Tommaso Campanella, il filosofo calabrese nella “lettura” di Paolo Mongiardo

Tommaso Campanella è stato uno dei più importanti filosofi italiani ed è noto soprattutto per un testo (La città del Sole) che si colloca in un filone rilevante della riflessione politica.
La Città del Sole descrive infatti un modello di organizzazione sociale che consentirebbe, secondo Campanella, una vita ispirata a criteri di giustizia e libertà.
Secondo Campanella  l’educazione svolge un ruolo decisivo nella costruzione della “Città” ideale e anche per questo il suo pensiero assume un rilievo pedagogico originale.
Ma l’autore della Città del Sole ha esplorato uno dei temi più rilevanti della riflessionae filosofica.
Di questo si è occupato per lungo tempo Paolo Mongiardo, filosofo calabrese, venuto a mancare alcune settimane fa.

Ed e proprio nel libro “La dottrina della conoscenza di Tommaso Campanella” che Mongiardo propone la sua ricerca.

Il libro, che stato composto e completato dall’autore poco prima di morire, è frutto di uno studio approfondito del pensiero gnoseologico di Campanella, grande filosofo di Stilo.
Paolino Mongiardo, nel suo libro, ricompone come in un mosaico l’intera dottrina della conoscenza di Campanella, il quale non diede mai un’ organizzazione sistematica alle proprie originali intuizioni, che si possono cogliere soltanto leggendo le sue opere e che, per questo motivo, sono sempre state esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori.

Paolo Mongiardo ha avuto il grande merito di aver ripercorso, con uno stile fluido ed avvincente, tutte le fasi del processo conoscitivo in Tommaso Campanella, offrendo al lettore, per la prima volta nella storia della filosofia, una visione organica e unitaria dell’originale teoria del grande filosofo di Stilo.

“La lettura di questo saggio – si legge nella prefazione- può essere un’esperienza illuminante per chiunque fosse curioso e interessato a conoscere Tommaso Campanella come filosofo teoretico. Quello, generalmente, che il grande pubblico conosce del grande filosofo calabrese Campanella è “La città del sole”. Da tempo immemorabile questa operetta è diventata sinonimo di Campanella, perché chi sente Campanella dice Città del sole, chi dice Città del sole pensa subito a Campanella. Ma non è questo lo scritto che dà a Campanella l’aureola di filosofo. Filosofo con la F maiuscola lo è per aver risolto in modo originalissimo il problema della conoscenza, che è problema di filosofia teoretica.

Il lettore potrà notare con meraviglia come Campanella su questo tema abbia superato i suoi maestri spirituali Aristotele e Bernardino Telesio. In diversi passaggi del libro è ampiamente dimostrato questo assunto, ossia l’aver Campanella sottoposto a revisione le posizioni degli altri due geni, superandole. Il lettore saprà che il nostro Campanella non ha mai plagiato nessuno, mentre lui è stato plagiato da diversi filosofi, perfino dal celebre Cartesio, che fu il suo “lettore”, come ci attesta oggigiorno il filosofo Paganini.

Il lettore si meraviglierà di apprendere che si ispirarono a lui e si dichiararono debitori della sua filosofia Hume e Leibniz.

Nel processo conoscitivo instaurato da Campanella scatta un meccanismo dialettico di andata e ritorno che parte dalla sensazione e diviene conoscenza. Questa è la parte più ampia e più originale del procedimento che conduce con graduali passaggi alla conoscenza.

Il calabrese che legge questo saggio scoprirà orgogliosamente che la Calabria ha dato i natali a un grande filosofo, a un genio, che per secoli non è stato mai elogiato per quanto merita”.

Paolino Mongiardo (Sant’Andrea Apostolo dello Ionio 15 giugno 1933-Lamezia Terme 25 giugno 2024) è filosofo contemporaneo e saggista.

Raffinato intellettuale e profondo conoscitore delle opere del filosofo calabrese Tommaso Campanella, Paolino Mongiardo ha seguito gli studi superiori al Liceo classico Augusto di Roma e si è Laureto in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma nel 1966, seguendo le lezioni di Ugo Spirito, Guido Calogero e Natalino Sapegno.

