Lo sceriffo e l’insegnante

di Raimondo Giunta

Sceriffi a scuola si diventa da dirigenti, perchè l’ultima manomissione del sistema scolastico a questo tendeva, anche se si è provveduto ultimamente a fare qualche cambiamento.
Un passaggio che a molti dirigenti sembra naturale compiere, perchè di fatto nell’autonomia sono prevalenti i tratti amministrativi su quelli culturali e pedagogici; amministrativi, non gestionali.
E in amministrazione si finisce per amare il potere gerarchico e il potere di vigilanza…A tanti di questi amministrator/dirigenti scolastici sfugge che la scuola appartiene ad un territorio, ad una comunità con cui deve mettersi in rapporto e che questo fatto cancella l’autoreferenzialità del capo che ogni giorno dirama gli ordini di servizio ai propri dipendenti.
Quel che è grave è il disconoscimento praticato e a volte esibito della particolare struttura collegiale della gestione della scuola, attenuata, ma non cancellata.
Nella collegialità il dirigente non è il primus inter pares, ma solo uno dei tanti come viene sottolineato da Mario Maviglia.


Per un’istituzione che eroga saperi e formazione in una società democratica la collegialità non è un’opzione, ma una sua interna necessità, perchè il lavoro che vi si svolge può dare frutti solo se ogni insegnante, collaborando con gli altri insegnanti e con il dirigente, lavora con scienza, con coscienza e in libertà.
L’autonomia non è il luogo in cui può scorrazzare il dirigente, ma lo spazio in cui deve potersi esprimere per il bene degli alunni la responsabilità e la professionalità di ogni docente, aspetto che gode ancora della tutela della Costituzione.
L’autonomia non funziona spesso non solo per colpa dei piccoli autocrati che non hanno senso delle istituzioni, ma anche per mancanza di “autonomia ” dei docenti, che non conoscono la propria forza o che si lasciano trascinare nella corsa sgradevole al premio che il dirigente vorrebbe elargire, senza alcuna trattativa.
La scuola è un’istituzione pubblica, forse l’unica, che ancora conserva le stimmate della grande stagione della democratizzazione della pubblica amministrazione, ma anche l’unica nella quale chi ha qualche potere spesso svicola per non esercitarlo.
Solo dirigenti che amano l’autonomia professionale dei docenti e insegnanti che ci tengono a dare il proprio contributo potranno salvare la scuola e darle un futuro.




Le decisioni degli organi collegiali non fanno venire meno le responsabilità del dirigente

di Stefano Stefanel

L’emergenza coronavirus ha fatto scoprire all’opinione pubblica, ai mass media, ai social, ai genitori e forse anche agli studenti la figura del dirigente scolastico, ritenuto, probabilmente, prima del Covid 19 una figura di contorno, non sempre fondamentale per la vita della scuola.
Da febbraio a tutti è stato chiaro che senza i dirigenti scolastici la scuola non sarebbe potuta andare avanti e non sarebbe riuscita a organizzarsi neppure nelle minime incombenze. Ed è stato chiaro a tutti che se la scuola è stata in grado di fare la sua parte sia durante il lockdown di primavera, sia in questa drammatica ripartenza, è perché i dirigenti scolastici hanno lavorato sempre sodo e senza sosta, spesso nella solitudine peggiore, quella delle decisioni senza appello. In questi ultime settimane poi si è finalmente scoperto che solo una gestione capace, efficiente ed efficace avrebbe permesso di applicare in tempo reale decisioni prese e cambiate nel giro di poche ore.

GLI OBBLIGHI

Ci sono ancora molti dirigenti, soprattutto tra quelli giovani di breve nomina, che credono che una decisione presa col supporto degli organi collegiali della scuola o sentito il parere (che, se viene dato, è al massimo di tipo orale) dell’Ufficio scolastico regionale di riferimento, possa sgravare dalle responsabilità monocratiche. Sia sulla sicurezza, sia sulla responsabilità patrimoniale a seguito di negoziazione, sia sulle nomine del personale, sia sulle decisioni riguardanti l’emergenza coronavirus è diventato evidente a tutti (Ministero incluso) che per l’ordinamento italiano risponde solo chi si prende la responsabilità della decisione e la firma.

E poiché nelle scuola la rappresentanza legale ce l’ha un solo soggetto, credo sia importante avere chiaro in mente il ciclo del comando, la sua catena di trasmissione, la necessità di motivare tutto attentamente. Non credo sia molto utile cercare improbabili alleanze, quanto avere chiara in mente una linea di governo dell’istituzione affidata e condividere questa linea con gli organi collegiali, i gruppi di lavoro, i delegati, il personale, gli studenti, le famiglie. Condividere una linea dove la decisione finale è di chi risponde non vuol dire mai cedere alle pressioni della collegialità.

