioso appare inoltre rischioso nei confronti della creazione di un terreno facilmente occupabile da vecchi e nuovi fondamentalismi.
Soltanto chi persegue il proselitismo può temere il confronto ma allora non si parli di identità ma soltanto di identificazione.
Questa posizione è anche di chi crede di essere aperto e democratico se propone l’ora di religione musulmana, fra l’altro garantendo in questo modo che non venga toccato il peso che ha oggi la religione cattolica nella scuola italiana.

Orario della lezione di religione

Sulla questione dell’orario è presto detto: come si fa a sostenere che una disciplina facoltativa, i cui programmi sono realizzati non dallo Stato italiano, ma dalla Cei, che quindi non riguarda, come tutti i programmi scolastici, l’ambito della conoscenza, ma quello delle scelte confessionali, e quindi attiene ai dati sensibili, venga lasciata dentro all’orario obbligatorio delle lezioni?
Non mi si venga a dire che si tratta solo di cultura religiosa aconfessionale (perché allora i docenti devono avere l’approvazione del vicario diocesano?)
Nessuno si è posto la questione della disparità di trattamento nei confronti di chi non si avvale?

E non mi si venga a dire che ci sono le attività alternative, attività quasi subito svalorizzate, ridotte a qualcosa di insignificante o addirittura sparite senza che nessuno invochi più la par condicio come è avvenuto, nel senso contrario però  all’inizio (vedi la circolare ministeriale che negli anni successivi alla revisione del concordato diffidava dall’assegnare queste attività a docenti della classe per timore che gli studenti che le sceglievano venissero avvantaggiati rispetto a quelli che avevano invece optato per la religione cattolica, dimenticando che alla scuola elementare spesso erano gli stessi insegnanti di classe che con il benestare della Curia potevano farlo, senza che nessuno gridasse che non c’era par condicio!!!)

Il problema notevole consiste nel fatto che è stato addirittura il Consiglio di Stato, con una decisione come spesso avviene prona ai voleri del governo di turno, a sua volta timoroso del Vaticano, (nessuno si salva!), a legittimare la scelta di tenere dentro all’orario obbligatorio questa disciplina facoltativa. Secondo me sta qui il bubbone ma si capisce che ciò tocca interessi macroscopici di potere economico e di consenso politico.

Se fin dall’inizio si fosse presa la decisione onesta: conoscenza dei fatti religiosi, obbligatoria per tutti nell’orario curricolare, e scelta invece facoltativa sui relativi programmi confessionali fuori dall’orario obbligatorio, oggi potremmo parlare con più serenità dell’opportunità o meno di garantire anche altre confessioni religiose, all’interno della scuola pubblica statale.
Ricordiamo che la garanzia di mantenere l’opportunità dell’insegnamento della religione cattolica,  facoltativa  nelle scuole statali italiane è nei Patti Lateranensi, revisionati nel 1984,  dove però non si parla di collocazione oraria..

L’ultima riflessione riguarda l’alibi dell’integrazione.
Chi, per avvalorare la bontà di creare un’ulteriore separatezza a scuola (cattolici da una parte, musulmani da un’altra, agnostici o altre religioni nei corridoi), invoca l’integrazione o è in malafede oppure ignora appunto cosa avviene a scuola. Noi sappiamo che l’integrazione avviene solo attraverso l’interazione (v.Premessa Nuove Indicazioni) che offre l’opportunità della conoscenza reciproca per mezzo del confronto, che rivela aspetti che accomunano e aspetti che differenziano.
Solo la conoscenza dissipa il pregiudizio e il timore: i veri nemici dell’integrazione.

Se, invece di far capire all’interno della comunità di apprendimento che la spinta religiosa accomuna l’uomo nel tempo e nello spazio,  sia pur approdando a fedi diverse oppure ad agnosticismi diversi, si separano i ragazzi togliendo loro tutte le opportunità di interazione in questo campo-  che sembra ancora una volta nel mondo il maggiore argomento di inconciliabile divisione e scontro- che avvenire prepariamo ai nostri ragazzi che abiteranno un futuro, che almeno io auspico,  diverso e migliore del nostro?




Libertà vo’ cercando, ch’è sì cara!

Stefaneldi Carlo Baiocco

(Punti e spunti di riflessione, espressi in modo disordinato, conciso ed essenziale, proposti per l’attuazione di un programma di interventi, pratici e concreti, che possa contribuire a restituire funzione, dignità, benessere e libertà alla scuola e agli insegnanti)

 

