Quel pasticciaccio brutto (ma proprio brutto) del "docente esperto"

di Marco Guastavigna Sul pasticciaccio brutto brutto brutto del “docente esperto” si sono già espressi in molti e in modo sistematico, a partire da considerazioni complessive sull’organizzazione del cosiddetto “mondo della scuola”. Io sono invece un po’ confuso e mi limiterò a proporre quanto mi si è affacciato alla mente in questi giorni, convinto (illuso?) di poter comunque dare un contributo alla riflessione, che mi auguro porti alla soppressione del provvedimento. La prima considerazione è questa: mi sono immediatamente ricordato del “tempo potenziato”, dispositivo contrattuale previsto, esaltato e poi inattuato, tanto che non solo gli insegnanti più giovani, ma il fior fiore dei motori di ricerca lo confondono con l’organico di potenziamento. Per non parlare del “concorsone” di Luigi Berlinguer, che provocò una fortissima reazione della “categoria”, in quasi tutte le sue – variegate allora forse più di ora – componenti ideali e ideologiche, fino ad essere cancellato. Potrei sbagliarmi, ma il mio reflusso professionale ha rigurgitato anche la figura del “docente senior”, che avrebbe riproposto nell’istruzione secondaria un modello qua e là usato in quella terziaria. E poi ancora la vicenda della valutazione degli insegnanti in rapporto al riconoscimento di un presunto “merito” innescata dalla Legge 107 del 13 luglio 2015 e via via depotenziata con provvedimenti e accordi con i sindacati. Le forzature per la differenziazione delle carriere degli insegnanti con lo scopo di introdurre gerarchizzazione – insomma – sono un evento frequente e hanno un trend di fallimento, anche grottesco. La seconda considerazione: l’istruzione pubblica è devastata da decenni dalla cultura e dalla pratica della competizione tra e all’interno delle scuole con bandi, concorsi, premi, riconoscimenti, percorsi di formazione riservati, certificazioni private e simili. La pandemia e il distanziamento delle operazioni didattiche hanno reso definitiva la colonizzazione delle aule e delle menti da parte del capitalismo cibernetico, assurto a sfondo inevitabile, syllabus adattivo universale. Segmenti della formazione sono nominalmente e strutturalmente subordinati al mercato del lavoro (ovvero alla mercificazione dell’attività umana) come approccio generale e come dato di contesto spazio-temporale. Ma, storicamente, gli insegnanti si accorgono dei rapporti concorrenziali fondati sull’utilitarismo solo quando ne sono colpiti in forma diretta; e individuale. E davvero pochi sembrano cogliere ora che l’obiettivo del “docente esperto” servirà soprattutto a costruire e validare un’altra filiera della cultura intesa come potere e sottopotere. Del resto, anche i più fieri oppositori di questo e di altri provvedimenti analoghi soffrono – è la terza considerazione – di un grave limite: ritengono che il pensiero critico, anziché intenzione e posizionamento espliciti, sia il frutto di un percorso di istruzione curriculare, fondato sulle certezze dei saperi disciplinari. Una neutra e rassicurante “capacità di esaminare nuove informazioni e idee concorrenti in modo spassionato, logico e senza preconcetti emotivi o personali”, come lo definisce Tom Nichols. VAI ALLA PAGINA DEDICATA AL TEMA DEL DOCENTE ESPERTO Continua a leggere

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Il docente esperto: uno su cento ce la fa…

di Mario Maviglia Prendete una delle categorie più vilipese in Italia, sia sul piano sociale che economico, ancorché – contraddittoriamente – più tutelata sul piano occupazionale. Si tratta di una professione più che dignitosa, ma sempre più oberata di impegni burocratici. Su questa categoria i vari Ministri che si sono succeduti nel tempo hanno sempre nutrito l’ambizione di lasciare un segno con le loro (spesso dannose) riforme. Nessuno che si sia mai preoccupato di creare le condizioni migliori per consentire a questi professionisti di svolgere il proprio lavoro in modo tranquillo e sereno, centrando l’attenzione sul compito principale che dovrebbe assolvere la loro ”azienda”, ossia la promozione e lo sviluppo dei processi di apprendimento e di socializzazione degli studenti. Nel tempo, anzi, le condizioni lavorative di questi professionisti sono andate viepiù peggiorando. Oggi, attraverso una delle tante leggi che nulla ha a che fare con il mondo della scuola (Decreto Aiuti bis), viene inserito un meccanismo di “premiazione” dei docenti, che non trova eguali in altri contesti professionali, attraverso la creazione della figura dell’”insegnante esperto”, un super-docente dotato di grandi capacità, quasi taumaturgiche, soprattutto considerando l’iter che dovrà seguire per diventare “esperto”. Infatti il super-docente dovrà completare tre corsi triennali di formazione consecutivi e non sovrapponibili tra loro, con valutazione positiva. Questi docenti niciani non potranno essere più di 8 mila (poco più dell’1% del totale) e alla fine di questa eroica cavalcata formativa potranno meritatamente godere di un assegno annuale ad personam di 5650 euro all’anno, ossia circa 400 euro in più al mese rispetto ai colleghi non “esperti”. VAI ALLA PAGINA DEDICATA AL TEMA DEL DOCENTE ESPERTO Continua a leggere