Non credo di dire una cosa sconosciuta se affermo che davanti all’emergenza nessun soggetto esterno alla scuola ha voluto interloquire con organi collegiali, docenti delegati, gruppi di lavoro o altri organismi. Tutti i soggetti esterni alla scuola hanno sempre e solo voluto rapportarsi col dirigente scolastico che ha dovuto decidere, rispondere, monitorare, firmare. Non riporto qui un elenco ormai noto a tutti, ma la questione delle distanze, delle sanificazioni, degli acquisti, dei contratti al personale, dei monitoraggi anche a ridosso di Ferragosto e di moltissime altri obblighi, hanno richiesto sempre la decisione del solo dirigente scolastico. Dove c’era un obbligo per la scuola, questo obbligo si è sviluppato come una pianta rampicante che per crescere vuole il muro e quel muro era solo il dirigente scolastico. La solitudine di certe decisioni ha fatto in questo periodo il paio con la sordità dei soggetti che facevano le domande e che volevano solo risposte, chiedevano celerità ma non erano celeri a loro volta. La questione dei banchi è sotto gli occhi di tutti, ma anche quella ben più drammatica dei tracciamenti e dei Dipartimenti di prevenzione pronti a chiedere azioni immediate alle scuole nella segnalazione di contagi e dei cluster, ma lenti nel dare le risposte susseguenti, lasciando il dirigente scolastico da solo nella scelta di chi lasciare a casa, per quanto tempo e come. Perché il dirigente scolastico ha dovuto decidere anche il “come” su materie nuove, prive di giurisprudenza, ma sotto gli occhi di sindacati, giudici, avvocati: smart working, conteggi di ferie e permessi in rapporto all’emergenza, quarantene, lavoratori fragili, inquadramenti giuridici di profili nuovi di assenza, mascherine, distanziamenti, prodotti per la sanificazione, sono solo alcuni argomenti che fino a febbraio non riguardavano la scuola e che improvvisamente sono diventati la sua quotidianità.

Vorrei però fosse chiaro come il mio non è un ragionamento per cercare la comprensione o peggio orientare alla critica, ma solo il tentativo di far comprendere come il sistema scolastico italiano ha deciso di mettere in capo ad una persona sola tutte le responsabilità della scuola, lasciando come contorno soggetti che a volte aiutano e a volte ostacolano, ma non rispondono mai. Se un Consiglio d’Istituto approva un Regolamento sbagliato o una negoziazione fuori dalle norme dell’anti corruzione non risponde di nulla, mentre il dirigente scolastico risponde anche di tutto quello che è stato deciso da altri. Per cui forse è meglio imparare a decidere in solitudine e poi interloquire per togliersi dei dubbi, sapendo che quando si mette una firma sotto un foglio di carta quella firma è per sempre.

LE SCELTE

L’emergenza coronavirus ha però fatto emergere anche la necessità che il dirigente scolastico abbia una forte capacità di scelta. La scelta non è un obbligo, ma orienta, guida, indirizza, condiziona. Anche in questo caso non ci sono manuali di riferimento o indicazioni semplici e ogni dirigente scolastico decide se essere il controllore dei minuti di Didattica Digitale Integrata erogati da ogni docente o colui che orienta la didattica affinché sia incisiva e garantisca gli apprendimenti; se essere colui che perde le giornate a capire come va giuridicamente inquadrato un docente in isolamento fiduciario o colui che telefona al docente per sapere come sta e cosa è possibile fare a favore degli alunni; se essere colui che misura tempi e spazi dei collaboratori scolastici quando la scuola è vuota o li motiva perché siano pronti quando la scuola si riempirà; se essere colui che si preoccupa che gli studenti da casa rispondano alle domande dei docenti senza sbirciare sui libro o colui che fa capire ai docenti come la distanza non è mai la presenza; se essere colui che emana Linee guida di duecento pagine su tutto o colui che cerca di farsi capire con poche parole; se essere colui che sulla carta è sempre protetto o colui che protegge gli altri con decisioni su questioni che solo il futuro potrà permettere di verificare nella loro correttezza.

Le scelte sono importanti quanto gli obblighi perché costringono chi dirige la scuola a scegliere tra il dibattito costante su tutto o le decisioni che rassicurano e aiutano. L’incredibile e astruso dibattito sulle ore da 45 o 50 minuti con o senza recupero mostra naturalmente che i vicoli ciechi sono fatti apposta perché qualcuno vi si infili dentro. C’è una legge che mai nessuno ha cambiato (la Bassanini Uno, legge n° 59 del 1997) che parla di “obblighi annuali di servizio” dei docenti e “monte ore annuale delle discipline” degli studenti. La risposta c’è già e va al di là dei contratti, basta semplicemente porre le domande nel modo giusto e non limitarsi a battaglie di principio senza chiedersi poi quel principio a cosa porterà.
Che siano 45, 50 o 60 i minuto servono ad insegnare qualcosa, non a far passare il tempo. Meno conteggi e più obiettivi, meno adempimenti e più progetto: non serve contare i minuti, ma capire a cosa servono quei minuti. Scelte non mansionari, scelte non discussioni, scelte non assemblee.

Le scelte riguardano anche rapporti con soggetti esterni, che a parole aiutano la scuola e nei fatti invece aiutano se stessi. In Italia però non è possibile ammettere gli errori, perché chi lo fa è subito indagato da un giudice. E infatti errori macroscopici – nessuno dei quali compiuto dalle scuole –  durante l’emergenza non trovano nessun messaggio di scuse, perché ognuno difende la sua posizione, preoccupato che a qualche giudice quella “difesa” non vada bene. E’ chiaro che la scuola ha fatto tutto quello che doveva fare e in modo puntuale: ma la scuola è retta da un dipendente statale che risponde all’amministrazione centrale e alla legge, non ad un soggetto che risponde agli elettori e all’opinione pubblica. Gli enti locali sono retti da politici che rispondono agli elettori e che non avranno alcun problema a scaricare su altri il peso di propri eventuali errori. Le questioni dei trasporti, degli spazi scolastici e delle mense sono sotto gli occhi di tutti, ma si sentono in giro solo accuse e non prese in carico di responsabilità. Il dirigente scolastico questo non lo può fare: ha delle responsabilità e le deve esercitare e non ha nessuna opinione pubblica votante da convincere, ma solo studenti a cui garantire l’apprendimento, la formazione, l’educazione. Il dirigente scolastico guida un’istituzione votata all’istruzione e alla formazione, non un servizio sociale da esercitarsi per le ore ritenute necessarie dalle famiglie o dagli enti locali.