Ha conseguito il diploma in Investigazioni criminali a Liegi nel 1981 e, successivamente, la specializzazione in psicologia della scrittura presso l’Istituto di Indagini Psicologiche di Milano. Ha insegnato per vent’anni nella scuola pubblica ed ha esercitato la professione di consulente tecnico d’ufficio in cause civili e penali, per i tribunali di Roma e Lamezia Terme. Nella sua attività di criminologo, è stato consulente nell’ambito di importanti inchieste giudiziarie.

E’ autore di 11 libri e di altri testi inediti di argomento filosofico. L’ultimo saggio, su Tommaso Campanella, è stato ultimato da Paiolino Mongiardo poco prima di morire e pubblicato postumo dalla figlia Antonella, a cui il filosofo aveva deciso di dedicarlo.

Paolino Mongiardo riposa al cimitero di Lamezia Terme, dove aveva deciso di trasferirsi per desiderio di sua figlia.
Nella sua lapide viene ricordato il grade amore di Paolo Mongiardo per la filosofia, con un riferimento proprio alla sua ultima fatica letteraria: “Ci ha illuminato di Cultura e condotto con il suo pensiero oltre la Città del Sole”.




Un allenatore per la scuola italiana

di Pietro Calascibetta

Ho seguito come molti italiani lo straordinario percorso della pallavolo maschile ai tempi di Velasco, non solo per le vittorie, ma anche per il modo di gestire ( scrivo gestire e non solo allenare) le squadre.
Il mio interesse è cresciuto per questo personaggio quando, ritiratosi dalle competizioni, ha cominciato a fare l’opinionista, il conferenziere e il consulente sulla gestione dei gruppi di lavoro e sul ruolo del coach di una squadra aziendale o sportiva che fosse.
Mi ha colpito in particolare la risposta data già molti anni fa in un’inchiesta televisiva ad un giornalista preoccupato della sfrenata passione dei ragazzi per i videogiochi.
Velasco, per spiegare il perché i ragazzi stanno attaccati ore e ore alla console, gli fece notare che quando sbagli in un videogioco devi tu stesso trovare il modo di capire come trovare il modo per superare l’ostacolo e così salire di livello imparando dagli errori e riprovando in un modo diverso.
La soddisfazione, la parte ludica se vogliamo, sta proprio nell’ affrontare la difficoltà e nell’essere stati capaci di avercela fatta da soli da qui la voglia di continuare . Quando sbagli o il tuo avatar muore , diceva Velasco, il videogioco non ti giudica, non viene fuori una scritta lampeggiante del tipo “ sei stato incapace” o non sei stato sufficientemente bravo”, il videogioco non dice nulla , ti mette alla prova nuovamente, ti sfida continuamente. Il merito di chi gioca sta nell’aver imparato a superare gli ostacoli, di ’essere diventato capace di farcela.

