Quale legame fra modello politico e modello educativo?

di Raimondo Giunta

Il discorso funebre di Pericle per gli opliti morti in battaglia nel primo anno della guerra del Peloponneso, riportato da Tucidide, è un inno al modello politico democratico della propria città, prima di essere un omaggio a quanti erano morti per la propria patria.
Giustamente citato e riprodotto ogni volta che si vuole distinguere la democrazia da qualsiasi altro regime politico.
“Mi dedicherò, invece, all’elogio di questi caduti, ma solo dopo aver chiarito in primo luogo sulla base di quali principi di comportamento siamo pervenuti a questa situazione, con quale regime politico e in virtù di quali caratteristiche personali il nostro impero è divenuto grande” (La guerra del Peloponneso II 36, 4).
Un regime in cui tutti si trovano in una condizione di parità e si può eccellere negli onori pubblici per meriti personali e non per l’appartenenza ad un determinato ceto; un regime in cui coesistono la tolleranza nei rapporti privati e la fedeltà alle magistrature e alle leggi, soprattutto se sono state concepite per difendere le vittime delle ingiustizie. Un regime che assicura allo spirito numerose occasioni di sollievo dalle fatiche con gare di diverso genere e con feste religiose. Per quanto riguarda l’educazione, non ci sono costrizioni per pervenire al coraggio e per diventare capaci di affrontare i pericoli. Ad Atene, afferma Pericle, si ama ciò che è bello nella semplicità e il sapere senza mollezze e chi non partecipa alla vita pubblica viene considerato un cittadino inutile.
“E noi stessi esprimiamo giudizi o discutiamo come si deve sulle questioni, dal momento che non riteniamo che le parole siano un ostacolo per l’azione, ma piuttosto che lo sia il non essersi informati attraverso la parola prima di affrontare l’azione che deve essere intrapresa” (Ibidem II, 40, 2).
Pericle fa della democrazia il regime che rende liberi e che è sostenuto da uomini che vogliono essere liberi.

Nella mente di Pericle quel modello politico era consapevolmente legato ad un modello educativo: ”In conclusione affermo che la nostra città, nel suo complesso, costituisce un modello di educazione per la Grecia e che nella mia opinione i nostri uomini, presi individualmente, mostrano una personalità sufficiente a ricoprire con disinvoltura i ruoli più diversi” (Ibidem II 41, 1) .

Proprio per questo Platone, che a proposito di modelli politici e di modelli educativi aveva altre idee, del discorso del grande ateniese farà una straordinaria satira nel Menesseno, riconducendolo alle dimensioni di una rituale, anche se eccezionale, prova di retorica funebre. Riconosceva, però, in questo modo l’importanza e il significato che aveva ancora nell’Atene del suo tempo. Il grande filosofo ateniese nella Repubblica aveva espresso la convinzione che ad ogni tipo di regime politico non possa non corrispondere un tipo particolare e preciso di uomo; vivrebbero in perfetta simbiosi. Per quanto riguarda la democrazia, orgogliosamente illustrata e rivendicata da Pericle, Platone, che non l’amava affatto, non si era dilungato in notazioni favorevoli di virtù.

“A parer mio, la democrazia si instaura quando i poveri hanno la meglio, e quelli della fazione opposta, in parte vengono sterminati, in parte esiliati. Coi rimanenti vengono equamente divise le cariche e i poteri, il più delle volte estraendoli a sorte”(557 A)”; ”Dunque, ripresi, questi e altri simili sono i tratti tipici della democrazia, la quale certamente HA TUTTA L’ARIA di essere una forma di governo civile, non autoritaria e pluralista, che sa diffondere un certo principio di uguaglianza agli uguali e ai disuguali”(558 C)L’anima dell’uomo democratico è una fortezza “vuota di nozioni, studi elevati, e di validi ragionamenti, i quali nella mente degli uomini prediletti dagli dei, costituiscono i più strenui guardiani e difensori”(560 C). I democratici sono persone ”che mettono al bando il pudore, chiamandolo stoltezza, che espellono la temperanza coprendola di insulti e dandole il nome di viltà; e così pure danno il benservito all’equilibrio e alla parsimonia nelle spese presentamdoli come spilorceria e rozzezza, grazie anche alla complicità di molti insidiosi desideri”(560 D); ”Chiamano buone maniere la prepotenza, libertà l’anarchia, munificenza la dissolutezza, coraggio la sfrontatezza. Non è forse questo il modo in cui un giovane da una formazione che fa leva sui desideri necessari passa alla più totale libertà e rilassatezza nel concedersi a desideri non necessari e niente affatto utili?”(561 A); e così via seguitando ”Hai fatto, disse lui, un quadro perfetto della vita dell’uomo tipico dello Stato in cui la legge è uguale per tutti”-(561 E)

Pericle e Platone hanno idee molto diverse sul modello di polis e sul modello di educazione, ma concordano sul fatto che il modello educativo debba corrispondere al modello di società; propongono un legame organico tra i valori e i principi che regolano un particolare regime politico con quelli che devono regolare l’educazione dei giovani. Nel convincimento siffatto emerge il proposito che la formazione del giovane debba essere funzionale alle condizioni della società in cui dovrà assumere il proprio ruolo di cittadino e di lavoratore. Non ha respiro un’educazione che non si proietti nello spazio pubblico e che in fin dei conti non abbia vita lunga e significativa. Problema serio; ogni società si aspetta un’educazione conforme ai propri valori e alle proprie necessità; non concede molto spazio e autonomia al proprio sistema di istruzione ed educazione, se pretende di elaborare valori e principi alternativi; in una parola alla pedagogia non si concede molta libertà in questo compito, perché in altre sedi vorrebbero occuparsene.
Sicuramente per quanto spazio si voglia e si possa dare alla funzione conoscitiva di trasmettere saperi e conoscenze, per come funziona oggi la società, per come funzionano le famiglie la scuola non può sottrarsi alle proprie responsabilità educative.
La pretesa di farla corrispondere in via esclusiva ai bisogni del mercato del lavoro non copre lo spazio che il sistema di istruzione e formazione di fatto viene ad occupare nella società. L’organicità tra progetto educativo e regime politico, che spicca nei modelli della Grecia Antica, dopo le esperienze drammatiche del Novecento nessuno ha l’ardire di proporla, anche quando ci si rende conto dell’insufficienza di processi formativi centrati solo su competenze professionali. E questo anche in regimi che di fatto o nominalmente si dicono democratici. L’educazione deve essere pluralistica, aperta, inclusiva, ma inflessibile su alcuni valori . Nei regimi democratici l’educazione deve tenere conto della società e deve tenere conto dei diritti della persona, i cui bisogni educativi non si risolvono interamente nella collocazione in un ruolo della società. In questa bivalenza e nell’autonomia della persona dalle ingiunzioni, che possono essere prevaricatrici della società, la pedagogia conquista la sua autonomia e si emancipa dagli obblighi istituzionali. E’ questa la sfida odierna; il sistema di istruzione non può non darsi un progetto educativo e questo deve essere aperto, rispettoso dei diritti della persona.




