L’educazione civica (o “cinica”) a cui pensa il ministro Valditara

Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

E pensare che c’è stato un tempo della mia gioventù professionale in cui ho creduto fortemente che fosse possibile “cambiare “ il mondo in senso migliorativo, attraverso la Politica, la Democrazia, l’applicazione della partecipazione democratica a Scuola attraverso un’ Educazione cooperativa e sensibile all’attenzione per tutti, in grado veramente di realizzare quello che oggi definiamo il BENE COMUNE.
Ricordo anche che più avanti, diventata direttrice didattica, trovandomi tra i fondatori dell’ ANDIS ( Associazione nazionale dirigenti scolastici) ho steso la traccia del Codice Etico della stessa associazione.
Rammento di quanto abbia insistito in questo codice, ancora sopravvissuto ai giorni nostri, nel porre attenzione al rischio che l’impegno etico dei dirigenti non si traducesse nelle semplice “correttezza” dovuta all’appartenere alle figure dirigenziali del settore pubblico, dimenticando che “per dettato esplicito della legge, invece, l’Istituzione Scuola deve formare le giovani generazioni alla “cittadinanza e all’etica pubblica”. Credo allora che questa ultima espressione vada esplicitata meglio.
In questo momento storico si fa un gran parlare, nuovamente, di affidare alla scuola l’educazione civica anche da parte del nuovo governo, attraverso il ministro Valditara.
Non credo assolutamente che così come è stata configurata finora l’educazione civica, disciplina di 33 ore annue, con verifiche e voti conseguenti, possa risanare il Paese attraverso ‘i ragazzi’. Noi pensiamo che formare alla cittadinanza voglia dire invece diffondere quell’etica pubblica, e non solo una morale privata, che risulti fondata sui valori condivisi e costituzionali, laici e pluralisti.
La difficoltà in Italia a diffondere questi valori ha radici lontane.
Vediamo però ora che cosa si intende per “etica pubblica”.

“ DIFFERENZA TRA MORALE ed ETICA: tra senso di colpa e senso di responsabilità”

La morale riguarda ciò che comunemente si chiama ‘coscienza’: legge genitoriale interiorizzata; in genere deriva dalle norme assunte dal gruppo di appartenenza, per stabilire e distinguere ciò che si considera giusto da ciò che si considera sbagliato. Indica la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito. La linea di demarcazione segnala il ‘limite’– ammesso e non concesso che oggi i genitori siano in grado di segnalarlo – che poggia sul senso di COLPA.
L’etica invece indica il modo di comportarsi nella dimensione pubblica nel rapporto con gli altri. Poggia sul senso di RESPONSABILITA’: quindi presuppone una scelta consapevole e ha a che fare con la cosiddetta ‘società civile’. Gli elementi costitutivi della società civile sono relazioni/legami di tipo secondario, non primario (si costituisce perciò aldilà dei legami parentali, familiari, amicali). Si organizza con processi dal basso e occupa una posizione intermedia tra individuo e istituzioni. La società civile è appunto il luogo dove si forma l’etica pubblica. La fiducia dovrebbe essere il valore centrale attorno al quale si costituisce questa tipologia di società. Beh, il nostro Paese, tra le derive sociali preoccupanti da cui in questo periodo storico viene connotato, continua ad essere caratterizzato da un forte deficit di ETICA PUBBLICA.

Dicevamo che il deficit di etica pubblica ha radici lontane. Edward Banfield infatti negli anni Cinquanta del secolo scorso ha definito ‘familismo amorale’ la speciale malattia degli italiani, caratterizzata da scarso senso di socialità – non nel senso di socievolezza, ma nel senso di attenzione alla coesione sociale – perché non hanno il senso dello Stato, dimostrando inoltre di nutrire sfiducia nelle Istituzioni. Sta di fatto che porre il proprio “tornaconto personale o familiare” sempre e comunque prima di quello ‘collettivo’, nell’insofferenza a qualsiasi regola e nell’esaltazione della famigerata ‘furbizia Italiana’, rimane ancora oggi la caratteristica peculiare negativa che rende difficile in Italia la consapevolezza del deficit di etica pubblica.
Possiamo tranquillamente dire che iscritta nel nostro DNA c’è questa ricerca costante del proprio “tornaconto”, molto difficile da estirpare, se non da parte di una Scuola che sa interrogare se stessa e sa costruire esempi positivi da imitare e riflessioni costanti sui vari comportamenti al fine di individuare nelle scelte quelle finalizzate alla costruzione del BENE COMUNE e quelle invece utili a ritagliarsi solo la propria convenienza.

SAPER RINUNCIARE

Il “bene comune”, ovviamente, non è costituito dalla somma dei beni individuali. Nasce dalla capacità di ognuno di noi a rinunciare a “qualcosa” e di sapere che imparare a sopportare la “rinuncia” significa sentire che questa è diversa dalla “perdita”(che riguarda l’”essere” e non l’”avere”).Quindi invece che sentire di aver perso qualcosa avvertire di aver guadagnato rispetto alla stima di sé.

AUTOINTERROGAZIONE

A questa analisi approfondita la scuola deve però sottoporre prima se stessa. Verificare quanto di ciò che “dichiara” corrisponda sempre “all’effettivo”; quanto ancora delle proprie azioni possa essere inficiato dalla pratica del ‘fare finta’ da cui spesso non è stata esclusa la Pubblica Amministrazione in tutte le sua branche, compresa la scuola (come per esempio “fare finta di non sapere che gli studenti copiano le versioni dal traduttore”, come confidò un liceale una decina di anni fa); quanto sia ancora lo iato tra il valore del codice etico esplicito e quello implicito. In altre parole tra le “prediche” e le “pratiche”; tra le Linee guida del MIM sull’educazione civica (codice esplicito) e la sua realizzazione autentica e pratica tenendo conto di quanto affermato finora (codice implicito).
Provate a farvi un ‘autotest’: immaginate di entrate in un parcheggio, di urtare con la vostra automobile quella di un altro. Tutti noi sappiamo come dobbiamo comportarci, ma anche sappiamo come spesso invece ci comportiamo veramente. Questo scostamento tra la correttezza sociale e la scorrettezza, che in questo caso appare minimale, la dice lunga su consuetudini difficili da scardinare. Un altro esempio più grave ma molto usuale può essere l’opportunità di usare una ‘raccomandazione’, oppure copiare a un concorso… Tutti sappiamo che è ingiusto nei confronti degli altri, quanto possa produrre danni a terzi, (si tratta di un posto di lavoro!) eppure…

