Filosofia e storicismo, Croce e Gentile: alle radici della cultura italiana del ‘900

“Controversia sullo storicismo tra Tilgher, Croce e Gentile” è un saggio di filosofia della storia, composto da Paolino Mongiardo nel 1968 per la sua tesi di laurea, conseguita  nella facoltà di filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, dopo un percorso di studi svolto sotto la guida di pensatori della statura di Ugo Spirito, Natalino Sapegno, Guido Calogero, Ettore Paratore.

E’ una trattazione critica sul senso dello storicismo nelle due contrastanti posizioni di Croce e Gentile, da una parte, e il loro allievo Adriano Tilgher, dall’altra. Razionalisti, ottimisti e storicisti i primi due, dotati della serenità e freddezza necessaria ad evitare errori di valutazione, il terzo, istintivo, irrazionalista, antistoricista e pessimista fino al nichilismo. I primi due, dalla parola rasserenatrice, sostenitori di valori eterni che sempre trionfano e si affermano anche quando l’umanità si sente angosciata dalla mancanza di sicurezza e dalla sfiducia in quegli eterni valori, che vede perduti dinanzi alle distruzioni causate dalle due guerre mondiali.

Il significato pregnante di questo libro è da ravvisarsi nelle parole di Benedetto Croce nella parte conclusiva della trattazione: “E’ sull’istinto che trionfa la ragione inevitabilmente; è sempre sul male che trionfa il bene come un elemento susseguente della dialettica storicistica del mondo. E quando il bene trionfa di volta in volta sul male, la statura così dei singoli uomini come dei popoli si rinnovella e si fa più grande”.

In questa nuova riedizione del saggio, il prof. Mongiardo si propone di dimostrare che “anche quando l’umanità è angosciata dalla mancanza di sicurezza e dalla sfiducia verso valori eterni che sembrano andati perduti per sempre, come avvenuto all’epoca delle due guerre mondiali e come sempre avviene quando il senso della storia si fa tormentoso nei punti di crisi del divenire umano- afferma Mongiardo – sempre si eleva la parola rasserenatrice di Benedetto Croce, il filosofo dotato della serenità e freddezza necessarie ad evitare errori di valutazione, di contro agli istintivi e scalmanati irrazionalisti e nichilisti del tempo”.

Un testo ritenuto di grande pregio letterario, non solo per il significato filosofico dei contenuto trattati, ma anche per il fatto che al tempo della sua prima redazione, l’autore è stato il primo, tra gli appassionati di filosofia, a disquisire sull’accesa polemica Storicismo-Antistoricismo, condotta senza quartiere, nel periodo fra le due guerre mondiali, da Adriano Tilgher con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, l’allievo contro i propri maestri, all’epoca inconcussi giganti del pensiero filosofico.

Questo testo di Paolino Mongiardo ha riscosso apprezzamento anche nell’ambiente accademico dieci anni più tardi, allorchè il professore Gianfranco Lami, ordinario di Filosofia del Diritto presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza di Roma”, scrisse una lettera al professore calabrese Paolino Mongiardo, cercandolo nel suo paese d’origine, per complimentarsi e per proporgli degli scambi di idee, al fine di acquisire materiale di studio utile a una sua opera di prossima pubblicazione.

Nell’introduzione al saggio, l’autore anticipa i motivi della controversia ideologica tra i tre filosofi.

Secondo Paolino Mongiardo “Il senso della storia si è sempre fatto quasi tormentoso nei punti di crisi del divenire umano; e non sempre è facile, proprio perché si tratta dell’affiorare di un tormento inquieto, o di un allarme confuso, distinguere nettamente i più seri profeti della crisi dagli incomposti gridatori e banditori dell’irrazionalismo e dell’attivismo, quali erano al tempo Adriano Tilgher e Giuseppe Rensi: allora tutti i criteri che servono a distinguere il bello dal brutto, il vero dal falso, il bene dal male si confondono in un’oscillante incertezza.  A noi oggi- prosegue l’autore- è dato meglio distinguere, specie in un momento storico come il nostro in cui tutto, o quasi tutto, è tornato alla normalità, e le stesse inconsulte profezie catastrofiche sono sfumate nel nulla, essendo uscita l’umanità dal baratro in cui era sembrata cadere, il giusto valore di quelle posizioni in contrasto. Oggi ci rendiamo meglio conto come la speculazione filosofica crociana, dura e severa scuola in un’epoca confusionaria che ha vinto sui deboli e ne ha ottenebrato il buon senso, sia stata davvero un faro luminoso nella storia del pensiero, e come ancora faccia luce fino a noi ancora oggi con tutta la forza di attualità che conserva inalterata fin da quando ha saputo tagliare le penne a tutti i sogni nietzschiani e sperellici, riportando tutti a guardarsi dentro e a studiarsi e a rifarsi con l’umile e paziente lavoro di ogni giorno; e da quando ha saputo specialmente invalidare ed escludere con rigore ogni residuo di una dialettica di soggetto e oggetto che da Fichte in poi ha immeritoriamente monopolizzato la discussione filosofica”.