Contratto scuola: “adeguamento” e “aumento” non sono sinonimi

di Gianfranco Scialpi

Quando si parla del cntratto scuola, “adeguamenti” e “aumenti” sono spesso utilizzati come sinonimi.
Facendo chiarezza, si comprende la realtà sconsolante nella quale si trova il docente italiano

Contratto scuola, facciamo chiarezza sui termini

Contratto scuola. Riguarda la categoria più numerosa del pubblico impiego. Purtroppo, il patto è regolato dal D. Lvo 29/93 che purtroppo impedisce di sognare cifre esagerate. Le dichiarazioni e il dibattito pre-contrattuale è viziato da una certa confusione sulla terminologia usata. In altri termini si presentano come sinonimi adeguamenti e aumenti. Il primo ha un riferimento molto preciso: il tasso d’inflazione programmata (D.Lvo29/93) da non confondere con quella reale, sempre maggiore. Il secondo invece fa riferimento a risorse superiori al costo della vita reale. Pertanto, per il pubblico impiego e quindi anche per la scuola, non parliamo di mancati aumenti, bensì di graduale perdita d’acquisto. Il concetto rimanda alla possibilità di acquistare un determinato numero di beni e servizi con un certo reddito. Il potere d’acquisto è correlato all’inflazione. Se i prezzi aumentano (inflazione reale) e il reddito rimane inalterato, allora la nostra possibilità di acquistare gli stessi beni si riduce. Da qui si comprende il graduale impoverimento dei docenti che purtroppo dura da quasi trent’anni. Si comprendono i confronti impietosi
Un lavoro condotto dal Centro Studi Nazionale della Gilda, spazza via ogni alibi. Abbiamo perso tanto. Si legge “In 10 anni gli stipendi dei docenti italiani sono calati mediamente del 7% rispetto all’andamento dell’inflazione. Tradotto in altri termini, significa che dal 2007 a oggi le buste paga mensili si sono alleggerite di circa 170 euro lordi.”
Impietoso diventa il confronto con i paesi europei. Si legge sul sito del sindacato Anief: “In Germania e in Francia le cose sono andate ben diversamene. Il lavoratore dipendente tedesco nel 2010 godeva già in media di una retribuzione lorda più alta di quello italiano, collocandosi a quota 35.621 e nel 2017 è salito di ben 3.825 euro quota 39.446 euro. Anche il lavoratore francese nel 2010 guadagnava di più del nostro – era a quota 35.724 – e nel 2017 porta a casa il 5,3 per cento in più collocandosi a 37.622 euro”.




Perché è difficile (o forse impossibile) “convincere” i no vax. Il ruolo della scuola

di Pietro Calascibetta

Parlare di no vax a scuola può essere un argomento spinoso in questo momento perché può sembrare divisivo, ma mi domando se è più divisivo parlarne o non parlarne e lasciare che sia il convitato di pietra della relazione educativa. Nelle superiori ci saranno sicuramente studenti no vax e in tutti i cicli genitori no vax.

Il non parlare con gli studenti di un problema che li coinvolge come persone e come cittadini non è mai una buona soluzione a tutte le età. Proprio per questo è necessario a mio avviso trattare comunque la questione, ovviamente con i dovuti modi nei diversi cicli.
Chi, se non la scuola può affrontare l’argomento in modo formativo al di fuori dalle strumentalizzazioni, abituando i ragazzi ad argomentare piuttosto che ad affermare certezze recuperate con il taglia e incolla dai social. Vogliamo lasciare questo compito ai talk show?
Un approccio orientato alla ricerca su questo tema è quello che meglio può permettere di costruire un percorso di riflessione in grado di favorire un confronto democratico senza correre il rischio di rinfocolare le divisioni. Provo allora a toccare quelli che possono essere gli snodi strategici di un percorso.

I MOTIVI DELL’ALTA TENSIONE

Per prima cosa penso sia importante partire dalla presa d’atto della tensione che si è creata nel Paese in questi mesi, cercando di capire se e come gli studenti la percepiscono è successivamente perché si è creata.
L’opposizione di molti alla somministrazione dei vaccini era ben presente da tempo in Italia, soprattutto l’opposizione all’obbligo vaccinale per i bambini, come il mondo della scuola sa bene poiché ha dovuto far fronte al problema delle famiglie che non volevano sottoporre i propri figli alle vaccinazioni obbligatorie, tanto che la Ministra Lorenzin ha dovuto predisporre il decreto n. 73/17 per ribadirne l’obbligatorietà e fissare le modalità di controllo e sanzione per i non adempienti.
Avverso il decreto è stato addirittura presentato un ricorso alla Corte Costituzionale dalla Regione Veneto, non da un cittadino qualunque, ma da un’istituzione.

Al di là dei ricorsi, la tensione sul tema della vaccinazione non era nel passato mai salita così tanto. Che cosa è cambiato?
Ora la questione del vaccino non riguarda solo i genitori no vax e i bambini non vaccinati, ma riguarda tutta la popolazione adulta, sia i no vax, sia chi invece si è vaccinato.
Quello che sta montando nella società è una sorta di muro contro muro tra chi non intende vaccinarsi e conseguentemente ritiene il green pass un modo sublimale per far vaccinare le persone se non addirittura un ricatto e quindi è infuriato e chi dall’altra parte ritiene che il vaccinarsi sia un dovere nei confronti della collettività per permettere che si ritorni ad una vita normale. Tutti hanno un’opinione al riguardo, in ufficio, sui social, in famiglia, alla tv.