–  Recupero dell’immagine sociale ed economica della professione attraverso il riconoscimento di un ruolo unico professionale pubblico con stato giuridico non impiegatizio;
– equiparazione dei contratti a quelli dei professori universitari;
– stipula di contratti annuali pubblici ed autonomi, specifici per la scuola;
– recupero pieno e vero dell’autonomia scolastica;
– eliminazione delle reti di ambito nonché delle scuole “capofila”:
– diritto all’obbligo scolastico elevato a diciotto anni;
– cancellazione della sperimentazione della scuola secondaria di secondo grado ridotta a quattro anni;
– investimenti annuali, seri e ponderosi sulla scuola e soprattutto sulle scuole presenti in aree disagiate;
– eliminazione dell’autonomia differenziata regionale e delle “gabbie salariali” per gli insegnanti;
– aumenti salariali equiparati almeno alla media delle retribuzioni degli altri paesi europei e svincolati dal livello dell’inflazione programmata;
– introduzione della quattordicesima mensilità per tutti gli insegnanti;
– utilizzo delle risorse e dei fondi del PNRR per la messa in sicurezza ed a norma antincendio ed antisismica delle scuole e per l’eliminazione delle barriere strutturali, per il miglioramento del trasporto scolastico, della disinfestazione da topi, blatte e zanzare e la riqualificazione, anche quella eco-sostenibile, degli spazi interni ed esterni (cortili, aree verdi …), delle mense, palestre, laboratori, biblioteche, “teatri”, degli ausili didattici per alunni disabili e con disturbi specifici, delle aule e suppellettili, dei presidi igienico-sanitari, magari anche dell’acqua calda, e, soprattutto, dei bagni, ormai quasi sempre ridotti a cessi orripilanti;
– cancellazione del nuovo piano di dimensionamento scolastico;
– revisione di tutti gli “accorpamenti” e “dimensionamenti” fin qui fatti;
– eliminazione dei contributi, elargiti a piene mani, assegnati alle scuole private e confessionali;
– non riconoscimento dei diplomi rilasciati dalle scuole private e confessionali;
– turnazione ed assegnazione, ogni cinque anni, di ciascun alto funzionario e burocrate del ministero e degli uffici scolastici provinciali, che pontificano, normano e decidono sulla scuola, allo svolgimento di attività lavorative, d’insegnamento e di segreteria, presso le scuole periferiche maggiormente disagiate;
– restituire centralità, forza, pluralità e democrazia ai collegi docenti, sottraendoli allo strapotere dei dirigenti autocrati e delle loro ristrette, “aristocratiche”, prone corti;
– reintroduzione dei consigli di disciplina elettivi;
– ricostruzione dei consigli scolastici provinciali;
– estensione ed equiparazione di uguali diritti democratici, di rappresentanza, di voto, d’espressione e d’assemblea per tutti i sindacati;
– estensione del tempo prolungato;
– implementazione, estensione e riqualificazione delle mense scolastiche interne agli istituti;
– apertura delle scuole nei pomeriggi e soprattutto nell’intero periodo estivo e durante i periodi di interruzione delle lezioni, finalizzata anche all’organizzazione di molteplici attività formative, istruttive, teatrali, sportive e ludico-ricreative (corsi, laboratori, …) in collegamento con le libere, pubbliche associazioni operanti nei territori, con massicci investimenti, adeguamenti ed assunzioni di altro personale docente ed ATA;
– rispetto della normativa che disciplina il numero degli alunni per classe a 20 in presenza di un solo alunno disabile;
– individuazione e riconoscimento degli alunni BES (con bisogni educativi speciali) solo in presenza di certificazione rilasciata dalle ASL;
– eliminazione delle classi “pollaio” e creazione di classi con non più di 21 alunni;
– nel caso siano presenti più alunni DSA e BES, la classe non potrà avere più di 16 alunni;
– eliminazione del contributo (in)volontario richiesto ai genitori;
– recupero del “furto” dell’anno 2013 ai fini della progressione di carriera e dell’aumento stipendiale;
– eliminazione dell’inutile, fuorviante e dispendioso “carrozzone” dell’INVALSI e di tutte le relative, demenziali, ambigue prove, che, fra gli innumerevoli danni che cagionano, non solo distorcono, monopolizzano, appiattiscono e standardizzano l’azione didattico-formativa e penalizzano gli alunni DA, DSA e BES, ma favoriscono anche, direttamente, la gerarchizzazione delle scuole e la concorrenza fra le stesse e, indirettamente, la valutazione della professionalità degli insegnanti;
– eliminazione delle prove INVALSI, quali requisito per l’ammissione all’esame di maturità;
– eliminazione degli accordi fra le scuole ed i privati;
– eliminazione delle classifiche delle scuole (superiori) elaborate da fondazioni riconducibili a privati;
– eliminazione, nella scuola secondaria di secondo grado, dei PCTO ovvero dei “percorsi per le competenze trasversali” dell’alternanza scuola-lavoro che ormai, generalmente, si fondano solo sull’orientamento basato sugli accordi di mercato con le Università migliori offerenti e, ancor peggio, sugli accordi di “sfruttamento”, a volte risultato anche letale, con gli enti pubblici e le imprese private;
– riconoscimento dell’intera professione insegnante quale usurante e creazione di forme di pensionamento agevolato e non penalizzato;
– eliminazione della decurtazione nella retribuzione in caso di dieci giorni di malattia;
– eliminazione del “fondo d’istituto” e/o sua ripartizione stipendiale/tabellare fra tutti gli insegnanti;
– approvazione finale della contrattazione d’istituto da parte dei collegi;
– lavoro nelle varie, diverse commissioni svincolato dalla retribuzione per mezzo del fondo d’istituto;
– eliminazione dei soli collegi finalizzati all’approvazione dei progetti per il PTOF;
– eliminazione della “Carta docente” ed utilizzo dei fondi stanziati e legati alla stessa per implementare gli stipendi tabellari;
– libri di testo gratuiti anche per le famiglie “disagiate” degli alunni della scuola secondaria di primo grado;
– implementazione dell’auto-produzione di manuali e libri di testo, allestiti ed editi dagli istituti scolastici stessi, da passare in comodato d’uso agli alunni;
– eliminazione della deleteria, dannosa e rovinosa didattica per “competenze” e dei relativi, insensati, frettolosi, impropri giudizi finali espressi per “competenze”;
– recupero del diritto al trasferimento annuo;
– elezione diretta e democratica del dirigente scolastico, dei suoi collaboratori e dei referenti di plesso da parte del collegio a scrutinio segreto;
– eliminazione della valutazione degli insegnanti da parte dei dirigenti scolastici;
– introduzione della valutazione del dirigente scolastico da parte del collegio docenti, affinché quest’ultimo possa tornare davvero ad essere un “primus inter pares”;
– scioglimento dei contingenti ispettivi ed eliminazione della pseudo-valutazione, insensata, gerarchizzante e mortificante, elaborata dai NIV (nuclei interni di valutazione), dai NEV (nuclei di valutazione esterna) e dal SNV (sistema nazionale di valutazione);
– eliminazione della cosiddetta RC ovvero della “rendicontazione sociale”;
– eliminazione del “bonus premiale”;
– eliminazione del RAV ovvero del rapporto di autovalutazione;
– eliminazione dei PDM ovvero dei cosiddetti piani di miglioramento;
