Decreto legge su emergenza coronavirus
Mettiamo a disposizione dei nostri lettori il testo completo del decreto legge approvato dal Governo per far fronte alla emergenza coronavirus.
Mettiamo a disposizione dei nostri lettori il testo completo del decreto legge approvato dal Governo per far fronte alla emergenza coronavirus.
L’atto di indirizzo è il documento che definisce gli obiettivi che l’Amministrazione scolastica centrale dovrà conseguire nel corso dell’anno 2020.
Gli obiettivi discendono dalle priorità politiche che saranno di seguito elencate. Essi, pertanto, saranno inseriti nella programmazione strategica del Ministero dell’Istruzione, al fine di essere tradotti in atti amministrativi concreti ed efficaci, diretti a migliorare il servizio che l’Amministrazione centrale rende alla comunità educante e al Paese.
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di Antonio Valentino
Il Contratto integrativo del novembre scorso sembra considerare la formazione in servizio ancora solo come diritto, contrariamente a quando afferma la L. 107/2015; parecchi interventi, soprattutto in rete, del periodo prenatalizio, esprimevano disappunto e preoccupazione, trattandosi di attività diventata essenziale e fondamentale nella professione docente nella scuola dell’Autonomia e della nuova complessità.
Destinatari del messaggio implicito, soprattutto le Organizzazioni Sindacali confederali.
Anche se un po’ in ritardo (23 dicembre) è arrivata la risposta della CISL scuola che con un suo comunicato afferma tra l’altro: “È fuori discussione, … che dal Piano di formazione d’istituto, che obbligatoriamente deve essere inserito nel PTOF, discendano obblighi precisi e ineludibili per tutto il personale: tante è vero che il terzo comma dell’art. 2 …. assegna al Piano stesso anche il compito di precisare le caratteristiche delle attività e le modalità di attestazione”.
E nella conclusione si precisa: “…la formazione in servizio,anche dopo la sottoscrizione del Contratto integrativo, continua ad essere obbligatoria, permanente e strutturale come previsto dalla legge 107/2015”. Dalle altre organizzazioni sindacali non arrivano comunicati ufficiali di chiarimento.
Preso atto positivamente del chiarimento della CISL, è comunque piuttosto difficile non convenire che il testo del contratto, per come scritto, può sollevare dubbi e perplessità ne solleva.
Si ricorderà che
a. in nessun passaggio del Contratto si fa riferimento all’obbligo di formazione (neanche nelle Premesse);
b. l’articolo 2, comma 2, afferma anzi che “Nelle scuole il personale esercita il diritto alla formazione in servizio anche nella forma dell’aggiornamento individuale”.
Comunque, dando per acquisito che gli obblighi di formazione valgono per tutto il personale, sui termini dell’obbligatorietà, la partita non appare del tutto chiusa. Per cui può valere la pena riprenderli con qualche approfondimento.
Come è noto, un posto centrale sulla questione va attribuito al Piano annuale di formazione (PdF) per i docenti, del quale si afferma che,in ogni scuola:
In questi passaggi non sembrano però cogliersi indicazioni utili su come e, soprattutto, in quali spazi orari il diritto-dovere si esercita. Si può invece dedurre dall’art. 29 (comma 1), del CCNL 2007 che, trattandosi di attività funzionale all’insegnamento, essa vada esercitata durante l’orario di servizio. Ma lo stesso articolo (comma 3), quando va a declinare le attività – individuali e collegiali – per le quali si prevede il monte ore (fino a 40 h per ciascuna tipologia), non cita la formazione, perché ‘la formazione obbligatoria’ diventa tale solo nel 2015 con la L. 107.
Penso che il problema di fronte al quale ci troviamo nasca proprio da qui. Si sconta, se il ragionamento è corretto, la mancanza, nel recente Contratto integrativo, del necessario aggiornamento della norma sulla base del comma 142 della Legge citata. E cioè l’inserimento della formazione tra le attività funzionali e il conseguente potenziamento del monte ore (e il relativo riconoscimento per il nuovo impegno).