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Ius scholae, un dibattito quasi lunare

di Aluisi Tosolini Si dibatte (anche molto aspramente) in questi giorni della proposta di legge definita jus scholae che interviene sul tema della cittadinanza. La mia personalissima impressione – dal punto di osservazione in cui mi trovo – è che il dibattito in realtà abbia qualcosa di lunare, marziano, sia fuori dal mondo. Sto facendo in questi giorni il presidente di commissione degli esami di stato in un grande e notissimo centro della provincia di Parma dove la percentuale dei cittadini stranieri residenti (quindi sia comunitari che extra comunitari) è pari al 21,2% (una persona su 5). Nella provincia di Parma i cittadini stranieri sono il 14,7%, mentre a livello regionale la percentuale è pari al 12,6%  della popolazione contro l’8,4 di media nazionale (e l’Emilia Romagna è la prima regione in Italia per incidenza di stranieri residenti). Gli studenti delle classi che stanno facendo gli esami rispecchiano la composizione sociale della popolazione della zona. Con diversi candidati abbiamo discusso anche della proposta di legge sulla cittadinanza che si sta dibattendo in parlamento. Trovarsi davanti candidati 19enni, nati in Italia e che conoscono benissimo la lingua italiana, ben inseriti nel tessuto sociale, molti con un contratto di lavoro già in tasca presso le aziende del distretto che senza lavoratori stranieri sarebbero costrette a chiudere, fa impressione. Sono italianissimi (certo più italiani di molti discendenti di antichi emigrati in sud America che per lo jus sanguinis potrebbero ottenere la cittadinanza italiana senza fatica) ma non sono cittadini. A loro manca un diritto fondamentale, quello della partecipazione alla vita sociale e politica da soggetti attivi, votanti. Manca il sentirsi davvero a casa, il non essere e il non percepirsi come ospiti, cittadini di serie B. Hanno frequentato le scuole in Italia, molti dalla scuola dell’infanzia in avanti e quindi ben più dei 5 anni richiesti dalla legge e che Fratelli d’Italia anni fa chiedeva fossero 8. Prenderanno il diploma, diversi si iscriveranno all’università. Perché non dovrebbero avere la pienezza della cittadinanza italiana se lo chiedono e lo desiderano? Continua a leggere

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Alla ricerca delle competenze sperdute (le non cognitive). Commento semiserio a un recente ardito disegno di legge

di Aristarco Ammazzacaffè “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche …”. È il titolo del ddl che la Camera ha approvato l’11 gennaio scorso e che ora tocca al Senato esaminare e approvare, se ne ha l’animo. I parlamentari firmatari, poco più di una decina (per la precisione, una Dozzina, con l’iniziale maiuscola per deferenza) appartengono ai diversi schieramenti politici del Parlamento, nessuno escluso. (Almeno 4 però di sola Forza Italia: con tutti nomi arcinoti agli ‘scolastici’. Gli altri parlamentari presentatori della proposta, con l’eccezione di un paio, sono associabili al mondo della scuola più o meno come la catalogna alla pasta al forno. Per dire. Comunque un disegno di legge (ddl) sulle competenze non cognitive[1], se ci pensate, era proprio quello che ci voleva e soprattutto in questo periodo. Quando uno dice, le mancanze! E le attese! Tranquilli, però. Gli articoli sono solo cinque e quasi tutti brevi. E non pochi passaggi, come accade spesso: acqua fresca e mica fresca. Partiamo comunque fiduciosi. L’articolo 1. L’inizio – molta nebbia padana anni ’60 (semplice annotazione d’ambiente; non critica) – dà per scontato che l’oggetto (le competenze non cognitive) sia chiaro a tutti. ‘Competenze non cognitive’? Cioè? Una declinazione esotica di competenza? Una proposta nuova e innovativa per la scuola che recupera il passato? Un’idea dirompente che apre al futuro, da parte di parlamentari attrezzati in teorie della conoscenza, che sfidano elaborazioni che vanno per la maggiore? Perché no? Perché sì? Mah! Continua a leggere

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La scuola di tutti è ancora un’incompiuta