–  eliminazione degli open-day, generalmente ridotti ad un’ipocrita, demagogica, competitiva, umiliante ostentazione ed offerta del “niente o del poco” ed allestiti e presentati in un autentico, ridicolo super-mercato da “cento-vetrine”;
– revisione delle leggi e delle norme che regolano i procedimenti disciplinari a carico degli insegnanti;
– stipula di un’assicurazione gratuita per coprire gli insegnanti ed il personale ATA nell’eventuale colpa “in vigilando”;
– rispetto della titolarità d’istituto e della continuità didattica;
– impossibilità di utilizzare gli insegnanti di “potenziamento” e di “sostegno” per le supplenze;
– riconoscimento della titolarità su classe per tutti i docenti;
– assegnazione di tutti gli insegnanti alle classi prima dell’inizio delle lezioni;
– nell’anno di prova, introduzione dell’obbligatorietà per i neo-assunti di un lungo tirocinio di affiancamento da svolgersi unicamente nelle classi, in sostituzione dell’obbligatorietà a partecipare ad insensate ore di pseudo-aggiornamento online ed a riempire ulteriori, inutili cartacce (relazioni…);
– rivalutazione dell’insostituibile valore della lezione frontale strutturata e dell’efficacia della spiegazione trasmissiva, della lettura ad alta voce e della scrittura eseguita a mano;
– eliminazione di tutta la tassonomia delle “griglie” valutative e delle cosiddette “prove oggettive” (iniziali, in itinere e finali) utilizzate per la valutazione degli alunni, per i RAV e per i PDM;
– attuazione di seri programmi finalizzati al potenziamento delle abilità e delle conoscenze e non solo e non sempre al recupero delle stesse;
– creazione di premi in ausili didattici per alunni meritevoli ovvero che fanno notevoli progressi rispetto ai livelli iniziali;
– eliminazione dell’esame di licenza media o, almeno, eliminazione delle cosiddette “tesine”;
– rivalutazione di una valutazione espressa a livello formativo/discorsivo, che sempre più sia preferibile alla votazione espressa in decimi e che sempre, quanto meno, l’accompagni;
– “Educazione civica” resa disciplina a sé con assunzione di personale dedicato e specifico, magari afferente alla graduatoria di Diritto;
– eliminazione della compilazione e stesura di tutte le innumerevoli, onerose, inutili, stupide pratiche burocratiche a carico degli insegnanti proprie di un mero, mortificante, ripetitivo mansionario impiegatizio;
– eliminazione delle programmazioni disciplinari d’inizio e fine anno, (da nessuno mai lette ed ormai ridotte generalmente ad un copia-incolla!);
– aggiornamento obbligatorio e retribuito, focalizzato solo sulle discipline insegnate e sulla pedagogia;
– fruizione di un anno sabatico ogni cinque di insegnamento, finalizzato alla ripresa degli studi inerenti esclusivamente alle discipline insegnate;
– assunzione sul “Sostegno” di soli insegnanti appositamente formati e specificatamente abilitati;
– rispetto assoluto della continuità didattica sul Sostegno;
– chiamata del personale supplente, in sostituzione del personale assente, anche per brevissimi periodi;
– riapertura di un “doppio canale” per l’immissione e la messa in ruolo del personale precario “storico”;
– svolgimento dei GLHO unicamente in presenza degli operatori medici delle ASL che seguono ed hanno in carico gli alunni;
– creazione in ogni scuola di “sportelli” di mutuo auto-aiuto sul benessere psicologico gestiti da psicologi laureati e formati, il cui lavoro deve restare autonomo e comunque svincolato da quello degli insegnanti;
– revisione dei “Decreti delegati” in funzione di una notevole riduzione della presenza dei genitori, generalmente fattasi, vieppiù ed ormai, sempre meno collaborativa e sempre più invasiva, intrusiva, pretenziosa, oppositiva e, a volte, finanche molto aggressiva;
– sostituzione dell’ora di IRC ovvero di Religione cattolica con un’ora di Educazione civica;
–  approvazione del patto di corresponsabilità, del regolamento d’istituto, del regolamento dei viaggi d’istruzione e delle norme di comportamento, nella scuola primaria e secondaria di primo grado, da parte del collegio docenti e rispetto degli stessi;
– utilizzo del registro elettronico solo per l’indicazione dei “compiti” assegnati;
– eliminazione dei colloqui mattutini con i genitori;
– limitare per quanto più possibile e ridurre al minimo l’esposizione degli alunni ai flussi dei campi elettromagnetici indotti dalla presenza sempre più pervasiva delle reti digitali negli istituti;
– recupero, soprattutto nella scuola primaria, della scrittura a mano sulle classiche lavagne di ardesia, che, fra le altre cose, sono assai meno costose, non hanno bisogno delle “reti” ed il cui smaltimento è ancora ecosostenibile;
– eliminazione, nella scuola primaria e secondaria di primo grado, dell’uso di “device” digitali per l’interazione alunno/insegnante (a meno che non siano necessari in presenza di disabilità…) e precedenza assoluta all’uso di diari, di quaderni e della scrittura minuscola in corsivo su carta;
– divieto assoluto dell’uso dei cellulari all’interno della scuola, che assai contribuiscono a trasformare i cosiddetti “nativi digitali” in ignoranti sostanziali;
– chiusura di tutti i “gruppi social” degli insegnanti (creati con o senza il dirigente scolastico) e diritto assoluto alla “disconnessione” da parte di quest’ultimi;
– divieto per gli insegnanti di creare e/o partecipare a “gruppi social” con i genitori e tanto più con gli alunni che, secondo la normativa vigente sull’uso del trattamento dei dati personali e sulle “condizioni d’uso”, sotto ai tredici/sedici anni non potrebbero neanche crearsi un proprio “account” ed accedere all’uso degli stessi;
– recupero urgente, pieno ed immediato della completezza e “leggerezza” delle posizioni, pedagogiche e culturali che facciano capo e riferimento ad una visione fondata sulla “paideia” socratica, costituita dal circolo luminoso e fecondo di “agalma” ovvero l’attrazione verso il sapere, come vuoto da non riempire, come vuoto da produrre, come vuoto da aprire, come luogo di una mancanza da preservare e come circolarità di e fra “eromenoi” (maestri che amano il sapere), “erastes” (amante del sapere) ed “eromenos” (ciò che è degno di essere amato) e basata su una tradizione umanistica che esalti l’epistemologia delle discipline e la scuola come percorso di costruzione culturale ed educazione all’esercizio del sapere critico e del libero pensiero;
– eliminazione del “fatal, letal trittico” di abilità, conoscenze e competenze che non è solo falso, demagogico,  inutile e fuorviante, ma che conduce a risultati disastrosi, perché codifica una separazione ed una scomposizione del sapere, della formazione e dell’apprendimento in tre livelli distinti, incomunicabili ed addirittura reciprocamente subordinati e poiché conduce all’adesione acritica a visioni aziendaliste, ispirate alla totale subordinazione della formazione culturale ad esigenze di carattere esecutivo, produttivo e compet…itivo, a quelle esigenze, sempre più etero-indotte ed etero-dirette, che concepiscono la scuola come luogo chiuso di addestramento di addetti, manovalanze e competenze per il mercato, aziende ed imprese e non come comunità educante, come spazio aperto di formazione di cittadini che sulla cultura fondano la loro crescita, la loro consapevolezza e la loro capacità di non competere, bensì di essere, di conoscere, di sapere e, perciò, di agire e vivere in libertà!