CITTADINANZA vs SUDDITANZA

Un aspetto inoltre importantissimo e ineludibile che deve assumere la scuola è la formazione a diventare cittadini e non sudditi..
Definiamo prima di tutto le caratteristiche del SUDDITO: egli è colui che offre un ‘servigio’ in cambio di un privilegio o di protezione (oggi il servigio può essere il “voto”); in questo senso è de-responsabilizzato e tende a raggiungere il massimo dell’interesse personale aggirando gli ostacoli; non è disposto a pagare prezzi per la propria autonomia di giudizio e usa il consenso e il servilismo per avere vantaggi.
Il CITTADINO assume la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni (come raccomandano le Indicazioni): accetta la comune fatica della difficile costruzione dell’etica della responsabilità in una società storicamente imprevedibile; sopporta la complessità delle emozioni, riuscendo a stare nelle incertezze, nei dubbi, senza essere impaziente di pervenire a fatti e a ragioni; cerca azioni generative di “senso”, usando competenze autoriflessive e argomentative e impara a scegliere e decidere di conseguenza. Alla fine il cittadino si dimostra veramente tale se sa anche rinunciare ai privilegi o affronta i disagi, se ciò gli permette “l’autonomia di giudizio”, il pensiero critico e la realizzazione dei suoi ideali. L’aspetto più notevole è però quello di ritrovarsi orgoglioso di pagare qualche prezzo pur di NON ASSERVIRSI!!!

Onorevole VALDITARA, che ci azzecca allora, alla luce di tutto questo, il concetto di PATRIA? E quello di impresa, di educazione finanziaria e assicurativa? C’entra ancora una volta con il PROFITTO?
Non è di questo che ha bisogno l’italiano medio, (ci sa pensare da solo), per poter guardarsi allo specchio senza vergognarsi, ma di ETICA PUBBLICA….
Ma di sicuro non sono i politicanti di adesso che possono aiutarci a raggiungere questo obiettivo.
Abbiamo bisogno di POLITICA con la P maiuscola. Di quella politica che per il BENE COMUNE sa rinunciare al CONSENSO facile, ricercato fino allo spasimo fino ai teatrini cui veniamo sottoposti continuamente, da tempo immane, fino ai nostri giorni. SENZA VERGOGNA.
Di quella POLITICA che a vent’anni io ho creduto potesse cambiare il mondo….




Il congiuntivo nella Costituzione italiana

di Nicola Bruni

Quando facevo il prof di italiano, talvolta mi avventuravo nell’insegnamento della “grammatica costituzionale”, proponendo come frasi da analizzare articoli della nostra Magna Charta.
Questa mi riusciva particolarmente utile per spiegare il corretto uso del congiuntivo, mentre il congiuntivo mi serviva da pretesto per parlare della Costituzione.
Scorrendo il testo approvato il 27 dicembre 1947 dai Padri costituenti, con le successive modifiche, vi ho contato la presenza di 55 forme verbali al congiuntivo, tutte coniugate al tempo presente, in proposizioni consecutive, ipotetiche dell’eventualità, condizionali, dichiarative, soggettive, oggettive, finali, limitative, eccettuative, temporali.

Alcuni esempi:

RELATIVA IPOTETICA DELL’EVENTUALITA’: “Lo straniero, AL QUALE SIA IMPEDITO nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge” (art. 10, comma 3).
CONDIZIONALE: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma […], PURCHE’ NON SI TRATTI di riti contrari al buon costume” (art. 19).
DICHIARATIVA: “I lavoratori hanno diritto CHE SIANO PREVEDUTI E ASSICURATI mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art. 38, c. 2).
SOGGETTIVA: “È condizione per la registrazione CHE gli statuti dei sindacati SANCISCANO un ordinamento interno a base democratica” (art. 39, c. 3).
OGGETTIVA: “Nel processo penale, la legge assicura CHE la persona accusata di un reato SIA, nel più breve tempo possibile, INFORMATA riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” (art. 111, c. 3).
FINALE: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni PERCHE’ l’attività economica pubblica e privata POSSA ESSERE INDIRIZZATA E COORDINATA a fini sociali” (art. 41, c. 3).
LIMITATIVA: “L’estradizione del cittadino può essere consentita SOLTANTO OVE SIA espressamente PREVISTA dalle convenzioni internazionali” (art. 26).
ECCETTUATIVA: “Il Presidente della Giunta regionale, SALVO CHE lo statuto regionale DISPONGA diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto” (art.122, c. 5).
TEMPORALE: “FINCHE’ NON SIANO RIUNITE le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” (art. 61, c. 2).

Ma i congiuntivi “costituzionali” più belli, a mio giudizio, sono quelli programmatici che compongono le due proposizioni RELATIVE CONSECUTIVE dell’articolo 4:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni CHE RENDANO effettivo questo diritto”.
“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione CHE CONCORRA al progresso materiale o spirituale della società”.

Ovviamente – facevo notare ai miei alunni – la CONSEGUENZA di quest’ultima norma della Costituzione è che ogni studente ha il dovere di formarsi al meglio delle proprie possibilità, per poter dare un contributo al progresso materiale e spirituale dell’Italia.




Giornata della Memoria, il Ministero teme “iniziative che possano turbare gli studenti”. Ma a cosa si riferisce?

di Mario Maviglia

La direttrice generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha inviato ai “dirigenti scolastici degli istituti scolastici di ogni ordine e grado del Lazio” una nota “riservata” (talmente “riservata” che la si può tranquillamente trovare sui social) che recita testualmente così: “Oggetto: Svolgimento delle attività didattiche. Nell’approssimarsi della Giornata della Memoria ed alla luce degli scenari internazionali di crisi si raccomanda le SS.LL. di porre la massima attenzione per prevenire iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse nonché il regolare funzionamento delle attività scolastiche. Ogni eventuale elemento di novità al riguardo deve essere rappresentato allo scrivente Ufficio con la massima tempestività. Il direttore generale” ecc. ecc.