LA COMUNICAZIONE

Mai come in questa fase il dirigente scolastico è diventato soggetto pubblico che deve saper comunicare. A molti è costato troppo aver sottovalutato un esercizio comunicativo importante come è stata la Rendicontazione sociale, perché al momento della comunicazione spesso si viene travolti dalla propria incompetenza comunicativa. I mass media e i social cercano la notizia ad effetto, il numero dei contagiati, il numero dei banchi, il numero delle mascherine, il numero degli studenti non connessi. Così ci sono quelli “furbi” che non danno il numero dei contagiati della propria scuola e quelli “trasparenti” che lo danno: attenzione perché in entrambi i casi i giornalisti o i cittadini cercano il negativo, non il positivo, perché il positivo fa “notizia breve”, mentre il negativo fa il le “otto colonne”. La regola base della comunicazione è che se un cane morde un uomo non c’è notizia, mentre se un uomo morde un cane sì. Dunque bisogna stare attenti a non trasformarsi in notizia e comprendere che “il medium è il messaggio” come ebbe a dire Marshal McLuhan cinquant’anni fa. Il giornale deve avere una sua aggressività di vasto momento, altrimenti è noioso e non viene letto da nessuno; la televisione centra l’attenzione su qualcosa e poi si volta immediatamente altrove; i social invece vanno dove e come vogliono loro lasciando dietro “morti e feriti”.

L’inavvedutezza della comunicazione scolastica fa scambiare i propri comunicati per comunicazione e le proprie spiegazioni per motivazioni. Invece è tutto molto mescolato: per comunicare bene bisogna essere pronti a rispondere sempre a tono e brevemente, per spiegare bene qualcosa bisogna saperlo fare in venti parole. Sennò vincono i mass media e i social, che possono decidere la lunghezza della comunicazione e il tempo da dedicare ad un problema. Proprio perché il ruolo del Dirigente scolastico è diventato un ruolo esposto ed evidente bisogna saper comunicare, saper anticipare, saper sintetizzare. Mai farsi travolgere da un problema, mai polemizzare pubblicamente, mai attaccare. Perché alla fine nessuno difenderà il dirigente scolastico che ha sbagliato di comunicare: il rilancio all’esterno di ciò che avviene a scuola corre sempre il rischio che prevalga l’enfasi e il rumore.

Il dirigente scolastico deve imparare a porsi in forma autonoma davanti agli obblighi, deve saper scegliere quale direzione far prendere alla progettualità della propria scuola, deve imparare a comunicare in un mondo che cerca gli sbagli altrui. E’ un mestiere difficile ma i fatti hanno dimostrato che è un mestiere in mano a ottimi professionisti. Non aspettiamo le norme che descrivano la realtà dei fatti, quelle, forse, arriveranno dopo: attrezziamoci perché la seconda ripartenza sarà anche più dura della prima, avrà molti obblighi, imporrà molte scelte e si svolgerà dentro una comunicazione aggressiva.

 




Veneziani, un pensatore che ha un debole per i presidi. E ce lo racconta

rete_numeridi Aristarco Ammazzacaffè

Non è da tutti rendere esplicita la propria identità culturale in poco più di quattro righe. E farlo senza ambiguità e camuffamenti.
E non è da tutti, perché non tutti possono vantare, come fa lui sul suo blog[1], qualifiche di scrittore, giornalista, polemista e grossista (nel senso che le spara grosse: ci sta), oltre che di intrattenitore e, soprattutto, pensatore.
Anche pensatore, pensate.

 

Se ancora non l’aveste dedotto, si sta parlando di Marcello Veneziani (EmmeVu, per gli amici) e del suo ultimo pezzo di bravura, Presidi e bidelli espulsi dalla video-scuola – da qualche giorno sul suo blog –.
Nel quale pezzo riprende e approfondisce da par suo il tema della clandestinità e inutilità soprattutto dei capi di Istituto (‘cripto-presidi’ li definisce) in questa fase della “video-scuola”, causa pandemia.
Non so chi gli ha fornito questo tipo di informazioni; comunque, meglio mettersi il cuore in pace: essendo lui anche un polemista creativo, non lo si può neanche denunciare.

Probabilmente – si mormora in giro, ma non si sa con quale fondamento – ha voluto far satira, con venature umoristiche, per far colpo soprattutto la sua nuova fidanzata – una prof. che per questo lo apprezza incondizionatamente.

Eccovi comunque il passo:

Ho una personale statistica sui cripto-presidi incontrati in questi ultimi anni: 4 su 5 meridionali, 4 su 5 di sinistra, 4 su 5 incapaci.”
E chiarisce: 1.“La loro etichetta di sinistra la capivi dopo due frasi, quasi come la loro inflessione meridionale, oltre al cognome; 2. la loro idea della scuola e il loro spessore erano subito chiari; 3. Tra i migliori conosciuti, un preside cieco, che usava un docente come cane lupo, e una preside paralitica, in carrozzella, ambedue del sud: i più validi erano due invalidi.

