Cari docenti, (cari si fa per dire!) mi rivolgo a voi come dirigente scolastica, molto datata, direi esplicitamente anziana, che alla Scuola ha sempre pensato per tutta la vita e non ha ancora smesso. Entro subito nel merito della questione e cercherò di scandire in modo schematico il mio appello:
– la prima cosa: non camuffatevi da “NO GREEN PASS” avendo annusato da bravi benaltristi che nascondersi dietro slogan altisonanti come LIBERTA’ E DEMOCRAZIA forse vi può dare una patente di NOBILTA’ che il radicalismo dei no-vax storici ha perso per strada;
– ricordatevi che voi siete insegnanti tout-court e per questo dovete avere consapevolezza di essere l’ESEMPIO (in primis di cittadinanza) per cui all’interno dell’educazione civica, che vi riguarda tutti, dovete (sì dico proprio “dovete”) essere esempi di COERENZA TRA LE PREDICHE E LE PRATICHE (non invece della famigerata DOPPIA ETICA):
– rimanendo sempre all’interno del SENSO DI CITTADINANZA dovreste essere l’incarnazione delle scelte di vita che illuminano tutte le vostre azioni verso la realizzazione del BENE COMUNE (per raggiungere il quale dovete insegnare a RINUNCIARE al personale “tornacontismo”) non invece verso l’individualismo sfrenato ed egoistico, tipico di chi non vive all’interno di una comunità ma in un eremo dove non deve rendere conto; spero sia chiaro, ma forse è meglio esplicitarlo, che il Bene Comune in una pandemia significa vaccinarsi per proteggere noi stessi ma anche e soprattutto GLI ALTRI; aggiungo solo che, almeno in Italia, la democrazia attuale, cui tanto credete di aspirare mantenendo la vostra posizione, è una democrazia malata proprio perché ha perso la bussola del BENE COMUNE per rincorrere il CONSENSO, invece di meritarlo; se ,dopo tutto, la comunità cui vi siete artificiosamente AFFILIATI è quella dei No-Vax, cercate di prendere velocemente le distanze perché la radicalizzazione dogmatica che caratterizza questa “setta” è inquietante;
– vi ricordo inoltre che, all’interno delle Competenze chiave previste dal Parlamento Europeo e riprese dalle Indicazioni Nazionali, ci sono anche quelle DIGITALI. Per dettato esplicito delle norme scolastiche avete perciò il compito di insegnare a saper distinguere le notizie ATTENDIBILI da quelle FASULLE: se non lo sapete fare voi come presumete di insegnarlo ad altri?
– non offrite il fianco alle malelingue che potrebbero affermare che quando avete scelto di fare gli insegnanti avete scambiato la Scuola per una Agenzia di collocamento, già non godete nell’opinione pubblica tanta considerazione in genere come corpo docente. Questo a dire il vero è molto ingiusto soprattutto per tutti quei docenti rispettosi delle regole e che si ammazzano di fatica per la SCUOLA.
– ancora: se volete avere dalla vostra parte i genitori, già abbastanza messi a dura prova da due anni di pandemia, chiusure a aperture a singhiozzo, DAD ed effetti collaterali, delusione per risultati scadenti delle prove Invalsi, non sognatevi di accettare di essere destinati a compiti non di insegnamento, come mi pare abbia il coraggio di suggerire qualche sindacato “spericolato” che a dire il vero sembra non aver colto la gravità della situazione;
– non fidatevi di chi in questo momento vi sta in un certo senso “TUTELANDO”, come ho letto stamani sul Corriere della Sera, in una intervista concessa addirittura da una sottosegretaria del Ministero dell’Istruzione che non ha fatto ancora un bagno di sanificazione dal corporativismo docente di cui è affetta, dimenticandosi che non è lì per difendere i docenti ma la SCUOLA.
– non mi soffermo a spiegarvi in che cosa consiste la LIBERTA’ in questo contesto: pensate un po’ che l’ha perfino spiegato Sallusti a Borghi dalle pagine di LIBERO dell’altro ieri.
Spero vi basti.
6 agosto 1945, Hiroshima – 9 agosto 1945, Nagasaki
di Aluisi Tosolini
Cade oggi il 76° anniversario del primo bombardamento atomico della storia che pose fine alla seconda guerra mondiale costringendo il Giappone alla resa incondizionata.
Le due città furono distrutte in un lampo. I morti diretti, per lo più civili, furono circa 200.000 cui seguirono negli anni moltissime migliaia di morti per radiazioni e conseguenze del bombardamento atomico.
Il mondo entra in una nuova dimensione: la distruzione di massa è possibile
76 anni fa il mondo entrava in una nuova dimensione, quella della guerra atomica dove una nuova arma di distruzione di massa fece irruzione segnando per la prima volta la possibilità concreta e non solo teorica della totale distruzione dell’umanità. Un’arma concretamente ontologica.
Un’arma che manda in pensione l’idea della guerra giusta, come ha ben segnalato qualche anno dopo il Concilio Vaticano II che nella Gaudium et spes dichiarando che la guerra totale (ovvero in primis la guerra atomica prima e nucleare poi) alienum est a ratione (GS, 80). È fuori da ogni razionalità.
E la stessa legittima difesa, scrive la Gaudium et Spes, nella situazione attuale deve fare i conti con limiti oggettivi determinati dai rischi di distruttività totale, anche se agli stati non può essere negata: «fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà una autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa» (GS, 79). Nello stesso tempo, visto che la pace non è la semplice assenza di guerra (GS, 78), va ricordato che «l’edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre» (GS, 83).
Negli anni successivi il mondo per decenni è stato ostaggio di un bipolarismo che si è caratterizzato soprattutto come corsa agli armamenti ed in particolare come corsa a dotarsi delle più distruttive armi nucleari possibili.
