di Giovanni Fioravanti
Il sistema istruzione del paese funziona male, ormai è molto tempo che mostra segni di invecchiamento tanto da far presagire il suo esaurimento, dunque non è questione né di Covid né di Dad.
Ora però siamo di fronte ad una svolta, il governo ha licenziato il PNRR che contiene quattro macro mission, dieci riforme e dodici investimenti per oltre diciannove miliardi con l’obiettivo del “Potenziamento dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università”, da realizzare da qui al 2026.
Asili nido, tempo pieno e mense, riduzione dei divari territoriali nella formazione, riforma degli istituti tecnici e professionali, sviluppo degli istituti tecnici superiori, riforma del sistema di orientamento. Nuove competenze e nuovi linguaggi, sviluppo del digitale e della didattica integrata, nuove aule didattiche e laboratori, riqualificazione dell’edilizia scolastica. E in fine riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, riforma del sistema di formazione e reclutamento dei docenti.
Ma sorge un interrogativo: con quale cultura?
La cultura di un sistema formativo morente? Quali modelli? Quale idea di istruzione?
Il problema della cultura è rilevante in tutto il mondo.
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di Rodolfo Marchisio
Quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo col ragionamento è un uomo morto
Cit. storica da FB
Non seguo di solito i dibattiti social fatti di frasi brevi assertive che presuppongono “ho ragione io” e non portano spesso al dialogo né a un risultato. Né i titoli urlati ad arte dei giornali, fatti per vendere o le trasmissioni televisive dette talk show.
Mi piacciono i dati ed il dialogo. “Non che ciò interessi, ma…” da La storia infinita di M. Ende.
Non solo perché sollecitato, ma anche perché mi hanno colpito molto alcuni aspetti delle polemiche, manifestazioni e dibattito/rimpallo infinito sui media sui temi No vax, No pass e via negando in una contrapposizione tipica per cui non solo si tifa per una squadra ma più spesso contro un’altra, provo a riflettere ad “alta voce”.
Il dibattito fra scienziati e politici assertivi e contrapposti in TV non ha giovato. Meglio stare zitti e lavorare. Dare tutte le informazioni utili, spetta alla politica su indicazione degli addetti ai lavori. I cittadini hanno diritto ad essere informati in modo chiaro e ordinato, nonostante l’emergenza.
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di Raimondo Giunta
“Siamo già in ritardo per organizzare l’anno scolastico in presenza della Delta, quando lo stesso bambino infetto che l’ottobre scorso avrebbe contagiato in media un solo compagno di classe, ne infetterà due. Esplosioni più repentine, focolai più massicci. La preoccupazione principale, almeno fino a giovedì scorso, è stata invece quella di aggiustare i parametri ad hoc per tenere l’Italia in bianco ‘fino a Ferragosto’. Con il gioco di prestigio pericoloso per tutti, di spostare decisamente il baricentro verso le occupazioni ospedaliere, un parametro che sappiamo essere più tardivo, e per di più con soglie azzardate.”
E ancora “Quanti nuovi casi giornalieri possiamo tollerare? Con quanti vogliamo affacciarci all’inizio dell’anno scolastico? Vanno bene cinquantamila al giorno seguendo mollemente il pendio su cui stiamo rotolando adesso, oppure decideremo per la prima volta che non è accettabile? Come gestiremo le classi? Quali misure di mitigazione resteranno in atto accanto alla via maestra dei vaccini?” (Paolo Giordano -Corriere della Sera del 25 Luglio 2021).
Questa lunga citazione tratta da un quotidiano che ancora fa opinione ci fa capire come si faccia strada il convincimento che, nonostante un anno e mezzo di esperienza pandemica e nonostante il cambio al Ministero della PI, con molta probabilità si affronterà il nuovo anno scolastico come sempre: all’insegna dell’improvvisazione.