Non sappiamo se la nota nasce da qualche sollecitazione del Superiore Ministero o se è stata una iniziativa della direttrice regionale; in ogni caso merita qualche osservazione, che (lo anticipiamo) forse non sarà politicamente corretta, ma speriamo eticamente irreprensibile. Innanzi tutto non si comprende quali possano essere quelle “iniziative o comportamenti che possano turbare la serenità degli studenti e delle studentesse.” Utilizzando un approccio ermeneutico-inferenziale abbiamo provato a indicare alcune di queste iniziative potenzialmente “turbanti”:

  • I ragazzi e le ragazze inneggiano alle Brigate Rosse et similia (ma la cosa appare inverosimile in quanto gli studenti odierni non sanno neppure cosa fossero le Brigate Rosse).
  • Gli studenti e le studentesse manifestano pubblicamente a favore delle camere a gas naziste (ma queste manifestazioni sono tipiche di CasaPound et similia e dunque la nota andrebbe rivolta a questi centri di estrema destra, ma in questo caso è competente il Ministero dell’Interno, non il MIM).
  • I giovani manifestano contro la guerra (e questo sarebbe “turbante” per i giovani?).
  • I giovani manifestano a favore della pace (e anche questo sarebbe “turbante” per i giovani?)

L’espressione “manifestare” va qui intesa in senso lato (discussioni, dibattiti, proiezioni di filmati e altre iniziative che le scuole possono organizzare per l’occasione all’interno della scuola o all’esterno con il coinvolgimento della comunità locale).

Si può, ovviamente eccepire che la Giornata della Memoria è stata istituita per commemorare le persecuzioni e lo sterminio degli ebrei e dei deportati militari e politici italiani nei campi di concentramento nazisti e dunque questo è il perimetro all’interno delle quali collocare le attività didattiche. Tutto ciò che va oltre questo perimetro è in contrasto con il significato e il senso della Giornata della Memoria. Ma questo non è ampiamente già noto alle scuole? Perché inviare una nota di quel tenore?

Ci può essere un’altra ragione, considerato quello che sta succedendo in Italia in questo periodo: probabilmente il MIM vuole prevenire manifestazioni di sostegno al popolo palestinese da parte degli studenti. Potrebbe essere questo l’”eventuale elemento di novità” da segnalare all’USR? In ogni caso, poiché l’oggetto della nota è “svolgimento delle attività didattiche” non risulta che il DPR 275/1999 (Regolamento dell’Autonomia) e le altre norme vigenti prevedano che le istituzioni scolastiche debbano segnalare al Superiore Ufficio quali attività didattiche hanno in programma di realizzare, anche se queste dovessero contenere “elementi di novità” (peraltro non ben specificati).

Questo detto/non detto, questo giocare sull’ambiguità della comunicazione nasconde chiari intenti di controllo e di ricatto e tende a fare in modo che le scuole si autolimitino nella loro libertà espressiva e di ricerca. Nulla di nuovo sotto il sole: in fondo il MinCulPop era basato su questo sistema: fare in modo che le persone si autocensurassero attraverso un controllo serrato dei loro comportamenti. E, in quel caso, per la verità, anche attraverso azioni repressive. In questa dinamica l’USR rischia (consapevolmente o meno) di proporsi come un novello Argo Panoptes che attraverso i suoi cento occhi controlla continuamente i suoi sottoposti, forse per tranquillizzare (per non “turbare”?) il suo committente, ossia il Superiore Ministero.




PNRR Scuola 4.0. Organizzazione dell’ambiente di apprendimento digitale e ruoli del docente

di Rodolfo Marchisio

 Premessa
Dopo aver sviluppato

si tratta ora di affrontare i temi relativi a

  • Organizzazione degli spazi e dei tempi e loro necessaria flessibilità in didattica che usi il digitale.
  • Diversi ruoli del docente. Il docente non solo ha un ruolo nuovo, ma deve imparare a giocare ruoli diversi.
  • Cosa intendiamo quando parliamo in modo insistente di cultura digitale, contrapponendola all’addestramento all’uso di uno strumento o ambiente, come compito della scuola e quindi anche dei progetti relativi al piano.

Cos’è un ambiente di apprendimento, come si articola e organizza? Quali sono i ruoli che il docente deve imparare a giocare quando propone un lavoro in ambiente digitale

PROGETTARE L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO DIGITALE

“L’ambiente di apprendimento rappresenta il contesto in cui gli allievi maturano le proprie abilità e conoscenze e sviluppano le competenze di Cittadinanza; esso è un elemento fondamentale per la realizzazione di percorsi educativo-didattici significativi. Per questo motivo, risulta decisivo dare una conformazione pedagogica all’ambiente di apprendimento. [1]

Didattica digitale: il web e le TIC come ambiente di apprendimento

Parole chiave: esplorazione, ricerca, relazione, comunicazione, collaborazione, condivisione, costruzione, ipertestualità, lavoro a distanza, capacità di valutare, capacita di scegliere, libertà di espressione. In rete l’intelligenza non sta solo nella mia testa ma nella testa di tutti coloro che interagiscono con me producendo esperienza L. Rosso. Si è quindi parlato a proposito del web di “Intelligenza collettiva” o “connettiva”.
S. Penge definisce l’apprendimento la “Capacità di impadronirsi di un ambiente”.

Le risorse digitali arricchiscono il contesto scolastico, aprendo una finestra sul mondo. Inoltre, costituiscono già un luogo di apprendimento implicito non organizzato e di esperienza fuori dalla scuola (dall’iperscuola di Calvani, all’ ambiente digitale come ambiente in cui viviamo come persone e come cittadini). È necessario inserire la rete e le TIC, quando utili e come esperienza di riflessione e conoscenza del mondo e della cittadinanza “digitale” a scuola e nel lavoro, anche in classe in modo organizzato e consapevole.
Per gestire al meglio gli strumenti e gli ambienti legati al web è importante, dopo uno stimolo iniziale (osservazioni, dati, letture, video…), riflettere e sperimentare insieme i seguenti aspetti:

  1. Conoscere insieme in modo critico, più informato e consapevole, il web nella sua evoluzione attuale, che già i ragazzi vivono “sulla loro pelle”. MI 2018.
  2. Riflettere insieme sulle potenzialità didattiche e formative, ma anche sui pericoli e punti critici della rete.
  3. Educare gli allievi a compiere scelte consapevoli e selezionare materiali e ambienti secondo fini e criteri concordati.
  4. Abituare ad utilizzare in modo critico, consapevole di vantaggi e limiti, gli strumenti delle nuove tecnologie, quando utili. Non saper fare, ma sapere quello che si fa.
  5. Far sperimentare la valenza sociale della rete (cittadinanza, diritti, dati, privacy…)
  6. Affrontare insieme la esplorazione delle potenzialità del web con curiosità, senso critico, ma senza paure.

