Archivi categoria: INCLUSIONE

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“Nuovo PEI” annullato: azzeccagarbugli e scuole in difficoltà

Disegno di alunna del primo anno della primaria di Vistrorio (TO)

di Raffaele Iosa

Il TAR Lazio il 14 settembre scorso ha letteralmente annullato il Decreto interministeriale n. 182 del 29.12.2020 e le linee guida allegate,  chiamato in gergo del ”Nuovo PEI” per gli studenti con disabilità. Un testo molto atteso e su cui molti hanno lavorato in questi mesi.

A chi conosce poco le tecniche giuridiche di normazione secondaria (cioè quelle delle amministrazioni in applicazione di una legge) o non è esperto di disabilità può sfuggire la gravità di un evento di questo tipo, che è a modo suo eccezionale ed irrituale.

Naturalmente la sentenza ha fatto clamore per ora solo in quei pochi che o per mestiere o per destino si occupano di disabilità.
Ma c’è di più: sia le associazioni di disabili ricorrenti (ovviamente contente) sia quelle che avevano in un qualche modo condiviso il Decreto (ovviamente preoccupate) stanno in queste ore gettando acqua sul fuoco, sostenendo che in fondo non cambierà molto, che ci sono già gli strumenti per continuare nella migliore prassi possibile finora attuata.
E’ nelle cose che il Ministero ricorrerà al Consiglio di Stato per una diversa sentenza o comunque un atto di “emergenza” per salvare il salvabile. In attesa delle prossime puntate, però, una riflessione senza veli è necessaria, perché è mia opinione che per quanta acqua si butti su questo incidente, la vicenda invece butta molta benzina sul fuoco in una fase di gestione dell’inclusione scolastica sempre più turbolenta, litigiosa e confusa non solo sul piano amministrativo ma anche (e soprattutto) pedagogico, che ha già avuto negli anni Covid tante dolorose difficoltà. Quanto meno accentua l’incertezza, delude chi si aspetta soluzioni di qualità. Dopo centinaia di webinar, conferenze, libri e articoli prevalentemente apologetici, chi si fiderà più di quale norma, regola o articolo seguire nella prassi inclusiva?

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Ripensare lo Stato sociale dalle fondamenta: dalle leggi di fine anni ’70 al Terzo settore.

di Paola Di Michele

 

C’è un quadro bellissimo, arcinoto, di Pellizza Da Volpedo che rappresenta il Terzo Stato in marcia. Fatto di gente povera, vestita male ma con lo sguardo dignitoso e deciso proteso al futuro di chi cerca di conquistare il proprio pezzetto di dignità. E c’è un movimento nascente di lavoratori, operatori del sociale, che comincia adesso a prendere coscienza di condizioni lavorative diventate ormai al limite della sopportazione.
Per capirci, mi riferisco alle Cooperative Sociali di tipo A, cui l’ISTAT assegna un totale di lavoratori di circa 380.000 unità, per un indotto di più di 8 miliardi di euro, e che si suddivide in servizi scolastici educativi, servizi domiciliari socioassistenziali, socioeducativi, sociosanitari, centri diurni, centri di accoglienza, case-famiglia, nidi, e altro. Fondi che lo Stato stanzia alle Cooperative Sociali e che per meno della metà giungono nelle mani dei lavoratori.

Facciamo un piccolo passo indietro. Quando nasce questa situazione? Alla fine degli Anni Settanta, in un lasso di tempo brevissimo, appena un biennio, si può collocare la nascita del moderno Stato Sociale in Italia.
A fare da spartiacque sono una serie di leggi: la Legge 517/77, che abolisce le classi differenziali nelle scuole italiane e introduce le figure dell’insegnante di sostegno e dell’assistente all’autonomia e la comunicazione; la Legge 833/78, che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, introducendo un modello universale di tutela della salute, intesa come stato di «completo benessere psico-fisico», perseguendo gli obiettivi di equità, partecipazione democratica, globalità degli interventi, coordinamento tra le Istituzioni, attraverso la territorializzazione dei servizi di assistenza sanitaria (oggi ASL); la Legge 180/78, cosiddetta “Legge Basaglia”, che abolisce le strutture manicomiali, e rimane riforma a metà anche a causa della morte dello stesso Basaglia che la voleva più compiuta, con le strutture territoriali di accoglienza che avrebbero sostituito l’istituzione totale manicomiale.
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Il nuovo PEI. Tra rose e spine. E un dulcis in fundo


di Raffaele Iosa

Il “nuovo PEI” previsto dal DM 182/2020, con annesse corpose “Linee Guida”, è una cosa seria. Seria e complessa perché il Ministero (di concerto col MEF)  ha messo insieme molte questioni,  alcune delicatissime,  realizzando ben  più di un semplice adattamento del PEI come strumento di programmazione, ma toccando vaste  altre questioni connesse: l’uso dell’ ICF, il calcolo delle  risorse di personale, fino ai temi della valutazione,  anche con l’interessante debutto del tema della transizione alla vita adulta nell’istruzione superiore.

Un’operazione vasta di restyling da leggere bene,  con molta (a volte pesante) scrittura, che tocca non solo la disabilità ma l’intero fare scuola. Spesso questi temi sembrano specialistici e tecnicamente difficili, almeno per gli insegnanti curricolari, e rischiano di restare cosa di nicchia. Per questo cercherò qui di esprimere con un linguaggio il più accessibile possibile un mio commento tecnico sia su questioni generali che analitiche sui punti più “caldi”  .

Esprimo da subito una mia valutazione d’insieme: è un lavoro di  spessore, con aspetti importanti di innovazione (le rose) ma contiene anche alcuni vizi e assenze (le spine) che rischiano di produrre per lo più l’ennesima “grida manzoniana”  di come dovrebbe essere l’inclusione (ce ne sono state molte in passato), con attese di qualità che potrebbero essere difficilmente mantenute.