Tale aggiornamento l’avrebbe sottratta definitivamente alla situazione di incertezza in cui ha sempre navigato.
Il problema che abbiamo oggi davanti è dunque che mancano ancora – se non sfugge qualcosa – le condizioni dell’obbligatorietà.
D’altra parte, allo stato attuale, è ben difficile ipotizzare una sottrazione di ore ad attività funzionali previste (il riferimento qui è a quelle collegiali), del cit. art. 29, per riversarle sulla formazione: la qualità complessiva dell’offerta formativa delle scuole certamente ne risentirebbe e la proposta sarebbe vista come scandalosa, considerando la situazione preoccupante che la nostra a scuola si trova a vivere.
La via d’uscita? prevedere nel prossimo contratto, che si prospetta imminente, l’aggiornamento mancato nell’Integrativo di novembre, e il necessario potenziamento del monte ore.
È poi anche auspicabile che, accanto al potenziamento del monte ore, possa essere anche inserito un qualche criterio, ovviamente flessibile, volto a orientare le scelte delle scuole a livello nazionale[1]: visto che l’attività di cui si parla è elemento importante per il funzionamento di una Istituzione pubblica Nazionale come la Scuola; e considerato anche che l’Autonomia Scolastica, che si invoca anche in questo caso, non può scadere in un ‘fai da te’ che escluda indicazioni comuni.
La ‘diffusa sofferenza’ sulla obbligatorietà nella formazione
Riprendo, in chiusura di questo punto, una considerazione, che ho annotato in un dibattito recente sulla“diffusa sofferenza fra il personale circa l’obbligatorietà“, come spia di un questione più grande che ha a che fare con il problema della motivazione dei docenti nell’esercizio della loro funzione in questa fase. È una considerazione che condivido e che rafforzo richiamando, al riguardo, anche la diffusa perdita di senso della professione. Che si accompagna, a sua volta, alla perdita di ruolo nella società; e quindi alla difficoltà a viversi – gli insegnanti – come leva di una democrazia più consapevole e matura, perché più colta, più ‘eguale’ e più attrezzata per le sfide a cui è chiamata.
Questione, questa, più generale quindi, che rinvia, se ancora ci fosse bisogno di richiamarlo
Se non si fanno i conti con tali problemi di fondo, si corre il rischio – vale la pena ribadirlo – che la formazione obbligatoria difficilmente dia luogo ad uno sviluppo professione all’altezza e sviluppi responsabilità convinta rispetto alla gestione e ai risultati del fare scuola oggi.
Su ‘esigenze ed opzioni individuali’ e forme di auto-aggiornamento
Qualche considerazione infine sulleesigenze ed opzioni i personali e forme di aggiornamento individuale –sempre dell’art. 2 del Contratto integrativo -, poco richiamate nei commenti letti. Trattandosi di un punto che, a mio avviso, investe aspetti di sostanza che riguardano il tipo di scuola che si ha in mente.
Il richiamo insistito nel Contratto all’aggiornamento personale e alle opzioni individuali – se visti come eventualmente sostitutivi delle forme collegiali -sembramirare infatti a rassicurare soprattutto quella fetta di insegnanti che fadella visione individualistica e autoreferenziale del fare scuola il proprio credo professionale. Visione dietro la quale si può cogliere
a. disattenzione rispetto allo scambio di esperienze, che è meccanismo prezioso per la crescita professionale,
b. sottovalutazione della cooperazione tra persone anche se impegnate sullo stesso progetto curricolare ed educativo,
c. negazione dell’idea di scuola come insieme di comunità professionali e di pratiche, leve potenti per una scuola di qualità.
Per evitare fraintendimenti: l’autoaggiornamento personale e l’autoformazione individuale sono ovviamente cose buone e giuste ed è certamente importante che ciascuno le possa coltivare attraverso le cento occasioni che si offrono a livello di territorio o nazionale, sia da parte dell’amministrazione che dell’associazionismo professionale o di altre agenzie, e utilizzando il bonusdei 500 euro.