N.B.:

dello stesso autore si veda anche l’articolo/saggio del 15-5-‘20, scritto insieme ad Alessandra Fantauzzi: “Contro la didattica e la valutazione per competenze”, qui pubblicato e di cui segue il “link” utile per la lettura:
https://www.gessetticolorati.it/dibattito/2020/05/15/contro-la-didattica-e-la-valutazione-per-competenze/

dello stesso autore si veda, fra l’altro, anche l’articolo/saggio del 21-5-‘20: “E noi, insegnanti, nonostante tutto…”, qui pubblicato e di cui segue il “link” per la lettura:
https://www.gessetticolorati.it/dibattito/2020/05/21/e-noi-insegnanti-nonostante-tutto/




Valditara: gravemente insufficiente

di Mario Maviglia

 Un caro amico, che non cito per decenza, mi ha omaggiato dell’ultimo libro del Ministro Valditara (La scuola dei talenti, Piemme, Segrate, 2024) con il vincolo di scriverci sopra qualcosa (il termine recensione suonerebbe troppo pretenzioso). Per una inveterata forma di buona creanza mi accingo a pagare il fio, abbandonando momentaneamente la lettura dei Vangeli apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Einaudi, Torino, 1969. Ci tengo a riportare i dati bibliografici completi di queste opere perché una delle cose che salta immediatamente agli occhi per chi è avvezzo a leggere saggi è la pressoché totale mancanza di riferimenti bibliografici nell’opera del sig. Ministro. Anche quando il sig. Ministro riporta passi testuali di altri autori (con tanto di virgolettato) non fornisce i riferimenti bibliografici. Ci si aspetterebbe di vedere la bibliografia completa nelle ultime pagine del volume, ma anche questa attesa va incontro a una cocente delusione.

La cosa è ancor più sconvolgente in quanto il sig. Ministro risulta essere professore ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità (SSD: IUS/18) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.[1] Ora, chiunque abbia dimestichezza con il mondo accademico (in quanto docente e soprattutto in quanto studente) sa che una delle principali raccomandazioni che i docenti fanno agli studenti è proprio quella dell’uso appropriato dei riferimenti bibliografici, tanto che ogni università di solito pubblica le norme redazionali per la scrittura della tesi (ma il discorso vale per relazioni scritte, rapporti di ricerca, essay ecc.), distinguendo financo tra stile continentale e stile anglosassone nell’uso delle citazioni bibliografiche.[2] Forse il sig. Ministro è da troppo tempo che non esercita la professione di docente universitario e avrà dimenticato questo costume.

L’opera (184 pagine, tutto sommato una lettura sopportabile) può essere definita una sorta di pot-pourri in quanto il sig. Ministro ha gettato l’occhio un po’ dappertutto, dando la sua versione sui vari aspetti della vita della scuola italiana (passato, presente e futuro) con alcune osservazioni ricorrenti che diventano dei veri e propri mantra:

  • Il Sessantotto ha distrutto la scuola con il suo voto politico e la teorizzazione della scuola facile e della “soddisfazione senza limiti dei desideri e la riduzione della felicità a questa continua rincorsa” (p. 138). Sarebbe interessante conoscere quanti studenti negli anni del Sessantotto hanno fruito del 6 o del 30 politico; io ho frequentato l’Università in quegli anni e non sono riuscito a fruire di questa opportunità. Altri compagni hanno vissuto lo stesso trauma.
  • Le riforme realizzate nel passato hanno fallito; l’attuale Governo di centro-destra è l’unico ad avere imboccato la strada giusta. Il sig. Ministro dimentica di dire che nel passato vi sono stati parecchi Governi a marca centro-destra, ma sembra di capire dal suo ragionamento che i danni maggiori siano stati fatti da quelli di centro-sinistra. Ad esempio la valorizzazione dell’istruzione tecnica e professionale è merito del sig. Ministro in quanto la “sinistra comunista e quella di matrice sessantottina, [hanno] variamente considerato la scuola tecnica e professionale come una scuola di classe, ovvero una scuola funzionale agli interessi della organizzazione capitalistica della produzione e del lavoro.” (p. 148). E dire che in Unione Sovietica le scuole più prestigiose erano i politecnici…
  • La scuola costituzionale è la scuola del merito, finalizzata a far sì che ognuno possa “tirar fuori i propri talenti e abilità” (p. 39) in sintonia con “l’idea di tipi multipli di intelligenza che si rivela molto utile proprio in ambito scolastico perché permette di differenziare la proposta educativa in base al modello di intelligenza individuale, che, detto altrimenti, è la predisposizione di una offerta formativa in linea con i talenti e le abilità di ciascun giovane” (p. 24). Il sig. Ministro cita esplicitamente Gardner a questo proposito. Il paragone evidentemente è pindarico ma forse il sig. Ministro ritiene che aver aggiunto “Merito” alla denominazione del suo Ministero fa della scuola italiana una scuola sintonica con la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Può essere imbarazzante in questa sede far notare al sig. Ministro che se c’è una scuola in Italia che effettivamente si è ispirata a tale teoria (per ammissione dello stesso Gardner) sono le scuole dell’infanzia di Reggio Emilia, fondate da Loris Malaguzzi e a gestione comunale (amministrazione di centro-sinistra, detto incidentalmente…).[3]
  • Ciò che sta salvando la scuola italiana (e la salverà sempre più) è, nel dream martinlutherkinghiano del sig. Ministro, l’introduzione del docente tutor e del docente orientatore (D.M. 22 dicembre 2022, n. 328): il primo “in collaborazione con gli altri colleghi del gruppo classe, ha il compito di progettare una didattica personalizzata a seconda delle esigenze e potenzialità di ogni studente” (p. 41). Visto? Ci si stava incagliando nel penoso dilemma di come fare per realizzare (ad esempio nella scuola superiore) una didattica personalizzata e la risposta è a portata di mano grazie al sig. Ministro: la risposta si chiama docente tutor. Il docente orientatore, invece, ”ha il compito di raccogliere dal territorio le varie opportunità formative e lavorative e portarle a conoscenza delle famiglie e degli studenti per una scelta coerente con quelle abilità, con quei talenti che la scuola ha fatto emergere e valorizzato” (p. 42). Si raccoglie e si porta a conoscenza di famiglie e studenti e il gioco è fatto. Certe volte si pensa che i processi siano complessi e difficili da gestire (sarà la sinistra che instilla queste falsità?) e invece con piccoli accorgimenti tout va bien!

Vi sono poi delle chicche che vanno riprese perché testimoniano la profondità delle riflessioni elaborate dal sig. Ministro:

=la scuola facile (ereditata dal Sessantotto, ça va sans dire) ha portato alla scomparsa delle bocciature (p. 44), mentre nella scuola sognata dal sig. Ministro “le bocciature [vanno considerate] come uno stimolo e un rimedio” (p. 52).
Nulla da eccepire, ma alcune pagine precedenti sempre il sig. Ministro aveva evidenziato che i risultati scolastici più insoddisfacenti (ossia quelli che portano alla bocciatura) li ottengono gli studenti che provengono da contesti socio-economico-familiari disagiati ed anzi – aggiunge sempre il sig. Ministro – è compito della Repubblica (alias della scuola) rimuovere gli ostacoli che non consentono la piena realizzazione della persona umana (art. 3 Cost.). Ma allora, sig. Ministro, se continuiamo a bocciare quegli studenti che sappiamo già trovarsi in condizioni disagiate senza averle risolte (le condizioni disagiate) non si cade nella classica situazione del cane che si morde la coda?

= Parlando della scuola paritaria, il sig. Ministro afferma in modo perentorio che il significato di “senza oneri per lo Stato” (art. 33 Cost.) vuol dire che “lo Stato può finanziare scuole private, ma non è tenuto a farlo.” (p. 137). Fermi tutti! Chi parla è un professore ordinario di diritto, ancorché romano e dell’antichità, e dunque una qualche forma di cultura giuridica si presume che l’abbia acquisita. Pertanto, chiediamo al professore (non al sig. Ministro, in questo caso): “Professore, come mai la Costituzione non ha usato la sua espressione se voleva esprimere quello che lei ha espresso?” Il fatto che la scuola privata (ma più correttamente, dopo la legge 10 marzo 2002 n. 62, la scuola “paritaria”, sig. Ministro) sia finanziata dallo Stato è il risultato di una serie di compromessi politici trasversali che hanno portato a questa situazione, ma far dire alla Costituzione quello che non dice non è ammissibile, soprattutto da parte di uno studioso di diritto!

= Nel sottolineare l’importanza di tenere viva la memoria del passato e dunque di coltivare gli studi classici, il sig. Ministro annota: “Si è visto come persino[4] i più importanti personaggi della storia del Pci, da Gramsci a Togliatti a Concetto Marchesi, dessero allo studio della civiltà classica, della storia e delle letterature classiche un rilievo del tutto particolare” (p. 168). Persino loro! E voi, cari lettori, pensavate che i militanti del Pci si dedicavano solo a mangiare i bambini! E invece no! Si dilettavano anche di letteratura classica. Vabbè, magari prediligevano le favole di Fedro e di Esopo, quelle dove un animale mangia l’altro… Comunque sempre di letteratura classica si tratta.