Uno può obiettargli: – Ma ce l’hai con i presidi?”
Chi pensa così sbaglia di grosso. E infatti lui ci tiene a chiarire subito. “…ho un debole per loro. Perché mio padre era preside…”.
Un preside di una volta, ovviamente; di quelli, sembra di capire, dei quali si è rotta la macchinetta: autorevole, superprofessore, umanista, educatore. Tanto che uno si chiede: – E il figlio Marcello, per come pensa e scrive? Come si spiega? Qualche trauma di cui è stato inconsapevole causa? O addirittura consapevole e quindi colpevole? Oppure è il caso di uno schiribizzo della natura? E lui, poverino, non ha potuto farci niente? Indagare.

Comunque, sembra accertato: Marcello non ce l’ha con i presidi come categoria. Lui distingue. E infatti – sembra di capire – nella lista dei ‘no bbuon’, ci mette quelli che sarebbero l’opposto di suo padre; cioè: i meridionali, quelli di sinistra, gli incapaci.
A questo punto, per non arrivare subito a giudizi affrettati, bisogna sempre ricordarsi che lui è un intellettuale e, per giunta, un pensatore: non ama le generalizzazioni, come è giusto. E infatti ne salva, per ciascuna delle tre categorie, 1 su 5.

Ma è troppo – sembra gli abbiano detto gli amici del suo giro (a destra).
Non però la sua nuova fidanzata – quella di prima -: che apprezza la di lui umanità e sempre la di lui assenza di pregiudizi. Ed EmmeVu sta giustamente con lei. Non cede cioè, da pensatore, a quel che pensano i suoi amici.
Qualcuno dovrebbe rendergliene merito.

Nella sua considerazione pensosa sulla lista variegata, introduce poi una ulteriore criterio classificatorio (come ogni pensatore, è chiaramente un analista), suggeritogli, questo, dalla figura del suo preside, quand’era liceale, che si dovrebbe, a ragion veduta, definire sollazzevole.
Il nostro preside – sempre testuale – era pure la nostra ricreazione. Interrompeva le lezioni e arrivava lui a cantare le canzoni napoletane. Si faceva precedere dalla bidella che portava in classe la chitarra, e tra noi scoppiava l’euforia. Poi veniva lui e tra lezioni di latino e dialetto locale, ci infilava le canzoni del repertorio classico napoletano. Un sollazzo.” Un simpaticone, quindi. Una vera, autentica macchietta. Un quadretto di sapido colore partenopeo, per dirla elegante: napoletano piacione e ovviamente canterino.
C’è – evidente, per come il quadro è pennellato – tutto l’intellettuale superiore agli stereotipi, che sa quel che dice e lo dice in tutta sincerità e senza pudore. Ammeterete che ce ne vuole. E lo dice, il pensatore, quasi invogliandoci a trarne sollazzo come fa lui. Ma capite?

Cosa pensare alla fine della sua identità culturale? per riprendere la categoria da cui siamo partiti. Mah!
Personalmente eviterei solo conclusioni affrettate – che sarebbero ovvie -: qui ci troviamo, ve ne sarete accorti, di fronte ad un intellettuale rigoroso e per giunta pensatore.
Comunque, fate voi.

What do you want to do ?

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Unicuique suum (Parla bene dei colleghi)

di STEFANO STEFANEL

Una delle principali caratteristiche della dirigenza scolastica è la sua solitudine, che spesso si esplicita nella lode dei propri comportamenti dirigenziali e nella critica – neppure molto velata – al comportamento dirigenziale di altri colleghi, soprattutto se hanno diretto la scuola che ora dirigiamo noi.
Una frase che purtroppo si sente molto spesso da parte di un dirigente di nuova nomina in una scuola (anche se magari è dirigente scolastico da molto tempo) è: “Sapessi cosa ho trovato!”, riferendosi a problemi lasciati aperti, a norme a suo dire disattese, a documenti ritenuti sbagliati, a giurisprudenza applicata a suo dire male e chi più ne ha più ne metta.
Poiché nella vulgata ordinaria se una scuola funziona a dovere è merito dei docenti ( o – a sentir loro – delle segreterie) e se non funziona bene è colpa del dirigente scolastico, si ritiene che, in attesa degli elogi esterni che arrivano poco o mai, sia importante elogiarsi da soli.
Si tratta di una forma di autoconservazione, anche se di prospettiva non lunghissima. E non credo sia questa la strada giusta per valorizzare l’enorme, difficile e sconosciuto lavoro dei dirigenti scolastici.

         Poiché da alcuni anni faccio il valutatore (di colleghi) e il mentore (di colleghi), mi si è sviluppato una sorta di riflesso condizionato per cui quando parlo con un collega o entro in una scuola comincio a ragionare su quello che vedo o sento e poi magari vado sul web a cercare conferme o smentite alla mia impressione. Personalmente faccio il valutatore applicando alla lettera il concetto di valutazione come “dare valore” e cerco sempre il valore (positivo) in chi mi parla o in quello che vedo.
Avendo avuto modo di girare un po’ l’Italia, di aver visto cose molto interessanti e di aver conosciuto colleghe e colleghi “vertiginose e vertiginosi”, vorrei qui riportare alcune impressioni, nate da osservazioni empiriche e non scientifiche su cui ho ragionato quest’estate.
Dico subito che nella regione in cui lavoro (il Friuli Venezia Giulia) si fanno cose notevolissime, ma di quelle magari parlerò un’altra volta. Cerco, però, di dipingere con queste poche note un paesaggio di bella e concreta Italia scolastica.

