Verso la DdB, ovvero la Dittatura della Burocrazia

di Mario Maviglia
Dopo anni di intenso e sotterraneo lavoro, la burocrazia è riuscita a imporre il proprio potere nella vita pubblica e privata del nostro Paese, instaurando una sorta di dittatura, la Dittatura della Burocrazia (DdB) appunto. L’espressione non deve trarre in inganno: la DdB non presenta i caratteri brutali, violenti e repressivi delle classiche dittature che abbiamo conosciuto nel tempo. Anzi, alla DdB non interessano i corpi delle persone, il suo progetto è più ambizioso: mira a conquistare le anime dei cittadini in modo che ognuno, quasi spontaneamente, diventi egli stesso promotore e fautore di burocrazia.

Solo in questo modo la DdB può imporsi alla coscienza delle persone e delle istituzioni e può realizzare il suo obiettivo principale: avviluppare nelle sue rassicuranti ancorché soffocanti spire il modus vivendi di ogni cittadino.
Abbiamo detto che questo processo aborrisce il ricorso alla violenza e alla coartazione. Semmai, la strategia della DdB è equiparabile al cosiddetto fenomeno della “rana bollita” descritto da Bateson in Mente e natura.
Afferma Bateson: «E’ un fatto non banale che siamo quasi sempre inconsapevoli delle tendenze nelle variazioni del nostro stato. Esiste una leggenda quasi scientifica secondo la quale, se si riesce a tenere buona e ferma una rana in una pentola di acqua fredda e si aumenta lentissimamente e senza sbalzi la temperatura dell’acqua, in modo che nessun istante possa essere contrassegnato come quello in cui la rana dovrebbe saltar fuori, la rana non salterà mai fuori e finirà lessata».

Bateson si riferiva all’inquinamento che cresce a poco a poco senza che ce ne rendiamo conto, ma la metafora va bene anche all’azione della burocrazia che tende a imporre una mentalità burocratica in tutti noi corrompendo la mente e il modo di fare di ognuno.
Il vero successo della DdB è fare in modo che le istituzioni e gli stessi cittadini diventino “più realisti del re” in campo burocratico.
I segnali sono molto incoraggianti e già si possono apprezzare i primi risultati di questa importante conquista. Prendiamo il mondo della scuola e – a titolo esemplificativo – la procedura che viene seguita solitamente per affidare un incarico di formazione ad un esperto esterno (anche per poche ore). In alcune scuole questo iter amministrativo appare ben congegnato, strutturato e interessante, anche da un punto di vista psichiatrico.
Alla base di tutto c’è ovviamente un bando emanato dall’istituzione scolastica a cui l’interessato aderisce, di solito compilando una domanda (anche in forma on line) e allegando un CV.
Le scuole più avvedute chiedono al formatore di esplicitare i motivi che lo spingono ad aderire al bando e come intende svolgere le ore di formazione.
Va da sé che si sa già a chi sarà affidato l’incarico, ma il moloch della burocrazia vuole che le cose siano fatte a regola d’arte. Non dimentichiamo che il primo principio della termoburocrazia recita: “Prima si sceglie il candidato, dopo si elaborano criteri e procedura di scelta. L’importante è che le carte siano a posto.”
Per il perfezionamento dell’incarico la scuola richiede al formatore una serie di ulteriori documenti, come la scheda anagrafico-fiscale, l’autorizzazione al trattamento dati e altre dichiarazioni varie (di insussistenza, di incompatibilità, di incompetenza ecc., tutte accomunate dal prefisso negativo in-; altre dichiarazioni si riferiscono invece all’anticorruzione, all’antimafia, all’anticamera ecc., tutte accomunate dal prefisso anti-).
Inutile dire che per ogni singola dichiarazione il formatore dovrà riportare sempre ex novo le proprie generalità anagrafiche in quanto il sistema non prevede e non consente il travaso dei dati da un modello all’altro. E d’altro canto questo andrebbe contro il secondo principio della termoburocrazia che stabilisce: “I dati anagrafici vanno trascritti in originale in ogni singolo modulo non essendo possibile la trasmigrazione degli stessi da un modulo all’altro per ragioni di odine pubblico e per evitare forme di anchilosi delle mani”.
Per alcuni versi appare ancor più significativo il lavoro di “rifinitura” burocratica (leggasi: essere più realisti del re) messa in atto da alcuni Uffici Scolastici Regionali in occasione del conferimento di incarichi di reggenza ai dirigenti scolastici.
In questo caso, oltre alla canonica domanda di disponibilità a ricoprire l’incarico di reggenza, riportante i soliti dati anagrafici, il dirigente deve inoltre produrre: una dichiarazione in cui vengano esplicitati i motivi per cui chiede la reggenza; copia della carta di identità; copia della tessera sanitaria; attestazione ISEE; in che misura gli emolumenti derivanti dalla reggenza vanno a modificare il bilancio familiare; stato di famiglia.
Alcuni USR, più lungimiranti e più in linea con i dettami della DdB, richiedono anche l’impronta digitale da apporre sulla domanda e l’esito delle analisi medico-scientifiche con l’attestazione che tali impronte sono da ricondurre al soggetto in questione.
Molti dirigenti scolastici, per non trovarsi impreparati nella fornitura dei dati richiesti in questa e nelle altre innumerevoli occasioni di interazione con i vari settori della PA, hanno saggiamente provveduto a costruirsi un data base Access contenente migliaia di dati come quelli riportati sopra, ma anche altri che potrebbero un giorno o l’altro essere richiesti dalla DdB: numero di scarpe, gruppo sanguigno, QI, allergie alimentari ecc.
(Alcuni DS particolarmente volenterosi e “bolliti”, nel senso della rana, hanno inserito anche le “scappatelle” avute durante la vita matrimoniale, ma il dato è leggibile solo utilizzando un codice di accesso criptato. Non sia mai che il partner…).
Tutto bene, quindi? Ovviamente no. Anche le migliori dittature hanno le loro falle, e in effetti nel corso degli anni si sono levate varie critiche che denunciavano l’avviluppo fin troppo caldo e soffocante delle tante norme. E qualche Ministro, a dire il vero, ha fatto dei tentativi per limitare il problema.
Qui ricordiamo, in particolare, la Ministra della Ipersemplificazione Amministrativa, sen. Gaia Lex, che aveva predisposto ben 250 disegni di legge finalizzati a sfoltire la produzione normativa con l’eliminazione di almeno 180 leggi vetuste. Era un primo passo, ovviamente, anche perché il saldo tra nuove leggi e leggi da abrogare era comunque sbilanciato a favore delle nuove (ma la Ministra e il suo entourage questo aspetto non lo avevano considerato…).
In ogni caso la Ministra non poté completare quest’opera meritoria a causa di un insolito trauma mentale che la colpì mentre era intenta a districarsi tra un combinato disposto e un ad substantiam, conditi da un ex professo.
Solo l’intervento degli addetti alla prima sicurezza, effettuato dopo avere rigorosamente rispettato la procedura prevista dalle norme amministrative in materia, ha scongiurato il peggio. Nel tempo trascorso perché gli addetti alla prima sicurezza intervenissero, la Ministra ha fatto in tempo a ingoiare, in modo compulsivo e incomprensibile, metà dei disegni di legge su cui stava lavorando. Sono state necessarie due lavande gastriche per risolvere il problema.
Risultato: ricovero permanente in Corsia n. 6, di cechoviana memoria.