Paolino Mongiardo nella sua trattazione filosofica delinea quelli che sono non dei punti fermi sul problema della storia umana e spirituale, bensì degli orientamenti “poiché esso – spiega- non si risolve, in ultima analisi, né con lo storicismo ottimistico del Croce, che è una sopravvalutazione della storia, né con l’antistoricismo, se questo fosse inteso non come ripudio delle esagerazioni storicistiche, ma come negazione o incomprensione della storia”.

Secondo Mongiardo “è sulla costruzione dello storicismo umanistico del Croce che si deve soprelevare se si vuole vedere più lontano e più chiaro nella direzione della storia e della cultura. Così come è indispensabile un riferimento continuo al pensiero del Tilgher se si vuole avere una chiara visione del mondo di noi uomini particolari, dove la negazione dei fatti storici contingenti, tendente a rivendicare la libertà e il valore della persona umana di contro a qualsiasi piano provvidenziale o finalismo teologico, toglierebbe ogni significato al nostro vivere e al nostro terreno destino”.




Elon Musk, i popoli della Amazzonia e il colonialismo tecnologico

di Rodolfo Marchisio

Musk è chiaramente un personaggio egocentrico, contradditorio, anche nelle sue scelte di campo, tranne che su 2 cose: sul fatto di guadagnare soldi e che si parli di lui.

La iniziativa (di cui all’articolo di M. Guastavigna) è una forma di neo colonialismo tecnologico, razzista che si basa sulla convinzione della superiorità, grazie alle tecnologie (anche da noi discusse in modo critico, soprattutto per l’oligopolio della loro gestione da parte dei Big e per la mancanza di attenzione ai problemi che creano a cittadini, lavoratori ed ecosistema) della cultura occidentale). Diversa la iniziativa di B. Gates anni fa di portare PC a manovella a popolazioni che non avevano la energia elettrica.

C’è una presunzione di superiorità del ruolo delle tecnologie e della nostra cultura che va contro i diritti alla autodeterminazione dei popoli, dei cittadini e dei popoli e delle nazioni indigene[1]
Come quando abbiamo portato l’alcool (e i virus e la “vera” religione) negli altri continenti.
Non parliamo del buon selvaggio felice, ma del fatto che nessuno, né privato, né stato, ha il diritto di sconvolgere la evoluzione di un popolo, arrogandosi il diritto ed il potere di migliorare (deus ex machina) le sue condizioni in base alla presunta superiorità della nostra cultura occidentale esportando non solo tecnologie ma problemi (patologie e dipendenze) da noi irrisolti.
Noi siamo prigionieri delle tecnologie (dei padroni delle tecnologie), che se ci servono, però ci sfruttano come cittadini e consumatori; creano assuefazione ed effetti dannosi dal punto di vista fisico, psicologico, sociale, ci cambiano profondamente. [2]

Ci abbiamo messo secoli per arrivare a questa situazione, abbiamo avuto la possibilità di adattarci in modo critico (anche se non lo abbiamo fatto) e non ne siamo usciti, chiusi tra utilità, necessità, ma anche dominio, sfruttamento e problemi irrisolti.
Un popolo non può essere usato come cavia. Si tratta di un esperimento che usa popoli come cavie, senza tesi da dimostrare, senza preoccuparsi delle conseguenze, per far parlare di sé.
Per questo andrebbero aggiornate alla situazione attuale le varie dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei popoli, compresi i popoli “indigeni”, già ampiamente sfruttati: nel senso della autodeterminazione, del dialogo tra culture, dell’aiuto e della non ingerenza.[3]

Aggiornate ma poi attuate.

 

[1] Dichiarazione Nazioni unite sui Diritti dei popoli indigeni, maggio 2008 https://www.un.org/esa/socdev/unpfii/documents/DRIPS_it.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_dei_diritti_dei_popoli_indigeni
[[2] https://www.youtube.com/watch?v=Giibp5GApVg
[3]https://www.ohchr.org/sites/default/files/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_di_Algeri:_Dichiarazione_Universale_dei_Diritti_dei_Popoli
https://unipd-centrodirittiumani.it/it/attivita/Autodeterminazione-diritti-umani-e-diritti-dei-popoli-diritti-delle-minoranze-territori-transnazionali/187




Da Amazzonici a (potenziali) Amazoniani

cdi Marco Guastavigna

Ne hanno (s)parlato in molti: i satelliti Starlink hanno portato la connessione internet alla comunità Marubo, con la conseguenza di renderne gli appartenenti assimilabili agli “sdraiati”, gli adolescenti descritti qualche anno fa da Michele Serra.