Oggi siamo usciti dalla guerra fredda ma non dalla corsa alle spese per armi nucleari. Basti pensare che nel 2020, secondo il rapporto dell’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, premio Nobel nel 2017, https://www.icanw.org/ ), nonostante l’epidemia da corona virus, le nove potenze mondiali dotate di armi nucleari hanno aumentato di 1,4 miliardi di dollari i loro investimenti per la produzione di bombe atomiche.
L’ammontare delle spese a livello mondiale ha raggiunto la stratosferica cifra di 72,6 miliardi di dollari. Nel dettaglio gli Usa Stati Uniti hanno speso nel nucleare militare 37,4 miliardi di dollari, la Cina 10,1 miliardi, la Russia 8 miliardi, il Regno Unito 6,2 miliardi, la Francia 5,7 miliardi. Seguono India, Israele e Pakistan con una spesa ciascuno di oltre un miliardo di dollari per i loro arsenali nucleari, mentre la Corea del Nord ha speso, secondo l’ICAN, 667 milioni di dollari (a fronte di una crisi alimentare terribile)
A livello generale la spesa militare mondiale nel 2019 è ammontata, secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute ) a 1.917 miliardi di dollari, pari al 2,2% del prodotto interno lordo (PIL) globale o a 249 dollari pro capite. La spesa complessiva del 2019 è aumentata del 3,6% rispetto al 2018 e del 7,2% rispetto al 2010. La spesa militare globale nel 2019 è quindi cresciuta per il quinto anno consecutivo, con l’aumento più consistente dell’ultimo decennio (2010–19), superando quello del 2,6% del 2018. La spesa militare è aumentata in almeno quattro delle cinque regioni globali: del 5,0% in Europa, del 4,8% in Asia e Oceania, del 4,7% nelle Americhe e dell’1,5% in Africa. Per il quinto anno consecutivo il SIPRI non è in grado di fornire una stima della spesa militare totale in Medio Oriente (dati ripresi dal rapporto SIPRI 2020)
Per la spesa militare italiana, che è stata nel 2020 pari a 28,9 miliardi di dollari, si veda il sito della Rete Pace e Disarmo).
I numeri non ingannino: vanno riletti con attenzione. Nel 2020 il SIPRI di Stoccolma ha registrato un aumento del 2,6% della spesa militare che ha raggiunto la cifra record di 1.981 miliardi di dollari, cioè oltre 5,4 miliardi dollari al giorno. Ripeto: 5,4 miliardi di dollari al giorno.
Il tutto senza che vi sia stato alcun aumento della sicurezza a livello mondiale e con evidente e significativo sperpero di risorse che se usate in altro modo in pochissimi anni permetterebbero di raggiungere tutti i 17 obiettivi del dell’Agenda Onu 2030 (su cui continuiamo a fare chiacchiere e poco altro in convegni internazionali e progetti di educazione civica).
E non sto qui a paragonare le spese militari (o anche solo nucleari) con le spese per debellare a livello mondiale la pandemia Covid 19.
La guerra è sempre possibile ed è già una terribile realtà per molti
A 76 anni da Hiroshima e Nagasaki dobbiamo infatti riconoscere che nessun deterrente “armato” ha mai funzionato nel debellare la guerra ed anzi la guerra è sempre possibile e ancora oggi abita il nostro mondo, anche se a noi pare lontana ed improbabile.
Eppure già le spese militari sono una guerra combattuta tutti i giorni che provoca milioni di morti ogni anno per fame, malattie, povertà.
Per una nuova politica ed una nuova cultura della pace
Per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2021 papa Francesco così ha titolato il suo messaggio: «La cultura della cura come percorso di pace». È a partire dalla parola pace, e del suo risuonare dentro la logica della cura, che è possibile anche una rilettura dell’enciclica Fratelli tutti pubblicata da Papa Francesco il 3 ottobre 2020 . Enciclica direttamente ispirata alla figura di san Francesco, che «dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi, e seppe far cader le frontiere anche nella sua visita al Sultano Malik-al-Kamil affrontato col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi “tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio”» (FT, 3).
Oggi, secondo papa Francesco, siamo chiamati ad incamminarci lungo le strade di un nuovo incontro: «percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite. C’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia» (FT, 225).
I tratti di questi percorsi sono esplicitati chiaramente:
a) i conflitti non possono essere né negati né dimenticati;
b) occorre ricominciare dalla verità, anche storica: «la verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia» (FT, 227);
c) il percorso di costruzione della pace non è un percorso di omogeneizzazione: la pluralità di progetti di società è ricchezza;
d) il cammino verso una migliore convivenza chiede sempre di riconoscere la possibilità che l’altro apporti una prospettiva legittima – almeno in parte –, qualcosa che si possa rivalutare, anche quando possa essersi sbagliato o aver agito male (FT, 228);
e) un’autentica pace si può ottenere solo quando lottiamo per la giustizia attraverso il dialogo, perseguendo la riconciliazione e lo sviluppo reciproco (FT, 229);
f) la sfida è superare ciò che ci divide senza perdere la nostra identità (FT, 230);
g) non basta una architettura di pace ma occorrono anche artigiani di pace (FT, 231): l’architettura è costituita dalle istituzioni e dai passi istituzionali che tuttavia richiedono il concreto, fattivo, caldo impegno di ognuno chiamato a svolgere «un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione».
h) il percorso non ha mai termine: il cammino della costruzione della pace, nella costruzione dell’unità di una società, non è mai dato una volta per sempre. Occorre continuamente lottare per favorire la cultura dell’incontro, che esige di porre al centro di ogni azione politica, sociale ed economica la persona umana, la sua altissima dignità, e il rispetto del bene comune (FT, 232)
Artigiani di pace: il ruolo dell’educazione e della scuola
Hiroshima e Nagasaki sono stati e continuano ad essere una sfida terribile all’educazione e alla scuola. Le parole della Fratelli tutti ci ricordano un elemento essenziale e ben condiviso dai filosofi e saggi di questi anni (da Gunther Anders a Edgar Morin, da Gregory Bateson ad Hans Jonas, solo per citarne pochissimi), ovvero che siamo tutti sulla stessa barca, che il mondo è uno, che nessuno potrà salvarsi dalla distruzione del pianeta, avvenga essa per guerre nucleari o per creisi ambientale ed ecologica.