Come insegnante e poi come dirigente ho trovato questa riflessione di Velasco straordinariamente illuminante per spiegare in modo semplice cosa debba fare l’insegnante e cosa sia l’apprendimento al di là dei saggi letti , dei corsi e corsi di formazione, di indicazioni nazionali e Linee guida che tentano di spostare l’asse metodologico della scuola italiana dall’insegnamento all’apprendimento e tentano di ridefinire i ruoli facendo dello studente il vero soggetto attivo della lezione.
Nella scuola del terzo millennio posso constatare seguendo i nuovi docenti che devono sostenere il concorso, che è ancora largamente usato il metodo classico del “io ti spiego” e “tu rispondi”.
Non facciamo scoprire agli studenti la poetica di Pirandello, ma gliela spieghiamo noi docenti oppure facciamo vedere un bel filmato di YouTube di 2- 3 minuti, magari a fumetti su Pirandello con buona pace dell’educazione digitale. E’ come spiegare a parole un dipinto senza mai farlo vedere.
Il “laboratorio” è visto ancora troppo spesso semplicemente come un luogo attrezzato ora in modo multimediale, non come un una metodologia , come in realtà dovrebbe essere, con cui gli studenti scoprono la conoscenza in aula o in qualsiasi altro luogo utilizzando gli strumenti di indagine della disciplina, sbagliando e riprovando per poi imparare per la vita come si fa.
Velasco indirettamente parlando di videogiochi ci fa capire un’altra verità importante per la scuola. Il desiderio di essere promossi nei nostri studenti non è alimentato dal fatto che nella classe successiva puoi imparare nuove conoscenze della disciplina, puoi imparare nuove modalità per risolvere problemi o diventare più capace in qualcosa , non è il desiderio di diventare più competente a motivare lo studio per la “promozione”, ma la paura di essere bocciato e considerato incapace oppure il miraggio di un premio come avere in regalo un nuovo smartphone o il motorino.
Come sarebbe più motivante una scuola in cui lo studente non è semplicemente “promosso” all’anno successivo dal consiglio di classe, ma in cui possa passare al livello successivo del curricolo disciplinare quando è stato in grado con le proprie forze e con l’aiuto dei docenti a guadagnare tutte le competenze necessarie ad esplorare il livello successivo della disciplina scoprendo nuove conoscenze e acquisendo nuove abilità.
Una scuola in cui è lo studente che “si promuove” da solo , lo studente può dire di avercela fatta con le sue forze come nel videogioco.
C’è un’altra considerazione di Velasco sullo sport che mi sembra molto calzante per la scuola e che Walter Veltroni riporta in bell’articolo sul Corriere del 10 agosto sugli allenatori che rendono possibile agli atleti di una squadra di dare il meglio di se stessi coltivando la loro autostima e sostenendoli nei sacrifici.
“Non è che giochiamo di squadra – riporta Veltroni da una chiacchierata con Velasco – perché siamo poco egoisti , perché siamo buoni, perché ci piace stare con gli altri . Giochiamo di squadra perché è più efficiente, perché si rende di più. Anche perché siamo meno soli nei momenti difficili”.
Io credo che nella scuola non si abbia consapevolezza del ruolo e dell’importanza del gruppo classe nell’apprendimento. Il cooperative learning è una tecnica didattica che può essere utilizzata per svolgere diverse attività, ma l’essere una classe va oltre il cooperative learning , vuol dire essere una squadra che deve essere capace di collaborare non solo durante il cooperative learning, ma in qualsiasi attività per poter imparare , più impara il gruppo più e meglio imparano i singoli.
Nel gioco di squadra non vince il singolo, ma la squadra. La promozione non è una questione individuale, ma riguarda la classe nel suo insieme.
L’inclusione non è un principio morale, ma una necessità operativa se la classe è una squadra.
Il docente non può pensare agli studenti solo come individualità , ma come membri di una squadra le cui dinamiche, i cui stili di apprendimento, i cui bisogni speciali hanno bisogno di essere gestiti in modo da creare una rete interattiva. Il peer tutoring non è una modalità da utilizzare al bisogno, ma una delle modalità di collaborazione.

Chiudo con un’altra riflessione di Velasco che Veltroni ha raccolto prima della finale delle Olimpiadi di quest’anno.
“La pallavolo e il giornalismo devono smettere di parlare dell’oro che manca, è deleterio per tutti. Si vede sempre quello che manca , è uno sport tutto italiano, l’erba del vicino è sempre più verde. E’ una filosofia di vita, ma l’oro olimpico quando arriverà, arriverà.[…] godiamoci “ quello che abbiamo, e non quello che non abbiamo, poi è chiaro che daremo tutto quello che abbiamo per fare di più”.
A me viene una riflessione sulla mania del voler infilare a forza il “merito” nella scuola. come competizione.
Parafrasando Velasco è vero che gli studenti daranno tutto quello che hanno per fare di più, ma se non li assilliamo con il mito del successo a tutti i costi , ma se riusciremo a motivarli e a sostenerli nella loro fatica di imparare lasciando che loro siano i protagonisti dei loro successi.
A proposito, vista la medaglia d’oro, Velasco aveva proprio ragione!
Come scrive Veltroni , Velasco “trasmette carisma e saggezza, equilibrio e passione.” I nostri docenti possono fare altrettanto? Penso di sì, se si accorgono e se si rendono conto finalmente di essere i coach di squadre di potenziali talenti da “allenare” e non di studenti da istruire.