Sorte migliore non è toccata al suo successore, il Ministro per l’Iper-ipersemplificazione Amministrativa, on. Quinto Comma, che aveva continuato con alacrità il processo di riduzione delle norme, individuando ben 175.000 articoli di legge non più in vigore, sparsi nella sterminata produzione normativa italiana. La cerimonia ufficiale di eliminazione, anche fisica, di queste norme doveva svolgersi, alla presenza delle più Alte cariche dello Stato, presso i giardini del Quirinale, e prevedeva l’accensione di un grande falò purificatore, che avrebbe distrutto le norme vetuste.
Purtroppo, anche grazie a un improvviso venticello, le fiamme hanno lambito le mani dell’on. Ministro, pronte a lanciare sul falò copia cartacea delle vecchie leggi. Davanti agli occhi esterrefatti degli astanti, le fiamme hanno repentinamente avvolto il corpo del Ministro riducendolo letteralmente in cenere. Particolare inquietante: l’unico documento che non è stato distrutto dal fuoco catartico è stato l’articolo di una piccola legge del lontano passato recante norme su come prevenire la diffusione delle fiamme in caso di falò. Va detto però che la drammatica scomparsa del Ministro non è stata del tutto inutile ai fini della semplificazione amministrativa: l’onorevole stava infatti lavorando ad un progetto molto complesso che avrebbe portato alla riduzione di ben 2580 atti amministrativi, ma la cui abrogazione richiedeva 3000 nuove leggi.
Un guadagno insomma c’è stato.

Dopo questi episodi, la DdB aveva fatto condurre una rigorosa indagine scientifica per trovare le ragioni psico-culturali del bisogno impellente, primordiale, ancestrale e naturale del popolo italiano a nutrirsi di burocrazia. In effetti la ricerca, durata ben tre anni, ha portato alla scoperta di un gene, tipico della popolazione italica, battezzato art.20co5-bis, responsabile della produzione compulsiva di norme, regole, atti e direttive da parte degli italiani.
A quel punto anche le ultime voci dissidenti sono rientrate mestamente nel silenzio. E le spire della burocrazia avvolsero dolcemente le contrade d’Italia in un abbraccio da togliere il fiato.




Green pass e vaccini. Tutto quello che c’è da sapere

Sulle possibili posizioni del personale scolastico rispetto all’obbligo di possesso della certificazione verde Covid-19 proponiamo un’ampia scheda realizzata da Emanuele Contu, dirigente scolastico all’istituto superiore Puecher-Olivetti di Rho.




Figure di sistema e questione organizzativa. Farci i conti

di Antonio Valentino

Perché parlare delle “figure di sistema” [1]

C’è un problema oggi – tra i tanti del nostro sistema scolastico – di cui spesso si parla, ma che si fa difficoltà ad aggredire: la demotivazione di larga parte dei docenti, che spesso non li fa sentire dentro il ‘progetto culturale ed ‘educativo’ delle proprie scuole; e li spinge verso una visione vicina a quella impiegatizia del proprio lavoro.

Sono considerati sostanzialmente come optional attività come: coltivare competenze e ed esercitare responsabilità (nel senso di aggiornare e sviluppare capacità professionali e di dar conto dei processi che si mettono in atto e dei risultati in rapporto a quello che si progetta); o vivere positivamente la dimensione collegiale del proprio lavoro.

Per capire meglio il problema dall’interno, è opportuno allargarne il quadro di riferimento alla più larga e impegnativa questione organizzativa delle nostre scuole che, su questo aspetto specifico, si lega al tema – anch’esso ancora problematico – dell’Autonomia scolastica.

Da richiamare per quest’ultima che la legge istitutiva (L. 59/1997, art 21), non a caso, in vista dei processi impegnativi da essa richiesti, ha previsto l’introduzione di ‘nuove figure” (comma 16).
Sarà il CCNL scuola di due anni dopo a introdurre in ordinamento e a regolare contrattualmente le figure dei collaboratori del DS e quelle per le ‘funzioni obiettivo’ , trasformate in funzioni strumentali con il CCNL del quadriennio 2002-2005. Ma – va sottolineato – questo passaggio, se ha apportato semplificazioni positive nelle procedure di adozione, ha indebolito queste figure sul terreno delle responsabilità e della formazione: requisiti previsti per esse nel precedente contratto[2].

Da allora, come è noto, la questione delle ‘nuove figure’ non è stata più ripresa nelle contrattazioni governi / sindacati, nonostante i livelli di complessità del sistema scuola continuassero a crescere, e il tema della responsabilizzazione dei docenti e della loro valorizzazione sul fronte didattico-organizzativo diventasse più stringente.
Tuttavia il dibattitto sulle tematiche connesse a tale questione ha continuato comunque ad attraversare, anche se   a intermittenza, il mondo della scuola e della ricerca universitaria, e soprattutto delle associazioni professionali dei DS.

  1. La questione organizzativa tra Figure Intermedie e valorizzazione delle risorse professionali

Il dibattito sulle figure intermedie (Middle Management).  

Ha insistito su di essa, così da farne un suo cavallo di battaglia, l’Associazione Nazionale Presidi (ANP), ma con motivazioni e proposte considerate sbagliate soprattutto dal sindacalismo confederale.
Recentemente (inizi gennaio 2021), come è noto, è intervenuta sul tema, nel suo ultimo atto di indirizzo, l’allora ministra Azzolina, con una proposta che trae spunti evidenti dall’elaborazione dell’ANP.

Di essa è utile richiamare (v. box 1) i tratti essenziali anche per cogliere le distanze rispetto a posizioni di tutt’altro segno che, sotto la stessa denominazione, si sono sviluppate sull’argomento in questi anni (v box 2). Posizioni che qui si si assumono e si sviluppano in ragione dell’idea di scuola e del tipo di relazioni tra docenti e DS, che si ritengono più promettenti per un buon funzionamento delle istituzioni scolastiche.

Box 1. Il Middle Management: la proposta dell’ex Ministra Azzolina

L’ex Ministra colloca il Middle Management dentro il discorso più generale della “valorizzazione del personale”, da prevedere – nelle sue aspettative – nel prossimo Contratto collettivo nazionale di Lavoro. Ipotizza allo scopo due percorsi di carriera per gli insegnanti:

  • Il primo rivolto alla funzione docente in senso stretto, per la quale prevedere “un vero e proprio percorso di carriera professionale che connoti il ruolo, (…), su base meritocratica”.
  • Un secondo – prefigurato dentro la proposta sul Middle Management – basato sul conferimento di incarichi fiduciari da parte del dirigente scolastico.

Su questo specifico aspetto – che è quello che qui più interessa – tre sono i punti che mi sembra caratterizzano la proposta dell’ex ministra:

  • la previsione di una apposita area da inserire tra gli insegnanti e il DS: quella dei ‘collaboratori’, per i quali soltanto si prefigura un ruolo a parte;
  • l’accesso a tale area è riservata ai docenti capaci, per esperienza, professionalità e vocazione;
  • il compito previsto è gestire attività complesse di competenza del DS, sulla base di una delega formale da parte dello stesso, che rinvia a una posizione organizzativa di dipendenza dal DS dei docenti collaboratori

Finalità dell’operazione proposta è anche quella di permettere a questi docenti di sviluppare “nuove e più compiute professionalità che possano successivamente concorrere al ruolo della dirigenza scolastica con un bagaglio di esperienza organizzativa e di sensibilità amministrativa maturato in tale nuova area professionale”.

Box 2. L’ ipotesi alternativa in campo[3].

Questi gli aspetti caratterizzanti e le differenze rispetto alla proposta dell’ex ministra:

  • Le funzioni intermedie vanno ben oltre quella di ‘collaboratore’ del DS. I livelli di complessità crescente delle nostre scuole richiedono una pluralità di figure, oltre a quelle di collaboratore o per le funzioni strumentali già previste dal nostro ordinamento. Per tutte va prevista una chiara e solida configurazione giuridica e contrattuale – e riconoscimenti conseguenti -;
  • Funzioni specifiche da riconoscere giuridicamente e contrattualmente sono quelle che contribuiscono al funzionamento didattico e organizzativo delle scuole e al miglioramento della loro qualità. Sono quindi, in primo luogo, quelle di coordinamento (dei vari organismi in cui si articola il Collegio), di progettazione e sostegno all’autonomia e di presidio dei diversi luoghi e spazi dell’Istituto scolastico…;
  • Per il loro esercizio vanno richieste competenze organizzative e relazionali, ma anche professionali (progettuali, valutative, tecniche-tecnologiche …). Sono chiamate a coprirle i docenti che acquisiscono le diverse competenze, sia con la formazione tradizionale, sia soprattutto sul campo, con la pratica quotidiana di insegnamento;
  • Tali figure non operano sulla base di deleghe da parte del DS, ma esercitano funzioni per conto del Collegio Docente;
  • Gli incarichi sono a tempo determinato, ma rinnovabili. Si tratta comunque di incarichi duraturi, per i quali è orientamento diffuso è che la durata minima sia triennale (allineata con i tempi dei documenti strategici delle scuole, a partire dal POFT).