Siamo tutti fratelli, abbiamo tutti lo stesso destino sulla terra matria.
Da qui la sfida di una scuola e di una educazione chiamata a formare cittadini capaci di trasformare il mondo e la società.
La sfida, in sostanza, a connettere cultura e politica. Saperi e trasformazione della realtà.
E’ la sfida che sta al centro, ad esempio, della Marcia Perugia-Assisi di cui questo anno si celebrano i 60 anni e che si svolgerà il 10 ottobre 2021 vedendo ancora una volta la scuola come uno dei soggetti chiave del camminare verso Assisi
Perché Hiroshima e Nagasaki restino solo un monito ed un ricordo ed Assisi ed il messaggio di Francesco l’orizzonte cui tendere.
Nel decreto del 5 agosto non c’è solo il green pass
di Marco Campione
Tra il serio e il faceto ho sempre sostenuto che “il diavolo si nasconde nei dettagli” sia un proverbio inventato da qualcuno che si occupava di legislazione, probabilmente di legislazione scolastica.
Prima di dare un giudizio compiuto, è meglio quindi aspettare il testo “bollinato” del decreto approvato ieri.
Per ora abbiamo a disposizione il comunicato stampa del Governo e la conferenza stampa di ieri sera del Ministro Bianchi.
I provvedimenti che riguardano la scuola e che modificano il quadro previgente dovrebbero essere i seguenti:
– Obbligo di mascherina (con le deroghe consuete) sempre e non più, come previsto dalle bozze di piano scuola che recepivano quanto proposto dal CTS, solo quando non sia possibile il distanziamento
– Non cambiano, ma li ribadisco per comodità del lettore, la raccomandazione – quando possibile – del distanziamento di 1 m. e il divieto di permanere nell’edificio scolastico se si hanno febbre o ‘sintomatologia respiratoria’
– Per la gestione delle cosiddette quarantene si rimanda a successive linee guida e protocolli, introducendo però la casistica di classi dove gli studenti ‘abbiano tutti completato il ciclo vaccinale’. Su questo punto le parole chiave sono ‘tutti’ e ‘completato’ (ci torno nel commento finale).
– Presidenti di Regione e Sindaci possono disporre la chiusura delle scuole con alcune limitazioni molto stringenti: solo in zona arancione o rossa, in modo puntuale (no a chiusure generalizzate) e con un provvedimento motivato, “sentite le competenti autorità sanitarie”.
– Obbligo di green pass per il personale scolastico; dopo 5 giorni (ricordo che per il certificato è sufficiente un tampone negativo; anche su questo torno nel commento finale) sospensione dal servizio senza stipendio
– Sarà fatto uno screening di tutta la popolazione scolastica. Si noti che il CTS e la bozza di piano scuola circolata fin qui lo escludevano esplicitamente.
Scriverò nei prossimi giorni qualcosa di più puntuale, ma intanto condivido con voi le mie prime impressioni.
GREEN PASS
La più importante novità è ovviamente l’obbligo di pass per il personale scolastico, che però è fortemente ridimensionata rispetto alle ipotesi più dure che erano circolate: è in vigore solo fino al 31 dicembre, temo possa essere aggirato con una certa facilità (le deroghe e le esenzioni non sono normate) e – soprattutto – va costruito molto bene sul piano normativo per evitare ricorsi. Su questo ultimo punto le bozze che circolano non sono rassicuranti. Ci aggiorniamo con il testo definitivo.
SCREENING STUDENTI
Prima non era previsto e oggi sì. Anzi, prima era esplicitamente escluso. Sono tra quelli che lo hanno chiesto a gran voce e penso che sia una bellissima novità. Adesso bisogna correre perché sia tutto pronto tra poche settimane per svolgerlo velocemente e capillarmente, attivando ogni possibile sinergia tra Ente Locale, ASL e scuola (che purtroppo è anche uno dei punti deboli della gestione dello scorso anno scolastico).
QUARANTENE
Fino a ieri ci si comportava come se non ci fossero personale e studenti vaccinati, oggi fa capolino questa distinzione. Sicuramente, quindi, un passo avanti.
Ancora troppo piccolo a mio giudizio visto che non lo si fa in norma ma si rimanda a futuri protocolli e linee guida e – soprattutto – perché l’unica fattispecie introdotta è quella nella quale TUTTI gli studenti abbiano COMPLETATO il ciclo vaccinale. Ammesso che tutti si attivino tornati dalle ferie (fine agosto, primi di settembre), completeranno il ciclo a metà ottobre e basterà un solo studente non vaccinato per trattare quella classe come un covo di no-vax. Forse si poteva fare di più per aumentare il numero di classi da ricomprendere nella nuova fattispecie.
NORMA “ANTI-EMILIANO”
Se ne parla poco ma probabilmente il provvedimento che più garantirà la didattica in presenza su tutto il territorio nazionale. Se ne parla poco, ma i paletti introdotti a me sembrano sufficienti a impedire che questo o quel caudillo locale facciano la loro propaganda sulla pelle del diritto all’istruzione dei nostri ragazzi. Speriamo non si inventino nulla per aggirarla.
PNRR, Mission e Cultura
di Giovanni Fioravanti
Il sistema istruzione del paese funziona male, ormai è molto tempo che mostra segni di invecchiamento tanto da far presagire il suo esaurimento, dunque non è questione né di Covid né di Dad.
Ora però siamo di fronte ad una svolta, il governo ha licenziato il PNRR che contiene quattro macro mission, dieci riforme e dodici investimenti per oltre diciannove miliardi con l’obiettivo del “Potenziamento dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università”, da realizzare da qui al 2026.