Stefaneldi Giovanni Fioravanti  Erewhon è una parola che non c’è. È una parola che non si riconosce, che gli altri non sanno comprendere, perché è una parola diversa. Erewhon è una parola rovesciata, il suo dritto è Nowhere: In nessun posto. Nel 1872 l’inglese Samuel Butler scrive un romanzo fantastico e satirico sul mondo di Erewhon dove i malati vengono messi in prigione e processati, le vittime sono considerate immorali, nelle scuole si insegna l’Irragionevolezza. Un mondo solo apparentemente immaginario se riflettiamo bene, se pensiamo da dove siamo partiti per giungere all’inclusione di “tutti” nella scuola di tutti. Dovremmo essere sempre inquieti, mai soddisfatti dei nostri risultati, perché noi che lavoriamo nella scuola entriamo in relazione con quanto vi è di più delicato e di più complesso nella storia di ogni persona. L’infanzia, l’adolescenza, essere bambina o bambino, ragazzo o ragazza e nessuno può scegliere quello che è, né il luogo della sua nascita né la famiglia, nessuno può scegliere la sua sorte, perché di sorte si tratta. Abbiamo fatto molta strada per giungere a costruire la scuola di tutti, ma sono di quelle strade che non sono mai compiute, che a volte non trovi più sotto i piedi e ti tocca tornare a ripercorrerle da capo. Continua a leggere

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Istruire è diverso da forgiare (a proposito delle competenze non cognitive)

di  Giuseppe Bagni (per gentile concessione dell’autore della Associazione CIDI) Si fa fatica a commentare il Ddl approvato alla Camera l’11 gennaio scorso che vuole l’introduzione di competenze non cognitive nei percorsi formativi. Verrebbe voglia di fermarsi a una alzata di spalle, scuotere la testa in sala insegnanti e continuare il proprio lavoro nella scuola reale. Quella che evidentemente è sconosciuta nelle sedi parlamentari. Eppure si deve commentare, perché la deriva verso cui si sta andando è grave e non può essere ignorata né minimizzata. La proposta approvata nel primo passaggio parlamentare mette in evidenza la convinzione che la scuola debba ammodernarsi rompendo il dominio del cognitivo e del formale per essere, come ha dichiarato Valentina Aprea, “volano delle economie innovative e creative, per poter consentire crescita, sviluppo e risoluzione dei problemi del nostro tempo in una prospettiva originale…” Il propugnare un qualunque livello di originalità risulta paradossale se confrontato con il progetto di mettere le mani fin nella sfera più interna degli allievi per forgiarne il carattere. Come se l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale fossero attitudini insegnabili direttamente dalla cattedra invece che il risultato della metabolizzazione personale delle conoscenze acquisite, dei legami costruiti, delle testimonianze offerte loro nella scuola. Una scuola secondo Costituzione non forgia il carattere, non cerca elementi di valutazione nell’animo dei suoi allievi; crea e offre le condizioni per favorire “lo sviluppo armonico e integrale della persona”. Le competenze non cognitive non sono oggetti misteriosi per la scuola: le norme e i suoi documenti vi fanno riferimento da molti anni. Continua a leggere

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Il regime di incompatibilità per il personale scolastico

di Antonella Mongiardo e Ferdinando Rotolo La questione delle incompatibilità e del cumulo di impieghi per il personale della scuola è alquanto complessa, perché si inquadra in una disciplina normativa frastagliata e in continua evoluzione, caratterizzata da leggi, decreti, sentenze e circolari. L’istituzione scolastica, come ogni amministrazione pubblica, è soggetta al principio di esclusività del rapporto di lavoro, sancito dalla Costituzione a tutela del buon andamento della P.A. Pertanto, il personale della scuola, docente e ATA, ha il dovere di prestare il proprio lavoro ad esclusivo servizio dell’amministrazione scolastica. Ne conseguehttps://www.gessetticolorati.it/dibattito/wp-content/uploads/2021/10/INCOMPATIBILITA.pdf che, al momento dell’assunzione, il personale scolastico deve essere libero da ogni altra occupazione lavorativa e, in caso di eventuale rapporto esistente, pubblico o privato che sia, questo deve immediatamente cessare. L’ampio saggio di Antonella Mongiardo è disponibile in allegato ]]>

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Comunità di pratica nella scuola. Appunti e spunti per la ripartenza