Filosofia e storicismo, Croce e Gentile: alle radici della cultura italiana del ‘900

“Controversia sullo storicismo tra Tilgher, Croce e Gentile” è un saggio di filosofia della storia, composto da Paolino Mongiardo nel 1968 per la sua tesi di laurea, conseguita  nella facoltà di filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dopo un percorso di studi svolto sotto la guida di pensatori della statura di Ugo Spirito, Natalino Sapegno, Guido Calogero, Ettore Paratore.

E’ una trattazione critica sul senso dello storicismo nelle due contrastanti posizioni di Croce e Gentile, da una parte, e il loro allievo Adriano Tilgher, dall’altra. Razionalisti, ottimisti e storicisti i primi due, dotati della serenità e freddezza necessaria ad evitare errori di valutazione, il terzo, istintivo, irrazionalista, antistoricista e pessimista fino al nichilismo. I primi due, dalla parola rasserenatrice, sostenitori di valori eterni che sempre trionfano e si affermano anche quando l’umanità si sente angosciata dalla mancanza di sicurezza e dalla sfiducia in quegli eterni valori, che vede perduti dinanzi alle distruzioni causate dalle due guerre mondiali.

Il significato pregnante di questo libro è da ravvisarsi nelle parole di Benedetto Croce nella parte conclusiva della trattazione: “E’ sull’istinto che trionfa la ragione inevitabilmente; è sempre sul male che trionfa il bene come un elemento susseguente della dialettica storicistica del mondo. E quando il bene trionfa di volta in volta sul male, la statura così dei singoli uomini come dei popoli si rinnovella e si fa più grande”.

In questa nuova riedizione del saggio, il prof. Mongiardo si propone di dimostrare che “anche quando l’umanità è angosciata dalla mancanza di sicurezza e dalla sfiducia verso valori eterni che sembrano andati perduti per sempre, come avvenuto all’epoca delle due guerre mondiali e come sempre avviene quando il senso della storia si fa tormentoso nei punti di crisi del divenire umano- afferma Mongiardo – sempre si eleva la parola rasserenatrice di Benedetto Croce, il filosofo dotato della serenità e freddezza necessarie ad evitare errori di valutazione, di contro agli istintivi e scalmanati irrazionalisti e nichilisti del tempo”.

Un testo ritenuto di grande pregio letterario, non solo per il significato filosofico dei contenuto trattati, ma anche per il fatto che al tempo della sua prima redazione, l’autore è stato il primo, tra gli appassionati di filosofia, a disquisire sull’accesa polemica Storicismo-Antistoricismo, condotta senza quartiere, nel periodo fra le due guerre mondiali, da Adriano Tilgher con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, l’allievo contro i propri maestri, all’epoca inconcussi giganti del pensiero filosofico.

Questo testo di Paolino Mongiardo ha riscosso apprezzamento anche nell’ambiente accademico dieci anni più tardi, allorchè il professore Gianfranco Lami, ordinario di Filosofia del Diritto presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza di Roma”, scrisse una lettera al professore calabrese Paolino Mongiardo, cercandolo nel suo paese d’origine, per complimentarsi e per proporgli degli scambi di idee, al fine di acquisire materiale di studio utile a una sua opera di prossima pubblicazione.

Nell’introduzione al saggio, l’autore anticipa i motivi della controversia ideologica tra i tre filosofi.