Questa contrapposizione sta assumendo dei toni sempre più accesi perché, se guardiamo bene, tocca per gli uni e gli altri un argomento delicato come la sopravvivenza. Chi non si vaccina ritiene a torto o a ragione che la vaccinazione metta in pericolo la sua vita nel presente o nel futuro e chi si è vaccinato ritiene che chi non si vaccina mette a repentaglio la sopravvivenza della comunità e quindi anche la propria, ma non solo, rimprovera loro il fatto che non vogliono fare ciò che chi si è vaccinato ha fatto per il bene di tutti anche eventualmente esponendosi ad un rischio nel caso vi fosse, una sorta di tradimento bello e buono del patto sociale.

Come si vede si tratta di argomenti che toccano la sensibilità profonda delle persone, mettono in discussione la coesione sociale e sono potenziali micce per far deflagrare qualcosa di più grave di semplici scaramucce.
E’ la dimensione del problema da cui partire.

IL PERCHE’ DEL GRAN RIFIUTO

Lo Stato sicuramente vincerà sui facinorosi, ma i più miti anche quelli che alla fine si vaccineranno per pragmatismo continueranno a sentirsi coartati, non è quindi una questione che si possa nascondere sotto il tappeto come è stato fatto negli anni scorsi con l’obbligo vaccinale dei bambini proprio perché ad essere coinvolti nel rifiuto sono ad oggi circa otto milioni di cittadini.
Al di là delle strumentalizzazioni opportunistiche e delle manipolazioni interessate della realtà per soffiare sul fuoco della protesta e raccogliere consensi a buon mercato, dietro a chi si oppone vi sono bisogni, convinzioni e ragionamenti.

L’ascolto, l’empatia e la comprensione delle ragioni sono l’unica strada per poter aprire un confronto autentico che possa permettere di trovare delle risposte in grado almeno di toccare le convinzioni viscerali della gente.
E’ bene che gli studenti si rendano conto che per affrontare un conflitto sociale bisogna comprenderne le radici profonde per agire su di esse e che la sola dialettica non basta, come insegnano le decine di scontri verbali nei talk show.

Una delle competenze di cittadinanza è saper ascoltare gli altri, soprattutto chi non la pensa come noi.
Se analizziamo con attenzione le argomentazioni messe in campo da chi contesta i no vax ci accorgiamo che le discussioni finiscono per ruotare sempre intorno a due questioni: la liceità del geen-pass e il fatto che i vaccini sono sicuri. Un evidente discorso tra sordi, perché non è questo il problema.
Continuare a confrontarsi su questi temi non tocca i motivi per cui molte persone non intendono vaccinarsi. Un discorso tra sordi, appunto, frustrante per tutti e due gli schieramenti e che alimenta tensione.

COSA SI NASCONDE DIETRO AL “NO”

Proviamo con gli studenti a capire da dove proviene un’avversione così profonda e viscerale verso i vaccini che dovrebbero razionalmente essere considerati da tutti una straordinaria opportunità per la sopravvivenza individuale e dell’umanità.

Utilizzando il testo dell’Ufficio Studi della Corte Costituzionale a cura di Paolo Passaglia, dal titolo “La disciplina degli obblighi di vaccinazione, Corte Costituzionale. Servizio Studi. Area di diritto comparato” (ottobre 2017) andiamo indietro nel tempo e allarghiamo lo sguardo a livello mondiale.
https://www.cortecostituzionale.it/…/Internet_Comp%20…

Scopriremo così che le contestazioni a questa nuova pratica cominciano contemporaneamente alla scoperta della metodologia della vaccinazione per debellare malattie endemiche che tormentavano l’umanità da tempi remoti e mietevano milioni di vittime.
Può essere sorprendente scoprire che fin da allora una parte della popolazione invece di gioire di questa possibilità che risolveva un problema concreto la contesti come oggi.
Per cercare di comprendere questa opposizione è indispensabile conoscere e approfondire con i docenti di scienze cos’è e come funzionava un vaccino in origine e perché si chiama proprio così.
Una volta tanto valorizziamo anche le conoscenze! (https://www.epicentro.iss.it/vaccini/VacciniCosa https://www.treccani.it/enciclopedia/vaccino/ ).

E’ utile far conoscere agli studenti anche la storia dei vaccini e delle pandemie, in particolare la storia del vaiolo deradicato definitivamente solo nel 1980 per scoprire che l’opposizione non è una novità, ma che non sarà facile liberarsi del Covid senza il vaccino.
Si tratta di una conoscenza indispensabile per prendere atto che uno dei motivi, ovviamente non l’unico, per il quale la vaccinazione genera in alcuni individui una viscerale repulsione sul piano psicologico è proprio l’inoculazione di un a sostanza estranea nel corpo di una persona sana.

E’ interessante far conoscere agli studenti la storia di questa pratica dell’inoculazione che risale già al 1700 e l’opposizione ad essa da parte della società dell’epoca con motivazioni diverse (https://www.treccani.it/…/l-eta-dei-lumi-le-scienze…/).
Si capirà perché l’introduzione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni così come ogni altro trattamento sanitario obbligatorio che tocca l’integrità del corpo di una persona deve fare i conti con quanto recitano le Costituzioni di tutto il mondo sul diritto all’integrità fisica, sul rispetto della persona, sul rispetto delle convinzioni religiose e del pensiero, una riflessione da fare questa volta con l’insegnante di educazione civica, di diritto o di storia.
Un cenno ai problemi legali, etici e religiosi che vi furono con i primi trapianti di cuore può far capire come un dibattito sulla liceità della vaccinazione non è così pretestuoso, né così datato, senza parlare poi dell’aborto, tema certamente molto più complesso da affrontare, scoprendo che esiste uno stretto rapporto tra etica, religione, scienza e medicina.

La lettura del saggio dell’Ufficio Studi della Corte Costituzionale ci dice che fin dai primi del ‘900 vi sono negli Stati Uniti, così come in altri Paesi , numerosi contenziosi contro la vaccinazione non solo per il vaiolo.
E’ del 1954 la nascita in Francia della “Ligue Nationale Pour la Liberté des Vaccinations”.

Consci di questa diffusa opposizione alla vaccinazione, addirittura contro il vaiolo che era pur una tragica pandemia, e consci dei vincoli costituzionali, le legislazioni dei vari Pasi sono state ben caute nell’introdurre l’obbligo per altre vaccinazioni e quando lo hanno fatto le hanno introdotte per i nuovi nati cercando di trovare modalità particolari di convincimento, per questo il contenzioso fino ad ieri è stato molto circoscritto.