Al di là degli aspetti pruriginosi – accesso alla pornografia digitale – e degli “o tempora o mores!” di rito, l’evento dà l’occasione di riflettere su un tema importante e complesso.

È infatti un classico caso in cui il dominio tecno-capitalista dell’Occidente si traduce non solo in supremazia cognitiva, ma anche in soperchieria morale e comportamentale.

Come se non bastasse, inoltre, questi esiti vengono considerati troppo spesso effetti collaterali di processi definiti con grande leggerezza e perniciosa ostinazione “progresso”, “sviluppo”, “crescita”, a seconda della convenienza politico-lessicale del momento.

Oltre che richiamo dell’epistemicidio denunciato da pensatori e attivisti non subalterni alla cultura europocentrica e fautori della pluralità delle storie, anziché della Storia così come è stata istituzionalizzata, la scelta di Musk è quella di rifiutare una visione della conoscenza come arcipelago di punti di enunciazione a favore dell’universalizzazione dell’immaginario e dell’agire di un segmento (demograficamente minoritario) dell’umanità.

Questa decisione, per altro certamente ponderata sul piano mediatico e aziendale, mi spinge perciò a proporre di insignire l’ imprenditore sudafricano del settimo grado del quadro di riferimento occidentale per le competenze digitali, fino ad ora assegnabile solo a Harry S. Truman: Colono.




Cara Giorgia, le scrivo (e le spiego qualcosa sulla “teoria gender”)

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, alias GIORGIA.

Da tempo volevo scriverLe, Onorevole Presidente, ma ora penso che sia arrivato il momento in cui non posso veramente più stare zitta. Anche perché non mi si addice!
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Sua dichiarazione “urlata” al congresso organizzato a Madrid recentemente da Vox, alla presenza di tutti i rappresentanti della destra estrema, prossimi al voto europeo.
Dichiarazione da Lei urlata in spagnolo (chissà perché quando deve parlare spagnolo Le scappa sempre di urlare…forse ha interpretato “vox” in questo modo?) in cui dichiara, tra le altre boutade ad effetto, anche che, in osservanza delle radici cristiane, Lei non accetterà mai che nelle scuole si parli della “teoria gender”.

Ora mettiamo le cose in chiaro, carissima Presidente, non si faccia cogliere “in castagna” pure lei come gli altri “gaffeurs” del suo governo che in genere, a dire il vero, si stanno dimostrando spesso piuttosto claudicanti, rispetto alla competenza culturale ma anche politico-amministrativa che sarebbe giustamente loro richiesta.
Dia l’esempio Lei, Presidente, e prima di aprire bocca si informi bene, come si conviene alla leader del Governo, i cui membri in teoria dovrebbero amministrare la “cosa pubblica” verso il BENE COMUNE e non verso la ricerca di facile consenso popolare, come sta invece accadendo nel caso di specie.

Mi spiego meglio : in questa circostanza ovviamente si tratta di “lisciare il pelo” a tutti quegli “integralisti” più o meno religiosi, più o meno oscurantisti, ma spesso soltanto ignoranti, nel senso che ignorano, alcune idee essenziali riferite alle tematiche in oggetto.
Di seguito ecco allora qualche spiegazione facilmente fruibile ma soprattutto alcuni riferimenti legislativi ineludibili, soprattutto da parte di chi ci sta governando. Si tratta del comma 16 della L.107/15 e dell’importantissimo “Trattato di Istanbul” (2011 ratificato in Italia nel 2013) da cui discende l’obbligatorietà del comma stesso.
Se li faccia tirar fuori, cara Presidente, e ne prenda atto. L’identità di genere, maturata oltre gli stereotipi verso le Pari Opportunità, non è il demonio e riveda le Sue posizioni così avventatamente urlate, a meno che Lei non voglia imitare il fondamentalista islamico Erdogan che, dopo aver ospitato la Commissione che ha steso il Trattato, recentemente l’ha rinnegato.
Cominciamo allora con l’abicì.