Oltre la fiducia nella vaccinazione di tutto il personale della scuola e degli alunni dai 13 anni in su, non penso che si sia fatto qualcosa di significativo per garantire la ripresa delle attività didattiche in presenza. Si sono trovate le 20mila aule che richiedeva l’hanno passato l’ANP per fare scuola in condizioni di sicurezza? Si sono per caso ritoccati i criteri per la formazione delle classi per impedire quei focolai di infezione che sono le classi pollaio? Che senso ha prevedere l’organico aggiuntivo Covid fino al 31 dicembre 2021? Gli enti locali sono stati in grado di dotare di sistemi di ricambio d’aria le aule degli istituti di loro pertinenza?
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di Stefano Stefanel
Con il concetto di “classi pollaio” si intendono contemporaneamente due concetti molto diversi tra loro:
classi con troppi alunni in spazi troppo ristretti e assegnati ad un docente per ora;
classi che a causa della numerosità penalizzano i risultati degli studenti.
Nessuno ritiene che le “classi pollaio” siano un fenomeno positivo, ma l’argomento viene affrontato in maniera non organica e quasi esclusivamente attraverso dichiarazioni, proclami o generici interventi dentro le molte e spesso illeggibili linee guida. Cerco, pertanto, di andare un po’ al fondo della questione, anche perché la pandemia e il distanziamento non hanno portato a nessuna modifica, nemmeno temporanea, del numero di alunni per classe.
TROPPI STUDENTI IN POCO SPAZIO
25 studenti in 50 metri quadrati stanno troppo stretti. In molti casi i metri quadrati sono 40 e gli studenti 27. Se, dunque, parliamo di vivibilità dentro gli spazi scolastici dovremmo intervenire immediatamente sull’edilizia scolastica, costruendo nuove sedi per trasformare le “classi Pollaio” in classi a misura di studente. Qual è la misura ideale per uno studente? Direi, senza molti dubbi, tre metri quadrati.
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di Marco Guastavigna
Sono giunto in quella fase della vita in cui per forza di cose si sostituiscono i buoni consigli al cattivo esempio.
Sollecitato mio malgrado dall’ennesima polarizzazione tra apocalittici e integrati a proposito del Green Pass, non posso quindi assolutamente esimermi dal proporre come esempi generali episodi specifici ed esclusivi della mia vicenda personale.
Nell’inverno del 1968 ero sedicenne e mi sono precipitato, insieme a numerosi altri giovani, alcuni dei quali maggiorenni, a “soccorrere” le vittime del sisma del Belice.
La nostra grandiosa missione umanitaria faceva riferimento all’Associazione “Babbo Natale”, che – per ragioni che ora mi sfuggono – ci aveva reclutato presso la sede di Economia e Commercio.
Siamo partiti con un aereo postale, con a bordo niente meno che la troupe di TV7, che ci intervistò durante il volo, in occasione dell’atterraggio e nei primi giorni di attività. Per partecipare ci erano state poste due condizioni: per i minorenni il consenso genitoriale, per tutti l’ingestione di alcuni farmaci, per esempio pastiglie atte a prevenire il tifo. Nessuno obiettò nulla e in questo modo potemmo accedere al campo dove erano ospitati i “terremotati”, organizzato e gestito dall’esercito.
Cinque anni dopo, nell’estate del 1973, mi sono trovato a Torre del Greco nel pieno dell’epidemia di colera. Invece di tornare subito a Torino, mi sono autoisolato per un tempo congruo in Toscana, in un appartamento di proprietà di mio padre, dove in quel momento non c’era nessuno. Non avendo accusato alcun sintomo, sono poi rientrato nella mia residenza e ho ripreso l’usuale rete di relazioni.