L’Istituto per i servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera (IPSOE) “Giovanni Salvatore” di Castelvenere (Benevento) è un assoluto gioiello che unisce la passione per la scuola alla cura del territorio.
Annessa all’Istituto c’è anche una splendida enoteca comunale, utile per una didattica reale e di qualità e architettonicamente pregiata. La dirigente scolastica Elena Mazzarelli con grande cultura e sensibilità dirige un istituto teso a coniugare la scuola con il vero orientamento professionale dentro un rapporto qualitativo molto alto dell’Istituto con il suo territorio di riferimento (Benevento). Nell’Istituto cultura (anche musicale) e gastronomia di grande qualità mostrano quello che può fare una scuola quando comprende il suo territorio.

L’aria che si respira nei Licei Cartesio di Triggiano (Bari) è quella di una scuola viva e attiva, dove ragazzi e docenti colgono grandi possibilità dentro una varietà di offerte di alto livello. La dirigente scolastica Maria Marisco dimostra una calma intraprendente e muove istantanee collaborazioni. Sono arrivato ai Licei Cartesio di venerdì pomeriggio e dunque avrei potuto trovare una scuola stanca nell’inizio del fine settimana. Invece ho trovato una scuola viva, con studenti e docenti intenzionati a lavorare fino all’ultimo minuto della giornata, due collaboratori della collega Marisco di qualità e gentilezza squisita (Rosario Suglia e Francesco Mario Pio Damiani). Quello che ho visto a Triggiano è un bel modo di mostrare come può lavorare un Liceo, anche di venerdì pomeriggio.

Il Liceo Oriani di Ravenna diretto da Gianluca Dradi si definisce “The Wellness School”. Il senso di benessere percepito è evidente e Dradi è una presenza vulcanicamente rassicurante. Ho avuto il piacere di incontrare anche alcuni studenti che avevano lavorato al Bilancio sociale della scuola e devo dire che l’impressione è stata quella di una qualità altissima dentro una forte spinta all’imprenditorialità personale. La scuola mi ha trasmesso l’impressione di ragazzi che credono in sé e nell’istituzione e di un dirigente scolastico con le idee chiarissime.

La scoperta della Ciociaria (che proprio non conoscevo) ha fatto il paio con quella dell’ISIS Pertini di Alatri (Frosinone), dove Annamaria Greco ha introdotto un lavoro sinergico e capillare col suo territorio di riferimento. L’ISIS Pertini di Alatri è riferimento forte delle scuole tecniche e professionali, perché in un ambiente ottimo e molto accogliente apre agli studenti importanti ventagli di possibilità e proposte in un clima rassicurante.
Tutto il settore degli istituti tecnici e professionali sta mostrando grandi elementi di innovazione, ma penso che l’esperienza e la qualità dell’Isis Pertini di Alatri sia di valore molto alto e dovrebbe essere tenuta nel debito conto. Ad Alatri ho conosciuto anche la dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo di Paliano Ivana Nobler: questo Istituto sta vivendo un momento magico con iniziative settimanali di altissimo livello. E tutto viene documentato anche sul web in maniera impeccabile. L’impressione è che Ivana Nobler cerchi anche nei dettagli di proporre una scuola di qualità che punti ad alzare il livello generale della scuola, partendo da iniziative in cui il formale, il non formale e l’informale si compenetrano.

L’Istituto Alberghiero “Elena Cornaro” di Jesolo ospita da anni il Convegno dell’Andis mettendo a disposizione dei partecipanti i servizi della scuola e degli studenti. La dirigente scolastica Simone De Re, continuando la tradizione di Ilario Ierace, ha mantenuto alta la cura di un Istituto veneto che è veramente un gioiello sia nell’offerta formativa, sia nella competenza con cui si mette al servizio del pubblico. L’interazione tra scuola alberghiera e raccordo con l’utenza si mostra nella qualità dei particolari dentro una struttura scolastica di altissimo livello in cui si vede l’intervento approfondito dell’ente locale e la cura assoluta di chi lo dirige.

Ho anche avuto modo di entrare nel Liceo scientifico e classico Socrate di Roma nel quartiere della Garbatella e conoscere il dirigente Carlo Firmani. La presenza del Liceo nel quartiere è molto discreta e l’impressione è quella di una struttura di qualità che lavora dentro una città complessa. Carlo Firmani è però riuscito anche a dar vita insieme alla collega Lucia Presilla (che invece non ho avuto il piacere di conoscere personalmente) ad una strana e innovativa chat su Facebook cui sono confluiti oltre 3.000 dirigenti scolastici. E d’altronde da colleghi come Carlo Firmani c’è sempre da imparare per il modo equilibrato e realistico con cui leggono il mondo della scuola. Se la comunità della Garbatella ha nel Liceo Socrate un riferimento certo, il mondo della dirigenza scolastica trova sempre nella chat diretta anche da lui il ristoro a molti problemi che altrimenti restano nell’aria.

Annalisa Savino dirige con grande piglio e molta passione l’Istituto comprensivo “Ghiberti” di Firenze al confine con Scandicci. Sono stato accolto nell’istituto in estate e dunque non c’erano studenti. La scuola è grande e unisce attraverso un cortile due plessi di scuola primaria e secondaria di primo grado. Nel poco tempo della mia permanenza e davanti ad un Istituto complesso e che ha bisogno di un rinfresco a cura dell’ente locale, ho avuto modo non solo di trovare colleghi molto attivi, partecipi ed entusiasti, ma anche la dirigente Savino sempre con le antenne alzate. La sua idea di scuola penso sia molto legata alla collaborazione e alla partecipazione, nella valorizzazione di quello che Firenze offre ai suoi studenti attraverso la mediazione attenta di un Istituto comprensivo che vuol essere sempre di servizio.

