Inclusione, un augurio per il 2025: che sia l'anno della cattedra inclusiva

di Cinzia Mion E’ tornato di grande attualità oggi il tema dell’inclusività della scuola collegato alla formazione di “tutti” i docenti, fino all’ipotesi della cosiddetta “cattedra inclusiva”, che tante polemiche sta suscitando. Molto importante e chiarificatore appare l’individuazione da parte dell’INVALSI degli indicatori di “inclusione” della scuola: condivisione, spinte al cambiamento, senso di appartenenza ad una comunità inclusiva fondata sul sostegno reciproco, sulla solidarietà e il sentire comune. Proviamo ad addentrarci nella tematica. Un manifesto della scuola inclusiva non può non partire dall’articolo 3 della Costituzione che, come tutti sanno, parla di uguaglianza… Compito della scuola, Istituzione della Repubblica, è quello di rimuovere l’ignoranza che impedisce ai suoi cittadini la completa realizzazione e partecipazione in un Paese democratico. Questo è riferito ai soggetti che frequentano la scuola, ovviamente appare speculare l’impegno dei docenti. O meglio dovrebbe apparire!

Il contesto

Il contesto su cui ci troviamo a condurre delle riflessioni sulla scuola inclusiva ha delle caratteristiche particolari che vanno esplicitate. Descrivere il contesto significa non soltanto far riferimento semplicemente al territorio di appartenenza, sia pur indispensabile. Significa in modo più pregnante focalizzare il contesto socioculturale che può avere attinenza con l’operazione di includere o escludere. Significa allora fare un’analisi seria sui messaggi di intolleranza, di ideologica esclusione, per non dire di razzismo, che hanno attraversato e continuano ad attraversare la nostra società negli ultimi tempi, con grande preoccupazione per il livello di inciviltà raggiunto, nella più completa impudicizia degli acclamanti o nella indifferenza della massa. Una specie di “bullismo sociale” spesso gravemente agito da figure istituzionali. I bambini e i ragazzi ci guardano ed imparano. Continua a leggere

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La scuola delle disabilità

di Daniele Ferro Dispensato da leva militare o surrogati, per magnanime virtù anagrafiche, a volte mi chiedo se fosse opportuno progettare un Servizio civile obbligatorio, anche breve ma ad ogni modo in situazioni difficili, da svolgersi entro una certa età (25 anni?).

L’ultima volta me lo sono chiesto grazie al pasticciaccio di Antonello Venditti a un concerto: insulti a una donna con disabilità e scuse ex post. L’episodio mi ha spinto a ripensare a una settimana di lavoro che svolsi in un soggiorno estivo quando avevo 23 anni, e che per la mia formazione valse più di un anno di scuola almeno. Grazie agli scout, da ragazzino avevo già conosciuto le diversità, ma non avevo mai fatto volontariato con persone con gravi disabilità. Quell’estate, studente di Cooperazione a Roma, inviai il curriculum a una cooperativa, su consiglio d’un compagno di corso che aveva svolto egli stesso l’esperienza in precedenza. Insieme a un trentacinquenne, mi presi cura di un ragazzo poco più grande di me. Era in sedie a rotelle, impossibilitato a muoversi, a parlare o a comunicare a gesti: una notevole disabilità fisica e cognitiva. Quando era contento, però, Antonio lo manifestava benissimo. Ed ero contento anch’io, perché prendendomi cura di lui – insieme a un collega più saggio ed esperto di me – stavo imparando a gogò sulla vita. Soltanto, provavo particolare inquietudine quando, dopo che lo avevamo lavato, Antonio si guardava allo specchio in bagno; mi chiedevo: «Si renderà conto di sé?». Una risposta non l’ho mai trovata. Ma ne arrivò un’altra ben più preziosa, per una situazione diversa, che mi rendeva molto più inquieto rispetto a quella di Antonio. Emozioni e pensieri che nei primi giorni mi terrificavano l’animo: riguardavano una ragazza malata di grave spasticità. Il fatto che fossimo nati nello stesso anno amplificava il mio sballottamento interiore: lei sarei potuto essere io.