È di qualche anno dopo il mio ingresso come insegnante di scuola media nell’istruzione pubblica: per arruolarmi, lo Stato mi chiese di dimostrare, attraverso opportuni accertamenti sanitari, di non essere portatore di sifilide e di tubercolosi. Rammento un po’ confusamente di aver alacremente partecipato a una sorta di vertenza sindacale sulla inutilità del secondo test, che – sostenevamo – proponeva numerosi falsi positivi. Ricordo con precisione che – essendo invece risultato negativo – accettai la proposta di vaccinarmi, il che mi avrebbe fornito una copertura medico-legale più duratura.
Nel febbraio di quest’anno, infine, ho avuto la possibilità di prenotarmi per la vaccinazione contro il Covid19 in quanto docente a contratto dell’Università di Torino. Ho così ricevuto la prima dose di Astrazeneca il 27 marzo e la seconda il 13 giugno, per poi scaricare qualche giorno dopo il mio Green Pass mediante l’App IO.
Non ho mai parlato molto di questa vicenda perché mi sono sentito fin da subito un privilegiato, soprattutto nel periodo in cui, per la somministrazione del farmaco, l’appartenenza a categorie professionali prevaleva sulle classi di età. E proprio per questo ho provato un grande sollievo quando ho saputo vaccinati mia madre, i miei figli, mia moglie, mia sorella e così via.
Ho cercato di informarmiin modo ragionevole e razionale: ho capito che il ciclo completo non dà una garanzia assoluta contro il contagio individuale, ma anche che solo una diffusa vaccinazione può aumentare la quantità totale degli immunizzati e, di conseguenza, indebolire il virus e la sua capacità di variare. Con beneficio anche per coloro che per riconosciute “fragilità” personali non possono essere vaccinati.
Insomma: la mia storia individuale mi porta con facilità e serenità ad accettare che la Repubblica mi chieda (di nuovo, per altro) comportamenti virtuosi e accertamenti sanitari per poter continuare a garantire con una certa sicurezza movimento, lavoro, intrattenimento, socialità, relazioni all’insieme dei cittadini.
E qui interviene probabilmente un approccio – forse filosofico, forse politico – che appartiene ad un’altra componente della mia vita: valori e principi. Io penso infatti che la mia libertà personale può trovare pieno compimento e valore solo contribuendo a determinare e conservare quella altrui. E viceversa.
Non mi è mai piaciuta la visione liberale pura, quella che considera le libertà individuali l’una come limite dell’altra e aborro la visione libertariana di destra, per cui tutto ciò che è pubblico e collettivo rappresenta l’inferno del controllo, a cui ci si deve sottrarre con ogni mezzo.
Certo, i miei precedenti sono anteriori alle normative sui dati “sensibili” e sulla riservatezza attualmente in vigore, ma – francamente – non mi pare che una politica di prevenzione sanitaria sia accusabile di violazione della privacy sulle condizioni di salute personali.
In tutti i casi, lascio questo specifico quesito a chi conosce meglio di me questo campo e – da bravo anziano che si sente (più) saggio – ne propongo un altro: come mai ogni infuocatissimo dibattito ha luogo ormai su piattaforme digitali a vocazione estrattiva, che mettono a valore in tempo reale dati psicobiologici, rapporti interpersonali, opinioni, preferenze, desideri, spostamenti, acquisti, orientamenti politico-culturali, appartenenze e così via, consegnati con flusso costante e continuo da utenti che all’atto dell’iscrizione e in occasione dei successivi rinnovi hanno sottoscritto (senza leggerle) condizioni di impiego fondate – nonostante per esempio il GDPR – sulla prospettiva della trasparenza radicale?
Francamente, questo sempre più esteso processo di appropriazione “gentile” delle vite di tutti mi inquieta assai di più della possibilità che mi venga richiesto il Green Pass per cenare in un ristorante, cosa che – e Google Opinion Rewards lo sa bene – non faccio quasi mai.]]>
di Gianfranco Scialpi
Nuovo anno scolastico si cercano aule alternative. L’operazione conferma che il contesto di riferimento è quello tracciato dal duo Gelmini/Tremonti. Quindi tutto come prima
Nuovo anno scolastico, si cercano aule
Nuovo anno scolastico. Sembra lontano. In realtà le operazioni da attuare sono diverse e complesse. Quindi il tempo potrebbe essere insufficiente.