UNA DIVERSA STRATEGIA PER UN CONFRONTO AUTENTICO

L’argomento principale che si oppone ai no vax è che i vaccini per il Covid sono sicuri, lo stesso discorso lo si fa per il vaccino contro il morbillo, la difterite, il vaiolo ecc. E’ vero, ma è la solita argomentazione che fa incaponire di più un no vax.
Parlare di sicurezza del vaccino è un’informazione che va data come atto dovuto (anche in INTERNET dipinto come il pozzo delle fake news si trovano interventi chiari e scientificamente fondati), ma non basta, rispetto all’obiettivo di entrare in relazione con i veri no-vax, è come parlare di sicurezza degli aerei ad uno che ha paura di volare e non intende salire su un aeromobile
Ciò che non viene compreso è che la questione non riguarda questo vaccino, ma più in generale la vaccinazione in sé come si è cercato di far presente richiamando la storia della vaccinazione e coinvolge sul piano psicologico la relazione con il proprio corpo e sul piano culturale la relazione di ognuno con la religione, la scienza, la medicina ufficiale, il mondo dell’industria.
Coinvolge anche il livello di fiducia nelle istituzioni, in particolare il ruolo delle istituzioni nel tutelare i cittadini rispetto alla sicurezza dei farmaci e coinvolge il senso di appartenenza alla propria comunità e quanto si è disposti a fare per essa.
Non si potrà aprire un discorso con i no vax fino a che chi crede nei vaccini non accetta che non si tratta di una questione di sicurezza del singolo vaccino e che i no vax non sono spuntati ora per la prima volta, ma fanno parte di un movimento di opinione che ha radici profonde e ramificate nella società e nella cultura.
Come si vede non è un discorso che può trovare una soluzione in un debate a somma zero.
Un debate a scuola con una simulazione di un confronto tra no vax e vaccinati può essere molto utile, soprattutto se videoregistrato, ma per poi analizzare le argomentazioni utilizzate e soprattutto la pragmatica della comunicazione, non certo per venire a capo della questione.

Il danno è che, come la mancata prevenzione del Covid insegna, per anni si è sottovalutata la questione dell’uso dei vaccini senza pensare e prevedere che forse sarebbe arrivato un tempo in cui il vaccino sarebbe tornato ad essere uno strumento indispensabile per salvare l’umanità come è stato per il vaiolo e come stava per essere per Ebola e che ad essere coinvolti non sarebbero stati solo e tanto i nuovi nati, ma intere popolazioni di adulti con le loro convinzioni e paure naturate negli anni.

Sarebbe un errore considerare l’opposizione ai vaccini un evento marginale o un incidente di percorso. La disponibilità della popolazione alla vaccinazione e alle misure di protezione va considerata una delle condizioni per una strategia di prevenzione delle future epidemie e pandemie.
Si potranno convincere oggi in modo sbrigativo degli indecisi, qualcuno che ha solo paura dell’ago, ma non i veri no vax per i quali sono necessari ben altri argomenti e tempi poiché è una questione culturale.
Ecco ancora una volta il motivo per il quale la scuola è il luogo per discuterne per poter andare alle radici profonde del problema e capire cosa fare. Non è mai troppo tardi!

L’URGENZA DI NUOVA CULTURA PER IL TERZO MILLENNIO

Se allarghiamo ancora il discorso dai no vax ad altri movimenti si comprende ancora meglio la necessità di intervenire sul piano culturale e della formazione come raccomanda l’art. 9 della Costituzione quando fa presente il compito della Repubblica di “promuove lo sviluppo della cultura” non tanto e non solo nel senso di aprire più teatri o cinema, ma nell’alimentare un confronto tra i cittadini sui valori, le credenze, i diritti anche con il cinema o il teatro ecc.
Si parla tanto oggi dei no vax, ma se guardiamo più a fondo ci accorgiamo che ci sono anche i no ogm (già qualcuno dice che diventeremo tutti ogm dopo il vaccino Pfizer), i no global, i no tav , i no olio di palma, i contrari alla medicina ufficiale e fanatici dell’omeopatia o della medicina alternativa di Steiner, i no oil – i no 5G, i no refezione scolastica – i disobbedienti – i complottisti vari, i no stranieri, i negazionisti di questo o quell’evento, i seguaci dell’agricoltura biodinamica, i no alla democrazia rappresentativa, gli QAnon , ecc e tralascio i terrapiattisti.
Guardando nell’insieme si rimane impressionati della relativa vastità di questo fenomeno caratterizzato dai “no” a questo o quello. Con gli studenti si può tentare una lista.

Ovviamente non si può fare di tutta un’erba un fascio, si tratta di movimenti diversi, ma può essere interessante al di là delle differenze ipotizzare la presenza di tratti comuni che attraversano questo mondo sommerso di cui non conosciamo realmente l’estensione.
I no vax sono pertanto in buona compagnia nuotando nell’universo dei “no”.
Se è così siamo di fronte a un vero e proprio problema culturale di vaste dimensioni prodotto dalla straordinaria accelerazione dei cambiamenti in atto. E’ come se ci fosse un disorientamento di fronte alla ricerca di una nuova consapevolezza di sé e del mondo che non appare con chiarezza in una società multiculturale come quella che si sta costituendo. Interessante quanto ricorda Cinzia Mion in un post su fb (https://www.facebook.com/cinzia.mion.9/posts/4695310747160055) sullo stile cognitivo dicotomico /manicheo di molti individui che si rifugiano nella certezza del conosciuto invece di affrontare l’ambiguità del presente.

IL RUOLO DELLA SCUOLA

Limitandoci all’ambito del rapporto di alcuni di questi movimenti con la salute, possiamo però azzardare qualche ipotesi su cosa può accumunare diverse posizioni perché è proprio su questo versante che la scuola può fare la sua parte alla grande.
A me sembra che ci sia innanzitutto una diffidenza nei confronti della scienza e della medicina alimentata da una scarsa conoscenza del sapere scientifico a disposizione dell’umanità, di come operi oggi nel concreto la ricerca scientifica e la medicina e su quali siano le prospettive di sviluppo su cui si sta lavorando.

Quanti docenti conoscevano l’esistenza delle molecole di RNA messaggero (mRNA) di cui si parla da trenta anni e ne avevano parlato in classe con i loro studenti negli anni scorsi, in quanti libri di testo se ne parla?
Conoscere la storia e le vicissitudini di questa metodologia giunta oggi agli onori della cronaca può far capire come procede la scienza, le difficoltà che incontrano i ricercatori oggi come un tempo e può far nascere interessi e passioni nei ragazzi dando loro una prospettiva e dei traguardi su cui impegnarsi.