Le perplessità dei Sindacati. Le ragioni e le voci contrarie

Va richiamato a questo punto che le Organizzazioni sindacali, soprattutto confederali, non hanno mai visto di buon occhio il riconoscimento giuridico delle figure ‘intermedie’. Unica eccezione, come si è visto, la sottoscrizione del Contratto del ’99, in cui si definiscono, come si è visto, le nuove figure per le Funzioni obiettivo e per i Collaboratori del DS.
Dichiarazioni anche recenti – e comuni ai dirigenti sindacali più accreditati – mettono soprattutto l’accento sul fatto che le articolazioni della funzione docente previste per queste figure configurerebbero una scuola tipo verticistico e autoritario.
La motivazione di fondo è comunque che il riconoscimento di articolazioni del ruolo docente (con quello che può comportare sotto il profilo della differenziazione retributiva e degli sviluppi di carriera) risulterebbero divisive dentro la categoria e non farebbero certamente bene al clima interno delle scuole.
Voci critiche al riguardo sono però emerse anche dentro aree culturali che pure si riconoscono nei valori delle OOSS confederali. Annota ad esempio Franco De Anna, per citare una figura autorevole di quest’area, che l’unificazione della funzione docente, che pure “ha prodotto risultati contrattuali apprezzabili (…)”, ha mostrato nel corso dei suoi 50 anni “tanti difetti realizzativi e (…) scarsissime ricadute sui meccanismi di selezione e reclutamento ….”. E non ha permesso – aggiunge – di “promuovere e consolidare le articolazioni funzionali [del ruolo docente] in rapporto all’organizzazione”; articolazioni funzionali (cioè le figure soprattutto di coordinamento e di presidio) che “oggi hanno una definizione transitoria e contrattualmente non significativa” che intralcia “una possibile traccia di sviluppo professionale per il personale della scuola” [4].

Comunque le preoccupazioni delle OOSS – che riflettono quelle di molti insegnanti (ricordiamo il dibattito acceso – e talora anche i conflitti interni alle scuole sulla questione della premialità introdotta dalla L. 107 (che ha punti evidenti di intreccio con quello delle funzioni aggiuntive) – non possono essere sottovalutate o addirittura ignorate, come dà l’impressione di fare l’ANP.

Sono in ballo questioni importanti, legate a. al modello organizzativo e alla governance interna alle scuole e al ruolo (e quindi ai livelli ci responsabilità e di competenza) che è opportuno prevedere per i docenti); b. alla necessaria rimodulazione   del profilo del DS, oggi schiacciato su una agenda che ben evidenzia il suo progressivo allontanamento dalle funzioni prioritarie che gli sono proprie (v. art. 25 del D.Lvo 165/2001).
Su di esse è pertanto utile qualche approfondimento per mettere meglio a fuoco il tema centrale.

  1. Valorizzazione delle figure di sistema e rimodulazione del ruolo ds. Ragioni e condizioni

Su modello organizzativo e forma di Leadership.  

A proposito del modello organizzativo, non da oggi si conviene da più parti che quello reticolare è certamente il più promettente. E questo perchè più di altri facilita la comunicazione interna, e con essa la cooperazione e il confronto tra i soggetti coinvolti.
Il nostro sistema solo sporadicamente ha sperimentato tale modello – che implica coordinamento tra le sue articolazioni (consigli, dipartimenti, gruppi di progetto…) e relazioni professionali strutturali e coese; oltre che una organizzazione interna a sostegno. Però, a ben vedere, il nostro sistema prevede organismi collegiali che potrebbero ben diventare nuclei portanti di una rete interna, se funzionasse effettivamente come rete. Il riferimento è ai Consigli di classe e ai dipartimenti disciplinari, ma anche ad altri organi che, per quanto non previsti formalmente dal nostro ordinamento, sono di fatto operativi, come ognuno sa, nella maggior parte delle nostre scuole (gruppi di progetto, commissioni di lavoro…).

Occorre tuttavia mettere nel conto che trasformare le diverse articolazioni del nostro sistema in unità operative che si vivano come comunità di pratica, per usare la formula di Wenger [5] – come luogo cioè di riflessione sul proprio lavoro, di confronto, di proposte e di ricerca, partendo dalle difficoltà e dai problemi concreti del fare scuola – richiede figure preparate e motivate, che abbiano cultura organizzativa e si sentano dentro al progetto della loro scuola.

È In questa prospettiva che diventa condizione importante il riconoscimento giuridico e contrattuale delle diverse figure intermedie: dargli infatti valore e appeal porta a favorire – tra gli insegnanti con attitudini e preparazione riconosciute tra i pari – disponibilità a impegnarsi anche su compiti e funzioni qualificanti e necessarie per la scuola come organizzazione. Senza queste disponibilità – che per altro sono sempre più rare proprio per la mancanza delle condizioni di cui sopra – è difficile prevedere il rinnovamento auspicato. (Anche se rimane ancora aperto il problema il problema di conciliare il lavoro di insegnante con le funzioni di ‘figura’).

Ma parlare di un modello organizzativo per la didattica coerente con i ragionamenti precedenti significa anche misurarsi – e qui lo si fa prendendo a riferimento le elaborazioni di Angelo Paletta – con una idea di Leadership: a. “condivisa con gli insegnanti e distribuita nei punti nevralgici del fare scuola (…)[6]”, b.  che guardi alle figure intermedie come alle risorse su cui strutturarsi; c. la cui “fonte” – punto fondamentale – “non promana unilateralmente dal dirigente scolastico”[7].

Ovviamente, Leadership per (in funzione del) l’apprendimento.  Essendo l’apprendimento, nei suoi molteplici ‘oggetti’ e nei suoi diversi livelli, la ragione sociale del fare scuola.

Anche alla luce di questa idea di Leadership, non può essere considerata un optional  la costituzione di un’èquipe di direzione (avvicinabile allo staff del DS allargato ai collaboratori, ai coordinatori delle diverse Unità operative – i diversi nuclei della rete –, alle ‘funzioni strumentali’ ), che si viva anch’essa però come comunità di pratica, con un ruolo prevalente di osservatorio e cabina di regia.

Sul DS: compiti e funzioni di cui riappropriarsi.

Ma una partita come questa, che vuole sollecitare e mettere al centro il protagonismo degli insegnanti, richiede anche, se non soprattutto, una rimodulazione del ruolo DS, in grado di dare chance più elevate alla  prospettiva di una Leadership distribuita che sia anche stabile e coesa.
Rimodulazione che richiede una condizione preliminare: liberare il lavoro del DS dalle varie e pesanti distorsioni che su di esso gravano, sottraendogli tempo e energie, per permettergli di concentrarsi su funzioni e compiti coerenti con ciò che dovrebbe più contare nella sua ‘missione’.
E tra questi, sono particolarmente importanti quelli che poggiano sulla consapevolezza – che è anche convinzione diffusa – secondo la quale “la scuola la fanno essenzialmente gli insegnanti, nel bene e nel male”, e che quindi sono gli insegnanti la risorsa da sviluppare e valorizzare, ‘curare’.

Diventa allora fondamentale, alla luce di questa consapevolezza, tendere a costruire un modello di scuola in cui le prerogative del ruolo DS siano quelle di dirigente di una organizzazione di docenti professionisti, responsabili e competenti per le funzioni del loro profilo (Giuseppe Bagni)[8]. E che pertanto, rispetto a tale funzione, il principio che vale è quello di reciprocità e in nessun caso di subalternità o sottomissione.
Principio che comporta relazioni in cui le ragioni del verificare e del controllare (che sono dentro al ruolo DS di responsabile del servizio scuola) si bilancino con quelle dell’attenzione continua e fondamentale allo sviluppo professionale dei suoi insegnanti. 