E’ notizia di oggi che qualcosa si sta muovendo per reperire spazi e ambienti anche esterni alle scuole.
Si legge su ItaliaOggi:
”A.A.A. Cercasi aule per il prossimo anno scolastico in sicurezza anti Covid. I soldi li ha appena messi il governo: 70 milioni di euro per il 2021 da trasferire agli enti locali. Il decreto Sostegni bis stanzia risorse aggiuntive per l’edilizia scolastica affinché comuni e province prendano in affitto spazi aggiuntivi per le scuole da destinare all’attività didattica nell’anno scolastico che sta concludendosi e ‘fino al 31 dicembre 2021’. Locali in affitto, ma anche l’acquisto, il leasing o il noleggio di strutture temporanee, oltre alle spese che derivano dalla conduzione di questi nuovi spazi e del loro adattamento alle esigenze didattiche…Un aiuto potrebbe arrivare dagli istituti tecnici e professionali dove si registra un calo delle iscrizioni e le aule restano vuote, quindi, potrebbero prestarle alle scuole che rimangono senza spazi. E si potrebbero confermare la disponibilità delle parrocchie che già in questo anno scolastico hanno ospitato centinai di alunni.”
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di Fiorella Paone
(redazione della Rivista Insegnare)
La crescita e l’emancipazione culturale di alunni e alunne è l’orizzonte di senso della scuola pubblica, secondo Costituzione. La scuola non può quindi in nessun caso essere intesa come un servizio a domanda individuale. La funzione di istruzione ed educazione è, infatti, un diritto che passa attraverso un progetto culturale che si apra al territorio e che metta al centro l’alunno/a e il conoscere insieme attraverso lo studio, la discussione, la problematizzazione, la sperimentazione e la ricerca.
Questo è possibile se si avviano e sostengono processi formali di lungo respiro. Insomma, per realizzare davvero la scuola di tutti e tutte e non trasformare le differenze in disuguaglianze sono necessari interventi strutturali e sistematici.
Il rapporto con il territorio ha senso ed è un’opportunità se inquadrato in un progetto curricolare e extracurricolare che individui specifici interlocutori, traguardi precisi e un sistema di azioni e interazioni di sostegno complementare e di co-partecipazione. Non tutto è scuola.
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La morte di Giancarlo Cerini ha lasciato attoniti non solo chi lo aveva conosciuto personalmente o chi aveva collaborato direttamente con lui, ma l’intero mondo della scuola.
Non si contano i post e i commenti che in queste ore sono stati pubblicati nei social.
In questo documento, curato da Daniele Scarampi, abbiamo raccolto le testimonianze che siamo riusciti a raccogliere in rete.
Chiunque voglia aggiungere la propria può inviarla a info@gessetticolorati.it
Segnaliamo anche tre testimonianze di Marco Campione, Paolo Fasce e Mauro Piras pubblicate nel sito del Gruppo Condorcet
Riportiamo qui il ricordo dei suoi colleghi ispettori dell’Emilia Romagna Claudio Bergianti, Gabriele Boselli, Anna Bravi, Chiara Brescianini, Paolo Davoli, Raffaele Iosa, Agostina Melucci, Maurizia Migliori, Anna Morrone, Francesco Orlando.Un grande uomo di scuola: Giancarlo Cerini
Avvertiamo il bisogno, in questo giorno della nostra esistenza che induce a riflettere sulla grandezza e la fragilità della condizione umana, di ricordare pensando al magistero di Giancarlo Cerini il senso della funzione ispettiva. Il modo in cui il nostro collega ha sentito e interpretato tale funzione rimanda al significato più profondo del termine, ossia un guardare che sa vedere, un essere-per-altro e per-gli-altri. Ciò ha costituito un in-segnamento, un insegnamento vissuto nella piena consapevolezza e testimonianza dell’essenza dell’educare e dell’educare a scuola, come luogo di sviluppo delle potenzialità di ogni soggetto -soprattutto di chi fa più fatica- e di emancipazione sociale per un’autentica scuola “di tutti e di ciascuno”.