IDENTITA’ PSICOSESSUALE

Bisogna partire con calma ad affrontare l’evolversi dell’identità psicosessuale.
L’identità sessuale viene definita alla nascita come:

1) “IDENTITA’BIOLOGICA”
, attraverso l’osservazione del sesso anatomico (genitali esterni), generalmente con certezza, tranne nei casi di ermafroditismo chiamato oggi intersessualità.
Spendiamo due parole per chiarire questa definizione: si tratta di soggetti, per fortuna non frequentissimi, che si presentano alla nascita con una non chiara distinzione degli organi genitali esterni ed interni, per cui alla vecchia denominazione di “ermafroditismo”, un po’ criptica per chi è digiuno di nozioni biologiche, oggi si preferisce il termine “intersessuale”. Praticamente si tratta di combinazione ambigua tra gli organi. Un tempo si procedeva alla nascita ad una modalità di intervento cruento, decidendo così per un sesso o per l’ altro, il più delle volte affidato alla scelta genitoriale, su cui è meglio sorvolare perché foriera di grandi sofferenze da parte dei soggetti durante la loro crescita, come è facile immaginare..

Poi subentra:
2)”L’IDENTITA’ PSICOLOGICA” che consiste nell’accettazione della propria identità biologica sessuale, durante il processo di crescita;
– in caso contrario può sorgere una forte “DISFORIA DI GENERE”, consistente in uno stato d’animo angosciato, relativo al fatto di sentirsi prigionieri di un corpo sessuato non riconosciuto come ”proprio”;
– in conseguenza di tale disforia è possibile che nel soggetto crescendo appaia il TRANSGENDERISMO (in assenza o con rifiuto di intervento) oppure il TRENSESSUALISMO (in presenza di intervento) .
Il transessualismo deve essere tenuto distinto dall’orientamento sessuale.

Alla fine appare:
3) “L’ORIENTAMENTO SESSUALE” che può essere :
– eterosessuale,
– omosessuale,
– bisessuale.
– asessuale.

Queste distinzioni valgono anche per i transessuali.

IDENTITA’ DI GENERE
Se è vero, parafrasando Simone de Beauvoir, che maschi e femmine si nasce ma uomini o donne si diventa, questa maturazione è un processo che va accompagnato verso un’ottica di parità che valorizzi però le differenze. Dovrebbero perciò scaturire da questo processo delle identità il più possibile rinnovate dalla cultura e dalla riflessività e libere il più possibile dai vecchi stereotipi, che segnano spesso la sopraffazione del maschile sul femminile. A questo proposito una particolare vigilanza viene raccomandata nei confronti dei modelli offerti dai MEDIA che rischiano di essere assorbiti dai soggetti in crescita a-criticamente.
La scuola è molto importante in questa fase della maturazione delle identità perché al suo interno gli alliev* hanno due compiti: “apprendere e crescere”. Crescere verso le PPOO è un compito dicevamo non semplicemente biologico ma “educativo”, auspicabile ovviamente che avvenga all’interno di una Istituzione deputata a far superare stereotipi e pregiudizi e ad aprire le menti, a fronte della famiglia di per sé “conservatrice”.
Tale maturazione culturale, che si sviluppa dalla identità sessuale biologica, si chiama appunto, come dicevamo, “identità di genere”.
Per le osservazioni esplicitate precedentemente risulta chiaro che in presenza di ”disforia di genere”, e non accettazione della identità biologica, i soggetti TRANS rivendichino in modo più o meno esplicito una identità di genere diversa da quella biologica assegnata dalla natura.

CONCLUSIONI
Spero ardentemente che Lei capisca, come altrettanto capisca la Ministra Roccella, che immagino la segua in questa miope rivendicazione soltanto ideologica, nel senso più retrivo del termine, che cercare disperatamente di affermare la propria autenticità psicosessuale, in presenza come dicevamo di una “disforia” molto dolorosa, non sia una passeggiata ma un percorso di grande sofferenza, interna , psicologica e anche fisica. In altre parole, NON E’ UN CAPRICCIO!!!
Lo dica anche a Luca Ricolfi, che penso vicino alle sue posizioni, anche se ieri sul Gazzettino si sia sforzato di essere equidistante, tra il “pro e il contro” nascondendo però una trappola. La trappola deducibile dal titolo molto ambiguo ”Sono le donne le vere vittime della teoria gender”…
Il riferimento “era a soggetti MtF (da maschio a femmina) che senza ancora transizione chirurgica, come atleti maschi, pretendono di gareggiare nelle competizioni femminili, sbaragliando le atlete biologicamente donne; oppure ugualmente detenuti biologicamente maschi che pretendono di essere ospitati in carceri femminili (con numerosi casi di stupro)”….
Che dire? Mi sono vergognata per lui…




E’ mancata Paola Falteri, una combattente per l’insegnamento della storia

C’è molta commozione nel mondo della scuola per la scomparsa di Paola Falteri, geniale docente di antropologia culturale all’università di Perugia che a partire dagli anni ’70 molto si impegnò per costruire un approccio innovativo e progressista all’insegnamento della storia.