NB Nelle attività di ricerca, in particolare in ambiente digitale, per le sue caratteristiche di continua novità e di vastità delle esperienze, ha poco senso un approccio trasmissivo da parte del docente, che a mio avviso va limitato al necessario (lessico, prime istruzioni di uso…); si può partire da stimoli (dati, letture, video, esempi) per riflettere insieme e poi verificare, attraverso la esperienza condivisa, le idee emerse. [2]

DIMENSIONE PEDAGOGICA- ORGANIZZATIVA

Spazi

“L’utilizzo flessibile degli spazi, la presenza di arredi e di strumenti adeguati, contribuiscono alla realizzazione di un ambiente innovativo.” ibidem

L’ organizzazione e la forma di un laboratorio, di una classe in cui si usi il digitale, prefigura e condiziona il tipo di didattica, le competenze e gli obiettivi da raggiungere:

1 – Una classe organizzata con 1 pc per banco ed un master sulla cattedra a fronte, riproduce il modello della lezione o esercitazione frontale e non favorisce la ricerca di gruppo.
2- Un laboratorio o una classe organizzata a isole di lavoro o coi PC a ventaglio contro le pareti, è la struttura migliore per una ricerca a gruppi o in piccolo gruppo e favorisce la supervisione dinamica e pro-attiva ed il coordinamento da parte del docente.
3- Un modello 1 (ragazzo) a 1 (PC) suggerisce compiti e lavori individuali, mentre un modello 1 PC 2,3 ragazzi propone una discussione ed una mediazione utile alla ricerca. Imparano a lavorare insieme.
4- La classe con la LIM (o simili) permette una lezione partecipata e animata, ma sempre con un solo protagonista per volta alla lavagna. In molti casi, più che ricerca si fa lezione partecipata e iper-mediale. Se non semplice proiezione.
5- Una classe con tablet portati da casa e modelli didattici a questo ispirati può evidenziare chi ha e chi non ha il computer, (mentre tutti o quasi hanno uno smartphone) e far emergere una frattura digitale interna alla classe (come successo in DaD).
6- L’alternanza classe/altri spazi, laboratori diversamente attrezzati, spazi comuni, classi con LIM condivise a rotazione, postazioni mobili sono soluzioni più economiche e flessibili di tutti i modelli unici (nessuno dei quali è auspicabile né sostenibile economicamente per tutte le classi del paese) e favoriscono l’uscita dalla dimensione esclusiva della classe.

DIMENSIONE METODOLOGICA: Esperienze e attività finalizzate allo sviluppo di competenze intellettuali e sociali attraverso la diffusione di metodologie didattiche. ibidem

 Digitale nell’apprendimento ——> Ricerca, esplorazione e scoperta

Il “digitale”, come ambiente di apprendimento, se usato in modo attivo, critico e avveduto, ci propone il metodo dell’esplorazione, attraverso gli “inviti operativi dei link[3]” di un mondo, virtuale e reale insieme, talora in modo inscindibile, che si intreccia in modo sempre più stretto col mondo e coi meccanismi che agiscono offline e spesso li condizionano: dal  punto di vista della conoscenza, della ricerca, dell’apprendimento per esplorazione e per tentativi ed errori, ma anche dal punto di vista personale.

I social network sono luogo di identificazione (oltreché di relazione). Molti dei processi tradizionali di formazione personale e crescita – > individuazione -> autonomia dei ragazzi si sono trasferiti in rete a cominciare dalla identificazione: chi sono? Come mi presento? Per proseguire con le relazioni, con l’immagine di sé modificata attraverso i feed back o la percezione del proprio ruolo nel gruppo.

Il modello della rete è un modello ipertestuale (la rete come metafora dell’ipertesto universale): ne consegue che il web non è una rete di computer (struttura) ma di persone e che le relazioni fra loro sono più importanti del singolo (“nodo”).

Collegare, connettere significa dare/trovare (spesso insieme) un senso alle cose (P.Levy).

Occorre per questo:
1- Che i ragazzi conoscano il web ed i suoi ambienti anche nelle loro componenti e dinamiche attuali: come funziona e perché funziona così. Semplificando: il potere su di noi dei GAFAM.
2- Che imparino a navigare senza perdere l’orientamento e quindi che sappiano tornare al punto di partenza e puntare sempre all’obiettivo della navigazione.3- Che sappiano altresì sfruttare strade, materiali, idee nuove che incontrano nella ricerca.
4- Che evitino di navigare a caso e senza meta durante il lavoro programmato.
5- Che realizzino/sappiano che dietro ad ambienti, siti e computer ci sono persone con le loro idee e emozioni e con le loro scelte (social, siti, piattaforme), ma anche imprese ed interessi molto forti che li sfruttano; quindi che quello che succede nel web “non è responsabilità della rete né degli algoritmi, ma delle persone che hanno scelto i criteri di funzionamento degli algoritmi”. Bauman

Ricerca e conoscenza

Il secondo metodo proposto dalla rete è quello della ricerca.
1- L’eccesso d’informazioni incontrollate formatosi in rete, richiede di costruire competenze di scelta, metodi di valutazione e validazione delle informazioni reperite, in quanto non sempre utili e affidabili e consapevoli che una informazione non è conoscenza se non validata e se non c’è riflessione. Si richiedono oggi maggiori competenze di mediazione da parte del docente.
2- È quindi necessario che la rete non diventi un luogo di saccheggio indiscriminato (copia e incolla, rispetto del copyright, nuove forme di copyright).
3- È altrettanto importante non confondere il metodo (la ricerca) con gli strumenti, per quanto potenti e complessi (Ricercare = Googlare?)
4- Infine  i ragazzi devono sapere che la rete di per se non ha compiti definiti, non ha regole e non è neutrale, ma gli algoritmi che gestiscono le informazioni (motori di ricerca privati), le app, le piattaforme (anch’esse quasi sempre private, anche nel mondo della scuola) rispondono a logiche  commerciali e non di conoscenza. Sta a noi trarre da questi e in generale dalla rete, le informazioni, i materiali, le idee utili formando nuove competenze.
5- E studiare e sperimentare alternative a questi monopoli.

Apprendimento cooperativo e condivisione
La dimensione sociale dell’apprendimento riveste un ruolo essenziale per la crescita della persona. ibidem

Il modello innovativo, accanto a quello dell’utilizzo puro (mail, ricerca attraversi motori, reperimento materiali), da cui è nata e cui si è ispirata l’introduzione del web nell’apprendimento è il modello del collegamento e della relazione fra persone, della condivisione che la rete facilita in modo asimmetrico nello spazio e nel tempo, della cooperazione sia nella ricerca, sia nella costruzione di prodotti, sia nella riflessione allargata e comune (Intelligenza collettiva – P. Levy – o connettiva – De Kerchove)[4] sia nella collaborazione a distanza. Se nella rete l’intelligenza non sta più solo nella mia testa ma nella testa di tutte le persone che interagiscono con me producendo esperienza ed apprendimento (L. Rosso) ha quindi un senso limitato, rispetto all’apprendimento, l’uso individuale a scuola di strumenti digitali, perché la situazione che il web propone e permette è, anche nel lavoro, una situazione di collaborazione.