=Nel ribadire saggiamente la necessità di educare l’io ponendo delle regole, il sig. Ministro statuisce che “la cultura della regola è stata messa in crisi fin dai primi anni di scuola con la svalutazione stessa della grammatica e della sintassi, che di quella cultura della regola sono un prezioso baluardo” (p. 89). Sì, lo so: qui occorre fare una profonda riflessione per capire il nesso tra la svalutazione della grammatica/sintassi e la crisi delle regole. Infatti, se questa “regola” fosse vera dovremmo dedurre che chi ha una buona padronanza grammaticale/sintattica della lingua è un buon cittadino in quanto rispetta le regole. I registri degli indagati sono però pieni anche di nominativi di persone che conoscono alla perfezione le regole della grammatica e della sintassi, un po’ meno le altre. Oppure le conoscono, ma preferiscono non rispettarle. Questo ragionamento va forse perfezionato, sig. Ministro. Almeno ci metta delle attenuanti generiche…

=E infine, il sig. Ministro prevede il futuro, anzi lo vede. Un po’ come lo storico e filosofo israeliano Yuval Noah Harari (citato dal sig. Ministro), che ha dedicato dei saggi proprio allo studio del futuro; ma Harari si limita a immaginare ipotetici quadri di come si potrà presentare la realtà nel prossimo futuro, il sig. Ministro invece questa realtà futura ce l’ha davanti, reale, ancorché solo in nuce. Forse è un sogno (in tedesco sogno si dice traum…).
Vediamo alcuni esempi:
a) coinvolgimento dei privati nell’edilizia scolastica, secondo il sistema del project financing (un privato costruisce una scuola e per un lungo periodo, anche 20 anni, gestisce i servizi scolastici (p. 162);
b) dal settembre 2024 le supplenze brevi saranno pagate in modo puntuale (p. 177);
c) lo studio del latino aiuterà lo sviluppo del ragionamento logico (soprattutto le regole grammaticali) nel percorso della scuola media comune a tutti (p. 180);
d) con l’ultimo rinnovo contrattuale sono state pressoché azzerate le distanze tra gli stipendi dei docenti italiani e quelli degli altri insegnanti UE (p. 133);
e) i docenti supplenti di sostegno possono permanere nella stessa scuola per tre anni, se la famiglia lo richiede e se l’insegnante è disponibile (p.102);
f) la scuola d’estate, oltre a offrire un eventuale potenziamento, deve soprattutto creare occasioni di ritrovo positivo organizzando attività sportive, teatrali, culturali, di educazione al lavoro, ludiche, a seconda delle varie fasce di età (p. 141); uno strumento praticabile per salvaguardare il potere d’acquisto dei docenti è il sostegno per l’affitto e i trasporti (p. 134);  occorre puntare sulla formazione dei docenti e sulla formazione in carriera di ogni  docente che deve essere obbligatoria e possibilmente accompagnata, per chi abbia conseguito buoni risultati formativi, da riconoscimenti economici e di crediti professionali (p. 49).

E infine la visione (sogno/traum) in assoluto più importante: la scuola è una priorità per l’attuale Governo (tutto il testo).
(Cari lettori, per favore, abbandonate in silenzio questa pagina. Il sig. Ministro sta sognando. Non svegliatelo… potrebbe avere un traum.)

[1] https://www.dg.unito.it/do/docenti.pl/Alias?giuseppe.valditara#tab-profilo
[2] https://www.cfs.unipi.it/wp-content/uploads/2018/05/CDS-FIL-Norme-Redazione-Tesi.pdf
[3] C. Edwards, L. Gandini, G. FormanI cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 2014
[4] Corsivo mio




Luisa Tosi, donna di scuola da ricordare

E’ mancata in queste ore Luisa Tosi, ex maestra e direttrice didattica di Treviso.
Questo il ricordo di Cinzia Mion.

Parafrasando il titolo del film “io la conoscevo bene” io posso dire che Luisa Tosi l’ho conosciuta bene. Nel 2019 anzi, in qualità di componente della Commissione Pari opportunità della città di Treviso, ho avuto il piacere di proporla per il Premio “Riflettore donna”, premio che ebbi l’onore di consegnarle personalmente.
Non si può però parlare di Luisa senza parlare del Movimento di Cooperazione Educativa: un’associazione professionale di docenti molto vivace e fermentativa.

Non ricordo con precisione il mio primo incontro con Luisa. Ricordo però quando mi iscrissi al Movimento e cominciai a frequentare il gruppo di Treviso, folgorata dall’originalità delle tecniche Freinet che ebbi modo di conoscere grazie ad mia collega a Barcon di Vedelago. Accadde durante l’anno scolastico 1963/64. Ricordo benissimo però che ben presto all’interno del gruppo ho focalizzato questa bravissima insegnante, dal nome appunto di Luisa Tosi, che ha cominciato a guidare con maestria i miei primi passi nella didattica innovativa adottata dal Movimento.

Oltre ai primi insegnamenti ricevuti sul testo libero e l’uso del limografo, nell’anno successivo venni avviata da Luisa alla didattica dell’insiemistica. Avevo appena scoperto questa matematica moderna alla scuola estiva del MCE, , dove conobbi il professore Tomassini, docente di matematica ad un liceo di Penne (Abruzzo).

La pratica delle scuole estive consisteva nel mettere insieme un esperto disciplinarista con un esperto di psicologia dell’apprendimento che guidassero insieme gli “apprendisti”, che eravamo noi docenti, ad inoltrarci nella didattica laboratoriale del Movimento, all’interno di una “comunità di pratica” (ante litteram), attraversata in ogni attività dal valore forte della pedagogia popolare di C.Freinet . Oggi la chiamiamo scuola inclusiva. Ci accomunava una passione che oserei definire ”rivoluzionaria”, volevamo cambiare la scuola, renderla democratica ed accessibile, ed in grado di istruire “tutti” perché da sudditi imparassero a diventare cittadini consapevoli. Ed attraverso la scuola volevamo cambiare il mondo. Eravamo giovani…!

Luisa era bravissima ed è stata da allora una colonna del Movimento. Quando dovevamo inventare delle schede di lavoro adatte a bambini a partire dalla prima elementare, schede che tenessero insieme aspetto ludico, creatività con cui attirare l’infanzia e anche impianto scientifico, era impareggiabile. Se Tomassini presidiava la scientificità, Tornatore curava la gradualità e l’adattamento alle diverse età del bambino (ho sempre tenuto a mente la frase significativa di Lidia: nell’apprendimento scolastico bisogna tenere continuamente presenti tre aspetti, la matematica, chi è Pierino, e come Pierino apprende la matematica!) e Luisa era un fenomeno nell’adattare questa disciplina, nuova per tutti, alla realtà infantile.  Luisa è stata per me una guida importante, finchè non ho imparato ad andare sulle mie gambe di giovane maestra. Ricordo di lei l’infaticabilità ed anche l’umorismo. Aveva uno strano modo di ridere, come se si scusasse di concedersi questo permesso tanto era seria ed impegnata. Insegnava allora a Lughignano da dove ci portava, come in un forziere prezioso, tutte la attività didattiche del suo lavoro di docente all’avanguardia perché da tempo frequentava i gruppi MCE, anzi ne era l’animatrice infaticabile..

