L’idea di chiamare “Ministero dell’Istruzione e del Merito” il vecchio MPI mi ha sorpreso creandomi un certo disagio e anche un inquieto malessere. Dico subito che di per sé l’idea di riconoscere e valorizzare il merito mi trova favorevole, ma a patto che la parola non sia presa isolatamente, ma chiarita, contestualizzata e collegata ad altre fondamentali condizioni.
Ora, il fatto che la compagine di governo utilizzi questa parola insieme ad espressioni ed esternazioni retrive ed oscurantiste che riguardano diritti, visioni del mondo, fatti religiosi e problemi economici e sociali, viene a costituire un puzzle minaccioso che non può non preoccupare.
Nelle mie considerazioni voglio partire dalle disparità presenti nella nostra società che non diminuiscono, anzi si accrescono, per richiamare subito il più alto compito che la Carta costituzionale si pone ed affida a chi è chiamato a guidare il Paese: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Dunque innanzitutto è necessario l’impegno a rimuovere le disparità, a costruire medesime condizioni di partenza e opportunità perché ciascuno poi possa farsi costruttore del proprio futuro, progredire, uscire dalla condizione di condanna ad una immutabile predestinazione che lo confina nella subalternità e ne deprime le aspirazioni.
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Merito, demerito, rigore e capacità
Il nuovo, altisonante e indeterminato appello al “merito” voluto dal Governo Meloni è da molti riferito esclusivamente, prevedibilmente all’impegno degli studenti, e ricondotto a una vigorosa “stretta” normativa.
Va detto che i richiami al “rigore” didattico non sono mai rivolti alla qualità dell’impostazione pedagogica o alla congruenza della struttura organizzativa; no,
il riferimento è a una scuola in cui il merito quasi sempre consiste nell’estrazione socio-culturale, che premia i “migliori”, avvantaggiati in partenza, e allontana i “peggiori”, gli inadatti, i più deboli.
La nostra scuola è fin troppo sbilanciata verso una logica della prestazione che, tra l’altro, tende a confondere il virtuosismo servile con la qualità degli apprendimenti.
Una scuola che non “promuove” l’esercizio e lo sviluppo delle diverse abilità, delle diverse intelligenze di cui ciascuno è variamente provvisto, ma solo alcune abilità, alcune modalità d’uso dell’intelletto (per giunta le meno elevate, quelle legate alla ripetizione, alla memorizzazione), “bocciando” le altre, che in taluni, fortunati casi la vita si riserva di riscattare – vi sono imprenditori, giornalisti, persino scrittori, filosofi e scienziati che hanno trascorsi scolastici non propriamente brillanti.
Il rapporto tutt’oggi esistente tra rendimento scolastico e ambiente d’origine, il fatto cioè che i “capaci e meritevoli” prosperino soprattutto nelle famiglie “attrezzate” culturalmente e affettivamente, conferma che la scuola non funziona più nemmeno come ascensore sociale.
Ma di fronte al dramma, sempre attuale, della dispersione scolastica, non si può indulgere ad atteggiamenti di fatalistica rassegnazione, quasi si trattasse di un fenomeno “naturale”, di un processo “fisiologico” (e non patologico), connaturato al sistema comunque sano. Non è decente pensare che i ragazzi lascino spontaneamente la scuola, che “demeritino” colpevolmente, e non ne siano invece allontanati, che la rifiutino deliberatamente, e non ne siano respinti; equivale a dire che la scuola è giusta e i ragazzi sono sbagliati, proprio come il sarto menzionato da Postman che, limitandosi a confezionare un solo tipo di pantalone, sosteneva fossero sbagliate le natiche del cliente quando il suo modello non calzava a dovere.
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Ministero dell’Istruzione e del Merito: ma perché stupirsi? stava già tutto nel programma
Stupisce lo stupore con cui il mondo della scuola e non solo ha accolto la nuova denominazione del “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Forse non tutti avevano letto l’accordo di programma relativo alla scuola delle forze che si apprestano a governare, il cui primo punto recita: “rivedere in senso meritocratico e professionalizzante il percorso scolastico…”.
Meritocrazia e professionalizzazione sono aspetti fondamentali nel quadro di un intervento complessivo e organico sul sistema di formazione. L’idea di sostenere i “capaci e meritevoli” è, tra l’altro, alla base dell’art.34 della nostra Costituzione.
Non è d’altro canto possibile non ricordare alcuni decenni di sociologia dell’educazione che, già a partire dagli ’60, hanno chiaramente messo in luce come il “merito” non sia una categoria del tutto neutra ma che strutture concettuali, attitudine all’apprendimento, atteggiamento verso lo studio si definiscono già nei primi anni di vita e dipendono in larga misura dai condizionamenti socioculturali dell’ambiente di provenienza.