Didattica laboratoriale.

Il laboratorio è un ambiente di apprendimento che permette l’attivazione di una didattica per competenze, sia quando è attivato in ambienti interni alla scuola, sia quando valorizza il legame col territorio. ibidem

Un laboratorio basato sul digitale deve:

1- prevedere azioni che consentano agli allievi di essere operativi. Non ha senso portare i ragazzi in laboratorio o trasformare la classe in laboratorio per poi chiedere loro ruoli passivi o puramente esecutivi.
2- Incoraggiare la ricerca e la progettualità. La didattica in ambiente “digitale” nasce da un progetto discusso e condiviso.
3- Rendere gli allievi protagonisti nel progettare, realizzare e valutare attività laboratoriali di ricerca e azione dentro e fuori la scuola.

 Imparare ad imparare (allievi e docenti).

Compito fondamentale della scuola è promuovere in ciascun allievo la consapevolezza del proprio modo di apprendere e del proprio cammino. ibidem
Anche in ambiente digitale è fondamentale oltre a quanto già citato, accompagnare gli allievi ad acquisire un proprio metodo di lavoro, di indagine, di studio, di uso delle TIC. E la consapevolezza di esso. Che anche il docente conquista attraverso la esperienza.

Nella seconda parte parleremo di:
Valutazione formativa
Valorizzazione e diverso ruolo del ruolo del docente
Valorizzazione delle esperienze degli allievi.
Inclusione delle diversità
Clima emotivo di classe
Il docente e l’ambiente emotivo della classe

[1]  Lo schema di questo contributo è dovuto al lavoro, oggi da me aggiornato ed integrato, del gruppo di Cittadinanza e Costituzione dell’Istoreto, allora coordinato da R. Marchis; in particolare questo schema è stato elaborato da F. Ceriani e R. Marchisio e discusso con L. Truffo, M. Carello, F. Bilancini e le altre colleghe del gruppo. Prendiamo a prestito lo schema generale per riflettere sulle implicazioni educative del Piano PNRR.

[2] Per “critico” intendiamo un atteggiamento che non si fermi alla apparenza o alla fruizione passiva, ma si interroghi su come funziona e perché funziona così quella piattaforma o parte del web e quindi sia consapevole dei limiti e problemi connessi sia a livello personale che di cittadinanza, formando autonomia di giudizio e di scelta.

[3] Dobbiamo il concetto di “inviti operativi” a M. Guastavigna.

[4] Intelligenza collettiva https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_collettiva
Intelligenza connettiva https://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo/l-intelligenza-connettiva-di-de-kerckhove/3331 https://www.treccani.it/vocabolario/intelligenza-connettiva_%28Neologismi%29/




PNRR Scuola 4.0. Ma se non cambiano le competenze pedagogiche, i ruoli, la cultura digitale dei docenti…

di Rodolfo Marchisio

Sto seguendo lo sviluppo affannoso dei colleghi delle varie scuole dei progetti PNRR Scuola 4.0, attraverso il dialogo con alcuni amici Animatori digitali e il dibattito serrato su alcuni ambienti social.
Si tratta, come tutto il Pnrr di soldi, tanti ed europei, ma anche della ennesima “iniezione” di tecnologie “didattiche” nella scuola. Questa volta la richiesta viene dalle scuole e dovrebbe essere più contestualizzata.
Ho vissuto la scuola dal 1969 come docente e con tanti, troppi, ruoli: da “Animatore Digitale” a Funzione Obiettivo, si chiamava così, del POF, a “preside ombra” per 25 anni.
Ho seguito, come docente (e formatore dal 1982) le varie iniezioni di “digitale” nella scuola tramite progetti, che ho scritto, seguito, presentato, realizzato, dagli anni 70.

Dal PNSD, a Fortic 1 e 2, a classi 2.0, 3.0, LIM, “Buona Scuola” e via delirando. DaD e Covid compresi.
Una scuola con sempre meno risorse (clamorosi i tagli anche di organico di Gelmini, ma anche il recente DEF vuole ridurre l’investimento nella scuola dal 4 al 3,5% del PIL, quasi tutto usato per gli stipendi dei docenti che stranamente continuano a mancare).

Allora la scuola era e continua ad essere, per avere risorse, un progettificio.
Si fanno tanti progetti per avere risorse, ma anche perché manca sempre un progetto comune di scuola e quelli tentati (da Moratti alla “Buona scuola”) non reggono. Specie con meno risorse.

Una constatazione
Come

  1. Sperimentato personalmente in questi decenni
  2. Dimostrato da studi OCSE dal 2014, 2015 fino ai più recenti degli scorsi anni
  3. Raccontato da Gui, nel libro Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio? che riassume quanto avvenuto.

    L’uso di tecnologie digitali non modifica la qualità dell’Insegnamento/apprendimento.
    I buoni docenti si. Indipendentemente dalle tecnologie che usano e anche in DaD.

a- “La capacità degli insegnanti emerge come prioritaria per il successo dell’innovazione quando le ICT vengono integrate come strumenti didattici a supporto dell’insegnamento di altre discipline”…
b- “Oltre ad un problema legato alla disponibilità di risorse, la scuola italiana mostra un certo grado di resistenza al cambiamento: solo il 73 per cento degli insegnanti in posizione direttiva ritiene che la propria scuola reagisca in maniera veloce ai cambiamenti quando necessari, contro una media OCSE dell’87,8 per cento”…
c- “Nel testo OCSE si segnala che il successo nell’uso delle ICT per scopi educativi si basa soprattutto sulla capacità degli insegnanti di selezionare, creare e gestire risorse digitali adeguate a un insegnamento innovativo e inclusivo perseguito adattando le strategie di inserimento delle ICT al contesto scolastico specifico. Non basta quindi la disponibilità di attrezzature ICT per garantire che gli studenti ottengano un miglioramento sul versante cognitivo…[1]

Iniezioni forzate di tecnologie vs riforma della scuola: innovazione tecnologica vs riforma

Ogni ministro dell’ex MIUR poi MI e oggi MIM ha velleitariamente e colpevolmente iniettato nella scuola, d’intesa con partner commerciali, una tecnologia “digitale” con relativa formazione, inclusa spesso nel pacchetto dal fornitore di turno, senza che questo fosse chiesto dalle scuole in base ad una analisi dei bisogni e dei contesti. E senza un progetto generale.
Spesso senza che questo diventasse patrimonio di tutti i docenti e senza monitorare l’esito di questi investimenti di soldi e di tempo, per pigrizia e perché intanto cambiava Ministro. Il report dell’impatto qualitativo delle classi 2.0 se ben ricordo elaborato dall’Ispettore Tecnico De Anna, che ho letto, non è mai stato preso in considerazione dal Ministero.