Ogni formazione – e su questo nessun dubbio – passa necessariamente attraverso momenti importanti e decisivi di rielaborazione e metabolizzazione individuale dei processi formativi, quali che siano i luoghi e i modi dei vari percorsi.
Quello che si vuol dire è che la formazione del personale in servizio, se non mette in primo piano la dimensione collegiale del lavoro docente e strategie comunicative e didattiche basate sulla cooperazione, difficilmente potrà far fronte ai problemi della scolarità di massa e della fase particolarmente complessa che viviamo.
Si deve però avere anche consapevolezza che quella della dimensione collegiale è partita lunga e impegnativa. Venendo la nostra scuola da una tradizione culturale e professionale in cui sentirsi comunità di intenti e pratiche formative non è mai stato ambizione diffusa.
NOTE
[1] Antonio Giacobbi in un intervento, di prossima pubblicazione, che ricostruisce tra l’altro i vari passaggi sulle attività funzionali, avanza in prima battuta l’ipotesi di “un unico monte ore (almeno 90/100 ore), col vincolo per il collegio docenti – al quale spetta il compito di distribuire le ore tra le varie attività – a definire anche un minimo di ore di formazione, non inferiore a 15/20….”.
Reginaldo Palermo, direttore storico di Pavone Risorse ora diventato Nuovo Pavone Risorse – Gessetti Colorati, mi chiede di intervenire sulla questione della formazione dei docenti alla luce del Contratto integrativo di metà novembre soprattutto in rapporto all’ottimo intervento di Antonio Valentino pubblicato su questo sito (Il nodo della formazione: obbligo o diritto? A proposito del recente Contratto Integrativo, 6 dicembre).
Mentre penso a cosa scrivere vado a rileggere l’intervento di Giancarlo Cerini (Le nuove responsabilità dal Collegio dei docenti nel piano di formazione dell’istituto, su La scuola 7 n° 162 del 2 dicembre 2019) ma, prima ancora di iniziare a scrivere, ecco comparire la pesantissima e pienamente condivisibile invettiva di Cinzia Mion prima su Faceboook e poi sempre su questo sito (Formazione docenti: lettera aperta ai sindacati della scuola, 9 dicembre).
Alla luce di quanto scritto da Valentino, Cerini e Mion mi pare che il problema sia stato pienamente analizzato e compreso: quanto scrivono mi trova concorde e quindi se rispondo positivamente alla richiesta di Reginaldo Palermo lo faccio anche perché ho un punto di vista che loro non hanno: dal 2015 dirigo il Polo della Formazione dei docenti neo assunti della Provincia di Udine (negli ultimi tre anni i tre ambiti della provincia sono stati gestiti grazie ad un accordo di rete da un’unica scuola, quella che dirigo), sono stato mentore di 9 colleghi dirigenti neo assunti, faccio parte del Nucleo di valutazione di dirigenti scolastici, dirigo l’Ambito 8 nel FVG (circa 240.000 euro in tre anni per la formazione), ho gestito la formazione degli Snodi territoriali PN (120.000 euro per circa 25 corsi), attualmente ho avviato corsi del Piano Nazionale Scuola Digitala su base provinciale per 20.000 euro, ho appena terminato la formazione provinciale per il CLIL e regionale su SNV sempre con fondi ministeriali. Prima che tutto questo nascesse per sette anni ho gestito la rete “Udine e non solo” che faceva formazione per istituti di tutti e due i cicli. Ho enumerato tutti queste esperienze perché, non avendo l’autorevolezza di Valentino, Cerini e Mion, intervengo forte di un’esperienza sviluppata dal basso.