Sulla scorta di queste argomentazioni, rimodulerei così, anche sulla base delle suggestioni presenti nell’articolo di Bagni, citato in nota, compiti e funzioni riguardanti la valorizzazione della risorsa insegnanti e il loro coordinamento:

Uno, sostenere come impegno prioritario la dimensione collegiale del lavoro scolastico (il funzionamento delle articolazioni funzionali del CD) e il collegamento di tale dimensione con le attività individuali dei docenti. Che significa, tra l’altro: preoccuparsi di organizzare ambienti funzionali, curati, ospitali; e farsi carico dei bisogni professionali che esprimono gli insegnanti come singoli e come gruppi; ma anche garantire condizioni volte a dare forza e tono alla terza gamba dell’autonomia scolastica: quella della “ricerca, sperimentazione e sviluppo”, generalmente trascurata.

Due, favorire l’interazione continua delle figure con i colleghi del gruppo e ‘l’adattamento reciproco sul campo’, che sono modalità specifiche della funzione di coordinamento; che esclude, per sua stessa natura, qualsivoglia gerarchizzazione dei ruoli.

Tre, “valorizzare le competenze degli insegnanti nel costruire e governare il progetto / processo di insegnamento /apprendimento”. Che concretamente significa: essere attenti a scoprire/far emergere e sviluppare – anche attraverso percorsi formativi – attitudini e competenze del personale, e valorizzarle in modo mirato.

[1] Si è utilizzata questa denominazione (anche se non del tutto appropriata) perché la più comune nel mondo della scuola. Si utilizza anche, e sempre più frequentemente, “Figure di sostegno all’autonomia”. Un’altra denominazione che si incontrerà nel testo è quella di ‘articolazioni funzionali’. Particolarmente diffusa è anche Middle Management.

[2] Sull’ esperienza delle figure per le ‘funzioni obiettivo, richiamo un saggio del 2002 del compianto Giancarlo Cerini, Funzioni obiettivo: una storia “dentro” l’autonomia, https://www.edscuola.it/archivio/riformeonline/fo2002.htmln, che si legge ancora con interesse per l’efficacia delle linee di ragionamento interessanti anche per le considerazioni che qui si svolgono.

[3] Qui si farà riferimento soprattutto agli studi e alle elaborazioni di Angelo Paletta (Dirigenza scolastica e middle management. Distribuire la leadership per migliorare l’efficacia della scuola, Bononia University Press, 2020). Cfr anche Ivana Summa, Middle Management e Comunità Professionale in Rivista dell’istruzione 1/20211, Maggioni editore.

[4] Franco De Anna, Visto da fuori. Note e pensieri sul contratto della scuola, febbraio 2018, in https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.aspera-adastra.com.

[5] Sulle Comunità di pratica, si rinvia a E. Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità, Raffaello Cortina 2006 e a T. Sergiovanni, Costruire comunità nelle scuole, LAS 2000

[6] Punti nevralgici sono ovviamente le articolazioni del Collegio Docenti.

[7] V. Angelo Paletta, Dirigenza scolastica e middle management. Distribuire la leadership per migliorare l’efficacia della scuola, cit.

[8] V. Giuseppe Bagni, Professionalità docente e organizzazione del lavoro in “Idee per la formazione degli insegnanti”, a cura di Massimo Baldacci, Elisabetta Nigris, Maria Grazia Riva) – Franco Angeli Editore. In questo saggio Bagni richiama con accenti preoccupati il fenomeno della deresponsabilizzazione (che è cosa altra rispetto a ‘non responsabilità) della classe insegnanti), che ha offerto spunti per questo contributo.




L’idea di Brunetta sui concorsi, ovvero come affossare del tutto la scuola pubblica

di Cinzia Mion

Si sta discettando in giro della cosiddetta proposta Brunetta intorno ai concorsi pubblici.
Pare che questo “pateracchio”, definito proposta, abbia la funzione di “sbloccare” i concorsi già a bando, e non completati, insediando competenti commissioni esterne…
Beh se è vero quello che riporta la stampa “Dio ce ne scampi e liberi”.
Io faccio riferimento qui ai concorsi della scuola.

Per quel che è dato sapere sembra che il progetto di avviare una sanatoria più o meno camuffata (qualcuno nega che lo sia ma non c’è da fidarsi) stia per essere portato a termine.
Si sa che non si può sputare su un buon numero di voti “leghisti” o su un altrettanto buon numero di tessere….Oddio, mi è scappato….Ma si sa “che a pensar male…” diceva qualcuno che se ne intendeva!
E’ il medesimo sistema di quello inaugurato (quanti anni fa?) dal Ministro Malfatti come sanatoria per i precari. Ed insieme a questo vulnus, destinato purtroppo a ripetersi, a quel tempo è stato anche varato un patto “implicito”, scellerato: “ti chiedo poco e ti do poco”!
Da quel momento la professione dell’insegnante è diventata poco appetibile per il genere maschile con conseguente progressiva femminilizzazione del ruolo docente e relativa mancanza di positivi modelli identitari maschili per bambini e adolescenti..
Oggi la sanatoria cui facevo riferimento possiamo benissimo chiamarla CONDONO.
Vi richiama alla mente qualcosa? Soltanto molto più grave e discutibile perché consumato alle spese della Scuola.

Il PRIVILEGIO per i docenti precari diventa perciò DANNO per la scuola e di riflesso per i ragazzi.
Caro Ministro dell’Istruzione BIANCHI, spero che Lei non si faccia mettere nel sacco! Alcuni amici emiliani, molto noti nell’ambiente scolastico, che La conoscono bene, garantiscono per Lei. Spero abbiano ragione.
Presidente del Consiglio DRAGHI, stia attento perché anche questo significa SALTARE LA FILA!!!

Il deficit di ETICA PUBBLICA nel nostro Paese ha raggiunto livelli insopportabili ma qui non si tratta dei furbetti delle tasse, o del quartierino, o del tornacontismo del familismo amorale, in altri termini del “profitto pecuniario”.
Qui si tratta del polmone culturale del Paese: la SCUOLA.
Di una scuola che dovrebbe essere INCLUSIVA ! e per una scuola inclusiva le competenze professionali, culturali, metodologico-didattiche dei docenti dovrebbero essere innovative, aggiornatissime, approfondite, molto più di quelle di una scuola elitaria….A meno che non si parli con la lingua biforcuta: si affermi una cosa e se ne pratichi un’altra…!