Riportiamo qui il ricordo di Antonio Brusa, già docente di storia all’università di Bari e presidente della Società Italiana di Didattica della Storia.

Paola Falteri è stata una combattente  per l’insegnamento della storia.
Scrisse un libro con Mila Busoni nel quale rompeva le barriere fra l’insegnamento della storia e quello dell’antropologia e sosteneva che fin dalle elementari ai bambini si dovessero offrire orizzonti culturali vasti e la conoscenza di popolazioni lontane e diverse. Un percorso affascinante, non solo per l’Mce, il Movimento del quale Paola è stata grande animatrice.
Lavorai con lei nell’Osservatorio interculturale, diretto da Milena Santerini. Dovevamo affrontare la questione: quale storia insegnare in una società ormai multiculturale come quella italiana? La storia mondiale, fu questa la nostra risposta, l’unica in grado di abbracciare tutti, uomini e donne di ogni parte del mondo.
Ci lascia, Paola, mentre dal governo giungono sirene identitarie e la proposta di una storia che, di fronte all’esplosione delle diversità umane, chiede agli italiani di ripiegarsi su se stessi, sulle proprie leggende, sui Pinocchi e sui Libri Cuore. Così, ci accingiamo a questa nuova battaglia in difesa di una storia cognitiva, libera dai gioghi identitari, senza di te, ma con la ricchezza dei tuoi libri e del tuo insegnamento.

Nel sito del Movimento di Cooperazione Educativa una pagina in cui la ricorda chi ha avuto modo di conoscerla e di lavorare con lei.




“Assimilazione”, la nuova parola d’ordine del Ministro per gli studenti immigrati. Per meritarsi l’Italianità.


Il nostro Aristarco Ammazzacaffè è riuscito ancora una volta a raccogliere alcune confidenze riservate da uno strettissimo collaboratore del Ministro.
E noi, come facciamo da tempo, non ci sottraiamo al delicato compito di divulgare qualche succulenta informazione.

 

 

Sulle questioni dei ragazzi immigrati che frequentano le nostre scuole, capita di sentire troppe voci stonate, e a tratti anche ingiuriose, nei confronti del Ministro, che non se le merita proprio.

Abbiamo voluto perciò chiarircene i termini raccogliendo precisazioni e considerazioni di un Collaboratore Speciale del Ministro. Che, nell’incontro a Viale Trastevere, ci ha tenuto a richiamare in premessa che, sugli studenti immigrati, il pensiero del Ministro, è stato proditoriamente frainteso: “Si vogliono oscurare, in tutta evidenza, gli evidenti risultati strategici del suo dicastero; che sono lì a portata di tutti: basta chiedere in giro e avere fede!”. Così.

1.“Un tweet che passerà alla storia”.

“In questo incontro – continua il nostro Collaboratore Dirigente – mi limiterò a commentare, per ragioni di tempo, solo i primi due punti che vi richiamo testualmente;  a partire dalla frase che li introduce
– L’accoglienza va certamente assicurata: 1. se nelle classi la maggioranza sarà di italiani; 2. se studieranno in modo potenziato l’italiano (Sic. Senza soggetto. Per licenza ministeriale. Comunque a volo lo si intuisce. È solo questione di ali. Nota del Redattore).

E dopo un sorso d’acqua, il messaggio tonificante:

“Sul primo punto, le precisazioni ulteriori del Ministro: – Mai più studenti stranieri sopra il livello massimo del 20% -. Esattamente così.  E, subito dopo, l’anticipazione delle mosse che ha in mente per raggiungere l’obiettivo. Tra le quali soprattutto l’intenzione di assumere (udite! Udite!) un principio scientifico come promettente garanzia di risultato: quello dei vasi comunicanti. Addirittura!

“Personalmente lo condivido moltissimo anch’io – chiarisce la sua posizione il Collaboratore Colto -; perché è questo principio scientifico che permette di individuare la mossa vincente: trasferire i ragazzi stranieri in esubero rispetto al 20% programmato, dagli Istituti, generalmente collocati nelle città grandi e medie, soprattutto al Nord, a quelli dei Comuni più o meno limitrofi e certamente più piccoli, dove i ragazzi stranieri o non ci sono o sono pochi, se non pochissimi. Comuni limitrofi, ha tenuto a precisare il Ministro; mai comunque molto lontani dalla città di residenza (30-40 km, i numeri che girano. Abbastanza ragionevoli).