Il Contratto integrativo rientra in una logica ferrea, nel complesso condivisa dal mondo della scuola, secondo cui vanno smantellati tutti i principi (attivi) della legge 107/2015 partendo dalle azioni che hanno prodotto. Gli Ambiti territoriali in alcuni casi hanno funzionato e in alcuni casi no, ma la questione non ha mai riguardato il loro funzionamento, ma proprio la loro origine. Molti dirigenti scolastici si sono sentiti “espropriati di autonomia” dagli Ambiti e preferiscono le piccole reti di scopo, attivate spesso per necessità o progettualità anche minime, o le reti imposte dagli Uffici periferici del Miur.
Inoltre ci sono state effettive difficoltà nell’organizzazione della formazione di ambito soprattutto per tre motivi:
– complessità nel trovare posizioni comuni dentro una logica progettuale nuova e con un’idea di formazione di area;
– “virulenza immotivata” da parte del MIur nel chiedere una rendicontazione entro il 31 ottobre diminuendo il tempo progettuale di ambito a pochi mesi e quindi non permettendo a molti di riuscire a terminare le attività formative;
– preferenza di docenti e sindacati per reti imposte dagli organi territoriali del Miur (vedi nomina dei supplenti annuali) e diffidenza per le reti di Ambito, apertamente pensate nella legge 107/2015 “contro” gli organi territoriali del Miur.
Ho visto per mia esperienza personale Ambiti territoriali organizzare una formazione vasta e di altissimo livello (cito esperienze lontane e veramente eccellenti sviluppate, ad esempio, nel Lazio dagli Ambiti 5 dirigente Alessandra Silvestri, 17 dirigente Annamaria Greco e 19 dirigente Orietta Palombo) e Ambiti che non hanno progettato nulla. Una cosa però certamente rimane: dopo l’esperienza degli ambiti pensare che le scuole possano progettare da sole un Piano di Formazione con 3-4.000 euro l’anno pare una cosa ben bizzarra.
La logica che sta alla base del contratto è però stringente: qualunque azione che valuti il personale in forma qualitativa è stata azzerata dalla contrattazione, indipendentemente dagli esiti, spesso affinché non producesse alcun esito.
Oltre ai “cavalli di battaglia” della legge 107 (trasferimento nell’Ambito per curricolo e non per anzianità nominata con raro autolesionismo “chiamata diretta” anche se di diretto aveva poco o niente; bonus premiante il merito che presto sparirà e che viene criticato anche dai dirigenti che spesso si lamentano della qualità dei propri docenti), che non sono più “cavalli” a battaglia conclusa e persa, esiste un sottile filo che lega l’idea di qualità con quella di valutazione e che è stata azzerata.
Parlo di tre elementi cardine del sistema pensato dalla legge 107/2015 e che non ci sono più:
– valutazione dei dirigenti scolastici (diventata da obbligatoria e con incidenza sull’indennità di risultato a facoltativa senza alcuna incidenza economica)
– formazione in servizio dei docenti immessi in ruolo di durata triennale azzerata dall’idea di concorsi riservati diffusi per sanare l’esperienza anche se fatta senza alcuna formazione
– periodo formativo dei dirigenti scolastici prima dell’immissione in ruolo: è vero che in questo caso l’emergenza reggenze imponeva un’immediata immissione in ruolo, ma perché quasi quattro mesi dopo i 2.000 neo dirigenti scolastici sono lasciati operare senza alcuna formazione con la licenza di auto-formarsi opinioni che purtroppo spesso saranno definitive sulla loro professione.
Quindi la logica di derubricare a diritto la formazione fa il paio con l’idea coerente di scuola che agisce per esperienza e non per formazione. L’esperienza senza ragionamento sull’esperienza è spesso foriera di cattivi comportamenti e di vizi inestirpabili, ma il mondo della scuola preferisce la “formazione sul campo” (qualunque cosa questo voglia dire) piuttosto che la formazione specifica e verificata dentro un’area più vasta (quella dell’Ambito).