Così come le TIC hanno cambiato la comunicazione umana e richiedono una nuova cultura della relazione, le tecnologie e le scoperte hanno cambiato profondamente negli anni la scienza e la medicina e richiedono una nuova cultura scientifica.
Diventare consapevoli di questi cambiamenti ci può far assumere un atteggiamento diverso nei confronti della scienza e della vaccinazione.
Non si tratta solo di aggiornare i programmi delle STEM, ma di sperimentare un approccio didattico dinamico a questa area della conoscenza, costruire una didattica che formi sì le basi delle discipline, ma che introduca ad esempio la storia della scienza e della medicina (non come altra materia per carità!) e utilizzi una didattica che abbia anche un filo diretto con la contemporaneità sia attraverso un uso intelligente del WEB come risorsa sia attraverso un rapporto tutto da immaginare nella secondaria con l’Università.
Un secondo tratto comune riguarda la diffidenza nei confronti del mondo industriale, in particolare delle cosiddette Big Pharma interessate come è giusto che sia ai profitti, ma non a scapito degli utenti. Anche se è trascorso del tempo vi sono episodi del passato che hanno lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva come il caso del talidomide messo in commercio tra gli anni cinquanta e sessanta senza un’accurata sperimentazione, ritirato dopo aver causato gravi malformazioni in più di diecimila neonati.
Una tragedia che portò al varo di una legislazione più severa in tutti i Paesi e introdotto la pratica della farmacosorveglianza che ha permesso negli anni di ritirare per tempo molti farmaci. Ma il danno di immagine è stato comunque fatto.
Il timore rimane nella gente e si tramanda di padre in figlio. Riconciliare la popolazione con l’industria farmaceutica vuol dire far conoscere le leggi a tutela del cittadino che ora sono in vigore e come le agenzie di controllo svolgono il loro lavoro e dare maggior trasparenza al rapporto tra le aziende private, la sanità pubblica e la ricerca accademica (un’interessante lettura a questo proposito è il recente volume di Massimo Florio, “La privatizzazione della conoscenza”, Laterza).

Ancora una volta va ricordato che fare educazione civica non è solo conoscere le norme, ad esempio l’esistenza del diritto alla salute, ma sapere come la norma viene applicata concretamente, in questo caso nella tutela del cittadino quando entra in farmacia. Conoscere le sentenze contro gli avventurieri della cura può dare la percezione che la comunità attraverso i suoi organi è in grado di difendere i singoli. Avere la consapevolezza che lo Stato è capace di tutelarti può convincere di più di una dichiarazione alla TV.

Un terzo tratto comune riguarda la debolezza del legame con la comunità e del senso di appartenenza ad essa. Probabilmente la diffidenza non è tanto nei confronti delle singole persone, ma delle istituzioni che rappresentano la comunità, cioè lo Stato di cui non si fidano. Da qui la rivendicazione della libertà per poter agire per conto proprio prendendo su di sé la responsabilità delle decisioni proponendo sul piano politico la democrazia diretta, mentre ad esempio sul piano personale non acquistare cibo ogm curarsi in modo alternativo o nel nostro caso non accettare la vaccinazione.
Da qui l’abbandono dei canali ufficiali dell’informazione che si ritengono corrotti, la ricerca di informazioni in proprio direttamente dal WEB, dagli amici, da chicchessia purché non omologato al sistema. Il passo verso il complottismo a questo punto diventa breve.

Interrogarsi sul perché è crollata la fiducia nelle istituzioni sancita dal famoso “vaffa” è complesso, ma è lì che si trova uno degli snodi dell’opposizione diffusa al vaccino, anche se non l’unico. Rimettere al centro la comunità come valore e bene condiviso è un compito a cui la scuola non può sottrarsi cominciando proprio a dare valore e significato alla comunità scolastica e ai suoi organi rappresentativi spesso snobbati o non valorizzati adeguatamente dagli stessi docenti.
Organismi che possono diventare un laboratorio per un recupero di una cultura democratica e un terreno di coltura di un senso di appartenenza fatto di solidarietà e proposta. A scuola può essere possibile ricostruire quel concetto di libertà così come fu definita dai Costituenti che specificarono che la “libertà individuale ” è tutelata “salvo le limitazioni che la legge stabilisce” , proprio per indicare che la libertà individuale in una comunità non è assoluta , ma è condizionata dalle leggi che la stessa comunità in quanto tale democraticamente predispone attraverso i suoi organi rappresentativi e promulga per tutelare un bene comune che va oltre la libertà del individuo. “Nessuno si salva solo”

Agendo la democrazia nella vita collettiva dentro la scuola è possibile a mio avviso far comprendere come gli organismi possono realmente rappresentare la comunità e che tra rappresentati e rappresentati può esserci un rapporto trasparente.
Una cultura della solidarietà non la si può improvvisare, ma va costruita con pazienza partendo dalle piccole cose come hanno fatto in questi mesi di pandemie molte scuole e molte associazioni.
La scuola può e deve fare la sua parte, ma è l’intera società che deve prendere atto che va riscritto e formalizzato un nuovo patto sociale dove accanto ai diritti chiaramente già scanditi con precisione negli articoli della Costituzione vi possa essere un comma che in modo esplicito faccia riferimento al “dovere” dell’impegno individuale e degli organi rappresentativi per il “bene comune”.

“Nella costituzione del Massachusetts adottata nel 1780, è stabilito come principio fondamentale del patto sociale tra il popolo e ciascun cittadino che tutti dovranno sottostare ad alcune leggi per ‘il bene comune’, e che il governo è istituito “per il bene comune, per la protezione, sicurezza, prosperità e felicità del popolo, e non per il profitto, onore od interessi privati di un determinato uomo, una determinata famiglia od un determinato gruppo di uomini”.