La grande idea del Ministro – questa è una primizia – sembra si articolerà in tre mosse:

  1. Autorizzare, come ministero dell’Istruzione e del Merito, assieme al Tesoro, l’acquisto di pulmini o pulmoni da mettere a disposizione per i vari trasferimenti giornalieri dai comuni grandi e medi a quelli limitrofi con adeguata disponibilità. Verrebbero addirittura facilitati, altra grande e ben pensata idea, anche i trasferimenti di famiglie, che però lo vogliano e ne facciano richiesta, nei comuni dove si trovano le nuove scuole a cui sono stati destinati i figli diventati esuberi. (Straordinario! Ma come fa a pensarle tutte in una volta sola? Glielo ho anche chiesto. Ma lui non ha risposto. Ha solo sorriso. Una lezione!).
  2. Rendere il trasporto garantito e sicuro, e comunque gratuito e a spese dei Comuni. I quali, si pensa, potranno però richiedere, se vogliono, un contributo, ma solo di piccolissima entità; di fatto per far capire alle famiglie immigrate che di aiuto si tratta e che ne siano riconoscenti. Il ministro, secondo voci di corridoio mai smentite, intende al riguardo metterci la faccia, dichiarandosi personalmente garante. Grande!
  3. Per gli Istituti Professionali ed eventualmente anche Tecnici delle città grandi o medie, con studenti in esubero – situazioni molto diffuse e problematiche – si potrebbe provvedere, con due diverse modalità: la prima, ridistribuire tali studenti in eventuali istituti dello stesso tipo (o anche no; chi lo può dire…) nei piccoli centri viciniori ove si registrassero disponibilità; la seconda, ricollocarne i più bravi degli istituti professionali con esuberi, sempre delle città grandi o medie, nei licei classici e scientifici delle stesse, preferibilmente tra le più rinomate; e questo per un principio di egualitarismo.(Lui, all’uguaglianza ci tiene molto. A volte, anche moltissimo). E studiarne opportunamente l’effetto che fa. Soprattutto tra i genitori degli studenti liceali.

Se – questo l’orientamento accorto del Ministro – l’operazione non riuscisse, per le più varie ragioni, ci si può (secondo l’idea realistica circolata soprattutto al Ministero) sempre attaccare al tram, eccezionalmente. In caso di disordini, il Ministro si offrirebbe volontariamente per la pacificazione.

E veniamo al secondo punto dello storico tweet: il potenziamento dell’italiano per gli studenti immigrati. A questo tipo di impegno il Ministro è da sempre affezionato e ci tiene molto, soprattutto nei suoi discorsi. Ed è particolarmente importante perché la padronanza della nostra lingua è per lui il lasciapassare obbligato per chi aspira alla cittadinanza italiana.

Il ministro, sempre di persona, si farà anche qui garante dell’attivazione di mirati corsi di recupero e potenziamento. Ovviamente a Dio piacendo. Il Quale, sia detto con rispetto, non potrebbe neanche tanto tirarsi indietro; come si fa capire negli ambienti religiosi vicinissimi al Ministro. Che di questo gesto prodigioso sarebbe invece addirittura certo (Come è risaputo, il Nostro è religiosissimo e vivrebbe male – si dice e non si dice, trattandosi di questioni grosse – l’eventuale disattenzione di Chi di dovere). Comunque, misteri della fede. E non diciamo altro.”

2. “Accoglienza, sì. Ma senza tabu”. Il punto fermo del Ministro

Il Collaboratore Perspicace, a questo punto, diventa all’improvviso pensieroso. Forse per i contenuti che sta per presentare. E infatti:
“La domanda fondamentale che dobbiamo porci a questo punto è un’altra, di carattere più generale e di fondo: ‘Perché quei se insistiti in tutti e tre i punti del tweet’? Sottintendono forse dubbi e pericoli dietro la pur ferrea disponibilità del Ministro all’accoglienza o addirittura all’inclusione? Vuole forse, il Ministro, come pensano alcuni, scongiurare rischi e pericoli che impedirebbero all’accoglienza di funzionare? O, sottintendendo, con quei se, problemi e rischi di una accoglienza indiscriminata e senza regole, il Ministro ci voglia ricordare una cosa semplice ma fondamentale perché vera: e cioè che sempre e comunque di immigrati si tratta e che rischi e problemi con loro sono sempre possibili? Tipo: trovarsi, come Civiltà, sotto attacco. O addirittura in braghe di tela. Che sarebbe anche peggio! Perciò, sembra essere il pensiero del Ministro, va evitato che questi nostri ‘ospiti’ si montino la testa e pensino possibile – praticamente dall’oggi al domani, e  e addirittura senza pagare pegno – invertire ruoli, situazioni e condizioni sociali ed economiche nel nostro Paese. La possibile domanda maliziosa: ‘Non è forse questa – come i soliti antagonisti incalliti potrebbero pensare – una questione di privilegi che noi si vorrebbe continuare a mantenere? Risposta netta: assolutamente no. Il Ministro lo giura. E anche io. Il punto centrale è un altro; è che alcune distinzioni vanno mantenute, altrimenti si va in confusione e non si capisce più niente: chi comanda e chi obbedisce, chi sta sopra e chi sta sotto e via confondendo. E a lui – al Nostro Ministro, intendo – la confusione non piace. Figurarsi a noi.”