Secondo Paolino Mongiardo “Il senso della storia si è sempre fatto quasi tormentoso nei punti di crisi del divenire umano; e non sempre è facile, proprio perché si tratta dell’affiorare di un tormento inquieto, o di un allarme confuso, distinguere nettamente i più seri profeti della crisi dagli incomposti gridatori e banditori dell’irrazionalismo e dell’attivismo, quali erano al tempo Adriano Tilgher e Giuseppe Rensi: allora tutti i criteri che servono a distinguere il bello dal brutto, il vero dal falso, il bene dal male si confondono in un’oscillante incertezza.  A noi oggi- prosegue l’autore- è dato meglio distinguere, specie in un momento storico come il nostro in cui tutto, o quasi tutto, è tornato alla normalità, e le stesse inconsulte profezie catastrofiche sono sfumate nel nulla, essendo uscita l’umanità dal baratro in cui era sembrata cadere, il giusto valore di quelle posizioni in contrasto. Oggi ci rendiamo meglio conto come la speculazione filosofica crociana, dura e severa scuola in un’epoca confusionaria che ha vinto sui deboli e ne ha ottenebrato il buon senso, sia stata davvero un faro luminoso nella storia del pensiero, e come ancora faccia luce fino a noi ancora oggi con tutta la forza di attualità che conserva inalterata fin da quando ha saputo tagliare le penne a tutti i sogni nietzschiani e sperellici, riportando tutti a guardarsi dentro e a studiarsi e a rifarsi con l’umile e paziente lavoro di ogni giorno; e da quando ha saputo specialmente invalidare ed escludere con rigore ogni residuo di una dialettica di soggetto e oggetto che da Fichte in poi ha immeritoriamente monopolizzato la discussione filosofica”.

Paolino Mongiardo nella sua trattazione filosofica delinea quelli che sono non dei punti fermi sul problema della storia umana e spirituale, bensì degli orientamenti “poiché esso – spiega- non si risolve, in ultima analisi, né con lo storicismo ottimistico del Croce, che è una sopravvalutazione della storia, né con l’antistoricismo, se questo fosse inteso non come ripudio delle esagerazioni storicistiche, ma come negazione o incomprensione della storia”.

Secondo Mongiardo “è sulla costruzione dello storicismo umanistico del Croce che si deve soprelevare se si vuole vedere più lontano e più chiaro nella direzione della storia e della cultura. Così come è indispensabile un riferimento continuo al pensiero del Tilgher se si vuole avere una chiara visione del mondo di noi uomini particolari, dove la negazione dei fatti storici contingenti, tendente a rivendicare la libertà e il valore della persona umana di contro a qualsiasi piano provvidenziale o finalismo teologico, toglierebbe ogni significato al nostro vivere e al nostro terreno destino”.




Elon Musk, i popoli della Amazzonia e il colonialismo tecnologico

di Rodolfo Marchisio

Musk è chiaramente un personaggio egocentrico, contradditorio, anche nelle sue scelte di campo, tranne che su 2 cose: sul fatto di guadagnare soldi e che si parli di lui.

La iniziativa (di cui all’articolo di M. Guastavigna) è una forma di neo colonialismo tecnologico, razzista che si basa sulla convinzione della superiorità, grazie alle tecnologie (anche da noi discusse in modo critico, soprattutto per l’oligopolio della loro gestione da parte dei Big e per la mancanza di attenzione ai problemi che creano a cittadini, lavoratori ed ecosistema) della cultura occidentale). Diversa la iniziativa di B. Gates anni fa di portare PC a manovella a popolazioni che non avevano la energia elettrica.

C’è una presunzione di superiorità del ruolo delle tecnologie e della nostra cultura che va contro i diritti alla autodeterminazione dei popoli, dei cittadini e dei popoli e delle nazioni indigene[1]
Come quando abbiamo portato l’alcool (e i virus e la “vera” religione) negli altri continenti.
Non parliamo del buon selvaggio felice, ma del fatto che nessuno, né privato, né stato, ha il diritto di sconvolgere la evoluzione di un popolo, arrogandosi il diritto ed il potere di migliorare (deus ex machina) le sue condizioni in base alla presunta superiorità della nostra cultura occidentale esportando non solo tecnologie ma problemi (patologie e dipendenze) da noi irrisolti.
Noi siamo prigionieri delle tecnologie (dei padroni delle tecnologie), che se ci servono, però ci sfruttano come cittadini e consumatori; creano assuefazione ed effetti dannosi dal punto di vista fisico, psicologico, sociale, ci cambiano profondamente. [2]