Quello che preoccupa, e non poco, non è la presenza della parola merito ma la totale assenza di parole come inclusione e dispersione scolastica. In uno sguardo complessivo come dovrebbe essere quello di chi si accinge a governare non può mancare qualsiasi riferimento a quello che è considerato, ma non da tutti evidentemente, il problema più pressante della nostra scuola, sia in termini sociali sia in costi economici.
Te lo do io il merito. Dalla meritocrazia alla mediocrazia è un attimo
di Mario Maviglia
Chissà quanto costerà alla finanza pubblica (ossia a tutti noi) la nuova denominazione di numerosi Ministeri voluta dal nuovo Governo.
Occorre infatti cambiare l’intestazione delle carte (anche se buona parte della comunicazione oggi avviene on line), i timbri non più in regola, le targhette ai vari uffici. E questo per tutti i Ministeri coinvolti e per le loro diramazioni territoriali.
Gli istituti scolastici, ad esempio, dovranno subito darsi da fare per aggiungere “e del Merito” subito dopo “Ministero dell’Istruzione. E dire che molte di loro avevano da poco finito di aggiornare la vecchia denominazione di “Ministero dell’Istruzione e della Ricerca”. (Ma se fate un giro in rete, ci sono ancora istituzioni scolastiche che utilizzano ancora la vecchia denominazione di “Ministero della Pubblica Istruzione”. Nostalgici…).
Può darsi (ma è alquanto improbabile) che gli inventori del nuovo nome abbiamo pensato all’art. 34 della nostra Costituzione, dove, in riferimento alla scuola aperta a tutti, viene citato il merito (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”).
Non sappiamo per quale motivo, ma ci sembra che nel caso che stiamo trattando si faccia riferimento ad altri paradigmi valoriali (chiamiamoli così). E allora su questo punto conviene essere sfacciatamente espliciti e politicamente scorretti. Da molti anni in Italia (da sempre?) quando si parla di “merito” significa che si vogliono “sistemare” amici o amici degli amici (o familiari o parenti vicini e lontani o affini, con tutta la filiera genealogica del caso) in posti chiave o comunque ambiti, utilizzando (qui sta l’ingegnosità del paradigma) la parola magica del “merito”. È quello che succede quasi ordinariamente in ambito universitario, o nella nomina dei dirigenti pubblici ex art. 19 commi 5bis e 6 del DLvo 165/2001; o quello che succede quando si confezionano bandi ad hoc per la nomina di esperti/consulenti/formatori presso le pubbliche amministrazioni. Un ulteriore esempio è la cosiddetta fuga di cervelli dall’Italia, ossia quei talenti che non hanno alcuna possibilità di vedere riconosciute le loro competenze in quanto non adeguatamente “imparentati” con lobby o gruppi di potere.
La mistica della rete che promuove democrazia
Lo storytelling leggendario e mitologico di internet come agorà espansiva della democrazia resiste solo nelle ampie sacche di mistica dell’innovazione, purtroppo ancora vastamente diffuse nelle istituzioni formative della nostra Repubblica.
Altrove – ovvero in altri territori e in altri ambiti socio-culturali – le vicende Cambridge Analytica, il pullulare delle fake-news, il diffondersi del pensiero di odio, la segregazione nelle bolle di opinione, la manipolazione quotidiana delle coscienze da parte delle aziende di social business, la privatizzazione e la frantumazione della sfera pubblica da parte delle piattaforme del capitalismo cibernetico hanno invece mobilitato il pensiero autenticamente critico. Quello che si pone domande problematizzanti, mette in discussione i modelli di riferimento, propone attivamente alternative.
Tra le varie testimonianze di questi processi di ri-emancipazione l’appello che presentiamo e che invitiamo a sottoscrivere. Si tratta di un Manifesto per la realizzazione di media e internet con scopo esplicito di servizio pubblico, destinati ai cittadini e non più ai consumatori di informazioni, redatto da Christian Fuchs e Klaus Unterberger.
Crisi energetica, nubi nere all’orizzonte. Le scuole sono pronte?
Crisi energetica. I prossimi mesi saranno durissimi. Le proposte in campo per convivere con
l’emergenza energetica. Ma la scuola è pronta?
Crisi energetica, sarà uno tsunami economico e sociale?