Personalmente sono contrario alla formazione obbligatoria. Il Piano di Formazione del Liceo che dirigo ha approvato uno schema molto semplice in cui ogni attività formativa da inserire nel Piano doveva essere preceduta da una scheda che illustrasse quale parte di PTOF, RAV e PDM andasse a intercettare. Chi non intercettava nulla di tutto questo è stato autorizzato alla formazione, ma non a inserire questa formazione nel Piano organico dell’Istituto. Nessun obbligo e tutta la progettualità del Liceo spostata nell’Ambito. In tre anni i docenti hanno esercitato il loro diritto per 11.292 ore (4210 nell’a.s. 2016/17, 3222 nell’a.s 2017/18, 3760 nell’a.s. 2018/19) con una media di 34 ore annue per docente (102 nel triennio).
Poiché ci sono docenti che hanno fatto zero ore di formazione vuol dire che molti hanno superato le 200 ore. Ritengo molto positivo questo esito perché il sistema cresce e l’organizzazione migliora se c’è spinta e motivazioni e non obbligo. Però una media di 102 ore di formazione/triennio mi pare un risultato ottimo a seguito di una deregolamentazione controllata con ampie possibilità formative date dall’Ambito, dagli Snodi, dai Piani formativi proposti dal Miur.
Dentro una logica esperienziale l’anzianità vale più di tutto e questa è la cifra su cui si è firmato quel contratto. Molte scuole si organizzeranno in reti di scopo (che piacciono più di quelle di Ambito perché le si costituiscono con gli “amici” e non col territorio qualunque esso sia) e faranno formazione come si è imparato in questi anni, altre faranno micro-corsi obbligatori (con quelli delle ultime file costretti a stare lì ad ammazzare il tempo chattando e navigando e quindi migliorando comunque le proprie competenze digitali), alcuni non si occuperanno della questione.
Esiste una evidente tendenza dei dirigenti scolastici a stare in ufficio e a confrontarsi meno possibile (anche se i controlli biometrici della Ministra Bongiorno sono saltati) con l’idea che un dialogo di area faccia perdere tempo ed è meglio presidiare il proprio “orto”.
Credo che Cinzia Mion non se la dovrebbe prendere troppo coi sindacati e Valentino e Cerini avere qualche dubbio sulla reale capacità dei Collegi dei docenti di oggi di progettare come collegio (ormai la progettazione delle scuole sta altrove e in collegio si tende a votare o a esercitare un diritto di tribuna spesso difficile anche da verbalizzare).
A proposito del recente Contratto Integrativo.
di Antonio Valentino
Alcuni elementi del quadro generale
Gli aspetti che in prima battuta evidenzierei per introdurre l’argomento sono i seguenti:
[] La prima importante novità è che, con il Contratto Integrativo sottoscritto il 23 novembre u.s., la formazione ridiventa terreno di contrattazione tra le Parti che ne hanno titolo.
Si tratta di una intesa che riapre il dialogo tra il MIUR e rappresentanti dei lavoratori del settore su un tema vitale per il sistema scuola, che il governo Renzi, con la L. 107, ha inteso definire per via legislativa. Perciò va salutato positivamente.
[] Nel merito invece va richiamata la scelta centrale del contratto: la formazione del personale ritorna nelle scuole. Così il testo contrattuale: “La programmazione e la concreta gestione dell’attività di formazione in servizio avvengono a livello di singola istituzione scolastica e di reti di scuole” (art. 2, capoverso 1).
Si supera praticamente il modello organizzativo delle reti di ambito e delle scuole polo per la formazione, previsto con la L. 107/2015 e definito con il Piano Nazionale 2016-2019 (PNF); e scompare l’obbligo che ne era un punto centrale.
[] La motivazione di questa scelta può essere ricercata nella gestione del PNF[1] che ha fatto registrare diffusi malumori, confusione e sostanziale insoddisfazione negli esiti. Nella percezione dei più, quello che non ha funzionato è riassumibile nei seguenti punti:
1. il coordinamento e il sostegno – da parte della maggior parte delle Direzioni Scolastiche regionali –, risultato di scarso peso e poca rilevanza;
2. La difficoltà a individuare, reperire e retribuire adeguatamente formatori all’altezza. Anche il ruolo residuale riservato alle scuole – nell’organizzazione in proprio delle iniziative interne di formazione – è stato oggetto di critiche da parte di settori del mondo della scuola.