Asili nido, tempo pieno e mense, riduzione dei divari territoriali nella formazione, riforma degli istituti tecnici e professionali, sviluppo degli istituti tecnici superiori, riforma del sistema di orientamento. Nuove competenze e nuovi linguaggi, sviluppo del digitale e della didattica integrata, nuove aule didattiche e laboratori, riqualificazione dell’edilizia scolastica. E in fine riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, riforma del sistema di formazione e reclutamento dei docenti.
Ma sorge un interrogativo: con quale cultura?
La cultura di un sistema formativo morente? Quali modelli? Quale idea di istruzione?
Il problema della cultura è rilevante in tutto il mondo.
Il nostro sistema scolastico è entrato nell’epoca della conoscenza con cui si è aperto questo secolo senza colpo ferire, sempre uguale a se stesso, come se il tempo fosse da sempre fermo.
Un treno con vagoni importanti al suo seguito, la media unica, la scuola di massa, la scuola a tempo pieno, i Decreti Delegati, la scuola della legge 517 del 1977: la scuola di tutti, la scuola del lavoro collegiale dei docenti, la scuola senza voti. Il sistema integrato zero-sei, l’autonomia scolastica.
Un treno su cui sono saliti personaggi come Loris Malaguzzi e Sergio Neri, Bruno Ciari, Don Milani e Mario Lodi. Ma in prima classe continuavano a sedere Gentile, Croce e Maritain, poco disposti a cedere il posto ai Piaget, agli Erikson, ai Bruner. Un treno di merci vecchie su cui si sono gettate, di volta in volta, quelle nuove un po’ alla rinfusa e con poca convinzione. Un treno ancora con le carrozze di prima: i licei, di seconda: gli istituti tecnici e, in fine, di terza, quelle con i sedili di legno, per la formazione professionale. Un treno che per troppi territori ha viaggiato a scartamento ridotto e che ancora perde passeggeri lungo il suo percorso. Un treno senza dubbio non attrezzato per attraversare le regioni della complessità, paradigma del nostro tempo.
Capitale umano non è una parolaccia, non è che persona e cittadino soggetti formativi del le nostre scuole siano meglio. Di fronte alla complessità l’umanità per salvarsi ha bisogno di capitale umano e il valore del capitale umano si misura in conoscenza. La centralità della conoscenza non perché funzionale al mercato ma perché funzionale alla nostra vita.
Veniamo dal secolo, quello scorso, dell’informazione e della formazione, abbiamo visto che nonostante l’enfasi attribuita a queste parole, esse servono a ben poco se non si traducono in conoscenza e da conoscenza in competenza, in padronanze per vivere, per dominare la nostra realtà, quella che ci circonda e quella che condividiamo con gli altri.
La conoscenza non è qualcosa che risiede a scuola, solo uno stupido potrebbe oggi coltivare un’idea simile. La conoscenza è ovunque, dalle reti del web al mondo universo, ovunque rintanata e ovunque si fa scoprire; scuole, biblioteche, musei, teatri e cinema ci offrono gli strumenti per conoscere, ce li insegnano, permettono di esercitarci nel loro uso, ma poi non c’è nulla della nostra vita che non sia conoscenza da farsi in proprio, da ricercare di continuo. Allora abbiamo necessità di apprendere da subito ad usare gli strumenti della conoscenza, da quando apriamo gli occhi sul panorama del mondo, su questo libro che non finiremo mai di sfogliare e di studiare, che passeremo agli altri dopo di noi, perché continuino a sfogliarlo e a studiarlo come hanno fatto quelli che sono venuti prima e ci hanno lasciato le loro pagine.
Dobbiamo assumere delle categorie nuove, degli a priori kantiani.
La conoscenza, lo studio, l’apprendimento appartengono a un tempo che mai ci abbandona, che ci sta addosso. Possiamo apprendere in tanti modi, gioiosi come quelli dei bambini, faticosi come quelli dell’adulto che si misura con la complessità, con le sfide di ciò che ancora non conosce, anche noiosi, poco interessanti, ma necessari. Ma un concetto ci deve essere chiaro e cioè che l’apprendimento è permanente, che ha bisogno del nido per arrivare all’università ed oltre. Quando dico nido e università non penso alle istituzioni, penso a tappe della vita. Penso che darsi come obiettivo di giungere al 33% di bambini che frequentino l’asilo nido, anche se target europeo, equivale comunque ad accettare ancora per molti anni che nel nostro paese solo il 29% dei giovani tra i 25 e i 34 anni sia in possesso del diploma di laurea. La società dell’educazione permanente è la società del cento per cento.
Uscire dall’idea dell’istruzione come servizio sociale, acquisire un concetto maturo, universale, radicale di diritto allo studio, che non tollera limiti, che ha origine alla nascita come il respirare, il nutrirsi e l’essere accuditi. La società della conoscenza dell’Europa di Lisbona del 2000 ha introdotto l’apprendimento per tutta la vita, non certo nell’ottica mercatistica di recuperare nuove competenze al lavoro, ma con l’dea di rompere con il concetto dell’ istruzione istituzionalizzata, statica, ingessata, unidirezionale dalle scuole alle università.
Nella società del capitale umano l’apprendimento inizia con la nascita e dura per tutta la vita, i luoghi di studio e di sapere sono luoghi aperti, di relazione permanente con il territorio e la vita delle persone, non conoscono chiusure, luoghi di flessibilità e non di rigidità, luoghi di accompagnamento e non di mortificazione, luoghi di valorizzazione e di condivisione, luoghi non di giudizio ma di comprensione, luoghi di crescita insieme, costante continua, luoghi di accudimento dei saperi. Luoghi in cui non ci si dispera se si apprende a distanza perché la qualità degli apprendimenti e delle relazioni non ne risentono essendo luoghi dove l’apprendimento è organizzato e diffuso ovunque, dove le città che apprendono, che affondano le loro radici nel sapere diffuso, nella cultura e creatività dei loro abitanti sono considerate luoghi normali di vita e di costume.