Quanti docenti coinvolgono questi progetti

Solo il Covid, per forza di cose, ha portato ad aumentare la percentuale di docenti interessati ed abbastanza addestrati (dal 30 a 70%) nell’usare piattaforme commerciali riciclate (come lo erano le LIM: la scuola come “mercato di riserva”) ed insicure: vedi pareri drastici dell’allora Garante della privacy A. Soro sul controllo dei dati sulle piattaforme Google (Zoom, Class room che continuiamo da usare) o Microsoft per la scuola; rigide, non nate per la scuola e che non hanno mai dato garanzie di controllo dei dati di docenti e famiglie .
“Se non siete in grado di controllare l’uso che dei vostri dati fanno i padroni delle piattaforme (e nessun DS è in grado di farlo) tornate ad usare solo il registro elettronico”. A. Soro

Quasi sempre la formazione era ed è legata a competenze di uso e ha coinvolto un numero limitato di docenti. “Saper usare” una LIM, un’aula 2.0 o 3.0; mentre il livello di consapevolezza delle implicazioni pedagogiche, didattiche, di cultura e cittadinanza digitale è, anche tra molti docenti, carente. Come peraltro dimostrato dalla sperimentazione, che sta finendo, della Educazione civica, in particolare della educazione alla cittadinanza digitale.

Tutti vogliamo usare, pochi vogliono riflettere su come funziona il web oggi e perché funziona così.
E sul fatto che il web è uno dei 3 ambienti in cui viviamo in contemporanea: insieme a quello sociale (Costituzione e diritti) e quello naturale (ambiente). Un ambiente che ci sta cambiando profondamente. [2]
Ma che è anche un campo di battaglia tra oligopoli, Stati e cittadini troppo spesso inconsapevoli e vittime. [3] I ragazzi debbono sapere cosa succede sulla loro pelle in rete” perché cambiare è ancora possibile. Vademecum MI 2018

Abbiamo girato pagina con la scuola 4.0?

Leggendo colpiscono:
a) il linguaggio da addetti ai lavori al limite della comprensione. Vecchio difetto. Come se una cosa detta da “figo” in Inglese la rendesse più utile e più appetibile (o inaccessibile?).
b) La varietà delle richieste e dei modelli in discussione (da chi organizza aule “digitalizzate”- qualunque cosa voglia dire – una per materia; a chi vuole organizzare un’aula virtuale a 360° in cui l’allievo si immerga; a chi chiede se si possono prevedere tra le spese a bilancio la tinteggiatura delle pareti – si ma solo se si dipingono soggetti “digitali” risponde l’esperto-; a chi integra più concretamente e cerca di rendere più flessibile l’uso delle tecnologie sganciandole dall’aula organizzata a lezione frontale con un PC sulla cattedra e uno per banco…); a chi si butta sulla robotica…

Alcuni aspetti da approfondire:

  1. L’iniezione di tecnologie “digitali” di per sé continuerà a non modificare la qualità dell’insegnamento/apprendimento indipendentemente da quanti soldi si sono spesi e dalla originalità della proposta.
  2. La formazione dovrà servire non ad “imparare ad usare” quella roba li con un nome strano in inglese, ma a:
  • A coinvolgere più colleghi possibile nella sperimentazione delle tecnologie, nei loro ambiti disciplinari e nelle attività trasversali di didattica attiva, a patto che ne capiscano l’utilità, elaborino attività convincenti e ne abbiano voglia.
  • Lo scopo della formazione non può essere solo di addestrare all’uso del nuovo giocattolo. È vero che nell’elaborare i progetti bisogna indicare obiettivi ed utilità didattica, ma la riflessione sul rapporto spazi, tempi e metodologie didattiche o quella sulla utilità ai fini della formazione di una cittadinanza digitale è da approfondire.
  • La riflessione su questi progetti è condizionata dal fatto che non si tratta solo di più tecnologie, ma di modificare le competenze ed i ruoli dei docenti che inevitabilmente debbono diventare organizzatori di spazi e di tempi, tutor, registi, animatori e gestori di una didattica formativa che coinvolga gli allievi li renda protagonisti di una ricerca attiva, che sa dove comincia ma non sa dove finisce. Che “ceda il controllo dell’ambiente” agli allievi (Penge). [4]

Ricordo un collega che, di fronte al laboratorio “nuovo” digitalizzato, organizzato fisicamente in aree/gruppi di lavoro e non ad aula frontale, perché orientato alla ricerca (la strutturazione degli spazi condiziona il tipo di didattica e di metodologia, vedremo, come la organizzazione dei tempi) lo trasformava in aula di proiezione: prima aveva usato la LIM come schermo cinematografico e prima ancora proiettava sul muro della classe. Però era passato dalla cassetta VHS, al CD e poi alla pennetta. Evoluzione dei supporti vs evoluzione della metodologia e della riflessione e consapevolezza didattica.

Sono invece condizioni necessarie
1- una capacità di organizzazione di spazi e tempi più flessibile da parte dei docenti
2- una maggiore articolazione dei ruoli e delle competenze dei docenti coinvolti e
3- la formazione di una cultura dell’ambiente digitale in cui viviamo, che sta dietro a tutto questo.
Ne parleremo presto.  Se interessa.

 

 

 

 

[1]  https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/ict-e-scuola-il-nuovo-questionario-ocse-pisa-2021/

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-le-carenze-della-scuola-italiana-il-quadro-secondo-i-dati-ocse

[2]https://www.bing.com/videos/search?q=youtube+nuovo+pavonerisorse+come+il+web+ci+cambia&view=detail&mid=3D725C592E07AE7AE2BF3D725C592E07AE7AE2BF&FORM=VIRE

[3] Casilli, Schiavi del clic, https://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/schiavi-del-clic/

[4] Per il concetto di apprendimento come cessione/conquista di un ambiente e molto altro vedi intervista a S. Penge sul suo ultimo libro https://www.youtube.com/watch?v=jsznEAr7whc




La Costituzione ha radici profonde, ma è anche un progetto dinamico

di Rodolfo Marchisio

La Costituzione è un progetto da realizzare (e non un insieme definitivo di regole), e allora  “bisogna continuare a pedalare” (Calamandrei), perché se non viene realizzata, nel tempo diventa “un progetto tradito” (Bobbio).