Chiudo questa veloce carrellata, nata soltanto da impressioni colte al volo, con il Liceo classico europeo D’Annunzio Pescara, diretto da Donatella D’Amico. La D’Amico è una collega di cultura e competenza organizzativa vastissima, a capo di una rete di formazione territoriale abruzzese invidiabile e di valore scientifico molto alto. Ho poi iniziato a seguire sul web le attività del Liceo D’Annunzio di Pescara, sempre presidiate dalla D’Amico e ho potuto constatare che la presenza di quella scuola a Pescara è un valore assoluto. Il protagonismo attivo e consapevole delle scuole nei propri territori è l’esempio migliore del bene che può fare un’autonomia scolastica ben attuata. E quella attuata dalla D’Amico è certo di altissimo livello, oltre che scolastico anche culturale.

Termino qui il mio brevissimo report di impressioni e ancora una volta mi complimento con i colleghi che ho visto all’opera e che mi hanno insegnato moltissimo anche nel poco tempo in cui ci siamo frequentati.

 

 




Come scegliere i futuri dirigenti scolastici

matitadi Antonio Valentino

A fine luglio scorso è stata messa a punto dall’Ispettore Giancarlo Cerini una proposta sul “reclutamento dei DS”, sulla base delle risposte a 15 quesiti, dello stesso Cerini, di un Gruppo di una quindicina di persone, individuate tra candidati all’ultimo concorso, capi di istituto (ex e in servizio), dirigenti tecnici, studiosi che si sono misurati con il problema della formazione dei futuri dirigenti.
Le ragioni dell’iniziativa: le situazioni venutesi a creare soprattutto negli ultimi due concorsi, che hanno richiesto interventi della Magistratura e dello stesso Consiglio di Stato per dirimere questioni che hanno, tra l’altro, allungato in misura abnorme i tempi dei concorsi (anche sull’ultimo ci sono ancora pendenze che generano incertezze e difficoltà agli interessati e alle scuole su cui i neo assunti sono stati nominati).

La lunghezza dei tempi è certamente una delle ragioni non secondarie dell’aumento rovinoso di reggenze nell’ultimo decennio, che ha coinvolto un numero impressionante di scuole. Con le conseguenze che tutti conosciamo.
I 15 quesiti proposti erano essenzialmente finalizzati a raccogliere idee e indicazioni volte ad assicurare la tempestività e regolarità temporale dei concorsi, così da ridurre il numero dei partecipanti (ultimamente oltre ogni ragionevole misura), ma anche regole e modalità che possano durare nel tempo e diventare punto di riferimento per quanti, negli anni, vi fossero interessati. Regole, oltre che sui tempi (durata e cadenze), sul tipo di prove e loro coerenze con il profilo DS in questa fase, sulla configurazione delle commissioni, sui requisiti per parteciparvi, eccetera.

Partendo dalle risposte, Cerini ha elaborato un Documento in cui sono riportati, sui singoli capitoli, il grado di condivisione sulle proposte in campo, le ragioni che le sostengono e quelle che le sconsigliano.
Un documento ricco di spunti di riflessioni e di elaborazioni su cui misurarsi, che alcune settimane fa è stato inviato soprattutto al variegato mondo interessato alla questione (l’associazionismo professionale del personale scolastico, le OO.SS della scuola, la dirigenza tecnica del Ministero, ….).
Si rinvia pertanto a questo Documento per una più puntuale ricostruzione dei risultati del “Forum dei Quindici”.

Qui si intendono riprendere tre questioni, che ritengo soggettivamente centrali, proponendo su di esse qualche riflessione aggiuntiva o la focalizzazione di alcuni passaggi.

Valorizzazone delle esperienze di collaborazione

La prima riguarda la valorizzazione delle esperienze di collaborazione volte al buon funzionamento della scuola; a partire dalle esperienze dei collaboratori più stretti del DS a quelle di insegnanti impegnati nelle attività di coordinamento didattico-organizzativo o di presidio di aree significative del fare scuola.
Sono emerse nel Gruppo perplessità circa l’idea di valorizzare tali esperienze svolte a scuola, “anche perché – si legge nel Documento – non sempre oggetto di verifica e di valutazione”. Invece molta più condivisione c’è stata sulla proposta di inserire, nella procedura concorsuale, la valutazione delle qualità psico-attitudinali nello svolgimento di una funzione. Di tale proposta si evidenziano comunque “la fragilità delle strumentazioni psico-diagnostiche” e “la difficoltà ad inserirle in procedure pubbliche di reclutamento (perché dovrebbero essere affidate ad agenzie specializzate)”.
Nei due casi, il termine valorizzazione ha evidentemente significati diversi. Nel primo caso, il senso inequivocabile è “dare peso”, “riconoscere” le esperienze di collaborazione – diciamo così per semplificare – attraverso la previsione di un punteggio ad hoc che pesi; nel secondo caso, la valorizzazione è legata alla previsione, nelle prove concorsuali, di procedure volte ad apprezzare le qualità psico-attitudinali del candidato per lo svolgimento della funzione che sarà chiamato a svolgere.
Si tratta di proposte di diversa natura, entrambe comunque degne di considerazione.
Qui si vuole però soprattutto sottolineare la rilevanza della valorizzazione delle esperienze di collaborazione e partecipazione. ecc..