Stefaneldi Antonio Valentino Alcune ragioni per parlarne. La percezione diffusa, mi sembra, è che la nostra scuola sia stata poco coinvolta dal dibattito e da esperienze legati alla Comunità di Pratica (d’ora in avanti: CdP). Prima della pandemia è stato oggetto di interesse soprattutto nei convegni e nelle sedi universitarie dove si coltivano questioni riguardanti le teorie dell’apprendimento. Non sono mancate tesi di laurea e pubblicazioni [1] – molto più numerose di quanto si possa credere – che hanno approfondito l’argomento proponendo anche esperienze maturate in Italia[2]. Però la loro risonanza era e continua ad essere ancora modesta. Nello stesso sito dell’Indire, alla voce ‘Comunità di pratica’ , vengono riportate poco più di un centinaio di iniziative e studi, che però si riferiscono, nella stragrande maggioranza dei casi, a progetti italiani ed europei di School Improvement (progetti di miglioramento delle scuole), che solo tangenzialmente toccano questioni riconducibili specificamente alle CdP e alle ricerche ed elaborazioni al centro di queste riflessioni. Però, a ben vedere, non poche, nè di poco conto sono le ragioni che spingono anche e soprattutto le persone di scuola ad avvicinarsi a tali questioni, in quanto volte a capire più e meglio la natura dell’apprendimento come fenomeno sociale collettivo e a coltivare quindi luoghi e strategie che ne permettono lo sviluppo. Continua a leggere

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Le 25 ore di formazione sull'inclusione: come farle fallire nell'indifferenza generale

“Come uccidere la formazione senza essere scoperti” descrive criticamente le 25 ore di formazione “obbligatoria” sulla disabilità previste dalla Legge finanziaria 2021 (10 milioni di euro) che sta insabbiandosi per i niet sindacali sul “contratto dovere-diritto”, cioè il nulla e per una organizzazione arruffata e frettolosa che dovrebbe concludersi….da oggi entro metà novembre, perché i ragionieri del MIUR devono rendicontare. Riprendo il tema con grande tristezza. Ad un anno dalla finanziaria, dopo discussioni infinite esce un corso militarizzato e generico offerto ai docenti curricolari che nulla sanno di disabilità. Lo scopo sarebbe quanto mai nobile: sensibilizzare anche i curricolari su un tema inclusivo delicatissimo perché troppo spesso “delegano” ai poveri “sostegni” l’inclusione facendo finta di nulla. Nel suo piccolo, sarebbe stata un’occasione d’oro, se pensata bene, di un primo dovere deontologico da espletare ampliando la conoscenza per tutti di un tema molto delicato. Mi sarei atteso dai sindacati (almeno quelli confederali, quelli dei soi disant “diritti”) un’attenzione diversa dei niet a priori, ma invece un’attenzione maggiore alla qualità formativa, visto la delicatezza “sociale” del tema. Il Ministero è così “strano” che nell’ ultima circolare “invita” gli insegnanti curricolari a partecipare e con questo verbo crea confusione massima se si deve o si può. Insomma il rischio è di corsi in fretta e furia (la sveltina pedagogica) e realizzata nel caos gestionale sul diritto/dovere. Continua a leggere

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Come uccidere la formazione senza essere scoperti

di Mario Maviglia Questo intervento vuole offrire una serie di utili suggerimenti a coloro che, a vario titolo, si occupano di formazione del personale della scuola e che sono mossi dalla comprensibile volontà di sopprimere ogni tentativo di renderla attuabile. Parliamoci chiaro: la formazione in servizio è una  inutile perdita di tempo (e di soldi), soprattutto se riferita ad un sistema scolastico sano, avanzato, produttivo, eccellente come quello italiano, caratterizzato da risultati fuori dal comune, come emerge dalle classifiche internazionali (e infatti i risultati migliori si registrano al di fuori dei comuni italiani…), dalla grande cura che viene dedicata per far sì che nessuno si perda per strada (la dispersione scolastica in Italia è a livelli quasi zero…; il motto di tutte le scuole italiane infatti è No one left beynd), e da un corpo docente che sprizza salute da tutti i pori pedagogici ed esprime una preparazione professionale mediamente straordinaria e comunque non equiparabile a quella dei docenti degli altri Paesi avanzati. Esiste anche da noi, ovviamente, qualche mela marcia, qualche docente che non sa fare il suo mestiere, ma il sistema è così solido che si riesce a risolvere queste criticità senza grandi difficoltà (ad esempio “sollecitando” il docente inadeguato a chiedere trasferimento ad altra scuola, e poi ad un’altra ancora e così fino all’età pensionabile. Il motto Nessuno resti indietro è da riferire ai docenti… ). Tornando a noi, ci sono vari modi per uccidere la formazione senza farsi scoprire e lasciando credere alla UE e agli altri partner internazionali che nutriamo una profonda fiducia sul valore aggiunto della formazione e che quindi ci impegniamo a mettere in atto piani formativi di grande valenza pedagogica e didattica che contribuiscono in modo determinante ad innalzare il già altissimo livello di preparazione dei nostri docenti bla bla bla, bla bla bla… (cfr Greta Thunberg). Continua a leggere

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