Facciamo finta di non vedere che la scuola è diventata (rimasta?) una SCUOLA DI CLASSE? O peggio : rischia di non essere più scuola?
Qui si tratta del progetto di picconare ancora una volta la scuola pubblica, l’unica Istituzione cui possiamo ancora rivolgerci per invocare il rispetto della Costituzione e nella fattispecie del suo splendido articolo “3”.
Qui si tratta di salvare il salvabile dopo che questa povera scuola l’abbiamo dilapidata, trascurata, vilipesa, depotenziata.
La povertà educativa sta crescendo in modo esponenziale e noi ci prendiamo il lusso di mettere in ruolo ope legis (o giù di lì) personale di cui non sentiamo il bisogno di accertare la preparazione? . “Todos Caballeros” (dicevamo un tempo…)
Siamo allo stesso punto? Ma l’esperienza non insegna niente?
La SCUOLA oggi ha bisogno delle migliori risorse del Paese, ha bisogno di docenti eccellenti, selezionati, che stiano scegliendo questa professione e su questa siano disponibili ad investire energie intellettuali, studio , ricerca, che avvertano costantemente la “curiosità epistemica “ che li spinga verso la PADRONANZA del Sapere, non che si accontentino della “PRESTAZIONE” minima e che una volta raggiunto la“sistemazione” magari non prendano più in mano un libro per aggiornarsi…e che magari siano ben contenti che la formazione dei docenti in Italia non sia ancora obbligatoria!!!
O che si sentano finalmente accomodati e l’unica preoccupazione sia quella di raggiungere la sede sotto casa, altrimenti si sentono “deportati”.
Scusate, precari e precarie di Italia, se invece siete tra quelli preparati (e so benissimo che ce ne sono moltissimi anche tra quelli che conosco e stimo!), allora che timore avete di una prova concorsuale? Io al posto vostro la pretenderei!!!
E i concorsi ordinari?
Come si stanno declassando? Che destino avranno i giovani che stanno aspettando questo concorso da tempo per cui si stanno preparando? Stiamo ammannendo loro una pseudo-prova che li sta già penalizzando. Senza pudore alcuno stiamo inventando un “falso” concorso solo su titoli (di servizio ed accademici) per cui ancora una volta potranno essere premiati gli eventuali “furbetti”. Non solo quelli più attempati (e passi) ma anche quelli che nel frattempo hanno accumulato titoli (che titoli?)
L’anno scorso a Treviso sono stati “licenziati” parecchi collaboratori scolastici con “titoli falsi”…
Ma perché non vogliamo vederli in faccia questi giovani docenti, saggiare la loro eventuale passione, la loro predisposizione all’insegnamento ( e non dite che non si capisce!!!), la loro preparazione seria o pressappochista; perché non vogliamo sottoporli ad una prova di didattica per saggiare la loro competenza?

Perché non approfittiamo del nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nella parte, che riguarda la scuola e l’investimento nel programma di DIGITALIZZAZIONE, comprese le competenze di docenti e studenti, per svecchiare autenticamente la scuola? Tenendo però presente che la didattica deve essere innovata profondamente a prescindere dalla digitalizzazione . Se la lezione è trasmissiva tale rimane anche se offerta con la DAD!
La scuola FORSE non merita questa ATTENZIONE?

E un pensiero anche al Ministro Brunetta: pensi pure agli amministrativi ma la Scuola la lasci a chi la conosce, la pratica, la ama. All’interno del paradigma culturale della Complessità proporre delle SCORCIATOIE semplificatorie significa essere fuori dal tempo o fuori dalla Cultura.
Io non ci sto e grido tutto il mio sdegno.
Mi rivolgo alle ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI che hanno ancora a cuore il destino di questa Istituzione, mi rivolgo a tutti i docenti e le docenti (che sono moltissimi) che credono ancora in ciò che ogni giorno stanno portando avanti con fatica e passione, e li sollecito a sollevare le loro voci, farsi sentire, prima che questo sfacelo venga portato a termine.




Patti territoriali per la formazione: la cassetta degli attrezzi

Stefaneldi Raffaele Iosa e Massimo Nutini

 Indicazioni metodologiche, operative e amministrative sull’ampliamento dell’offerta formativa, sulla progettazione, la coprogettazione e la gestione, per la prossima estate educativa.

1. La progettazione della scuola per il ristoro educativo

1.1. Progettare in libertà

Lo sanno bene gli insegnanti saggi: un progetto educativo segue sempre un’idea e un fine. C’è la scuola, il mondo attorno, uno spazio, un tempo… e dentro ci sono loro: le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi.
Un progetto educativo mette in gioco tutto e tutti, non si rivolge a un pezzetto. Ecco perché i modelli predeterminati, i moduli prestabiliti o i progetti acquistati chiavi in mano ci stanno sempre stretti.
La schematizzazione non si adatta all’educazione. La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina (Chuang-tzu in Zhuang-zi). Ecco perché l’insegnamento ha il dovere deontologico di essere libero (al pari dell’arte e della scienza).
Per la prossima estate e per il rientro a scuola a settembre progettiamo dunque in libertà e rifiutiamoci di progettare su carta millimetrata. 

1.2. Rientro alla vita della scuola e del sé

Tocca prima di tutti agli insegnanti il dovere professionale di svolgere una seria riflessione pedagogica, sociale, curricolare, esistenziale sulla condizione dei loro bambini e ragazzi dopo 18 mesi del tutto eccezionali, inediti e drammatici.

Tocca loro ri-pensarli dopo un periodo che li ha resi altri dal passato e ideare, desiderare, costruire una matassa di idee che sappia produrre un tessuto di azioni positive per un “rientro alla vita della scuola e del sé”, capace di ristorare le ferite educative del periodo Covid ed anzi, il più possibile trar frutto da un’esperienza complicata sia per i giovani che per gli adulti per migliorare la qualità dell’istruzione.

Dunque è dentro questa matassa composta da tanti fili da tirare uno ad uno che si può trarre una trama per svolgere attività didattiche ed educative a partire dalla vicinissima estate. Non un tassello casuale chiuso in sé, fatto tanto per fare, né un risarcimento emotivo, ma qualcosa di più profondo e utile.

La prossima estate potrà avere una scuola attiva come mai accaduto in passato. Attiva e non solo aperta, perché non sarà tanto l’uso fisico delle aule per imitare la solita scuola a darne il senso e il valore, ma l’attivazione di esperienze in ogni luogo possibile dove sia utile fare comunità, apprendimento in situazione, esperienza di vita e di relazioni. Recuperare cioè la vita e ridarle slancio come la giovinezza chiede naturalmente.
Ovviamente ogni scuola avrà una sua lettura specifica della condizione degli allievi. Ben diversa sarà la riflessione sulla condizione tra i bambini di un istituto comprensivo periferico e quella di un istituto tecnico di città. Ma vorremmo tutte legate da un’idea e un fine che risponda ai bisogni effettivi e diversi con risposte originali e proprie di ogni realtà. 

1.3. Puntare alla qualità

Per il collegio dei docenti e per il consiglio d’istituto, va bene (deve andar bene!), all’inizio, un progetto di massima, che sappia individuare e selezionare le idee più importanti e i fini primari da realizzare attraverso una diversa estate.
Per la scuola un progetto iniziale che già intraveda anche cosa potrebbe essere l’anno scolastico prossimo nella loro comunità educante, di cui l’estate in arrivo è il primo tassello.
Il progetto educativo non può essere stabile come un progetto edilizio. In edilizia è un caso raro che le caratteristiche del terreno si modifichino sensibilmente durante la costruzione di un fabbricato.

In educazione è normale invece che tutto cambi, cresca o regredisca, durante l’esperienza formativa: è un effetto desiderato. Certe volte si deve lavorare molto sull’ambiente, sul contenitore, sul contesto, che necessariamente si fonde con i contenuti.
Nel progetto educativo “quel che sarà” non si può sapere prima perché si lavora allo sviluppo di un qualcosa che non conosciamo mai fino in fondo e che non può e non deve essere manipolato: la persona.
Progettiamo con questo spirito anche le attività di recupero delle competenze di base, di consolidamento delle discipline e di ritrovamento della socialità, della proattività, della vita di gruppo, durante dopo il terribile periodo della pandemia.
Lavoriamo con la qualità che siamo abituati a conoscere e spendiamo meno tempo possibile a riempire moduli. 

1.3. La regia deve rimanere alla scuola

I governanti, locali, nazionali ed europei, prima o poi, dovranno imparare che la standardizzazione nella scuola equivale alla sua negazione (solo per dirne una: anche la modalità di rendicontazione europea adottata dai PON non va bene per la scuola e deve essere cambiata).
Anche per questa estate pensiamo a progetti dinamici, flessibili, personalizzabili, modulari e modulabili in relazione a tutti i variabili fattori che incideranno sui processi educativi che potranno essere messi in atto, dalla quantità di risorse che avremo a disposizione alle persone tutte, piccole e grandi, che concretamente faranno parte dei gruppi con i quali potremo trovarci a operare.
Ecco che la scuola, in un progetto come quello di cui stiamo parlando, può fare un pezzo e non il tutto ma dovrebbe tenere per sé la regia metodologica orientando le diverse attività a realizzare percorsi di sviluppo cognitivo, formativo ed esperienziale.
Infatti, nella produzione di idee e azioni per la prossima estate, la scuola ha da subito la necessità di confrontarsi con ciò che già c’è o è in cantiere nel proprio territorio. Questo per iniziare da subito a pensarsi come comunità dialogante, evitare doppioni, saper calibrare i tempi delle diverse possibili esperienze di vita e socialità dei nostri ragazzi.