Se i miliardi del Recovery Fund li spenderemo mantenendo i paradigmi del ‘900 saranno soldi buttati via, spesi per inutili cattedrali nel deserto.
Insegnamento e apprendimento sono state le parole chiave della seconda metà del novecento per impossessarsi attraverso discipline e curricoli del patrimonio di conoscenze già accumulato. Ora la parola chiave è l’apprendimento permanente, la società della conoscenza dove tutto deve essere al servizio di ciascuno per essere in grado di apprendere ciò che ancora non conosciamo, non ciò che ci sta alle spalle, ma ciò che ci sta davanti e ancora non vediamo. Dobbiamo immagazzinare il nuovo e saperlo andare a scoprire là dove si rintana, abbiamo bisogno degli attrezzi cognitivi per fare questo. Questo non è un compito da comunità educanti, ma è il compito di società che nelle loro politiche e in ogni aspetto della loro organizzazione sono strutturate per dare centralità alla formazione, alla conoscenza, alla cultura necessaria a nutrire il capitale umano, l’unica vera risorsa di cui possa disporre oggi l’intera umanità. Società della conoscenza dove scuole e istituzioni culturali sono parte di una rete di apprendimento permanente che ne costituisce il tessuto connettivo.
Se sarà questa la cultura e la consapevolezza con cui affronteremo le mission per il “Potenziamento dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università” del PNRR, potremo sperare di far entrare il nostro sistema formativo a pieno titolo nella società della conoscenza, nell’epoca della conoscenza del ventunesimo secolo. Ma l’interrogativo con quale cultura resta aperto, con molte ombre e preoccupazioni, perché ciò che non è stato curato finora è proprio la cultura e il tempo per recuperare il tempo perduto potrebbe essere scaduto.
Quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo col ragionamento è un uomo morto
di Rodolfo Marchisio
Quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo col ragionamento è un uomo morto Cit. storica da FB
Non seguo di solito i dibattiti social fatti di frasi brevi assertive che presuppongono “ho ragione io” e non portano spesso al dialogo né a un risultato. Né i titoli urlati ad arte dei giornali, fatti per vendere o le trasmissioni televisive dette talk show.
Mi piacciono i dati ed il dialogo. “Non che ciò interessi, ma…” da La storia infinita di M. Ende.
Non solo perché sollecitato, ma anche perché mi hanno colpito molto alcuni aspetti delle polemiche, manifestazioni e dibattito/rimpallo infinito sui media sui temi No vax, No pass e via negando in una contrapposizione tipica per cui non solo si tifa per una squadra ma più spesso contro un’altra, provo a riflettere ad “alta voce”.
Il dibattito fra scienziati e politici assertivi e contrapposti in TV non ha giovato. Meglio stare zitti e lavorare. Dare tutte le informazioni utili, spetta alla politica su indicazione degli addetti ai lavori. I cittadini hanno diritto ad essere informati in modo chiaro e ordinato, nonostante l’emergenza.
Chi e quanti sono quelli che spingono questo dibattito? Dai numeri delle piazze 5mila a Torino (città? area metropolitana? regione?) non molti. Dietro di loro movimenti e partiti, ma anche fabbricanti di Fake news, le solite agenzie con legami con la Russia. Fonte Il Fatto quotidiano 29 7 21
Chi sono è più difficile da dire: sicuramente gente spaventata, che esprime i suoi timori e va rispettata, poi complottisti e tanti altri; essendo in una democrazia – “malata” ma democrazia – e non in un regime come temono di essere hanno diritto di manifestare ed esprimersi.
Neonazistiinvece non dovrebbero esserci perché “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista” (Disposizione transitoria XII)
Soprattutto i neonazisti non dovrebbero poter usare simboli delle orribili dittature cui si ispirano e paragonare una democrazia (malata) alla dittatura da cui nascono. E sopra ogni cosa non dovrebbero usare simboli e paragoni con il dramma della Shoa.
Per molti motivi: il senso della storia o anche solo il rispetto umano per i troppi morti innocenti che la dittatura cui si ispirano ha voluto e perseguito. E per i tanti morti di Covid 19. Cui non si aggiungeranno grazie al SSN. In questo caso disponibile e gratuito come sempre.
Colpisce la ignoranza e la strumentalizzazione della storia. In parte per superficialità in parte voluta e pianificata. Manca il senso della complessità degli eventi e c’è una semplificazione eccessiva: da una frase assertiva ad uno slogan.
La crisi sanitaria sociale, economica attuale è nuova, sconosciuta, inaspettata, da un lato; prima di prender decisioni bisogna capire, non ci sono precedenti. Dall’altra occorre fare in fretta per evitare morti e malati. In Cina e in Russia non è un problema. Decide il capo.
In una democrazia che come concordano 2 studi, uno di un istituto di ricerca, l’altro dell’Economist e di altri giornali USA, è una “democrazia con problemi” – siamo collocati concordemente al 3 posto della serie Bcon una votazione che sfiora l’8/10, insieme a USA e Giappone in zona promozione – occorre arrivare alla sintesi attraverso il dialogo. Defatigante. Specie se chi discute lo fa per interesse di parte o ambizione.
Ma siamo pur sempre secondo Bobbioed altri una delle democrazie del mondo.
Una crisi del genere fa paura, crea incertezza e questo va rispettato.
È difficile ma necessario mantenere aperto, in questo contesto di crisi, uno spazio emotivo per accogliere le notizie e le novità spesso negative e ripetute, ma questo è l’unico modo di capire emotivamente il nuovo, buono o cattivo che sia.
La scienza che in questo caso ha fatto un grosso lavoro coi vaccini, non vive di certezze, ma di dati e di conferme reciproche. “Falsificabile per principio ma non – ancora – falsificata di fatto” diceva Popper. Ma quando tanti dati di diverse fonti, convergono verso un risultato unico ci sono buone probabilità che sia attendibile. È come validare notizie in rete cosa che non sappiamo fare. Cercare tutti; verificare e confrontare le fonti no. Costa fatica.