L’on line e le sue vittime

di Mario Maviglia

I primi a scomparire dai radar della rete furono le persone di una certa età. Impossibilitati ad acquisire o a gestire lo SPID, furono man mano cancellati dagli archivi della Pubblica Amministrazione e dai vari servizi di gestione (acqua, gas, elettricità).
Non potendo fare acquisti on line (i supermercati ormai vendevano solo attraverso la rete), andarono incontro a situazioni di debilitazione fisica e mentale.
Ci fu un aumento significativo di decessi, ma, trattandosi di persone non riconosciute dalla rete, non venivano conteggiati nelle statistiche demografiche che attingevano i dati direttamente on line.
Per la prima volta in Italia il tasso di natalità registrò un avanzo positivo rispetto a quello di mortalità. Il Primo Ministro, in una conferenza stampa in TV a reti unificate, affermò, con orgogliosa emozione, che il Paese aveva ricominciato a crescere anche sul piano demografico e questo grazie alle politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità che il Governo aveva messo coraggiosamente in atto nel corso degli ultimi anni puntando decisamente sul valore della genitorialità come fondamento della vita sociale e civile nella piena consapevolezza del ruolo insopprimibile esercitato dalla famiglia nella società democratica ecc ecc.

Qualche giornalista aveva fatto notare che nel conteggio dei morti non erano compresi gli anziani sconosciuti alla rete. Il Presidente del Consiglio – proveniente dal mondo accademico filosofico –  aveva replicato, in modo assertivo e sicuro, che ciò che non esiste (in rete) non esiste ipso facto.
Il problema era ontologico, non demografico. E la polemica finì lì.

Anche a scuola cominciarono a scomparire dal servizio i docenti più anziani che non avevano dimestichezza con la rete. In seguito all’esperienza della pandemia Covid-19, il Ministro dell’Istruzione aveva decretato che almeno il 70% delle lezioni dovesse essere svolto on line e questo a prescindere dall’andamento dei contagi, ma come misura preventiva permanente.
I vari uffici scolastici territoriali cominciarono a ricevere numerose e strane segnalazioni da parte delle famiglie e degli stessi studenti, che lamentavano che i docenti si sottraevano alla cosiddetta DaD (Didattica a Distanza).
In effetti, dalle istruttorie condotte all’uopo, era emerso che un buon numero di docenti non faceva lezione. I vari procedimenti disciplinari, prontamente attivati, si concludevano immancabilmente con la dispensa dal servizio nei confronti dei ribelli per “persistente insufficiente rendimento” (art. 512 DLgs 297/1994).
L’alto numero di “dispensati” non passò però inosservato alla stampa.
Una importante trasmissione giornalistica televisiva vi dedicò un ampio e articolato servizio da cui emerse che gran parte dei docenti dispensati in realtà aveva regolarmente svolto le lezioni on line, ma per un insieme di fraintendimenti tecnologici utilizzava il forno a microonde credendo fosse il computer. Purtroppo i docenti in questione non furono reintegrati in servizio in quanto il lavoro non era stato svolto. Dura lex, sed lex.

Altri episodi scossero profondamente l’opinione pubblica, come il caso del prof di latino di un liceo, rimasto impigliato nella rete per due giorni e ritrovato dalla polizia postale in uno stato di prostrazione indescrivibile. L’anziano professore riferì agli inquirenti che nell’utilizzo del registro elettronico si era trovato in una sorta di cul de sac tra un “accesso negato” e le “credenziali non riconosciute”, una “password scaduta” e un “utente non profilato”.
Nel momento in cui stava per risolvere il problema, il malcapitato ha dovuto far fronte ad un improvviso attacco di virus che lo ha letteralmente paralizzato. Ma anche altri docenti hanno subito tracolli psico-fisici nell’utilizzo del registro elettronico anche a causa del tempo perso a concludere semplici operazioni, come ad esempio la registrazione dei voti delle verifiche.
È stato riscontrato un anomalo aumento nel numero di separazioni tra i docenti, perché i partner sospettavano che il troppo tempo trascorso dai coniugi davanti al computer non riguardasse la compilazione del registro elettronico, ma la visione di ben altri siti non meglio identificati…

E che dire delle tante famiglie alle prese con le iscrizioni on line dei figli e costrette a chiedere permessi dal lavoro per poter compilare i form previsti dalla circolare ministeriale? Molte di loro, prese dallo sconforto, hanno insistito affinché la compilazione del modulo avvenisse direttamente a scuola con l’assistenza del personale amministrativo, intasando in tal modo il lavoro degli uffici.
In tema di iscrizioni on line, emblematico è stato il caso di un papà di origine straniera che erroneamente aveva inserito il suo nome come alunno al posto di quello del figlio di 6 anni. Il sistema ha rilevato l’anomalia, consigliando al signore di presentarsi direttamente all’esame di Stato avendo un’età superiore ai 23 anni. Non si sa se il bambino abbia frequentato la scuola.

Particolare scalpore ha poi suscitato la vicenda delle matricole universitarie, anche loro indaffarate con le immatricolazioni. Riuscire a trovare il previsto modello di iscrizione all’interno dei siti delle varie Università si è rivelata un’impresa molto più ardua che superare il test di ingresso in medicina. In effetti, secondo un famoso psichiatra, che ha studiato attentamente il fenomeno, chi ha escogitato questo meccanismo presenta gravi disturbi mentali aggravati da forme iperpatologiche di sadismo.
Molti studenti hanno letteralmente distrutto il computer, dopo innumerevoli e inutili tentativi di ricerca, convinti che il modulo si nascondesse fisicamente dentro il computer stesso. Altri hanno invaso le segreterie delle Università chiedendo di poter compilare il modulo in forma cartacea, richiesta ovviamente non accolta in quanto il sistema accettava solo iscrizioni on line. D’altro canto, come ha fatto notare un alto dirigente del Ministero dell’Università, se si deroga da queste basilari norme di convivenza civile si rischia di minare l’intera organizzazione sociale. Legum omnes servi sumus, ut liberi esse possimus.