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Inclusione e disabilità: il garbuglio degli educatori

di Raffaele Iosa Alcune decine di migliaia di educatori scolastici impegnati nell’ inclusione degli alunni e studenti con disabilità ai sensi dell’art. 13 della Legge 104/92, con le diverse denominazioni date dalle diverse regioni, sono alle prese in questi giorni in un’affannosa rincorsa alla loro “legittimazione formale” nel processo di costituzione del c.d. “albo degli educatori” previsto da una recentissima legge che ne istituisce un apposito albo delle diverse professioni socio-educative. Il tutto in pochissimi giorni, e con poca chiarezza su tutto. Ricapitolo a grandi linee la faccenda, di cui troppo poco si sa. La Legge 104/92 all’art. 13 prevedeva che a fianco degli insegnanti fossero attivi dei professionisti cosiddetti “assistenti all’autonomia e alla comunicazione”. Ma non solo: di questi si sarebbe dovuto costruire un “profilo professionale” e ovviamente un curriculum accademico corrispondente. In questi 32 anni (trentadue!) non è accaduto nulla di legislativo che definisse formalmente questa figura professionale nelle scuole. E questo anche per conflitti tra le associazioni che tutelerebbero la disabilità, il disinteresse dei sindacati e l’incertezza dei diversi enti regionali e locali cui è assegnata effettivamente la responsabilità gestionale di questa professione secondo il processo di autonomia regionale nato a fine del secolo (modello Bassanini). Fin qui una storia molto italiana. Col tempo il termine più utilizzato nel definire queste figure è diventato “educatori professionali”, e da una ventina d’anni esiste una laurea universitaria apposita , la L 19, che ha un curricolo molto pertinente dedicato a questa professione inclusiva. Continua a leggere

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Cattedra inclusiva: il vademecum per partecipare alla sperimentazione

Il  documento che alleghiamo è stato predisposto a supporto del progetto di legge intitolato “Introduzione delle cattedra inclusiva nelle scuole di ogni ordine e grado”  e intende offrire uno strumento operativo per i dirigenti scolastici e per i docenti che intendessero, partecipando alla sperimentazione sulla Cattedra inclusiva, avviare esperienze finalizzate ad anticipare l’introduzione formale di questa modalità di attuazione della corresponsabilità educativa tra tutti i docenti dell’organico dell’autonomia. Il progetto di legge, come noto, prevede azioni e interventi indispensabili per la piena efficacia e per la generalizzazione della “cattedra inclusiva” (formazione iniziale, formazione in sevizio, coordinamento pedagogico dell’istituzione scolastica e territoriale, adeguate risorse umane e finanziarie), ma le esperienze in atto, pur parziali e limitate dai dettami vigenti, rappresentano, già adesso, un miglioramento della qualità educativa, dell’istruzione e della formazione e, al contempo, arricchiscono di concretezza e di pensiero un movimento nella direzione culturale e politica sottesa al progetto di legge. Per partecipare alla sperimentazione, contattare la prof.ssa Evelina Chiocca all’indirizzo mail: evelina.chiocca@unimol.it [dearpdf id=”4895″][/dearpdf]]]>

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Ancora sulla cattedra inclusiva: quando l'inclusione è reale

di Evelina Chiocca Corresponsabilità e continuità educativo-didattica: le parole-chiave per scrivere / leggere “inclusione” Le attività di sostegno, promosse dal docente “con incarico sul sostegno” (docente assegnato alla classe a favore degli alunni con disabilità e del processo inclusivo – che è un processo culturale, e questo aspetto, rilevante, non va sottovalutato), hanno ragion d’essere e possono affermarsi “efficaci” se l’alunno apprende e se impara ad apprendere insieme ai coetanei. Se invece l’alunno si rapporta unicamente con un docente e non interagisce con gli altri (docenti) o rifiuta di interagire con altri, allora si è creata una “dipendenza” tale da impedire sia l’autonomia personale e sociale, fondamentale per la socializzazione, che la relazione, la comunicazione e l’interazione (in altri termini si preclude quegli aspetti vincolanti per l’attuazione del suo personale Progetto di Vita). Continua a leggere