Ne scrivo qui criticamente ma in modo propositivo sulla base della mia esperienza professionale  pedagogica, scientifica, amministrativa, a livello locale, nazionale, internazionale.

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La crisi irreversibile dell’inclusione scolastica italiana

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Ecco il testo “intervista a Raffaele Iosa a commento sui dati della ricerca ISTAT 2020 su scuola e inclusione disabilità. Perché in 20 anni le certificazioni sono raddoppiate?
Perché questa grave medicalizzazione di troppi bambini? Perché c’è una gestione caotica e squalificata dei posti di sostegno e degli assistenti autonomia? Perché una medicalizzazione violenta mette in crisi l’inclusione? I segni di una crisi irreversibile?

“Un’analisi critica dura e dolorosa che – commenta ancora Raffaele Iosa – stanno mettendo in luce una brutta verità: l’inclusione italiana è in una crisi ormai irreversibile, culturale e organizzativa.  Domina la ‘tecnica terapeutica’ isolante, un conservatorismo compassionevole pieno di vizi assistenziali. È un fallimento dei sogni e della fatica di molti di noi, ormai vecchi, che per l’inclusione hanno dato la vita. Né la politica né il sindacato né la “cultura accademica” pensano. Il dolore infantile e dei bambini, che esiste, è solo un pretesto per altre cose. Posti, carriere, mercato iatrogeno. La mia tristezza non ha più limiti”.

 

Nuovo PEI: dalla condivisione all’approvazione. Cosa cambia?

di Evelina Chiocca

L’art. 7 del decreto legislativo 96/2019, il provvedimento che ha modificato il decreto legislativo 66/2017, al comma 2 lettera a) prevede quanto segue:
2. Il PEI di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dal presente decreto:
a) è elaborato e approvato dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione di cui all’articolo 9, comma10;».
In sintesi, il Gruppo di lavoro operativo, composto dai docenti della classe, dai genitori, dagli specialisti ASL e da personale “interno ed esterno alla scuola” che interagisce con la classe e con l’alunno con disabilità (ma l’alunno con disabilità non è parte integrante della classe?), è chiamato a “elaborare e approvare” il PEI.
Secondo il nuovo provvedimento (applicativo della legge Buona scuola), nel GLO si perderebbero il confronto, il dialogo, la co-progettazione, che si caratterizzano nella condivisione, fulcro essenziale. Ciò avverrebbe se venisse adottata l’approvazione del PEI.
L’approvazione supporta o impedisce il processo inclusivo?
Approvare le scelte assunte durante la redazione del PEI significa chiedere ai componenti di esprimersi con un voto, esattamente come avviene nel Consiglio di classe o in Collegio docenti, dove la maggior parte delle decisioni è assunta a maggioranza.
Appare evidente che, secondo questa impostazione, nel GLO la famiglia risulta essere la parte più debole, in quanto numericamente inferiore rispetto agli altri partecipanti.
Al conteggio dei voti, le indicazioni dei genitori.

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ICF, un nuovo approccio alla disabilità

bimbo_leggedi Antonia Carlini

La definizione di “persona handicappata” usata nell’art.3 legge 104 restituisce un’idea della disabilità ancora legata al modello medico tradizionale, coerente con la logica della categorizzazione e della classificazione delle patologie riconosciute a livello organico. Secondo tale norma, è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

Nella definizione, la disabilità (difficoltà nello svolgimento di una attività o azione nei tempi e nei modi convenzionali) è strettamente legata alla patologia (minorazione), secondo una logica deterministica lineare, da cui consegue una condizione di svantaggio personale e sociale (handicap). Secondo tale visione, solo per un gruppo ristretto di soggetti speciali viene prevista la necessità di un intervento di compensazione, di adeguamento e molto spesso di “normalizzazione”. Sicché solo gli alunni disabili con deficit strutturati e certificati risultano titolati a ricevere interventi individualizzati mirati.

Tale paradigma, tuttavia, anche nel dibattito culturale e pedagogico nazionale e internazionale, è evoluto verso una prospettiva diversa, coerente con un approccio di tipo socio-culturale, per cui la disabilità è determinata dall’interazione negativa tra le caratteristiche personali (patologia e funzionamenti) e le condizioni ambientali e di contesto poco favorevoli ed ostacolanti, piuttosto che l’effetto automatico di un deficit. Ne consegue che non sempre il deficit è causa di disabilità.

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L’insegnante di sostegno che riduce la distanza

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bambini_scuolaL’istituzione della Repubblica che ha la fortuna di fondarsi su relazioni umane dirette ed evolutive – tra bambini, ragazzi e adulti da una parte e tra pari dall’altra – è ferma.
Sostenere che l’emergenza può diventare per la scuola un’opportunità è marketing politico-commerciale. Pertanto, non ci appartiene.
Siamo insegnanti di sostegno specializzati e in via di specializzazione, specificamente formati e valutati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ma non ci interessa parlare di innovazione: ci interessa garantire inclusione. È il nostro compito professionale, sul piano deontologico e sul piano operativo, della quotidianità didattica. E in questo momento la scuola inclusiva è fortemente a rischio.

Sono le parole con cui un gruppo di Insegnanti di sostegno specializzati e specializzandi della secondaria di secondo grado del Piemonte presenta una propria ricerca su attività didattiche pensate per essere inclusive.
Il documento – spiegano i docenti –  vuole contribuire al lavoro di coloro che in questi giorni sono impegnati a progettare e mettere in atto “scuola a distanza” in modo consapevole e critico, senza ingenua improvvisazione e con un approccio che vada oltre gli aspetti funzionali degli strumenti digitali per la comunicazione a distanza.

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