Crisi energetica. Dopo la pandemia che ha messo a dura prova le nostre esistenze, si profila
all’orizzonte un altro problema. Mi riferisco alla crisi energetica dovuta al rialzo del costo del gas.
Da diverse settimane i massmedia presentano scenari apocalittici con fabbriche e aziende
costrette a chiudere. Inevitabili le ripercussioni sull’occupazione. Al momento stiamo parlando di ipotesi, ma la tendenza sembra confermata.
L’ipotetico futuro conferma che ormai la società del rischio (U. Beck) è un’esperienza liberata dai
lacciuoli teorici.
Avanzano le proposte per la scuola
Al momento la scuola non è toccata dal problema. L’anno scolastico è iniziato, ripetendo gli stessi riti del periodo pre-pandemico. Tutto all’insegna del ritorno alla normalità. Eppure, una nuova riflessione, fatta di proposte che superino l’attuale profilo di scuola si sta profilando all’orizzonte.
Mi riferisco alle possibili soluzioni per affrontare il quasi certo periodo nero della crisi energetica.
L’ANP ha il merito di aver avviato la riflessione con l’idea cardine della chiusura delle scuole il
sabato, dimenticando però che queste sono il 20% del totale. Altra idea è la sostituzione dei
vecchi infissi con finestre fornite di doppi vetri. Le proposte ANP, ovviamente, non si fermano a
questi due punti, allargandosi ad altre soluzioni (spegnimento delle luci, sostituzione lampadine…).
Di un certo interesse è la proposta del comitato A scuola, costituito nel 2020 da famiglie, studenti e anche insegnanti per contrastare l’uso intensivo della Dad. In sintesi: “permettere a tutte le scuole di introdurre le lezioni di 50 minuti, così da rendere più “gestibile” la situazione, se la crisi energetica dovesse ulteriormente aggravarsi nel corso dell’inverno, rendendo necessari sacrifici per risparmiare gas“.
Lavorare ora alla proposta
Nulla, ovviamente, si improvvisa. L’idea deve essere elaborata a bocce ferme, in modo da
permettere eventuali integrazioni. Sarà molto difficile ri-organizzare l’orario pressati
dall’emergenza. Ne è convinto anche il Comitato A scuola che sottolinea: ” è importante che
questa decisione venga presa a breve: riceviamo notizie di istituti che già hanno deciso per la
settimana corta, con i disagi orari del caso, per non trovarsi a dover riprogrammare e riorganizzare l’intero orario nel bel mezzo dell’inverno. Concedendo subito lezioni da 50 minuti – sottolinea il Comitato – si potrebbe ovviare ai disagi alle scuole che hanno già compiuto questa scelta e permettere a tutte le altre di preparare un “piano B” logico e sopportabile in caso di imposizione della settimana corta per tutti”
Il Ministro Bianchi sembra aver abbandonato l’idea che la scuola sia comunque protetta,
ricordando che “ci sono le autonomie delle scuole: se una scuola decide di organizzare una propria struttura può farlo, ma si parta dalla didattica”
In conclusione resta la domanda: quante scuole stanno lavorando in tal senso?
Trasformare l’istruzione, costruire il nostro futuro
Il vertice delle Nazioni Unite Transforming Education è stato convocato in risposta a una crisi globale dell’istruzione, che riguarda l’equità e l’inclusione, la qualità e la pertinenza. Spesso lenta e invisibile, questa crisi sta avendo un impatto devastante sul futuro dei bambini e dei giovani di tutto il mondo allontanando il raggiungimento dell’obiettivo 4 dei “Goals per lo sviluppo sostenibile” (SDG 4).
Il Vertice offre un’opportunità unica per portare l’istruzione in cima all’agenda politica globale e per mobilitare l’azione, l’ambizione, la solidarietà e le soluzioni per recuperare le perdite di apprendimento legate alla pandemia e gettare i semi per trasformare l’istruzione in un mondo in rapida evoluzione.
Il vertice è nato anche sulla spinta del lavoro della commissione International Commission for the future of education dell’Unesco che nel novembre 2021 ha pubblicato un fondamentale rapporto dal titolo “Reimagining our futures together: A new social contract for education” .
La discussione del vertice è stata ampiamente preparata nel corso dei mesi passati grazie al lavoro svolto su 5 Action track, ovvero cinque percorsi tematici e tracce d’azione
Gli Action Track cercano di mobilitare nuovi impegni, mettendo in evidenza gli interventi politici che funzionano e sfruttando le iniziative e le partnership esistenti, comprese quelle emerse in risposta alla pandemia di COVID-19.
Vediamo analiticamente i 5 action track riprendendone la descrizione dal sito del summit