Il ragionamento che ne è alla base non è nuovo, ma vale la pena di riprenderlo. Consiste

1. nel collegare l’operazione concorso per DS alla questione dello sviluppo di carriera dei docenti: la Dirigenza Scolastica quindi come uno dei suoi sbocchi possibili. Nel senso che i meriti acquisiti sul campo, con le diverse forme di collaborazione alla vita dell’istituto, avrebbero – al netto del compenso economico per le attività fuori dall’orario di servizio – un riconoscimento ‘pesante’ in termini di punteggio aggiuntivo a quello delle prove concorsuali superate. Che si traduca in posizioni più avanzate nella graduatoria finale dei vincitori di concorso;

2. nell’ assumere:
a. che l’essere stati insegnanti-non- solo -insegnanti (per meglio capirci) e aver maturato esperienze in funzioni e ruoli aggiuntivi all’insegnamento, possa segnare in misura consistente la cultura professionale del docente e il modo di essere dentro la scuola e di sentirsene parte attiva,
b. che questa più ricca dimensione professionalepossa rappresentare una risorsa più importante della migliore preparazione che si consumi solo sui libri da studiare o nelle conferenze a cui partecipare;

3. nel dare peso e valore alla formazione che matura nella collaborazione per più anni, ai diversi livelli dell’organizzazione scolastica e della gestione complessiva. Considerandola una risorsa potenzialmente più efficace – per chi abbia superato le prove concorsuali – per partire da subito col piede più giusto.

(Senza nulla togliere comunque alla formazione specifica prevista per i neo dirigenti e al sostegno di tutor e mentor che restano misure certamente importanti e necessarie.)

Si pongono ovviamente, a questo punto, alcuni pesanti interrogativi già in parte richiamati (andrebbero aggiunti, alle difficoltà della valutazione dell’efficacia delle collaborazioni e della qualità della partecipazione, e a chi metterla in carico: il numero minimo di anni spesi in funzioni altre dall’insegnamento, il peso da attribuire eventualmente a ciascuna di esse, ecc.) che solo una ripresa di attenzione allo sviluppo di carriera dei docenti potrebbe permettere di affrontare positivamente. Recuperando eventualmente ipotesi di lavoro su cui ci si è appassionati nella fase iniziale delle vicende della c.d. “buona scuola” (autunno 2014 – primavera 2015), poi misteriosamente scomparse.

C’è infine una scommessa di carattere più generale che andrebbe recuperata nella proposta di collegare sviluppo di carriera e concorso DS: che si possa, attraverso di essa, favorire tra i docenti un più diffuso coinvolgimento – che gli accresciuti livelli di complessità rendono indispensabile – alla vita complessiva delle scuole e il recupero della motivazione a partecipare; e, volendo essere ottimisti (!), di un protagonismo cooperativo degli insegnanti, che, come è evidente, ha qualche difficoltà a materializzarsi.

La terza ed ultima questione del Documento, che qui si vuole considerare, riguarda le Commissioni.

Molti dei ‘peccati’ attribuibili ai concorsi vanno ricercati proprio nella qualità delle Commissioni, costituite quasi sempre finora senza una attività formativa preventiva ed efficaci forme di coordinamento a livello nazionale, rispetto alle singole procedure. (Nell’ultimo concorso DS ha fatto particolare scalpore, ad esempio, la notevole difformità nei comportamenti valutativi delle commissioni, sia nelle prove scritte, sia nelle prove orali. In queste ultime, tra l’altro, gli argomenti proposti obbedivano spesso a logiche di accertamento sostanzialmente arbitrarie).
(A discolpa parziale delle Commissioni in genere, va anche detto però, almeno tra parentesi, che esse sono state costrette a lavorare spesso in modo frettoloso e approssimativo nel poco tempo a disposizione, senza esoneri e con riconoscimenti economici da terzo mondo.)
Ma una criticità a monte va ricercata anche nella composizione delle Commissioni. Nelle quali era facile ravvisare, da parte delle persone più accorte, criticità spesso pesanti e di vario tipo: dagli squilibri evidenti alle figure inadatte, alle competenze pedagogiche, amministrative e professionali spesso mancanti…

Su questo punto, si dà conto nel Documento di una proposta particolarmente interessante da rilanciare: una ‘doppia opzione’, emersa nel Gruppo coinvolto, che potrebbe essere risolutiva dei problemi più grossi:
1. affidare ad una struttura permanente le diverse procedure concorsuali (una sorta di Gruppo di Regia Nazionale, “che svolga funzioni di preparazione di quadri di riferimento, griglie, tracce dei quesiti e delle prove”);
2. istituire un Albo da cui attingere le diverse professionalità necessarie per l’espletamento delle operazioni concorsuali.

È una proposta che penso abbia un forte valore strategico. Ovviamente costa. Ma quanti risparmi assicurerebbe ai diversi livelli e quali ricadute sul clima interno tra gli interessati e nell’intero pianeta scuola!

Se ne farà qualcosa? Lo sapremo vivendo, come si dice.

 

 

 

[1] I contributi scritti sono di: Beatrice Aimi, Lisetta Bidoni, Franco De Anna, Vanna D’Onghia, Paolo Fasce, Antonio Giacobbi, Rosalba Marchisciana, Emanuela Marguccio, Elisabetta Nanni, Mauro Piras, Mariella Spinosi, Maria Teresa Stancarone, Stefano Stefanel, Antonio Valentino, Maria Rosaria Villani, Lorella Zauli.




Come scegliere i futuri dirigenti scolastici?

Pubblichiamo questo interessante documento che nasce da una riflessione collettiva promossa e stimolata da Giancarlo Cerini tramite il Forum reclutamento dirigenti [1]

Una premessa doverosa: come nasce la proposta?

