Disabili e inclusione: problemi aperti

Loretta Lega (dalla rivista on line Scuola7) Uno sguardo d’insieme A leggere i dati del Rapporto annuale del MIUR sullo stato dell’integrazione scolastica (MIUR, I principali dati relativi agli alunni con disabilità. A.s. 2017/18, Roma, maggio 2019) dovremmo essere tutti molto soddisfatti. Si registra infatti un aumento dei posti di sostegno attivati (155.997 unità rispetto ai 90.026 di dieci anni prima), e questo, a fronte della persistente (ma quanto fondata?) denuncia di carenza di personale di sostegno, non può che essere una buona notizia.

Anche l’aumento degli alunni certificati ai sensi della legge 104/1992, che oggi ammontano a 268.246 unità (pari al 3,1% della popolazione scolastica, rispetto al 2,16% di dieci anni fa), potrebbe essere letto in quest’ottica: – sta migliorando la capacità dei servizi educativi e sanitari di prendere in carico i casi di disabilità, attraverso l’affinamento degli strumenti diagnostici; – si riscontra una maggiore sensibilità e attenzione di genitori e insegnanti; – si conferma l’impegno puntuale e consistente delle istituzioni scolastiche in tema di inclusione (si pensi che il 48,1% delle classi italiane vede la presenza di almeno un alunno disabile).

Gli stessi dati, tuttavia, possono essere letti anche con qualche preoccupazione, per l’ambiguità del messaggio che veicolano: l’aumento delle certificazioni può segnalare un abbassamento della soglia di certificabilità, dando luogo ad una sorta di medicalizzazione delle difficoltà e dei disturbi generici di apprendimento, che si riscontrano in ampie fasce della popolazione scolastica.

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Bisogni educativi: speciali perchè ?

bimbo_legge  di Alain Goussot (*) Di cosa si parla quando ci si riferisce ai bisogni educativi speciali  ? Di bisogni particolari per quanto riguarda il processo di apprendimento e di sviluppo. Ma, bisogni particolari non vuole dire che si tratta di bisogni così diversi da essere riservati ad una categoria speciale di alunni. O meglio a categorie speciali di alunni. Quali categorie? Alunni con deficit e disabilità, alunni con disturbi specifici dell’apprendimento e disturbi generici dell’apprendimento, alunni con forte disagio socio-relazionale e socio-culturale, alunni con un ‘funzionamento cognitivo limite’ Qui non vi è il rischio di allargare troppo questo concetto di bisogni speciali o particolari o specifici (per usare un termine che usano di più nel mondo francofono)? Se parlo di alunni con deficit e disabilità parlo di alunni che, per potere accedere anche ai bisogni di tutti (quelli elencati prima; cognitivi, affettivi, sociali, culturali), devono avere delle risposte specifiche per poter apprendere e crescere : come ha scritto Vygotskij il bambino con deficit ha bisogno di mediazioni e di mediatori per consolidare, sviluppare e arricchire i propri meccanismi compensativi (per Vygotskij ricordiamo che il deficit non rende automaticamente un bambino ‘deficitario’ cioè handicappato, anzi che questo attiva uno sviluppo sì ‘atipico’ ma originale e creativo); per fare questo l’educatore deve proporre dei ‘percorsi indiretti’ , cioè delle forme mediate di apprendimento (oggi parliamo di misure compensative e dispensative). (*) docente di Pedagogia Speciale Università di Bologna prematuramente scomparso il 27 marzo 2016. L’articolo che proponiamo è stato pubblicato sulla rivista Handicap & Scuola n .169 del maggio-giugno 2013. Leggi l’intervento completo]]>

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L'alunno disabile non ha il "suo" insegnante, ma i "suoi" insegnanti

di Evelina Chiocca L’errore di fondo è, per molti, è di ritenere che a scuola “solo il docente di sostegno” possa e debba assicurare il percorso di crescita e di formazione dell’alunno con disabilità. Si tratta di una visione totalmente distorta!!! L’inclusione si realizza grazie “alla sinergia e alla collaborazione reale” di tutti i docenti della classe. Il docente “incaricato su posto di sostegno”, da solo, non garantisce gli apprendimenti né l’attuazione del processo inclusivo. Insistere su un’unica figura professionale è controproducente e non è neppure in linea con l’impostazione di “integrazione” introdotta negli anni Settanta del secolo scorso e di “inclusione”, oggi. Eppure stampa, servizi dedicati, servizi giornalistici, come pure le testimonianze di alcuni docenti, ripropongono questa impostazione, consolidando una “pseudo-cultura”, direi, opposta rispetto a quella che l’inclusione promuove. Continua a leggere

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