Ci abbiamo messo secoli per arrivare a questa situazione, abbiamo avuto la possibilità di adattarci in modo critico (anche se non lo abbiamo fatto) e non ne siamo usciti, chiusi tra utilità, necessità, ma anche dominio, sfruttamento e problemi irrisolti.
Un popolo non può essere usato come cavia. Si tratta di un esperimento che usa popoli come cavie, senza tesi da dimostrare, senza preoccuparsi delle conseguenze, per far parlare di sé.
Per questo andrebbero aggiornate alla situazione attuale le varie dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei popoli, compresi i popoli “indigeni”, già ampiamente sfruttati: nel senso della autodeterminazione, del dialogo tra culture, dell’aiuto e della non ingerenza.[3]

Aggiornate ma poi attuate.

 

[1] Dichiarazione Nazioni unite sui Diritti dei popoli indigeni, maggio 2008 https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_dei_diritti_dei_popoli_indigeni
[[2] https://www.youtube.com/watch?v=Giibp5GApVg
[3]https://www.ohchr.org/sites/default/files/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_di_Algeri:_Dichiarazione_Universale_dei_Diritti_dei_Popoli
https://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/Autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187




Da Amazzonici a (potenziali) Amazoniani

cdi Marco Guastavigna

Ne hanno (s)parlato in molti: i satelliti Starlink hanno portato la connessione internet alla comunità Marubo, con la conseguenza di renderne gli appartenenti assimilabili agli “sdraiati”, gli adolescenti descritti qualche anno fa da Michele Serra.

Al di là degli aspetti pruriginosi – accesso alla pornografia digitale – e degli “o tempora o mores!” di rito, l’evento dà l’occasione di riflettere su un tema importante e complesso.

È infatti un classico caso in cui il dominio tecno-capitalista dell’Occidente si traduce non solo in supremazia cognitiva, ma anche in soperchieria morale e comportamentale.

Come se non bastasse, inoltre, questi esiti vengono considerati troppo spesso effetti collaterali di processi definiti con grande leggerezza e perniciosa ostinazione “progresso”, “sviluppo”, “crescita”, a seconda della convenienza politico-lessicale del momento.

Oltre che richiamo dell’epistemicidio denunciato da pensatori e attivisti non subalterni alla cultura europocentrica e fautori della pluralità delle storie, anziché della Storia così come è stata istituzionalizzata, la scelta di Musk è quella di rifiutare una visione della conoscenza come arcipelago di punti di enunciazione a favore dell’universalizzazione dell’immaginario e dell’agire di un segmento (demograficamente minoritario) dell’umanità.

Questa decisione, per altro certamente ponderata sul piano mediatico e aziendale, mi spinge perciò a proporre di insignire l’ imprenditore sudafricano del settimo grado del quadro di riferimento occidentale per le competenze digitali, fino ad ora assegnabile solo a Harry S. Truman: Colono.




Cara Giorgia, le scrivo (e le spiego qualcosa sulla “teoria gender”)

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, alias GIORGIA.

Da tempo volevo scriverLe, Onorevole Presidente, ma ora penso che sia arrivato il momento in cui non posso veramente più stare zitta. Anche perché non mi si addice!
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Sua dichiarazione “urlata” al congresso organizzato a Madrid recentemente da Vox, alla presenza di tutti i rappresentanti della destra estrema, prossimi al voto europeo.
Dichiarazione da Lei urlata in spagnolo (chissà perché quando deve parlare spagnolo Le scappa sempre di urlare…forse ha interpretato “vox” in questo modo?) in cui dichiara, tra le altre boutade ad effetto, anche che, in osservanza delle radici cristiane, Lei non accetterà mai che nelle scuole si parli della “teoria gender”.