Va aggiunto a queste possibili spiegazioni la posizione di molti docenti che non hanno digerito l’obbligatorietà della partecipazione ai corsi. E non è quest’ultimo un rilievo secondario
[] Nel Contratto non si avvertono segni che rimandino ad una analisi dell’esperienza del triennio 2016-2019 2018, volta a capire soprattutto le ragioni per cui la motivazione degli insegnanti è rimasta, in molte realtà (non in tutte però), a livelli vicino allo zero; e così anche il coinvolgimento degli insegnanti. E forse questa è stata una omissione che ha pesato negativamente nella individuazione delle strategie negoziali.
Sul diritto alla formazione
Il punto su cui vorrei ora richiamare l’attenzione, perché tra i più problematici, è il nodo facoltatività / obbligatorietà della formazione, per come è possibile definirlo sulla base dell’art. 2 del Contratto.
Evidenzierei dell’articolo citato i seguenti aspetti:
a. che il diritto alla formazione non prevede obblighi per chi dovrebbe esercitarlo;
b. che tale diritto può essere esercitato anche nella forma dell’aggiornamento individuale, in coerenza col Piano di formazione (PdF) delle scuole (capoverso 2) e che, nella definizione dei PdF, vanno considerate anche esigenze ed opzioni individuali (capoverso 1);
c. che il PdF “può comprendere iniziative di autoformazione, di formazione tra pari, di ricerca ed innovazione didattica, di ricerca-azione, di attività laboratoriali, di gruppi di approfondimento e miglioramento, precisando le caratteristiche delle attività e le modalità di attestazione” (capoverso 3).
A parte la difficoltà che si avrebbe, primo, a costruire un PdF che preveda anche iniziative di formazione che corrispondano ad esigenze ed opzioni individuali e forme di aggiornamento individuale; secondo, a cogliere il senso e l’opportunità di queste indicazioni operative (ma comunque ci si può ragionare su), la questione che mi sembra principale è costituita dal recupero in toto della formazione solo e soltanto come diritto.
È qui il vero cambiamento di passo rispetto al triennio precedente[2]. La vera novità rispetto alla L. 107
La storia della formazione tra “obbligo e diritto” è, come è noto, lunga e complessa. È comunque prevalsa quasi sempre negli anni scorsi la facoltatività dell’impegno formativo.
Punto di svolta, come già richiamato, la L. 107/2015 (comma 124) che, per via legislativa ne introduce la obbligatorietà.
Da questi richiami, una prima domanda centrale: Che senso ha il diritto alla formazione senza il dovere professionale di esercitarlo effettivamente?
D’altra parte, parlare di dovere professionale non dovrebbe essere considerato con sospetto, visto che lo sviluppo e la manutenzione continua della propria professionalità non è proprio un optional per chi fa il mestiere dell’insegnante oggi.
Senza considerare anche il fatto che così diventa facoltativo l’esercizio effettivo di un diritto, per garantire il quale la comunità nazionale investe risorse finanziare – non elevatissime, ma comunque non irrilevanti -. È un po’ come, per un atleta, richiedere e ottenere gli attrezzi di cui ha bisogno e voler conservare la facoltà di non sentirsi obbligato a utilizzarli.
Non è proprio un bel pensare. O no?
Non basta comunque dire “obbligatorietà”. Le carte da giocare
Tre considerazioni finali e qualche idea.
1. È da ritenere che questo contratto piaccia alla maggioranza degli insegnanti e del personale tutto. Ma credo però che piacerebbe ancora di più al mondo della scuola, in vista del prossimo CCNL, un eventuale impegno – del ministero (e soggetti competenti, a partire dalle università e dalle Associazioni professionali e culturali) e dei sindacati – volto a ripensare globalmente la formazione, partendo in primo luogo dalle criticità dei modelli che finora hanno tenuto banco nelle pratiche delle nostre scuole. E poi anche dalle esperienze più interessanti e incisive maturate un po’ dovunque sul territorio nazionale e fuori di esso.