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Fissiamo un tetto alle sgrammaticature di Valditara

di Mario Maviglia Ha ragione il Ministro Valditara a scagliarsi contro chi ha stigmatizzato i suoi errori linguistici contenuti in un tweet in cui parlava della necessità di costituire classi con la maggioranza di italiani, allineandosi alle posizioni del suo capopartito Salvini, nonché Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Questa vicenda ci fa capire tante cose interessanti:

  • Valditara dice: “Quando si detta un tweet al telefono non si compie un’operazione di rigore linguistico e si è più attenti al contenuto”. Verissimo! Però dall’altra parta del telefono ci si aspetta che chi prende la telefonata (ossia un collaboratore di Valditara, da lui stesso scelto, immaginiamo) abbia almeno la licenza di scuola media…
  • Il Ministro del Merito aggiunge che il processo di assimilazione degli alunni stranieri “avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano…”. Ecco, sarebbe opportuno che anche Valditara e l’ignoto suo collaboratore potenziassero a loro volta il loro italiano. La lingua italiana sarebbe loro grata.
  • Secondo il Valditara-pensiero (preso a prestito dal suo capopartito Salvini) questo processo di assimilazione degli studenti stranieri avverrà “se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana…” [Si noti la finezza sintattica di quel “si insegni”, una vera chicca e licenza poetica. Non è ancora licenza media, ma la strada è tracciata. Con il potenziamento di cui sopra ce la possiamo fare…]. Ma qui il Valditara-pensiero denuncia qualche défaillance (tranquillo, sig. Ministro: vuol dire “debolezza”): infatti i risultati peggiori – almeno stando alle classifiche internazionali come OCSE-PISA – gli allievi delle scuole italiane li conseguono nelle scuole superiori dove la presenza degli alunni stranieri è più bassa. E allora come la mettiamo? Forse questa necessità di “approfondimento” non riguarda solo gli studenti stranieri, ma anche e soprattutto quelli italiani.
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Il disastro della finta inclusione: bambini cattivi e note disciplinari

disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Raffaele Iosa  Riprendo e copio qui  queste due lettere di aiuto su brutte esperienza scolastiche di alunni e studenti con disabilità, riprese da un sito FB molto frequentato da insegnanti e genitori. Sui siti specializzati in consulenza sull’inclusione scolastica ne arrivano di questo tipo continuamente.   Lettera 1 “….. Vorrei chiedervi se è normale che l’insegnante di sostegno di mio  figlio gli faccia  ogni giorno  note disciplinari, piuttosto che seguire la tecnica  di gestione dei comportamenti-problema.   Mio figlio è art. 3 comma 3 Legge 104, ADHD+ DOP + disregolazione emotiva, situazione familiare difficile.  Esiste una normativa in merito?” Lettera 2 “ Buon giorno, sono una docente di sostegno, il mio collega curricolare mette diverse note disciplinari al mio alunno ADHD e DOP. Io lo trovo controproducente in quanto dopo ogni nota lui smette di lavorare. Cosa devo fare?” A proposito di questo mio breve commento sull’argomento ADHD e DOP,  i quotidiani di oggi raccontano di una sospensione di ben 15 giorni a Ladispoli  per un ragazzino con queste disabilità,  che è stata soppressa dal TAR Lazio e con una scuola che riceverà da Roma “una visita ispettiva”. Servirà a qualcosa? Mah. Continua a leggere

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Alunni stranieri: come "integrarli" nelle nostre scuole? In classi separate (come sembra proporre il ministro Valditara) o nelle classi di tutti?

Questa è una presentazione della video-intervista con Raffaele Iosa. Il testo è stato prodotto con uno strumento di IA.