  1. Inclusione come assimilazione”. Il Collaboratore Collaborativo si schiera

E così, dopo una piccola pausa, che vuole significare riflessività, il nostro Collaboratore Strettissimo procede, sempre concentrato:
“Qui si colloca il tema dirimente della inclusione. Al riguardo, l’orientamento del Ministro non è affatto – sia ben chiaro – quello di cancellare l’inclusione dal nostro vocabolario scolastico. Mai. Ma piuttosto quello di riprecisarla, associandola concettualmente ad assimilazione.  L’imperativo lanciato dal Ministro nello storico tweet è appunto, ‘Che si assimilino!’ (ovviamente riferito agli immigrati).

Avrebbe potuto dire: Assimilatevi a noi. Diventate simili a noi. Facendo capire: ‘per il vostro bene’. La frase sarebbe stata però, per lui come lui, pesantemente volgare, prima ancora che autoritaria e irrispettosa. Ma il nostro Ministro è un vero signore! Basta osservarne la classica postura che lo caratterizza: ‘mezzo busto e sorriso standard’ e l’ariosa gesticolazione stile Craxi (se qualcuno se la ricorda)”.
“Comunque, messaggio netto e preciso: proprio per allontanare fraintendimenti e attese sbagliate tra gli immigrati; e facilitare così l’aggancio della sua strategia inclusiva al nostro sistema di valori. Nel quale, il posto centrale chi ce l’ha? I Consigli di classe come comunità di intenti e pratiche? Insegnanti più preparati e meglio valorizzati? Classi meno affollate? Fuori strada. È il  Merito. Merito, come conquista a cui gli studenti immigrati vanno motivati e orientati. Perché si portino all’altezza dell’Italianità. E appunto meritarla – l’Italianità -: attraverso l’assimilazione. Bingo!
Voi ci avreste mai pensato? Non è straordinario questo pensiero così coordinato e allacciato? Quasi diabolico! Secondo me, una bomba!”

Ma ex abrupto, il Collaboratore Benemerito, guarda il telefonino
“Ora però devo andar via; mi chiama il Ministro sullo smartphone…. Nuovo di zecca. Tre mila euro. Le piace? Ce l’ha uguale anche il Ministro”.
E mi tende la mano come per un saluto; ma, guardando oltre, si allontana con andatura quasi fluttuante come ad un palmo da terra.




Dice Valditara: promuovere i talenti per rilanciare l’economia. Ma funziona davvero così?

di Franco De Anna

Le affermazioni del Ministro che tentano di connettere funzionalmente la “promozione dei talenti” nella formazione e nella scuola, con l’eguaglianza delle opportunità offerte ai soggetti in formazione e lo sviluppo economico territoriale (facciamo il “made in Italy”?), appaiono assai impegnative.
Ma soprattutto legate da una più che discutibile “funzionalità” soprattutto se intesa in automatico. Al contrario suscitano necessità di “analisi differenziata”.
Un impegno che non ha grande successo nella dinamica politica attuale.
Provo a offrire qualche spunto proprio sul piano della “analisi differenziata”

I talenti nella formazione

Promuovere le capacità, attitudini, abilità, impegni dei soggetti in fase di formazione ed istruzione non può che richiedere un approccio di “valorizzazione soggettiva”.
Fondato dunque sulla “diversità” dei soggetti stessi.

 La “diversità” come valore

L’impresa più difficile come sa chiunque si misuri (soprattutto ma non solo da docente professionista: vale anche per le famiglie) con l’azione e la ricerca formativa.
Il rapporto e l’uso degli strumenti innovativi.
Le scuole, gli insegnanti, le famiglie sono investiti oggi dalle sollecitazioni all’uso degli strumenti collegati alle nuove Tecnologie della Informazione e Comunicazione (le TIC), e alle applicazioni della AI.
L’argomentazione in proposito non può che essere assai complessa e stratificata

L’articolazione di tali argomenti è sviluppata in diversi punti.