Ora mettiamo le cose in chiaro, carissima Presidente, non si faccia cogliere “in castagna” pure lei come gli altri “gaffeurs” del suo governo che in genere, a dire il vero, si stanno dimostrando spesso piuttosto claudicanti, rispetto alla competenza culturale ma anche politico-amministrativa che sarebbe giustamente loro richiesta.
Dia l’esempio Lei, Presidente, e prima di aprire bocca si informi bene, come si conviene alla leader del Governo, i cui membri in teoria dovrebbero amministrare la “cosa pubblica” verso il BENE COMUNE e non verso la ricerca di facile consenso popolare, come sta invece accadendo nel caso di specie.

Mi spiego meglio : in questa circostanza ovviamente si tratta di “lisciare il pelo” a tutti quegli “integralisti” più o meno religiosi, più o meno oscurantisti, ma spesso soltanto ignoranti, nel senso che ignorano, alcune idee essenziali riferite alle tematiche in oggetto.
Di seguito ecco allora qualche spiegazione facilmente fruibile ma soprattutto alcuni riferimenti legislativi ineludibili, soprattutto da parte di chi ci sta governando. Si tratta del comma 16 della L.107/15 e dell’importantissimo “Trattato di Istanbul” (2011 ratificato in Italia nel 2013) da cui discende l’obbligatorietà del comma stesso.
Se li faccia tirar fuori, cara Presidente, e ne prenda atto. L’identità di genere, maturata oltre gli stereotipi verso le Pari Opportunità, non è il demonio e riveda le Sue posizioni così avventatamente urlate, a meno che Lei non voglia imitare il fondamentalista islamico Erdogan che, dopo aver ospitato la Commissione che ha steso il Trattato, recentemente l’ha rinnegato.
Cominciamo allora con l’abicì.

IDENTITA’ PSICOSESSUALE

Bisogna partire con calma ad affrontare l’evolversi dell’identità psicosessuale.
L’identità sessuale viene definita alla nascita come:

1) “IDENTITA’BIOLOGICA”
, attraverso l’osservazione del sesso anatomico (genitali esterni), generalmente con certezza, tranne nei casi di ermafroditismo chiamato oggi intersessualità.
Spendiamo due parole per chiarire questa definizione: si tratta di soggetti, per fortuna non frequentissimi, che si presentano alla nascita con una non chiara distinzione degli organi genitali esterni ed interni, per cui alla vecchia denominazione di “ermafroditismo”, un po’ criptica per chi è digiuno di nozioni biologiche, oggi si preferisce il termine “intersessuale”. Praticamente si tratta di combinazione ambigua tra gli organi. Un tempo si procedeva alla nascita ad una modalità di intervento cruento, decidendo così per un sesso o per l’ altro, il più delle volte affidato alla scelta genitoriale, su cui è meglio sorvolare perché foriera di grandi sofferenze da parte dei soggetti durante la loro crescita, come è facile immaginare..

Poi subentra:
2)”L’IDENTITA’ PSICOLOGICA” che consiste nell’accettazione della propria identità biologica sessuale, durante il processo di crescita;
– in caso contrario può sorgere una forte “DISFORIA DI GENERE”, consistente in uno stato d’animo angosciato, relativo al fatto di sentirsi prigionieri di un corpo sessuato non riconosciuto come ”proprio”;
– in conseguenza di tale disforia è possibile che nel soggetto crescendo appaia il TRANSGENDERISMO (in assenza o con rifiuto di intervento) oppure il TRENSESSUALISMO (in presenza di intervento) .
Il transessualismo deve essere tenuto distinto dall’orientamento sessuale.

Alla fine appare:
3) “L’ORIENTAMENTO SESSUALE” che può essere :
– eterosessuale,
– omosessuale,
– bisessuale.
– asessuale.

Queste distinzioni valgono anche per i transessuali.