In seguito a questi eventi, il Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, ha annunciato una profonda riforma tesa a semplificare le procedure per l’accesso on line e più in generale per ottimizzare l’utilizzo delle tecnologie informatiche, onde venire incontro alle richieste dei cittadini e dei lavoratori. In effetti il Ministero ha pubblicato un agile manualetto di 1.250 pagine, scritto in modo molto chiaro e comprensibile, dal significativo titolo: “Prolegomeni all’utilizzo pertinente e consapevole dell’on line come presupposto per un incremento del know how informatico in relazione alle challenges of life richieste nella knowledge society e per un pieno improvement delle life skills.” Finalmente in modo facile, inequivoco e immediato si può accedere all’on line, basta seguire le istruzioni offerte dall’agile manualetto di 1.250 pagine: dopo aver acceso il computer (on), andare sulla barra degli strumenti, entrare dentro, girare a sinistra, prendere la prima icona a destra, attivare l’emoticon che sta al centro, digitare il proprio nome e cognome, inserire lo SPID, autenticare la pagina con il numero di codice fiscale, inserire la password, fornire le credenziali ricevute all’inizio del percorso, fermarsi un turno alla casella 15 (traffico informatico intenso), tornare alla casella 13, richiedere l’otp, inserire l’otp ricevuto via smartphone, scandire vocalmente e in modo distinto “accesso pratiche on line”, attendere l’ok dal sistema, inserire il numero della carta di identità, avvicinarsi alla webcamera per la rilevazione della temperatura corporea, scannerizzare e inviare via mail il green pass e, infine, dare l’assenso al trattamento dei dati personali ed è fatta. Grazie a questo agile manualetto, con poche battute si può comodamente operare on line.
Longa est vita, si plena est.




Elogio della teocrazia della privacy

di Mario Maviglia

I primi ad adeguarsi furono i ristoratori: agli avventori non veniva consegnato il menu in forma cartacea con l’elenco dei piatti disponibili, ma un foglio con su riportato un codice QR a barre bidimensionale da leggere con il telefonino, tramite un’apposita app. L’elenco dei piatti (ognuno dei quali veniva identificato con un numero) appariva sul display; il cliente comunicava i numeri dei piatti prescelti al cameriere. “In questo modo è garantita la privacy dei clienti rispetto a quello che mangiano.” “Ah, sì, certo”.
Le Università si adeguarono subito dopo: nei test di accesso ogni studente veniva associato ad un codice alfanumerico (es. ay127bx), codice che lo avrebbe seguito per il tutto il corso di studi. Sia nel corso delle lezioni che durante lo svolgimento degli esami i prof non potevano chiamare gli studenti per nome e cognome, ma utilizzando tale codice personale alfanumerico. Fin da subito emerse che il sistema non era molto agevole e faceva perdere molto tempo, ma d’altro canto le direttive del Garante della Privacy erano chiare: l’uso del nome e cognome era consentito solo nelle situazioni private, mentre in tutte le situazioni pubbliche andava utilizzato il codice alfanumerico per non ledere la privacy dei cittadini.

Alcune Università ovviarono comunque a questo inconveniente stampando il codice alfanumerico direttamente sul braccio destro degli studenti. Qualche osservatore fece notare che ciò ricordava esecrabili pratiche della storia passata, ma nessuno lo ascoltò, anche perché pochi conoscevano questo aspetto della storia.
Le scuole aderirono con grande entusiasmo alle indicazioni del Garante (d’altro canto non avevano scelta: le norme andavano rispettate). Seguendo l’esempio delle Università, anche nelle scuole di ogni ordine e grado gli alunni venivano identificati e chiamati con un codice alfanumerico. Ovviamente non era possibile redarguire gli studenti durante le lezioni, per questioni di privacy. La correzione collettiva dei compiti era severamente vietata in quanto poteva mettere in evidenza gli errori commessi dai diversi allievi, calpestando in tal modo il diritto alla privacy. Gli stessi docenti venivano identificati attraverso un codice alfanumerico. Per la verità le scuole non avevano fatto fatica a implementare il nuovo modo di vivere introdotto dalla Teocrazia della Privacy, avendo fatto esperienza durante il periodo di pandemia causato dal Codid-19. All’epoca, infatti, i docenti dovevano esibire ogni giorno il cosiddetto green pass per non ledere la privacy di chi non voleva vaccinarsi.
Certo, qualcosa non funzionava del tutto. Anche se tutta l’organizzazione sociale aveva come principio di base il sacrale rispetto della privacy dei cittadini, erano frequentissime e sempre più aggressive le telefonate pubblicitarie provenienti da call center, soprattutto durante l’ora di cena, tra un bastoncino di pesce e una minestra di riso. Il cosiddetto Registro Pubblico delle Opposizioni, che doveva servire a bloccare le telefonate indesiderate, non aveva mai preso piede. E d’altro canto, tra bancomat, telepass, tessera sanitaria, videosorveglianza stradale e altri marchingegni simili, del cittadino si poteva sapere non solo dove era stato, ma cosa aveva comperato, quali programmi TV aveva visto, quali medicine aveva acquistato e cosa aveva mangiato al ristorante. A discolpa del Garante va detto che la mole di lavoro richiesta per tutelare la privacy dei cittadini era talmente grande che poteva certo preoccuparsi di tutelare la riservatezza di ognuno!
In ogni caso, ogni sei mesi erano previsti riti riparatori verso il dio Privacy, durante i quali venivano immolati decine di animali (per fortuna in forma virtuale). Tutti rigorosamente elencati con un codice alfanumerico.




Classi pollaio: secondo il Ministro sono molto poche

di Gianfranco Scialpi

Classi pollaio, l’ex Ministra Azzolina ha rilevato il pensiero di P. Bianchi. E quale numero si
nasconde dietro il “particolarmente numerose“(Protocollo sicurezza).

Classi pollaio, il numero dietro il “particolarmente numerose”

Classi pollaio, nel protocollo per il rientro sicuro nelle scuole (2021-22) si parla di
sdoppiamento delle classi in presenza di un numero particolarmente significativo di
alunni/studenti.
L’avverbio non chiarisce, anzi aumenta la confusione. Ora l’ex Ministra L. Azzolina rivela la
soglia minima da considerare per definire una classe particolarmente numerosa. Lo fa
rivelando il pensiero del Ministro P. Bianchi. La pentastellata all’interno di un lungo articolo
pubblicato su Huffingtonpost.it ha dichiarato che per l’attuale responsabile del Mi fino 27
alunni non siamo in presenza di una classe numerosa. La dichiarazione non necessita di
una conferma, perché risulta coerente con quanto ha detto all’interno di Morning News
su Canale5, “si tratta del 2,9% delle classi e si trovano soprattutto negli istituti tecnici delle
grandi città”. Quindi le classi pollaio sono un’eccezione, una leggera distrazione rispetto
ai parametri stabiliti dal D.P.R. 81/09.

Quale classe pollaio ha in testa il Ministro?