Le scuole e i loro riferimenti e protagonisti essenziali (docenti, studenti, organizzazione) sono oggi coinvolti in modo a volte pressante ed essenziale dalle problematiche della Intelligenza Artificiale.
Basti pensare al ruolo che può giocare ChatGPT nella stessa stesura delle relazioni e dei “compiti” assegnati agli Alunni (relazioni, temi, composizioni, autovalutazioni, copiature)

  1. Gli “strumenti materiali” attraverso i quali si afferma tale ruolo sono di “detenzione personale” dei singoli.
    Attraverso gli Smartphone, i Tablet e più raramente i PC portatili, tali processi di coinvolgimento raggiungono il singolo, la sua partecipazione e sensibilità.
    Non possono ovviamente che sollecitare la sua responsabilità.
    Congiuntamente propongono una responsabilità collettiva/collegiale, agli altri protagonisti della scuola.

    Dai docenti (singoli e collegialmente coinvolti) alla stessa organizzazione (ambienti fisici e relazioni sviluppate nei diversi ambienti di apprendimento e formazione) si tratta di definire ruoli e responsabilità operative coerenti capaci di declinare l’intero impulso innovativo che proviene dall’esterno: dalla Ricerca alla dinamica dei Social Media.
  2. Occorre focalizzare la propria attenzione su ciò che costituisce “oggetto specifico” di tale ricerca educativa: “il soggetto in sviluppo e formazione”. O se si vuole “il percorso specifico e soggettivo (che ovviamente valorizza “la diversità”  verso l’adultità”).
  3. Si rimanda, in proposito, ad un interessante e fondamentale contributo della Commissione Europea destinato ad orientare le decisioni in proposito del Consiglio stesso.
    Se ne può trovare analisi dettagliata nel mio Sito personale.
  4. Di seguito riporto Il “libro Bianco Europeo” citato
    https://www.aspera-adastra.com/wp-content/uploads/libro-bianco.pdf
    e un mio commento e approfondimento
    https://www.aspera-adastra.com/wp-content/uploads/Il-digitale-nei-processi-di-apprendimento.pdf
  5. Si noti che tale “libro Bianco” è stato fatto proprio, con pieno e deliberato consenso da parte del Nostro CNEL.
    Ma si noti anche che di tale assunzione si tace e non ne sono state investite le scuole.
    Come vi fosse una “riserva di merito”.
  6. Richiamo, di tale analisi, un costrutto fondamentale per la “integrazione sensata” del Digitale nei processi di insegnamento ed apprendimento: il ruolo dei “realia”.
    Cioè dei dispositivi che ricostruiscono il rapporto antropologico “mano cervello” come fondamento essenziale e specifico dello sviluppo umano.
    Nell’uso “personale” della strumentazione Digitale, la mano non stringe, non plasma, le dita si limitano a sfiorare e strisciare su superfici lisce.
    Non c’è un martello, uno scalpello, una pasta di creta da plasmare.
    Dunque si rischia uno sviluppo limitato non solo della manualità, ma anche della creatività e della identità personale ad essa connessa. E dunque anche della affettività e delle relazioni con altri.
    Insomma: gli elementi essenziali della crescita e dello sviluppo soggettivo che spesso costituiscono e si inseguono nella scuola con “attività specifiche mirate”, piuttosto che con una “pedagogia integrata” 

    Ultima e più che complessa articolazione.

    Tali considerazioni devono essere articolate in ogni “ambiente di apprendimento”: dall’aula scolastica, alla casa/famiglia, al giardino della scuola, alla gita scolastica, All’associazionismo (sportivo e non).
    Ciò segnala una “debolezza organica del nostro sistema scolastico”.
    Si pensi che l’Istituzione e struttura degli Organi Collegiali cui è affidata la decisionalità collettiva sono stati costituiti nel 1974 e strutturalmente rimasti tali.
    Ma anche che la ristrutturazione degli assetti del Ministero (si pensi al rapporto con le competenze regionali) risale agli anni 2000, e soprattutto non ha sviluppato adeguatamente le articolazioni territoriali, se non in una primissima e isolata fase storica (Bassanini).Il nostro sistema di istruzione e formazione soffre di una debolezza intrinseca di “Governance”. (Uso il termine con il significato originario di “Governo Misto”)
    Quanto a dire alla capacità, suddivisa tra i diversi e competenti “decisori”, di stringere adeguati accordi operativi cui delegare le proprie decisionalità e soprattutto i vincoli, criteri e misure di qualità assunte in comune responsabilità delle decisioni condivise.

    Purtroppo, una “Questione Nazionale” che interroga direttamente un “Nodo Costituzionale” di fondo. E di non semplice scioglimento.

Verrebbe da sfidare il “Ministro dichiarante” a rielaborare una strategia per l’Istruzione e la Cultura capace di esplorare, se non di rispondere a tali stratificazioni.
Ma mi parrebbe una sfida crudele per gli assetti politici attuali.