Se il periodo è dal 15 giugno al 15 settembre, la scuola può gestire una piccola parte del tempo estivo, distribuita nei modi più diversi, ma può anche partecipare ad una cabina di regia pedagogica di supervisione e condivisione di tutte le attività, comprese quelle gestite da altri.
E poi, non è detto che da questi altri non possa anche arrivare qualche insegnamento per la scuola stessa. D’altra parte nessuno è più capace di noi nell’essere ricettivo. 

1.3. L’analisi del contesto e le situazioni di partenza

In questa primissima e decisiva fase di riflessione e ideazione, è anche utile realisticamente svolgere un’analisi onesta dei potenziali effettivi che la scuola si sente in grado di realizzare.
Conterà, ad esempio, molto quali e quanti insegnanti saranno disponibili volontariamente a dare corpo pedagogico a queste esperienze. Inutile negarlo, questa variabile condizionerà la quantità e la tipologia di moduli di esperienze possibili.
Conterà, inoltre, a quanti e quali bambini e ragazzi si intenderà rivolgere la proposta educativa, se a tutti o no, a partire naturalmente da chi ha più pagato il confinamento di questi 18 mesi.
Conterà anche l’adesione delle famiglie, e certamente sarebbe quanto mai prezioso se le “idee” e le iniziative in cantiere fossero condivise e magari (nel limite dell’età) co-progettate con i bambini e i ragazzi stessi. Non persone-pacchetti da spostare di qua e di là, ma persone (qualsiasi sia l’età) con desideri e pensieri da rispettare e coltivare.
Conterà, naturalmente, l’appetibilità sociale, il significato umano e di comunità che l’idea pedagogica di base diffonderà come finalità e pratica delle esperienze estive.

E a questo punto, definito in linea di massima il progetto pedagogico, conterà il dialogo interistituzionale che questa progettazione–base aprirà con l’ente locale, il territorio, la società civile, l’associazionismo per trovare le alleanze giuste, in un quadro il più armonico e unitario (la trama del tessuto di cui sopra) con tutte le iniziative locali del periodo.

2. La coprogettazione nella più recente normativa

2.1. La coprogrammazione e coprogettazione con i soggetti del terzo settore

Per quanto attiene al significato pedagogico e metodologico vale, per la coprogettazione quanto appena detto per la progettazione educativa.
Dal punto di vista amministrativo, invece, la coprogettazione apre ad un futuro che permetterà di realizzare una progettazione integrata con gli altri soggetti del territorio, anche permettendo facilitazioni importanti dal punto di vista procedurale.
Al momento non è un procedimento semplice da utilizzare perché non sempre sono presenti le normative regionali e i documenti di coprogrammazione quadro che dovrebbero essere adottati a livello di zona. Non si esclude però che sia possibile, anche in assenza di tali provvedimenti, effettuare, per chi volesse intraprendere questa strada, delle prime esperienze. 

2.2. La coprogettazione nel Codice del Terzo settore

La norma di riferimento è il Codice del Terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, artt. 55 e 56) il quale stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni […] assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di coprogrammazione e coprogettazione e accreditamento”, specificando che “La coprogettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”.

A tal fine “l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner”.

2.3. L’espressione della Corte Costituzionale

Vale la pena di ricordare anche una recente espressione della Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2020, n. 131) nella quale è stata affermata l’aderenza al dettato costituzionale della previsione del codice del Terzo settore, rilevando che la coprogettazione, “rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.” in quanto “valorizzando l’originaria socialità dell’uomo […], si è voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini”.

Il rapporto fra Codice del Terzo settore e Codice dei contratti pubblici è stato oggetto di un’ampia discussione negli ultimi anni. In particolare, si è dibattuto circa l’utilizzo di istituti quali la co-progettazione e la convenzione, con i quali la pubblica amministrazione può coinvolgere i soggetti del privato sociale nella gestione di servizi che avrebbero altresì potuto essere affidati con procedure contrattuali.

2.4. I riferimenti alla coprogettazione inseriti nel Codice dei Contratti

Su questo è intervenuto il decreto legge Semplificazioni (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, come convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, art. 8, comma 5) ha inserito alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore – quello appunto che disciplina i rapporti con gli enti pubblici – nel corpo del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
In particolare: il comma 8 dell’art. 30, che reca i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” precisa oggi che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, “alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”; il comma 1, dell’art. 59, che disciplina le procedure di scelta del contraente, il quale afferma che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette”, ha adesso un inciso iniziale di questo tenore “Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”; La stessa clausola viene inserita al comma 1 dell’art. 140, che disciplina gli appalti dei servizi sociali.

2.5. Una nuova modalità da utilizzare, in particolare per il futuro

Si apre ora una nuova possibilità per l’utilizzo della coprogettazione, che permetterà il coinvolgimento di numerosi soggetti operanti sul territorio e che permetterà di confrontarsi con la sfida della misurabilità del valore apportato da tali soggetti.
La coprogettazione, quindi, non deve essere intesa unicamente come una scorciatoia per evitare l’evidenza pubblica nella scelta del concessionario di un servizio, bensì come un istituto teso a valorizzare l’esperienza e la vocazione della sussidiarietà nella progettazione e realizzazione degli interventi, nell’ambito di una procedura che dovrà comunque essere caratterizzata di principi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione, anche nel momento della scelta del soggetto o dei soggetti con i quali avviare un’esperienza di partenariato.

3. I patti comunità

3.1. Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa

Il “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione – Piano scuola 2020-2021” (decreto ministeriale 26 giugno 2020), contiene la seguente indicazione: “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa. […] Per la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario, gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sul territorio, le realtà del Terzo settore e le scuole possono sottoscrivere specifici accordi, quali «Patti educativi di comunità»… Dando così attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione, e fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici…”.

I Patti educativi di comunità trovano il loro fondamento nei principi costituzionali di solidarietà (articolo 2), comunanza di interessi (articolo 43) e sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4), per irrobustire alleanze educative, civili e sociali di cui la scuola è il perno ma non l’unico attore. Mediante i Patti educativi di comunità, le scuole “possono avvalersi del capitale sociale espresso da realtà differenziate presenti sul territorio – culturali, educative, artistiche, ricreative, sportive, parti sociali, produttive, terzo settore – arricchendosi in tal modo dal punto di vista formativo ed educativo” (Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro, 13 luglio 2020, rapporto finale del comitato di esperti istituito con decreto ministeriale 21 aprile 2020, n. 203), 

3.2 Natura e contenuti dei Patti

I Patti di comunità sono libere intese che possono essere sottoscritte fra cittadini (singoli o associati) e amministrazioni pubbliche per la realizzazione di collaborazioni volte alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela e la promozione di beni e servizi funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità, permettendo di coinvolgere i membri della comunità stessa nelle decisioni e nelle azioni che li riguardano. La scuola è uno dei principali beni di comunità e, pertanto, costituisce ambito privilegiato per possibili collaborazioni fra cittadini e Amministrazioni comunali.

I Patti educativi di comunità: “1) favoriscono l’esercizio del principio di sussidiarietà; 2) sono fonti del diritto pubblico (tipicamente regolamenti comunali); 3) costituiscono occasioni di costruzione di comunità fra i cittadini; 4) realizzano un potente fattore di innovazione sociale, culturale e anche amministrativa. Ovviamente, i Patti di comunità (per loro natura stipulati fra soggetti pubblici e privati) differiscono dalle intese fra pubbliche Amministrazioni miranti a stabilire fra loro, mediante conferenze dei servizi, forme di cooperazione volte a snellire l’azione amministrativa. Differiscono pure dalle intese che le istituzioni scolastiche possono siglare in ragione del DPR 275/1999”. (Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, 19 agosto 2020, nota n. 12.920)

Il “Piano scuola 2020-2021” suggerisce la stipula di patti per favorire la messa a disposizione di strutture o spazi (parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, etc) al fine di potervi svolgere attività didattiche complementari a quelle tradizionali e, più i generale, per sostenere la costruzione di collaborazioni con i soggetti territoriali che possono concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa.