Difficile individuare la tipologia di classe pollaio che il Ministro ha in testa. Interessante una
ricerca di Tuttoscuola : “sono soltanto 31 le classi pollaio di scuola primaria con oltre 29
alunni nella classe: rappresentano lo 0,03% delle 123.224 classi della primaria;
– sono in tutto 12 le classi pollaio di scuola secondaria di I grado con più di 29 alunni:
rappresentano lo 0,015% delle 77.938 classi della scuola secondaria di I grado;
– sono 1237 le classi pollaio di scuola secondaria di II grado con oltre 29 studenti:
rappresentano l’1% delle 122.615 classi degli istituti di secondaria del II grado.”.
In conclusione, stupisce la virata del Ministro che secondo L..Azzolina è passato dal
sostegno a classi educative (U. Galimberti) da 15 alunni/studenti a over 28.




Il fantasma della libertà e i no vax

di Pietro Calascibetta

In un recente post il prof. Luciano Corradini commentando l’atteggiamento dei no vax ci ricorda che “ la libertà senza la fratellanza e l’uguaglianza ha portato anche i francesi al terrorismo della ghigliottina e al dispotismo napoleonico”. Come si fa a non essere d’accordo con tale affermazione e a non essere amareggiati come il professore di fronte a discorsi che di fatto “ difendono la libertà di morire e di far morire gli altri”.
La questione però a mio avviso è ben più grave perché non è circoscritta alla contingenza del vaccino o alle misure di protezione per potersi quindi considerare un incidente di percorso nella nostra vita democratica, ma ha radici profonde e diffuse nella nostra società.
Non a caso si trovano frange di destra e di sinistra unite, come fa notare il professore, dietro lo stesso striscione con in mezzo però una massa indistinta e variegata di persone attratte dal desiderio di partecipare ad una rivoluzione in nome di una “libertà” che in realtà è la propria.
E’ certamente triste pensare come i nostri nonni e padri abbiano lottato per un’altra libertà, quella di tutti che ora viene messa in discussione.
I no vax oggi rappresentano solo l’avanguardia visibile di un movimento che piano piano sta costituendo un nuovo blocco sociale. Non penso di esagerare; se solo unisco i puntini di situazioni che sembrano lontane ne esce un quadro preoccupante per il futuro.
Solo alcuni esempi.

Ci sono dei genitori che da diversi anni ormai rivendicano la libertà di non vaccinare i propri bambini nonostante alcune vaccinazioni siano obbligatorie a tutela dei più deboli, ci sono i genitori che hanno intentato cause perché non vogliono che il loro figlio mangi il cibo della refezione scolastica per avere la libertà di preparargli il pasto secondo le proprie convinzioni dimenticano l’importanza educativa di condividere il cibo con i loro compagni , ci sono delle persone che si sentono autorizzate a circolare con bici e monopattini sui marciapiedi rivendicano la libertà di muoversi come vogliono, c’è chi si oppone al divieto di fumo nei parchi e alle fermate dei mezzi pubblici, ci sono i no tav (non solo e non tanto quelli piemontesi), ci sono quelli che hanno negato l’esistenza della xylella negli ulivi in Puglia rivendicando il diritto di curare le piante secondo le loro convinzioni e via discorrendo.
Il fatto è che tutte queste persone rivendicano il diritto di fare quello che vogliono invocando proprio la Costituzione che non viene messa in discussione, anzi citata come fonte delle loro rivendicazioni.
Voglio dire che è in atto in modo progressivo nella società un mutamento del concetto stesso di “liberta” così come espressa nella nostra Costituzione non solo rispetto alla salute, ma più in generale coinvolgendo ogni aspetto della vita sociale.
Gli articoli della Costituzione che il prof. Corradini cita nel suo post (16 e 32) difendono sì la libertà dell’individuo “salvo le limitazioni che la legge stabilisce”.
E’ proprio questa frase che viene contestata in nome della libertà, perché quella frase inserita dai Costituenti sta proprio ad indicare che la libertà come valore non è assoluta , ma è condizionata dalle leggi che una comunità in quanto tale democraticamente formula e promulga per un bene comune.
La comunità come valore.
Questo è il passaggio cruciale che stiamo vivendo oggi. La “libertà” come un palloncino si è staccata dalla parola “comunità” della Costituzione e fluttua per i fatti suoi.
La comunità non ha più diritto di interferire con la libertà individuale e porre per legge limitazioni come prevede la stessa Costituzione.
E’ l’appartenenza ad una comunità in grado di interferire con l’individuo che è contestata da qualche tempo e, non a caso, è proprio il principio di democrazia rappresentativa che viene messo in discussione con un bel “vaffa”, per una non meglio precisata “democrazia diretta” di più di 60 milioni di persone.
Anche il programma della Lega per le elezioni europee prevedeva un’Europa dove ciascuna entità nazionale o macro-economica poteva decidere se accettare una disposizione comune o no a seconda del proprio interesse.
Come interpretare poi il richiamo alla libertà di insegnamento riproposta di recente nonostante sia già garantita dalla Costituzione se non come una strizzata d’occhio a quei docenti che sono insofferenti ai vincoli del POF che un’altra comunità, quella scolastica, definisce in modo democratico attraverso i suoi organi collegiali. Se pensiamo a chi propone queste visioni e a chi vi aderisce ci rendiamo conto che il problema di come interpretare la “libertà” non è circoscritto alla salute e ai no vax. Si tratta di un ribaltamento culturale e valoriale che attraversa tutta la società.
La “libertà” diventa così un valore assoluto e diventa un diritto individuale nell’immaginario collettivo. Il richiamo alla solidarietà e al buon senso che naturalmente condivido, non credo siano però sufficienti perché c’è solidarietà se ognuno sente di appartenere ad una comunità, ma se manca la consapevolezza e la volontà di essere comunità poco c’è da fare. Se la comunità c’è solo quando mi dà qualcosa (assistenza sanitaria- strade, pensione anticipata ecc.) e non c’è quando mi chiede qualcosa la comunità è un oggetto di consumo e non una risorsa per tutti.
La questione non sta quindi solo nello stigmatizzare i comportamenti dei una minoranza di no vax, ma di cercare di comprendere questo cambiamento culturale e valoriale che piano piano potrà diventare maggioranza in Italia come in Europa.
Credo però che siamo ancora in tempo per un’inversione di tendenza se ci rendiamo conto della posta in gioco e se i docenti nelle scuole e gli intellettuali daranno il loro contributo per recuperare proprio questo concetto di comunità perché possa diventare nuovamente un valore per tutti e ridare il senso che la Costituzione assegna alla parola “libertà”.