2. Se qualificare la formazione e ridarle appeal e senso sono le carte vincenti, si tratta in rimo luogo di liberarla dagli schemi organizzativi che l’hanno resa inappetibile, ma anche inutile e demotivante, sia collegarla contestualmente
– allo sviluppo, in primo luogo, di competenze che valgano a gestire le concrete difficoltà di fare scuola ogni giorno, in questa fase di grandi trasformazioni e difficili capovolgimenti; ma anche
– a misure concrete che sviluppino motivazione e interesse e valorizzino la cura delle professionalità.
Tra queste ultime, andrebbero previste – da quando se ne parla? – soprattutto quelle che favoriscano la connessione tra formazione e luoghi di lavoro (i CdC, I dipartimenti, i gruppi di progetto eccetera, opportunamente sostenuti e orientati, ove il caso, da personale esperto e qualificato) dove i problemi e le difficoltà si toccano con mano e interrogano le esperienze e la cultura del gruppo, e anche le competenze di ciascuno. In altri termini: i luoghi di lavoro collegiale pensati, strutturati e gestiti come ambienti anche di formazione-autoformazione.
Una diversa articolazione dei collegi[3] in Comunità di pratiche educative (rileggere Shon, e Sergiovanni[4] ) potrebbe essere una tappa importante in un progetto di costruzione di comunità professionali e quindi di comunità scolastiche all’altezza del loro compito.
3. Prima ancora però bisognerebbe motivare alla formazione in quanto strumento preliminare di qualificazione del fare scuola. Per esempio
a. scongelando l’impegno orario degli insegnanti e riorganizzandolo secondo nuovi parametri coerenti;
b. promuovendo politiche sindacali innovative che riconoscano e favoriscano questo impegno con opportuni riconoscimenti economici e valorizzandolo, attraverso opportuni crediti, ai fini della progressione di carriera[5].
Si potrebbe forse dire conclusivamente che la battaglia per una formazione partecipata e di qualità si vince non rivendicando diritti senza offrire contropartite, e forse neanche con una obbligatorietà che potrebbe avvilirsi in partecipazioni passive, senza crescita e allargamento di orizzonti;; ma con un progetto, non certo a costo zero (non si fanno nozze coi fichi secchi, come si dice), di cui si avverta il senso e la fattibilità.
NOTE
[1] A significare la diversità dei punti di vista sull’operazione in sé che si è voluta tentare con il PNF, v. Mariella Spinosi Formazione insegnanti, in “Repertorio – Dizionario normativo della scuola 2018”. Tecnodid che considera il PNF, “in sé e al di fuori di ogni giudizio”, “una svolta” nella storia della nostra scuola.
[2] Cfr. R. Rovetta, ‘Una prima “lettura” del nuovo Contratto sulla formazione in servizio – Scuola7del 25 novembre u.s..
[3] V. anche al riguardo, GC Cerini, Le nuove responsabilità del Collegio dei docenti nel piano di formazione di istituto – Scuola7 del 2 dicembre 2019.
[4] D. Shon, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari, 1993; T. Sergiovanni, Costruire comunità nelle scuole, LAS 2000. V. anche E. Wenger, Comunità di pratiche. Apprendimento, significato, identità, Cortina 2006-
[5] Non andrebbero comunque escluse anche misure penalizzanti, per esempio volte a bloccare La progressione stipendiale a chi si sottrae nel corso degli anni, a qualsiasi forma di cura della propria professionalità.
Lunedì 25 novembre inizia nell’aula della Camera l’esame del decreto scuola per la sua conversione in legge.
Nel documento allegato è disponibile il testo aggiornato del provvedimento messo a confronto con quello originario.
Nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre è stato pubblicato il decreto scuola approvato il 10 ottobre dal Consiglio dei Ministri.
Qui è disponibile il testo ufficiale.
Relazione illustrativa
Relazione tecnica