Il livello territoriale può essere molteplice: dal patto della singola scuola con il singolo Comune ai patti di quartiere, di reti di scuole e altri enti pubblici e privati, per ambiti tematici o territoriali, anche sovracomunali.

3.3 Le condizioni per la stipula di un Patto efficace

Come suggerisce un’importate documento predisposto e diffuso dalla rete EducAzioni, i Patti, per essere efficaci, dovrebbero essere preceduti da un lavoro preliminare relativo a:
“- ricognizione delle risorse sociali, civiche, culturali presenti nel territorio e disponibili a contribuire alla costruzione della «comunità educante», dalle organizzazioni del terzo settore e dell’associazionismo civico alle parrocchie, ai centri sportivi, fino ai vigili urbani e ai negozi di prossimità, senza limitarsi ai soggetti di rappresentanza istituzionale e sociale;
– analisi dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, e del contrasto alle diseguaglianze educative, con una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere, attraverso una integrazione tra i percorsi educativi curriculari ed extracurriculari; piena condivisione tra gli attori coinvolti, a partire dalle scuole – che hanno un ruolo guida nel processo – gli enti locali, le aziende sanitarie, gli studenti, le famiglie, il terzo settore, i soggetti attivi sul territorio in campo culturale, sportivo, ricreativo e soggetti del mondo produttivo interessati;
– condizioni organizzative che rendano concretamente possibile l’operatività del Patto, favorendo la flessibilità nell’utilizzo degli spazi e degli orari del personale a diverso titolo coinvolto, e la chiara definizione del quadro delle responsabilità di ciascun soggetto;
– quantificazione delle risorse finanziarie che consentano l’ampliamento non solo del tempo scuola, ma anche del tempo educativo, a cui ciascun bambino o adolescente ha diritto”

(Reti di associazioni che convergono sul documento EducAzioni, Condizioni per un buon patto educativo di comunità, 27 luglio 2020) 

3.4. La centralità della scuola

Le attività che potranno essere organizzate in quest’estate, nel periodo di interruzione del calendario scolastico, potranno essere gestite collettivamente, nel loro insieme, da tutti i soggetti, oppure gestite in parte dalla scuola e in altra parte da altri partecipanti al Patto.
Qualsiasi modalità organizzativa sia adottata è necessario che il ruolo della scuola sia rafforzato e valorizzato per la sua professionalità nel programmare e gestire progetti con valenza educativa e di ampliamento dell’offerta formativa.
Le scuole come luogo fisico, inoltre, potranno rappresentare un prezioso punto di riferimento, già conosciute dai/dalle bimbini/e e dai/dalle ragazzi/e, e dai loro genitori, per essere base logistica di tutte le attività, comprese quelle che poi potranno comportare uscite sul territorio.

 3.5. L’estate inclusiva

E tuttavia, i Patti educativi di comunità contengono due valori di grande valenza civile e politica, che vanno bel oltre la prossima estate, cui dobbiamo necessariamente soffermarci.
Fortunatamente, e se ci si crede, questa estate strana, con le scuole attive nel territorio, potrebbe creare condizioni sociali ed educative tali che le diverse azioni che si realizzeranno potrebbero risvegliare e valorizzare un pensiero fecondo che il tempo ha logorato, ma molto vivo nella pedagogia degli anni ’60 e ’70: il sistema formativo integrato.
I Patti educativi di comunità potrebbero essere il prologo non solo per una buona estate collaborativa ma anche di un sistema di relazioni e collaborazioni stabile tra le scuole e il loro territorio. Significa considerare tutto il territorio, nelle sue diverse forme e pratiche, come spazio educativo comune e la scuola come attore del e nel territorio per la costruzione del civismo, della relazione tra generazioni, della cultura diffusa. Una scuola che sa trarre dal territorio ispirazione, spazi e opportunità per uscire dalla aule mentali delle didattiche frontali e isolate dal contesto e farsi invece soggetto attivo di produzione culturale orizzontale.
I Patti educativi di comunità sono inoltre una spinta obiettiva a “fare squadra” a fronte delle tante e diversificate condizioni di difficoltà ed emarginazione già presenti nel territorio e accentuate dall’epidemia. Un territorio che in diverse forme, cioè, si prende in carico e in comune (avverbio, sostantivo, aggettivo) tutte le situazioni di maggiore fragilità individuali e familiari (disabilità, alunni stranieri, povertà educativa, ecc..).

L’occasione, insomma, per ristabilire, o rafforzare, una migliore alleanza per non lasciare indietro nessuno neppure i più dotati anche perché le doti richieste nell’estate potrebbero non essere le stesse di quelle dell’inverno…
Dunque, la presa in carico delle tante eterogeneità che diventa sfida culturale e civica che la scuola da sola o il territorio da solo mai potrebbero garantire.

4. Il percorso amministrativo

4.1. Le delibere necessarie

Le segreterie degli istituti scolastici dovranno mettere in atto le procedure amministrative affinché le attività si possano realizzare al meglio, anche dal punto di vista formale.
Sia il POF annuale sia il PTOF triennale dovranno essere variati e quindi il primo atto sarà una delibera del Collegio dei Docenti. Nella delibera del Consiglio d’Istituto, infatti, quando si approverà il progetto, si inizierà con “vista la delibera del collegio dei docenti del etc etc”.

 4.2. L’impiego del personale della scuola e la contrattazione d’istituto

L’approvazione da parte del Collegio, in questo specifico contesto come in generale quando si tratta di ampliamento anche quantitativo dell’offerta formativa, non significa assolutamente un vincolo per i docenti di partecipare all’attività che rimangono, per loro, facoltative. È peraltro evidente che, con molta probabilità, una buona parte delle attività saranno affidate a soggetti esterni all’amministrazione scolastica.
Ciò, naturalmente, non esclude che il dirigente scolastico abbia gli strumenti per garantire che alcuni spazi (orari? giornalieri? settimanali? un solo periodo in tutta l’estate?) siano riservati ad attività gestite dai docenti, o anche dai docenti, la cui prestazione aggiuntiva dovrà essere retribuita secondo le modalità e i termini del contratto di lavoro.

Diversa, invece, la modalità di impiego del personale ATA. Una volta definita, e approvata, la progettazione di massima, si dovrà svolgere una contrattazione con le RSU di istituto per definire le modalità di organizzazione e distribuzione delle attività extra mansionario e delle intensificazioni di lavoro richieste al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ed il salario accessorio che ne consegue.

Ci sarà molto lavoro per i collaboratori scolastici ma, in particolare in quest’anno, è molto probabile che la proposta trovi la loro favorevole adesione perché (tra presenza di organico Covid e sospensioni delle attività in presenza) non hanno accumulato quel numero di ore di straordinario che permettevano loro di recuperare qualche giorno di riposo in più da aggiungere alle ferie estive. Loro non potranno sottrarsi, dovranno lavorare, ma potranno ottenere qualche compenso aggiuntivo.
La gestione logistica dovrebbe in ogni caso rimanere alla scuola che potrà effettuare l’accoglienza, con i collaboratori scolastici, e non delegare il tutto (concedendo unicamente l’edificio) altrimenti non sarebbe un reale ampliamento dell’offerta formativa della scuola.