Ci siamo iscritte poi insieme all’Università. Eravamo in tre: lei, Beppa Grava ed io. Per noi è stato un periodo stimolante e felice, anche se durissimo. Lavorare e studiare senza andare fuori corso è stato molto faticoso ma ce l’abbiamo fatta! Spesso andavamo a Padova insieme, a turno utilizzavamo le nostre auto. Ansie, preoccupazioni, lotta continua contro il tempo, fatica e rinunce ma anche risate.
Poi lei vinse il concorso direttivo, perché aveva il servizio utile per partecipare, a prescindere dal titolo, ed ebbe la sede a Vazzola.
Nel frattempo ci laureammo.

Diventò direttrice didattica a Vazzola. Io nel 1974 a Conegliano, secondo Circolo: medesimo distretto scolastico. Mi arrivavano gli echi del suo successo, dell’innovazione che riusciva a portare nelle “sue” scuole e del seguito delle sue maestre. “Maestra dei maestri” questa era la sua funzione prima che il ruolo del dirigente venisse così snaturato e schiacciato sugli aspetti giuridico-amministrativi,  come succede oggigiorno.
Ad un certo punto lasciò la direzione didattica, con grande sconforto da parte degli insegnanti, per un distacco in Provveditorato agli studi per dirigere il gruppo di lavoro sull’handicap dove ugualmente si distinse per attenzione ai più deboli. Successivamente partecipò al concorso presso l’Irrsae ed ebbe il distacco a Mestre.
Ci ritrovammo di nuovo insieme per la formazione sui nuovi programmi del 1985. Facevamo parte entrambe del Gruppo per lo sviluppo del Curricolo e curammo la formazione dei formatori dei docenti, in tutta la regione. Anche in questo contesto fece emergere il suo valore.  Si trattò di una operazione in grande stile, mai più ripetuta sul territorio nazionale. Tutti i docenti della scuola elementare d’Italia in quattro anni furono formati in tutte le discipline. Furono i diversi Istituti di Ricerca e Sperimentazione e Sviluppo a farsene carico.
Quando andò in pensione la scuola perdette una risorsa validissima. I suoi successi continuarono in altri campi. Mi giungevano notizie per altre vie. Come quando vidi la sua pubblicazione sul bombardamento del 7 aprile a Treviso, con le interviste a chi era presente in quel giorno terribile e la raccolta  toccante dei loro ricordi, oppure la collezione dei giochi di un tempo (pito e pantoco): narrazione  preziosa dei giochi infantili in un’epoca in cui spesso i bambini non sanno più giocare…..Molte di più sono le sue pubblicazioni, come ricordano i numerosi amici che le hanno dedicato preziosi  testi i cui stralci saranno letti durante la cerimonia.
Più avanti seppi della sua direzione dell’Università della terza età. Bellissima esperienza pure questa. Luisa è sempre stata una fucina di iniziative e tutte di molto successo. Significativa inoltre anche la sua partecipazione alla “Società iconografica trivigiana”.
Aveva preso il volo verso altri lidi mentre io ho continuato ad interessarmi di scuola.

Alla fine ci siamo frequentate presso la casa di riposo “casa albergo” dove entrambe avevamo una sorella ricoverata. Il passo però era diventato più lento, la parola più sommessa, fino alla malattia.
Luisa Tosi è stata certamente una delle persone, di scuola e non solo, più significative della città di Treviso e merita di essere ricordata per il suo costante impegno.




Anni di piombo


Per quelli della mia età che ne sono stati protagonisti ho provato e provo ancora un senso di pietà per come hanno bruciato la loro vita inseguendo un progetto impossibile e controproducente di lotta armata.
Uno di questi l’ho conosciuto al Tito Livio di Padova dove ho insegnato da supplente a partire dal febbraio del ’69 e un altro era come me interno del collegio universitario Don Nicola Mazza.
Bravi ragazzi come tanti e forse più bravi di tanti altri che da un giorno all’altro hanno imboccato una strada che li ha rovinati. Semplici soldati.
Quelli che orchestravano assalti, attentati e delitti se ne stavano a Roma, penso, in clandestinità.
In questi giorni ha concluso la sua corsa una terrorista che ha partecipato alla strage di Via Fani e che mai si è pentita di quello che ha fatto.
E dire che motivi per ripensarci ce n’erano, perchè quella strage che faceva saltare un punto essenziale degli equilibri politici della nazione, solo una preparata e massiccia sollevazione popolare a sostegno avrebbe in qualche modo potuta giustificarla.
Dopo quel giorno non è iniziata la rivoluzione ,ma una controffensiva durata decenni che prima ha sconfitto i gruppi terroristici e poi poco alla volta ha indebolito i partiti di sinistra, il movimento sindacale e la partecipazione popolare alla vita politica .Dopo quel giorno si è cominciato con potenti mezzi mediatici e finanziari a colpire la cultura di sinistra e le stesse fondamenta della Costituzione.
Quella strage ha chiuso il ciclo straordinario di conquiste democratiche iniziato nel ’46.Il glorioso trentennio ha scritto Mario Tronti.
Dopo è iniziato il ciclo politico che ha portato le schegge del neofascismo al potere. Chi ebbe responsabilità in quella strage ,con gli strumenti in proprio possesso ,ha avuto tutto il tempo di comprendere il danno che è stato fatto al movimento operaio e alla democrazia e di chiedere scusa e perdono alle vittime delle loro scelte terroristiche.
Se tutto questo non è stato fatto ,non si capisce di quale comprensione abbia diritto