Come ci ha insegnato Bauman – modernità liquida – la fase attuale del capitalismo monopolistico potenziata dalla rete e non controllata a sufficienza dalla politica crea disagio, incertezze, paura che si sfogano identificando nuclei di nemici contro cui scaricare la nostra rabbia, il nostro odio, con parole ed atti violenti, aggressività e Fake news. La retrotopia (“si stava meglio quando c’era la famiglia patriarcale” – ingiusta ma chiara) la difficoltà di affrontare cose nuove e complesse. Vedi le mappe che approfondiscono il tema
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L’aggressività verbale che sfocia negli insulti, nel complottismo, nella falsificazione della realtà e dei dati è un atto. Le parole e le informazioni sono atti e fanno altrettanto danno.
Se una ragazza si butta dalla finestra per gli insulti ricevuti online “è un gioco” o un fatto?
“Detto, Fatto” dice la regina di Alice. Le parole sono fatti e vanno usate con cautela.
Ah ma allora esistono i monopolisti che ci sfruttano! Certo che si, basta pensare ai Gafam, ma anche alle industrie farmaceutiche che cercano di sfruttare anche il Covid su cui hanno fatto un sacco di soldi e non vogliono pagare neanche (in USA e UE) il 15% di tasse, perché stanno in paradisi fiscali (anche europei). La lotta agli oligopoli è fatta di informazioni reali, trasparenza, controllo da parte della politica e della popolazione e richiesta di far pagare le tasse e rispettare regole (dati e privacy). Quello che stanno cominciando a fare (contro le lobby) i governi UE e USA.
Chi diffonde false notizie e denuncia complotti fa il loro gioco. La realtà è decisamente più complessa di un unico complotto internazionale. Questa cosa sa molto di “Protocollo dei savi di Sion”, il complotto sionista inventato dalla polizia segreta russa a inizio del 900 e poi usato dai nazisti per motivare lo sterminio degli ebrei nei campi.
Lo sfruttamento complottista di alcune forze politiche fa parte della campagna elettorale senza tregua del nostro paese per procurarsi quei milioni di voti alle prossime elezioni. Questo si è un complotto ed una manipolazione.
Anche qualche frangia della sinistra (qualsiasi cosa voglia dire) grida al complotto e contro la scienza. Ho dedicato parte della mia gioventù universitaria allo studio di Marx di tutte le sue opere ed in particolare al 1° libro del Capitale, dove Marx, che ha fondato il socialismo scientifico, contro il socialismo umanitario o utopistico, conduce una analisi dettagliata zeppa di dati e informazioni sulle condizioni del proletariato, inglese e europeo, molto convincente. Ce l’aveva col capitalismo non con la scienza. Purtroppo all’analisi non è seguita la sconfitta deterministica del capitalismo monopolistico, contro il quale, più forte di prima anche per l’uso che fa della rete, ci troviamo ancora oggi a combattere. Magari conoscendolo meglio e non in modo semplicistico. L’intelligenza artificiale è fatta da milioni di persone senza diritti. Lavoratori invisibili e consumatori inconsapevoli. Siamo tutti schiavi del clic. Schiavi del clic A. Casilli.
Concludo con le parole di un amico medico oncologo che ha fatto un grosso lavoro nel maggiore ospedale della mia città. Dopo avere chiarito che lui proprio per il suo ruolo conosce meglio di tanti il potere e le strategie oscure e truffaldine delle case farmaceutiche conclude: Stiamo ai dati: la vaccinazione riduce l’aggressività del virus e la velocità della sua diffusione; chi contrae l’infezione e non è vaccinato ha molte più probabilità di finire in rianimazione o in ricovero ospedaliero per la gravità dei sintomi; sulle decine di milioni di vaccinati gli effetti tossici hanno mostrato al momento di essere percentualmente inferiori a quelli di numerosi farmaci di ampio utilizzo e anche di alcuni fitofarmaci e prodotti di estrazione naturale. Questi sono dati certi e fatti reali: tutto il resto sono deliranti supposizioni, immotivate paure, interessate strumentalizzazioni. In pochi casi si tratta di inviti a una valutazione più critica, meno frettolosa e più attenta ai possibili rischi dovuti alle nuove formulazioni dei vaccini prodotti: posizioni rispettabili ma non condivisibili in una visione di sanità pubblica e di considerazioni di costi e benefici di fronte alla aggressività di questa pandemia. Oscar Bertetto. Come direbbe l’ispettore Clouseau: dei fatti. La ritengo una fonte affidabile proprio perché basata su dati, probabilità ragionevoli, responsabilità.
Le certezze agli incerti, agli ignoranti e ai manipolatori.
Segue…
‘Pensare è difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica’ Carl Gustav Jung
Dalle linee guida alla nota di accompagnamento: un’estate in attesa del miracolo
di Raimondo Giunta
“Siamo già in ritardo per organizzare l’anno scolastico in presenza della Delta, quando lo stesso bambino infetto che l’ottobre scorso avrebbe contagiato in media un solo compagno di classe, ne infetterà due. Esplosioni più repentine, focolai più massicci. La preoccupazione principale, almeno fino a giovedì scorso, è stata invece quella di aggiustare i parametri ad hoc per tenere l’Italia in bianco ‘fino a Ferragosto’. Con il gioco di prestigio pericoloso per tutti, di spostare decisamente il baricentro verso le occupazioni ospedaliere, un parametro che sappiamo essere più tardivo, e per di più con soglie azzardate.”