IDENTITA’ DI GENERE
Se è vero, parafrasando Simone de Beauvoir, che maschi e femmine si nasce ma uomini o donne si diventa, questa maturazione è un processo che va accompagnato verso un’ottica di parità che valorizzi però le differenze. Dovrebbero perciò scaturire da questo processo delle identità il più possibile rinnovate dalla cultura e dalla riflessività e libere il più possibile dai vecchi stereotipi, che segnano spesso la sopraffazione del maschile sul femminile. A questo proposito una particolare vigilanza viene raccomandata nei confronti dei modelli offerti dai MEDIA che rischiano di essere assorbiti dai soggetti in crescita a-criticamente.
La scuola è molto importante in questa fase della maturazione delle identità perché al suo interno gli alliev* hanno due compiti: “apprendere e crescere”. Crescere verso le PPOO è un compito dicevamo non semplicemente biologico ma “educativo”, auspicabile ovviamente che avvenga all’interno di una Istituzione deputata a far superare stereotipi e pregiudizi e ad aprire le menti, a fronte della famiglia di per sé “conservatrice”.
Tale maturazione culturale, che si sviluppa dalla identità sessuale biologica, si chiama appunto, come dicevamo, “identità di genere”.
Per le osservazioni esplicitate precedentemente risulta chiaro che in presenza di ”disforia di genere”, e non accettazione della identità biologica, i soggetti TRANS rivendichino in modo più o meno esplicito una identità di genere diversa da quella biologica assegnata dalla natura.

CONCLUSIONI
Spero ardentemente che Lei capisca, come altrettanto capisca la Ministra Roccella, che immagino la segua in questa miope rivendicazione soltanto ideologica, nel senso più retrivo del termine, che cercare disperatamente di affermare la propria autenticità psicosessuale, in presenza come dicevamo di una “disforia” molto dolorosa, non sia una passeggiata ma un percorso di grande sofferenza, interna , psicologica e anche fisica. In altre parole, NON E’ UN CAPRICCIO!!!
Lo dica anche a Luca Ricolfi, che penso vicino alle sue posizioni, anche se ieri sul Gazzettino si sia sforzato di essere equidistante, tra il “pro e il contro” nascondendo però una trappola. La trappola deducibile dal titolo molto ambiguo ”Sono le donne le vere vittime della teoria gender”…
Il riferimento “era a soggetti MtF (da maschio a femmina) che senza ancora transizione chirurgica, come atleti maschi, pretendono di gareggiare nelle competizioni femminili, sbaragliando le atlete biologicamente donne; oppure ugualmente detenuti biologicamente maschi che pretendono di essere ospitati in carceri femminili (con numerosi casi di stupro)”….
Che dire? Mi sono vergognata per lui…




E’ mancata Paola Falteri, una combattente per l’insegnamento della storia

C’è molta commozione nel mondo della scuola per la scomparsa di Paola Falteri, geniale docente di antropologia culturale all’università di Perugia che a partire dagli anni ’70 molto si impegnò per costruire un approccio innovativo e progressista all’insegnamento della storia.

Riportiamo qui il ricordo di Antonio Brusa, già docente di storia all’università di Bari e presidente della Società Italiana di Didattica della Storia.

Paola Falteri è stata una combattente  per l’insegnamento della storia.
Scrisse un libro con Mila Busoni nel quale rompeva le barriere fra l’insegnamento della storia e quello dell’antropologia e sosteneva che fin dalle elementari ai bambini si dovessero offrire orizzonti culturali vasti e la conoscenza di popolazioni lontane e diverse. Un percorso affascinante, non solo per l’Mce, il Movimento del quale Paola è stata grande animatrice.
Lavorai con lei nell’Osservatorio interculturale, diretto da Milena Santerini. Dovevamo affrontare la questione: quale storia insegnare in una società ormai multiculturale come quella italiana? La storia mondiale, fu questa la nostra risposta, l’unica in grado di abbracciare tutti, uomini e donne di ogni parte del mondo.
Ci lascia, Paola, mentre dal governo giungono sirene identitarie e la proposta di una storia che, di fronte all’esplosione delle diversità umane, chiede agli italiani di ripiegarsi su se stessi, sulle proprie leggende, sui Pinocchi e sui Libri Cuore. Così, ci accingiamo a questa nuova battaglia in difesa di una storia cognitiva, libera dai gioghi identitari, senza di te, ma con la ricchezza dei tuoi libri e del tuo insegnamento.

Nel sito del Movimento di Cooperazione Educativa una pagina in cui la ricorda chi ha avuto modo di conoscerla e di lavorare con lei.