4.3. Protocolli di sicurezza

In relazione all’andamento epidemico dei prossimi mesi, potrà essere necessario anche rivedere il DVR aggiuntivo Covid-19 che gli istituti hanno già elaborato.
Per le attività estive, sempre in relazione alla situazione in cui saremo nel periodo interessato, saranno necessarie precise indicazioni nazionali, supportate da un parere tecnico del Comitato Tecnico Scientifico, affinché siano chiare le modalità da adottare per contrastare la diffusione del contagio.
In particolare, sarà necessaria massima chiarezza in relazione ai protocolli da adottare ovvero se le misure raccomandate rimangono quelle specifiche per la attività scolastiche ovvero se devono essere adottate quelle elaborate per i centri estivi ovvero, infine, se sarà predisposto un documento dedicato.

 4.4. Il Patto e la progettazione esecutiva

Una volta definiti i progetti e gli accordi sindacali, che sono condizioni preliminari di fattibilità, se è previsto il coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli obblighi loro spettanti per legge oppure in relazione alla definizione condivisa di modalità e contenuti del progetto, sarà necessario relazionarsi con l’ente locale di riferimento e definire gli opportuni accordi nelle forme che saranno ritenute, congiuntamente, utili o necessarie. Se vi sono altre realtà operanti nel territorio, si potranno definire protocolli e accordi di massima anche con questi.

Quando saranno noti i finanziamenti di cui si potrà disporre e le altre risorse a disposizione, anche assegnate dagli altri soggetti partecipanti all’iniziativa, si disporrà di un quadro ben definito delle finalità (collegio dei docenti), degli indirizzi generali (Consiglio d’Istituto), dei vincoli sindacali (Accordo con RSU), delle risorse interne (Personale disponibile e risorse economiche ottenute) ed esterne (accordi con enti locali e terzo settore) e si potrà procedere alla progettazione esecutiva dell’iniziativa.

Una volta definito il progetto nel dettaglio si potrà passare al reperimento di quanto necessario per la realizzazione dell’iniziativa. A parte gli approvvigionamenti di beni, di consumo e non, che tutti gli uffici amministrativi sono in grado di effettuare con relativa semplicità, c’è il reperimento di risorse umane, specifiche professionalità o servizi.

Se vi sarà necessità di un esperto, non è necessario utilizzare il codice dei contratti perché sarà sufficiente utilizzare l’art. 7 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che “per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione” che impartisce unicamente questa indicazione: “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
Si tratta di procedure molto semplificate.

Se il progetto, o una parte di esso, dovrà essere realizzato da altri soggetti si potrà tentare il percorso della coprogettazione e corealizzazione (si veda la parte di questo scritto a ciò espressamente dedicata) oppure potrà essere affidato a enti del terzo settore e imprese sociali, svolgendo una procedura aperta con un avviso pubblico nel quale l’istituto renda note quali sono le necessità e informi dell’intenzione di attribuire un punteggio alla qualità (es: sviluppo della progettazione, esperienza dell’impresa, degli operatori, certificazioni possedute, etc.) ed un punteggio, di molto inferiore, al prezzo. Anche questa è una procedura semplice. Ove necessario, non è escluso che, già nell’avviso, si informi il soggetto cui sarà affidato il servizio che dovrà lasciare degli spazi per l’inserimento di attività che saranno svolte e gestite da docenti che si rendono disponibili. 

4.5. Modulistica amministrativa

Per quanto riguarda i modelli di atti, il Ministero ha già fornito modelli di deliberazioni, di determinazioni, etc., che potranno essere adattate anche alle attività di cui stiamo parlando.
Recentemente, con nota 10 marzo 2021, n. 5465, l’Amministrazione ha informato di aver avviato un percorso per supportare le Istituzioni scolastiche nell’espletamento delle attività amministrative di maggiore complessità e ha reso disponibile il nuovo applicativo SGA (Sistema di Gestione degli Acquisti) che supporta le scuole per le fasi di Programmazione, Avvio delle procedure, Aggiudicazione, Stipula del contratto, Esecuzione del contratto, consentendo di predisporre una documentazione automatizzata, con riferimento a: Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante richiesta di preventivi); Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante trattativa diretta MEPA; Verbale di regolare esecuzione per approvvigionamento di beni, acquisizione di servizi e esecuzione di lavori.

 4.6. Rendicontazione

Una volta conclusa l’attività ci sarà da fare la rendicontazione qui viene un nodo dolente. Se sono soldi del Ministero si dovrebbero poter evitare le infernali modalità di rendicontazione cui gli istituti scolastici sono obbligati dai PON.

Per la rendicontazione di tutte le risorse stanziate per le iniziative di ampliamento dell’offerta formativa, quindi, sarebbe importante che fossero adottate le stesse procedure semplificate che sono state disposte per i 150 milioni che sono andati ad incrementare il fondo per il funzionamento e che prevedono l’utilizzo della piattaforma PNSD (piano nazionale scuola digitale), già utilizzata per le rendicontazioni dei diversi finanziamenti Covid-19, confermando anche la previsione secondo la quale i Revisori dei Conti accedano informaticamente alle documentazioni e appongano il visto con la stessa metodologia senza la produzione di alcun documento cartaceo.

Non sarebbe male, inoltre, che una semplificazione del genere fosse realizzata anche per i fondi PON in quanto la complessità di rendicontazione di tali fondi produce, alla fine, minore attenzione alla qualità e, qualche volta, anche rinunce a realizzare iniziative.




Pubblicato in GU il decreto scuola n. 22 dell’8 aprile 20208

Il decreto scuola su esami di Stato, scrutini di fine anno, didattica a distanza, adozione dei libri di testo e altre misure ancora è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’8 aprile.
E’ il decreto n. 22 ed entra in vigore il 9 aprile.
Il testo è disponibile qui.




Didattica a distanza e Privacy, l’intervento del Garante

matitaDidattica a distanza e Privacy, il Garante chiarisce e conferma quanto già si sapeva. Interessante rimane la lettura del pronunciamento che fa chiarezza anche sugli obblighi dei responsabili dei diversi servizi online.

Didattica a distanza e Privacy

Il Coronavirus ha impresso un’accelerazione al processo di implementazione del digitale a scuola. Questo però richiede un chiarimento e la conferma di quanto già contenuto nella letteratura giuridica, nella legislazione europea e italiana (GPDR, decreto attuativo 101/18).
E il provvedimento del Garante per la Privacy (30 marzo 2020) non si è fatto attendere. Occorre dire: nulla di nuovo sotto il sole. Sono confermati tutti i principi che girano intorno al trattamento del dato personale. E’ ribadito il principio della correttezza (=legittimità) della scuola nel trattare dati personali, purché questi siano coerenti (non esorbitanti) con le sue finalità (art. 18 D.Lvo196/03 e “Privacy a scuola” 2016).
Il medesimo principio, unito a quello dello della non eccedenza, è applicabile ai servizi di supporto (Didattica a distanza).
In questo senso va letto il seguente passaggio: “Il trattamento di dati svolto dalle piattaforme per conto della scuola o dell’università dovrà limitarsi a quanto strettamente necessario alla fornitura dei servizi richiesti ai fini della didattica on line e non per ulteriori finalità proprie del fornitore”.

Tutto il pronunciamento fa riferimento alla facoltà decisionale dei singoli istituti, tramite il Dirigente scolastico, quindi delegittimando ogni iniziativa personale del docente.
In altri termini è confermato il principio dell’istituzionalizzazione di servizi esterni alla scuola.
Si legge infatti: “Nella scelta e nella regolamentazione degli strumenti più utili per la realizzazione della didattica a distanza scuole e università dovranno orientarsi verso strumenti che abbiano fin dalla progettazione e per impostazioni predefinite misure a protezione dei dati.”
Confermata la necessità di un’informativa chiara per il rilascio del consenso da parte genitore al trattamento del dato personale dello studente, che ricordo è minorenne.
Il suddetto caso non rientra nella facoltà attribuita al minorenne dal GDPR (Regolamento europeo per la protezione del dato personale), in quanto il documento si riferisce a un profilo diverso da quello di studente.
Si legge infatti all’art. 8 comma 1, il cui limite d’età in Italia è stato portato a quattrodici anni (Decreto 101/18): ”per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”.