Il poliziotto e l’insegnante, entrambi al servizio della “salus”

di Antonio Vigilante

All’età di diciotto anni ho fatto il concorso in Polizia. Ricordo un viaggio in treno di notte, nel corridoio, una mattina al foro romano e un pomeriggio all’hotel Ergife a mettere crocette su un foglio – mi si chiedeva tra l’altro, ricordo, cos’è l’echidna – cercando di non addormentarmi. Lo superai. E per qualche giorno, dunque, mi chiesi se quella non fosse la mia via. Una uscita assolutamente onorevole per uno della mia classe sociale; e del resto il mio professore di musica a lungo aveva cercato di convincermi a lasciare la scuola, evidentemente così poco efficace con me, per fare il poliziotto, un lavoro che, in difetto di qualità intellettuali, avrebbe potuto mettere a buon frutto le mie qualità fisiche.
Decisi di no, alla fine. Avevo cominciato l’università e i primi due esami erano andati molto bene. Forse qualche qualità intellettuale c’era.

Ho ripensato a quel bivio in questi giorni. Alcuni studenti manganellati dai poliziotti in una manifestazione pacifica. Una cosa che ha indignato tutti gli insegnanti. E nei comunicati delle scuole emerge una certa visione della scuola come alternativa radicale alla violenza: il luogo in cui ci si educa al dialogo, alla nonviolenza, al confronto costruttivo, ai valori democratici: eccetera.

Ora, sarà per colpa di quel bivio, ma mi capita spesso di pensare che io e il poliziotto che avrei potuto essere procediamo in parallelo, se non proprio fianco a fianco.
È colpa anche, a dire il vero, di Althusser e della sua teoria degli Apparati Ideologici di Stato.
Mi capita di chiedermi se, oltre a lavorare entrambi per lo Stato, non si faccia entrambi, in fondo, la stessa cosa: difendere, puntellare, giustificare lo stato di cose esistente. L’assetto sociale, le stratificazioni di classe, le differenze di status, le intermittenze del riconoscimento. Per dirla con Galtung, che è venuto a mancare qualche giorno fa: la violenza strutturale. E, per aggiungere Galtung ad Althusser, siamo sicuri di non avere a che fare, in quanto insegnanti, con quella violenza culturale che giustifica e fonda sia la violenza strutturale che quella fisica?

Il poliziotto e l’insegnante sono entrambi al servizio della salus. Il primo la serve nella forma della sicurezza pubblica, il secondo in quella della salvezza individuale. C’è sicurezza pubblica se nulla giunge a inquietare l’assetto sociale ed economico: se il godimento della proprietà privata, ad esempio, non è turbato dalla figura inquietante del ladro; ma può essere che il poliziotto debba anche intervenire per manganellare qualche operaio che rivendica in modo un po’ troppo insistente i suoi diritti di lavoratore.
Quanto alla salvezza scolastica – salvato è a scuola lo studente cui è stata evitata la bocciatura –, essa consiste nell’acquisizione del pensiero critico.
E il pensiero critico consiste, a sua volta, nell’acquisizione di un insieme di gusti più o meno intellettuali, di abiti linguistici, di stili di vita e di consumo che consentono allo studente di acquisire lo status che la società riconosce alle persone che hanno un titolo di studio – o hanno l’aria di averne uno.

La violenza del poliziotto è visibile, evidente, e dunque suscita indignazione. La violenza del professore è simbolica: introiettata, accettata fino al punto da scomparire.
Quando entro in classe trovo venticinque persone che sono chiuse in una stanza in un edificio dal quale non possono uscire di propria volontà. E non hanno nemmeno, senza chiedere permesso, la libertà di uscire da quella stanza. Così come non hanno la libertà di star seduti, in quella stanza, nel modo che ritengono più comodo. Eccetera. Tutto ciò è vissuto come normale, al punto che se fai osservare loro che normale non è ti guardano stupiti.

Questa è la repressione di base, la struttura detentiva fondamentale della scuola.
Sulla quale si innestano, stante il carattere asimmetrico della relazione, continue violenze, alcune sottili ad altre più evidenti – alcune che lasciano una disagio ineffabile, altre che fanno semplicemente piangere lacrime amare. E queste piccole violenze quotidiane si iscrivono in, e sono al servizio di, una violenza più grande, che è la riduzione della cultura a strumento di selezione sociale – il costringere qualsiasi testo alla funzione deformata, caricaturale e, appunto, violenta del pretesto.

Qualche giorno fa una delle mie migliori studentesse mi ha confessato di avere intenzione di lasciare la scuola. Le ho parlato nel corridoio, perché la scuola italiana non prevede un luogo e un tempo in cui un insegnante possa parlare individualmente con lo studente – il ricevimento periodico è con i genitori. Mi sono reso conto, parlando con lei, di non avere troppe ragioni. Avrei potuto dirle che la cultura è un valore. Ma lei lo sa bene: legge e studia molto, ben al di là degli obblighi scolastici. Avrei potuto, dovuto dirle che uno studio che avvenga al di fuori della scuola non è davvero solido. Ma ne sono persuaso? No. A scuola si studia per il voto e, una volta ottenuto il voto, per lo più si cancella tutto ciò che è stato maldigerito.
Avevo un unico argomento più o meno solido: senza un titolo di studio si precluderà la possibilità di fare molti lavori, di raggiungere una soddisfacente condizione economica e uno status corrispondente.
Ma questo vuol dire ammettere che la cultura scolastica (i docenti usano l’aggettivo scolastico, riferito all’apprendimento, in modo negativo: “L’esposizione è stata scolastica”, e dunque il voto all’esame di stato non sarà granché) non è che uno strumento vuoto – nulla più di un pretesto, appunto – per operare una selezione sociale.