E ancora “Quanti nuovi casi giornalieri possiamo tollerare? Con quanti vogliamo affacciarci all’inizio dell’anno scolastico? Vanno bene cinquantamila al giorno seguendo mollemente il pendio su cui stiamo rotolando adesso, oppure decideremo per la prima volta che non è accettabile? Come gestiremo le classi? Quali misure di mitigazione resteranno in atto accanto alla via maestra dei vaccini?” (Paolo Giordano -Corriere della Sera del 25 Luglio 2021).
Questa lunga citazione tratta da un quotidiano che ancora fa opinione ci fa capire come si faccia strada il convincimento che, nonostante un anno e mezzo di esperienza pandemica e nonostante il cambio al Ministero della PI, con molta probabilità si affronterà il nuovo anno scolastico come sempre: all’insegna dell’improvvisazione.
Oltre la fiducia nella vaccinazione di tutto il personale della scuola e degli alunni dai 13 anni in su, non penso che si sia fatto qualcosa di significativo per garantire la ripresa delle attività didattiche in presenza. Si sono trovate le 20mila aule che richiedeva l’hanno passato l’ANP per fare scuola in condizioni di sicurezza? Si sono per caso ritoccati i criteri per la formazione delle classi per impedire quei focolai di infezione che sono le classi pollaio? Che senso ha prevedere l’organico aggiuntivo Covid fino al 31 dicembre 2021? Gli enti locali sono stati in grado di dotare di sistemi di ricambio d’aria le aule degli istituti di loro pertinenza?
Le Regioni saranno in grado di assicurare trasporti pubblici con la capienza massima del 50%? In mancanza di provvedimenti seri e utili si è dato invece molto spazio alla campagna mediatica sui risultati INVALSI, nei fatti impostata con la ruvida consapevolezza di costringere a qualsiasi costo alla didattica in presenza. Cosa volete che siano i rischi della pandemia con il disastro educativo, socio-emotivo creatosi con la DAD?
Che non si sia andati oltre la miracolistica aspettativa di una universale protezione vaccinale lo dice anche il fatto che mentre l’anno passato si discuteva in ogni sede e appassionatamente sulle Linee Guida, quest’anno ci si accontenta di una semplice nota ministeriale di accompagnamento ai consigli del CTS.
E dire che con meno difficoltà rispetto all’anno passato si poteva licenziare almeno in tempo il PIANO SCUOLA 2021/2022, perché le scuole hanno fatto esperienza di gestione dell’emergenza sanitaria; perché i milioni di banchi, compresi quelli con le rotelle, sono arrivati e le graduatorie per supplenze sono in vigore dall’autunno scorso.
Nessuno può eccepire sul fatto che sia sentita come una improcrastinabile esigenza sociale ritornare alla normalità della vita scolastica ed è pienamente legittimo sperare che avvenga a partire dal primo di settembre. Una speranza ed una necessità, perché bisogna tornare tutti al lavoro. Si è detto fino alla stanchezza che si muore anche di crisi economica, ma se tutti tornano al lavoro, le scuole per forza devono riaprire i battenti e lavorare a pieno ritmo. Nessuna società moderna si può permettere di tenere le scuole chiuse. Questo è un dato di fatto insuperabile e non c’è idea di scuola e di educazione che lo possa ignorare. Il problema allora è il solito: oltre il vaccino si sono create le condizioni per riprendere in sicurezza le attività didattiche?
Avendo senza tante precauzioni sperato nel miracolo, ora si rischia di deludere le speranze che si sono alimentate e di ricadere nel gioco perverso di reciproco discarico di responsabilità, tra scuole, ministeri, regioni ed enti locali.
Si è ancora in tempo per rimediare e per rimettere nel giusto verso le cose. Dipende dalla buona volontà di tutti i soggetti che hanno competenze sulla soluzione dei problemi della scuola e dal loro impegno a trovare i rimedi possibili caso per caso nel dovuto spirito di servizio, perché è molto probabile che ci saranno soluzioni che di volta in volta, di luogo in luogo, di scuola in scuola si dovranno trovare e adottare, perché non sarà la stessa musica dappertutto.
Se si abbandona la maniacale pretesa di avere segnato chissà quali cambi di passo a scuola e si comincia a parlare il linguaggio della verità, anche i problemi di una certa dimensione si possono affrontare e risolvere. Sulla scuola, però, non si può ripetere l’inganno di dire che si può ritornare alla normalità, se prima non è stata riscontrata una netta vittoria sul coronavirus.
Fino a quel momento ognuno di quelli che vivono a scuola, dal dirigente agli alunni, deve fare la propria parte per impedire nuovi contagi e per lavorare in sicurezza.
Un’ultima riflessione. Le scuole vivono dentro le città, ne fanno parte integrante e ne condizionano la vita. Finora sono state le scuole ad adattarsi; ma con gli ingressi differenziati, perché non potranno essere evitati, e con l’alto tasso di pendolarismo alle superiori dovranno essere le città, i paesi e le regioni ad adattarsi alle scuole.
Non pare che si sia chiaramente consapevoli di questo problema e che ci sia la volontà di prenderne atto.
Diciamolo allora.
Il virus non è stato sconfitto e ora si diffonde tra i giovani e non è pacifico che sia facile poterci convivere. Non si può mentire sulla realtà, per non pagare i prezzi dovuti.
La scuola in presenza comporterà per tutti rinunce, limitazioni e qualche sacrificio. Non verrà gratis.
Classi numerose e risultati scolastici
di Stefano Stefanel
Con il concetto di “classi pollaio” si intendono contemporaneamente due concetti molto diversi tra loro:
classi con troppi alunni in spazi troppo ristretti e assegnati ad un docente per ora;
classi che a causa della numerosità penalizzano i risultati degli studenti.
Nessuno ritiene che le “classi pollaio” siano un fenomeno positivo, ma l’argomento viene affrontato in maniera non organica e quasi esclusivamente attraverso dichiarazioni, proclami o generici interventi dentro le molte e spesso illeggibili linee guida. Cerco, pertanto, di andare un po’ al fondo della questione, anche perché la pandemia e il distanziamento non hanno portato a nessuna modifica, nemmeno temporanea, del numero di alunni per classe.