L’integrazione degli alunni stranieri nelle scuole italiane: una prospettiva critica

In un contesto educativo sempre più diversificato, l’integrazione degli alunni stranieri rappresenta una sfida fondamentale per il sistema scolastico italiano. Tuttavia, recenti proposte del Ministero dell’Istruzione hanno suscitato dibattiti e controversie riguardo al modo migliore per accogliere e supportare questi studenti. In questo articolo, esamineremo da vicino la questione, analizzando le opinioni espresse da Raffaele Iosa, un esperto nel campo dell’istruzione e dell’integrazione. https://youtu.be/kI2b2fV1NoI

Riflessioni sull’accoglienza degli alunni stranieri

Raffaele Iosa critica aspramente l’approccio proposto dal Ministero, che suggerisce la creazione di classi separate o differenziali per gli alunni stranieri al fine di facilitare l’apprendimento della lingua italiana. Secondo Iosa, questa proposta riflette una visione superficiale e ideologica, trascurando l’importanza della socialità e della naturale interazione tra coetanei per lo sviluppo linguistico e sociale degli studenti stranieri. Continua a leggere

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E' da un po' che lo diciamo: le classi speciali stanno tornando!

di Raffaele Iosa Sto lavorando con alcuni amici allo sviluppo di quella che abbiamo chiamato “cattedra inclusiva”. Le ragioni pedagogiche nascono dal fatto che l’inclusione scolastica è in crisi sia per l’esplosione di migliaia diagnosi e certificazioni che hanno moltiplicato a dismisura i posti di sostegno, sia per una tendenza patologica a centrare nel solo “insegnante di sostegno”, eventualmente supportato dall’assistente comunale, la scolarità fino al termine “copertura totale” per intendere più che un’inclusione una paradossale “isolazione” di tanti bambini e ragazzi; tanto che più che di comunità di coetanei si dovrebbe parlare di guardiania pedagogica. Per queste ragioni, tutte dolorose, proponiamo un cambio di rotta con una formazione dedicata e obbligatoria per tutti i docenti curricolari, per coinvolgere tutti nel processo attivo di inclusione. Ma c’è anche una ragione più grave per cui ci siamo mossi ad allargare la partecipazione di tutti i docenti all’inclusione. Il fatto é che numerosi segnali ci indicano una tendenza in atto volta a ripristinare “scuole speciali” separate tra i cd “normodotati” e i cd “neurospecifici”. A chi ci ha dato dei “pessimisti catastrofici” segnalo la scoperta di una nuova fantasiosa forma di scolarizzazione detta delle “sezioni di potenziamento”. Lasciate perdere il termine che parrebbe positivo: si tratta invece di vere e proprie “classi speciali” composte da 4 a 7 alunni con un programma “isolante” e nel quale insegnanti (tutti di sostegno ovviamente), educatori e specialisti lavorano insieme tutti i giorni per tutte le ore di scuola. Continua a leggere

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Cattedra inclusiva tra utopia e realtà

di Pietro Calascibetta Sono già intervenuto sull’argomento e non voglio ripetermi. Desidero però fare alcune osservazioni prendendo spunto dalla piega che sta prendendo il dibattito, perché temo che si rischi di perdere di vista il nocciolo del problema per il quale è stata fatta la proposta di legge. Se si vuole raccogliere dei consensi o dei contributi di riflessione su una proposta e trovare eventualmente le giuste mediazioni, bisogna che sia chiaro il problema che si affronta e l’obiettivo che si vuole raggiungere vedendo ciò che è più funzionale e ciò che lo è meno nella proposta e nelle obiezioni. In caso contrario qualsiasi discussione prende la piega di un’esternazione di punti di vista in base al proprio umore o peggio dei propri orientamenti ideologici condivisibili o meno facendo naufragare ciò che di positivo è possibile fare utilizzando la suggestione della proposta. LA “GRANDE MALATTIA” Il fatto che le “certificazioni” siano aumentate è sicuramente un dato certo come scrive Raffaele Iosa in “Il declino dell’inclusione scolastica. Cambiare radicalmente rotta?” Io però non sono del tutto d’accordo nel credere che sia il frutto di una generalizzata volontà di medicalizzare le difficoltà di apprendimento. Le difficoltà di apprendimento esistono indipendentemente che siano o meno certificate così come esistono gli stili di apprendimento e i bisogni più o meno “speciali” e riguardano tutti gli studenti. L’esplosione della “grande malattia” ha per me un’origine diversa da una generica volontà di medicalizzare i comportamenti degli alunni. La “grande malattia” non è la causa del problema del “declino dell’inclusione” bensì un effetto. Andare più a fondo di questo effetto permette di definire meglio il problema e individuare qual è effettivamente l’obiettivo da raggiungere. Continua a leggere

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