I filoni fondamentali che hanno contribuito alla stesura della Carta sono come noto:

a) il pensiero illuminista (libertà e diritti individuali – diritti di prima generazione per N. Bobbio-),
b) quello socialista e comunista (diritti sociali: lavoro, istruzione, salute), diritti di II° generazione,
c) quello cristiano (famiglia, persona, lavoro…).

Nel tempo si sono aggiunti nel 1900 i diritti sanciti dalle Carte e Dichiarazioni internazionali cui l’Italia ha aderito (diritti di terza Generazione) e più recentemente i diritti legati al mondo digitale (che spesso si intrecciano con quelli di prima e seconda generazione).

Un utile punto di riferimento è il libretto Le età dei diritti di N. Bobbio in cui si descrivono le 4 generazioni dei diritti, secondo l’autore.
Per approfondire il discorso sui diritti, che nascono quando un gruppo sociale è disposto a lottare contro un altro per ottenerli e per difenderli, perché si possono perdere in tutto o in parte (vedi  Incontro con N. Bobbio).

Chi erano i padri e le madri della C. e perché è stato necessario riscriverla (C. Marchesi).
La Assemblea Costituente era formata prevalentemente da giuristi, esperti di diritto, politici, docenti. Non c’erano contadini, pochi operai o sindacalisti. Molti antifascisti e qualche partigiano. Solo 21 le madri della Costituzione, prevalentemente socialcomuniste e cattoliche, unite dall’obiettivo della parità da raggiungere nella nuova situazione.

Per una verifica puntuale di questa composizione si possono usare gli url
I Costituenti
https://it.wikipedia.org/wiki/Deputati_dell%27Assemblea_Costituente_(Italia)
che presenta i componenti e la loro professione (basta passar sopra col puntatore)
Le donne (le madri)
https://culturalfemminile.com/vari/le-madri-della-costituzione-italiana/

Per questo l’assemblea si è poi divisa in commissioni più ristrette che hanno redatto i vari articoli poi discussi e approvati in plenaria.
Come primo atto di democrazia la Costituente ha dato a Concetto Marchesi, l’incarico di riscrivere il documento finale, di 9900 parole ca, usando solo 900 lemmi, per renderlo un documento leggibile non solo da addetti ai lavori.

Concetti fondanti dei primi 54 articoli: Democrazia, diritti /doveri, Repubblica, potere, popolo, lavoro (art 1 e seg.), regole, equilibrio. Molti diritti, pochi doveri e 2 diritti/doveri.
I doveri non sono una “compensazione” dei diritti, ma parte dell’impegno che viene richiesto ai cittadini di partecipare col loro lavoro e col loro contributo al progetto complessivo.

Diritti e doveri

Art 2. La Repubblica… garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… ma richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

  1. a) l Diritto/dovere di votare. Alle ultime elezioni il 40/45% non ha votato. Sommando le schede bianche/nulle succede che il 18/20% degli Italiani ha deciso chi avrebbe comandato. Perché?
  2. b) Il dovere di pagare le tasse ( 53) in modo proporzionale e progressivo. Evasione fiscale record 200 miliardi
  3. c) quello di difendere la Patria se attaccata ( 52).
  4. d) quello fondamentale di partecipare col proprio lavoro, le proprie risorse al bene comune (art 2, 4 ed altri)
  5. e) Il diritto ma anche il dovere di allevare e prendersi cura dei figli ( 30 e seguenti).Dobbiamo collaborare tutti a realizzare il progetto descritto dalla Costituzione.
    Il contrario di mi faccio i fatti miei, non pago le tasse, voglio essere padrone a casa mia.

Contribuire a prosperità, benessere, progresso della nazione (lavoro, partecipazione … art. 2 e 4) Oggi invece prevale “l’ipertrofia” del diritto individuale contro il diritto degli altri ed il dovere di solidarietà, Zagrebelsky.
Calamandrei diceva che in democrazia: «non mi sento padrone neanche a casa mia.»
Imparare ad imparare
per contribuire al progetto è una competenza di cittadinanza (2018) non una cosa che riguarda solo gli studenti, ma anche i lavoratori, gli artigiani, gli imprenditori. Tutti i cittadini.

Una verifica statistica

C’è la possibilità di verificare con uno studio linguistico/statistico del linguaggio della C. e delle ricorrenze dei concetti/parole dei primi 54 articoli con semplici software Snap o foglio Excell, come fatto nel libro Dati Cittadinanza e coding (Le Parole della Costituzione) di Penge, Marchisio ed altri e sperimentato con l’IIS Volterra di S. Donà del Piave.
https://www.anicialab.it/coding/dati

La democrazia è governo del popolo e non per o con il popolo che sono demagogia (dalla democrazia Greca coi suoi noti limiti e la deriva demagogica – I sofisti contro Socrate – allo scritto di Platone, Contro la democrazia)

La Costituzione deve tener conto della evoluzione storica e sociale. Non è fuori del tempo.
Il concetto di famiglia di cui tanto si discusse e che compare in più articoli è passato dal primato del pater familias romano alla parità dei coniugi, ad un diverso concetto di famiglia anche non eterosessuale.
L’affermazione della priorità della famiglia sullo stato aveva all’epoca senso dopo la esperienza delle dittature in cui avveniva il contrario. Oggi famiglia e Stato dovrebbero armonizzarsi.

La Costituzione non parlava di ambiente (integrazione recente dell’art 9), i problemi all’epoca erano altri e la carta non può contenere tutto, è un progetto non una enciclopedia. Vedi
https://www.cortecostituzionale.it/documenti/download/pdf/Costituzione_della_Repubblica_italiana.pdf  (art 9 e le altre integrazioni o modifiche).