Con Giancarlo la funzione ispettiva viene ulteriormente ad assumere i nobili tratti dell’impegno pedagogico, civile e politico. Possiamo ben testimoniarlo, noi che per anni abbiamo avuto la fortuna di averlo come collega e in seguito Coordinatore del corpo ispettivo dell’Emilia-Romagna.
Vorremmo che persone siffatte potessero continuare per sempre nella loro missione. Non sarà interrotta la lettura dei Suoi lavori. Permarrà certo il ricordo delle parole appassionate, dei significativi interventi, delle numerose iniziative, della saggezza e della passione di questo grande uomo di scuola. Ognuno di noi ha un tempo assegnato; conta come riusciamo a viverlo e come sentiamo la nostra appartenenza alla comunità umana. La morte fisica ci ricorda che non duriamo sempre, ma pure che i nostri pensieri e il nostro agire non terminano con la scomparsa dal visibile. Morire non significa fuoriuscire dall’essere. Coloro che -come Giancarlo o Annamaria Benini- hanno avuto qualcosa da dire ne partecipano prima e dopo la loro vita materiale.
Ricorderemo la Sua lezione nel ripensare la funzione del corpo ispettivo cui Giancarlo ha contribuito con numerosi scritti e con la testimonianza di professione e di vita.]]>
di Franco De Anna
Caro Giancarlo,
Sto tentando disperatamente di uscire dal silenzio che da ieri sera mi blocca (la notizia me l’ha passata un comune amico poco dopo le 22.30), non solo per il dolore che sento, ma anche per la resistenza a cercare e trovare parole che lo descrivano sinceramente, capaci di disfarsi delle inevitabili funzioni “difensive” che la parola, come ogni altra “rappresentazione” finisce per assumere. Soprattutto nel lutto.
Ho sempre declinato un certo imbarazzo nei nostri rapporti.
Chi mi è più vicino sa che spesso quando mi descrivo in termini autoanalitici dico “io sono terroso”.
Ecco l’interazione con te, sempre dedicata al contesto professionale, sia pure con tutta l’umanità possibile, mi confermava tale giudizio su me stesso.
Ho sempre guardato, tra l’ammirazione e l’interrogazione stupita, alla tua capacità analitica, fino al particolare più dettagliato (qualcuno ha mai avuto l’occasione, seduto accanto al tavolo della medesima conferenza, di dare un’occhiata alle scalette dei suoi interventi, e ai suoi appunti?) mentre io ho sempre teso a “sgombrare il campo” e “potare”.
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di Antonio Valentino
La notizia l’ho letta solo stamattina. Stavo infatti scrivendo per lui un articolo che mi aveva chiesto per il numero di luglio-agosto di Rivista della Istruzione.
È stato un colpo di quelli che fanno male. Come ho potuto avvertire anche nei messaggi delle amiche e amici con cui si è voluto condividere un pensiero per lui.
Mi piace ricordarlo attraverso una sua lettera del mese scorso – scritta nel pieno delle urgenze della sua malattia che lo affliggeva da tempo – nella quale si coglie immediatamente la concretezza dei suoi interessi professionali (che per lui erano anche esistenziali, ma mai ossessivi); l’attenzione ‘militante’ al mestiere dell’insegnante e alla necessità di valorizzarne il merito come valore che genera la qualità del fare scuola, ma anche l’occhio vigile al ‘contesto’ e alle condizioni che ne favoriscono l’impegno; un modo di guardare ai problemi cercando di vedere sempre l’oltre, come luogo dell’approdo alla soluzione che possa funzionare; la condivisione come cifra della scuola democratica.
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