TROPPI STUDENTI IN POCO SPAZIO
25 studenti in 50 metri quadrati stanno troppo stretti. In molti casi i metri quadrati sono 40 e gli studenti 27. Se, dunque, parliamo di vivibilità dentro gli spazi scolastici dovremmo intervenire immediatamente sull’edilizia scolastica, costruendo nuove sedi per trasformare le “classi Pollaio” in classi a misura di studente. Qual è la misura ideale per uno studente? Direi, senza molti dubbi, tre metri quadrati.
Quindi per mettere 25 studenti in una classe e farli vivere a loro agio l’attività didattica servirebbero 75 metri quadrati, per 20 studenti ne servirebbero 60. E non bisogna pensare che gli studenti delle scuole primarie abbiano bisogno di spazi più piccoli di quelli delle scuole secondarie, perché non è così: più piccoli sono, gli studenti, più hanno bisogno di spazio. Chi conosce un po’ le scuole sa che aule di 75 metri quadrati in giro ce n’è poche (e di solito, quelle poche, sono occupate da laboratori) e dunque se si vuole ridurre “il pollaio” bisogna demolire le scuole che ci sono e costruirne di nuove con spazi ampi. Sta succedendo questo? Non mi pare: più sono nuove le scuole e più sono piccole e le aule anguste (perché sono state progettate prima della pandemia per risparmiare su luce, riscaldamento, ecc.).
Dati precisi, comunque, io non ne ho, ma ho una visione empirica forse non completamente sbagliata. Dirigo un Liceo di 1515 studenti con 60 classi: due hanno a disposizione 70 metri quadrati, le altre 50, 40 o, purtroppo, anche meno. Se però noi diminuiamo gli studenti per classe e li portiamo a 20 arriviamo a contenere negli attuali edifici 1.200 studenti. E gli altri 300 dove dovrebbero andare? Bisognerebbe costruire per loro una scuola vicino alla vecchia o mandarli altrove.
Ma poiché già applico la lista d’attesa (cioè faccio tante prime quante quinte escono e quindi non accetto tutte le iscrizioni) quanta gente dovrei mandare via ogni anno? E tutti questi studenti dove andrebbero? Forse ai Licei di fuori città in cui però, pare, non vogliano andare? Ovviamente l’eliminazione delle “classi pollaio” in una situazione come la mia creerebbe solo questioni di ordine pubblico o un Liceo diviso in cinque-sei sedi sparse per la città. In ogni caso un disastro.
Ho scritto in passato, in vari interventi pubblici, che l’edilizia scolastica è un problema assoluto del sistema scolastico e che quindi bisognerebbe utilizzare i soldi del PNRR-Next Generation Eu per abbattere e rifare almeno il 70% del patrimonio scolastico nazionale, ma non ho avuto alcun riscontro in merito, né la livello locale, né a livello nazionale anche se i miei interventi sono stati comunque letti. Mi pare di poter dire che l’idea di intervenire massicciamente sul patrimonio edilizio scolastico nazionale sia un’idea (quasi) solo mia.
POCHI STUDENTI E RISULTATI MIGLIORI
L’altra questione è ancora più controversa: non so se esiste in giro uno studio accurato ed esaustivo che certifichi come nelle classi con pochi alunni si apprenda meglio che in quelle con tanti alunni. Anche in questo caso servirebbero dati e questi non ci sono, ci sono solo dichiarazioni che danno per scontata la cosa (che nelle classi con pochi alunni si apprenda meglio che in quelle con molti alunni). Anche in questo caso riporto qualche osservazione personale.
Ci sono molte scuole con “classi pollaio” che hanno ottimi risultati e scuole con classi piccole che hanno un’alta dispersione scolastica. Molte scuole con tante classi pollaio hanno ottimi risultati nell’Invalsi, nell’Ocse-Pisa (quando vengono testate), negli esami di stato e anche nel criticato Eduscopio (per le scuole secondarie di secondo grado). Poi ci sono scuole con piccole classi dove la dispersione e alta e i risultati negativi. Situazioni del genere le conosco io, ma sono facilmente conoscibili da chiunque.
Se fosse certo che classi con numeri bassi di studenti danno risultati molto positivi e “classi pollaio” creano invece problemi all’apprendimento allora bisognerebbe spingere, immediatamente, per una nuova edilizia scolastica. Però, scusate, faccio una domanda banale e retorica: se in una grossa scuola superiore con più di 1500 studenti ne viene bocciato lo 0,56%, i risultati del criticato Eduscopio la danno da anni il primo posto in provincia e le classi sono “pollaio”, perché dovrebbe esserci la corsa ad un iscriversi ad una piccola scuola di 500 studenti con un tasso di bocciature dell’8% che sta sempre all’ultimo o penultimo posto di Eduscopio, ma che ha 14-15 studenti per classe (ogni riferimento a fatti realmente esistente è puramente casuale o almeno così è meglio dire).
Io credo sia necessario avere dei dati per verificare dove sono le “classi pollaio”, per capire se chi frequenta le scuole di una zona (città o paese) è disponibile ad andare altrove per non stare in “classi pollaio” e , infine, se conviene frequentare la scuola in classi piccole, dove possono anche interrogarti tre volte in più che nelle “classi pollaio” e senza avere poi alcun reale vantaggio certificabile.
In conclusione ho molte perplessità sul concetto di eliminazione delle classi pollaio se non legato ad una revisione del patrimonio edilizio scolastico, ma, soprattutto, ad una revisione del patrimonio didattico-pedagogico della scuola italiana. Mi piacerebbe avere dati che confermano che alla diminuzione degli studenti per classe corrisponde un sensibile e verificabile miglioramento degli apprendimenti, non del numero delle verifiche (visto che ci sono meno compiti da correggere e meno studenti da interrogare allora si verifica di più: in questo caso è uno strazio, “meglio il pollaio”).