Cos’è Democrazia.
Le condizioni per definire un governo democratico sono:

  • Che si eleggano regolarmente i propri rappresentanti Bobbio
  • Che li si elegga liberamente e a maggioranza. Bobbio cfr video Bobbio
  • Che ci sia una assemblea legislativa indipendente e democratica.
  • Che la Magistratura sia indipendente.
  • La Separazione dei 3 poteri.
  • Che la stampa sia libera ( Runciman)
  • La possibilità del popolo di cambiare la élite che lo governa, secondo altri

Equilibrio fra poteri. Quando storicamente, nel nostro paese la Magistratura invade e limita il potere politico (da “mani pulite” in poi) è un fatto spesso legato anche ad una crisi della politica ed a reati.
Quando il potere esecutivo invade il campo di quello legislativo, come in epoca Covid, la Corte Costituzionale ha stabilito che è legittimo se: a) Legato ad una emergenza, b) Limitato nel tempo c) bene giustificato e delimitato.
Non è quindi, in genere, come qualcuno sostiene, una invasione di campo, ma deve essere una eccezione.
Legata anche al fatto che noi oggi viviamo una situazione di Democrazia “malata”, con problemi, come tante democrazie liberali che passano una “crisi di mezza età” (Runciman).

Infine

  • Parole ombrello che vanno ridefinite: democrazia, diritto sono tra le parole da tutti abusate che hanno logorato il loro significato.
  • Persona o cittadino. Il personalismo cristiano sosteneva il concetto di persona, le forze di sinistra si riferivano alle persone, al popolo (che non devono però diventare massa). La attualità fa prevalere il concetto di cittadino, che mi pare meno divisivo.

Per concludere.
Ai giorni nostri con episodi di violenza politica di origine neofascista,  discussione per interessi di parte su aspetti e parole chiave (“colonne”) della Carta e l’incertezza di come uscire dalle querelle su questo progetto che di sicuro ha soprattutto una matrice storica antifascista per costruire insieme una democrazia meno malata possono essere utili studi specialistici tra esperti di diritto romano, da cui non può derivare una posizione di parte; ma è vitale riaffermare che la  Costituzione va realizzata, sviluppata, contestualizzata rispetto ai tempi e non deformata né “tirata per la giacchetta” per motivi politici sottolineando solo alcune parole chiave ( persona, famiglia , stato, proprietà, libertà) né tanto meno diventare campo di battaglie di parte.




La lingua italiana ai tempi del web

di Rodolfo Marchisio

Di cosa si parla nel nostro percorso di formazione

Nel nostro percorso  di riflessione e discussione previsto sul tema Come il web cambia il nostro linguaggio, presentato nell’articolo La lingua italiana ai tempi del web ed esemplificato nell’articolo  Come il web cambia la nostra lingua intendiamo dialogare insieme sui temi di linguistica, cittadinanza, cultura digitale legati al campo di ricerca che proponiamo.

Partendo da 4 obiettivi ed approfondendo insieme i 4 filoni che si possono sviluppare anche in base all’interesse espresso dai partecipanti tramite il form d’iscrizione.

Premessa. La lingua cambia con l’avvento del web e questo cambiamento coinvolge:

Informazioni, conoscenze, pensieri, modo di ragionare e di agire
ma anche
percezioni, emozioni, sentimenti, relazioni, amicizie, modo di essere.

Questo significa che ci cambia sia come persone, nella nostra vita individuale, sociale e relazionale,
sia come cittadini negando o modificando comportamenti legati a diritti.
E che questi cambiamenti sono intrecciati fra loro e legati anche all’influenza del web.

Filoni 1. – Lingua (lessico, grammatica, linguistica) e informazione.  

  1. La lingua come gioco di costruzioni
  2. Semplificazione attuale della lingua italiana (ipotassi/paratassi)
  3. Scomparsa di modi e tempi del verbo e democrazia
  4. La riduzione del vocabolario
  5. La lingua dei giovani
  6. SMS, abbreviazioni, lapidi, Placiti cassinesi
  7. Neologismi, parole straniere, gergo social
  8. Decalogo dell’informazione – Paone
  9. Le regole della disinformazione – Choamsky
  10. Riflessioni sulla lingua – Ghemo

Filone 2- Lingua, democrazia e cittadinanza

  1. Il rapporto numero e qualità delle parole e democrazia
  2. Influenza del linguaggio sulle competenze chiave
  3. Alice nel paese delle meraviglie – le parole e il potere
  4. Le parole (anche online) sono “fatti” ed hanno conseguenze reali
  5. Come la lingua influenza il modo di pensare
  6. Parole e potere: le neo-lingue
  7. Post verità e percepito
  8. Svalutazione della conoscenza e della competenza
  9. Nuove competenze linguistiche digitali

Filone 3 – Come il web ha modificato la lingua italiana

  1. Parole chiave della lingua
  2. Accademia della Crusca – Video sul tema.
  3. Lingua del web: aggressività e mancanza linguaggi non verbali. Wallace.
  4. Il linguaggio del corpo ed il tono della voce
  5. Il linguaggio (e il gergo dei social)
  6. Emozioni ed emoticon
  7. Parole ombrello (digitale, libertà, democrazia)
  8. Post verità, fake news e parole dell’odio. L’odio in rete.

Filone 4- Scrivere e leggere online. La lingua del web

  1. Caratteristiche e regole della lingua online
  2. della Crusca: varie forme di comunicazione mediata dalla rete.
  3. Il mezzo influenza lo scritto: breve, semplificato nei SN, più lungo e complesso nei siti ufficiali
  4. Lettura spezzata o multimediale
  5. Il rapporto testo e interfaccia
  6. Lessico: nuove parole per nuove cose (hastag), anglicismi, sigle (FB), parole da azioni (cliccare).
  7. La famiglia del web (webmaster…)
  8. Vecchie parole, nuovi significati (Virale)
  9. Tormentoni e regionalismi.
  10. Linguistica e letteratura del coding
  11. Libro e/o e book
  12. Stili di lettura off e online
  13. Leggere e leggere online
  14. Lettura ipertestuale
  15. Scrivere e scrivere online
  16. Scrittura online. Regole, caratteristiche, consigli
  17. La disintermediazione: tutti scrittori. Si ma…
  18. Il nuovo linguaggio dei giovani multimediale dei giovani.
  19. I vantaggi della scrittura ipertestuale e della scrittura collettiva o a più mani.

Con questo articolo speriamo di fornire un possibile schema di riflessione e di dare ai partecipanti la possibilità di indicare i filoni per loro più interessanti, che possono indicare  in fondo al form per una migliore contestualizzazione del lavoro comune.

Alcuni link

https://accademiadellacrusca.it/
https://accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/parole-nuove/ https://accademiadellacrusca.it/ricerca?key=web&tipo=consulenza%20linguistica
https://concetticontrastivi.org/2022/10/27/la-dimensione-collettiva-dellinformazione/