Dalle risposte pervenute ai quindici quesiti proposti inizialmente ad un gruppo di una ventina di “testimonial” emerge un’idea sostanzialmente condivisa di come si dovrebbero rinnovare le procedure per il reclutamento dei dirigenti scolastici. Questo, a maggior ragione, anche alla luce della situazione che si è venuta a determinare con gli interventi della Magistratura (in particolare con la Sentenza del TAR del Lazio del 2-7-2019 e la successiva sospensiva del Consiglio di Stato) che mettono a rischio la possibilità di concludere l’iter concorsuale con la nomina dei neo-dirigenti all’inizio dell’anno scolastico 2019-2020 e che, comunque, lasciano dietro di sé una scia infinita di polemiche e di incertezze.

Tuttavia, l’idea di studiare forme più efficaci di reclutamento dei dirigenti, non nasce direttamente dalle attuali difficoltà (né interviene nel merito del contenzioso in atto), semmai scaturisce dalle evidenti criticità che si sono manifestate lungo tutto il percorso concorsuale (ma anche nei precedenti), segnalate sia da chi ha superato positivamente le prove, sia da chi non vi è riuscito. Nel gruppo dei soggetti interpellati abbiamo infatti dato voce agli uni e agli altri affinché elaborassero proposte fattibili, con toni pacati e al netto di tutte le distorsioni emotive che si sono manifestate in rete. Potremmo ben dire che si è trattato del primo concorso pubblico per dirigenti nell’era di Facebook, all’inizio in forma di pacati gruppi di preparazione, studio, mutuo aiuto, poi (inevitabilmente?) di tifoserie contrapposte.

La presenza nel gruppo di discussione di studiosi, capi di istituto, dirigenti tecnici, tutte persone che si sono misurate con il problema della formazione dei futuri dirigenti, rende il confronto delle opinioni una preziosa base per intervenire, si spera in tempi brevi, a ripristinare quella fiducia tra insegnanti, potenziali candidati, pubblica amministrazione, opinione pubblica, che sembra essere venuta meno anche a seguito di questa vicenda. Vorremmo, cioè, che l’accesso alla qualifica dirigenziale avvenisse attraverso procedure credibili, trasparenti e condivise, efficaci e tempestive, come si chiede in un paese civile.

E’ (ancora) tempo di concorsi?

L’accesso alla qualifica di dirigente scolastico viene, quasi all’unanimità, ascritto a procedure concorsuali pubbliche (come richiede la Costituzione), riservate a chi abbia svolto in precedenza la funzione di insegnante (quindi riconoscendo una comune radice/ragione culturale allo svolgimento di questo ruolo). Si chiede però in maniera netta di assicurare la tempestività dei concorsi (la scadenza preferita è quella biennale, ma qualcuno la vorrebbe annuale, altri triennale), ben sapendo che negli ultimi vent’anni tutte le prescrizioni legislative sulla tempistica dei concorsi sono state largamente disattese. Si segnala anche che l’accesso per pubblico concorso dovrebbe tenere sgombro il campo (tra un concorso e l’altro) da aspettative, interessi, contenziosi, graduatorie, collegati alle alterne vicende legislative e amministrative tipiche della nostra politica scolastica, troppo spesso avvezza a dar ascolto ai cosiddetti diritti acquisiti (chissà, poi!), piuttosto che al merito.

Un buon concorso richiede tempestività e continuità di azione (ad esempio, le regole e le modalità non dovrebbero cambiare ad ogni tornata concorsuale), ma anche la riduzione del sovraccarico di partecipanti (ultimamente dell’ordine delle decine di migliaia). Questo si può ottenere solo aprendo prospettive diverse nello sviluppo professionale dei docenti (cioè opportunità sostanziose di carriera e di riconoscimenti economici), anche per lo svolgimento di funzioni di sistema diverse da quelle di insegnamento.

E’ minoritaria, tra i partecipanti al forum, l’idea di una selezione diretta (una sorta di chiamata o di incarico) attribuita al Direttore Scolastico Regionale, mentre generalizzata è la richiesta che il profilo di professionalità acquisito all’interno della scuola conti di più nella selezione del personale dirigente, con idee però ancora diverse.

L’elettività del dirigente: ipotesi tramontata?

Lo sviluppo del sistema scolastico avvenuto negli ultimi vent’anni (attribuzione alla scuola dell’autonomia e della personalità giuridica, processi di dimensionamento, qualifica dirigenziale riconosciuta ai capi di istituto) sembra non offrire più spazio a procedure di nomina “dal basso” e per periodi limitati di docenti eletti dai loro colleghi, come pure avviene in alcuni (pochi) paesi europei. L’ordinamento scolastico e la presenza di istituzioni ad alta complessità gestionale fanno preferire una soluzione giuridico-amministrativa imperniata sulla figura di un dirigente pubblico cui attribuire significative prerogative in materia gestionale ed organizzativa. Si è tuttavia consapevoli che questa scelta potrebbe ridurre il raggio di azione del dirigente, spostandolo verso la dimensione puramente amministrativa. Occorre prendere atto del pesante ruolo pervasivo e performante che il diritto amministrativo ha assunto nella gestione di taluni servizi pubblici, come la scuola, a scapito di una maggiore attenzione alla specificità tecnica del servizio reso.

D’altra parte, una cooptazione dal basso non è detto che porti alla scelta dei colleghi migliori e più adatti alla funzione (forse ai più graditi). Comunque, l’idea di affidare a personale anche eletto dai colleghi alcune delle funzioni intermedie e di collaborazione è gradita, magari con riferimento al presidio di funzioni fortemente connesse alla sostanza pedagogica del fare scuola, agli snodi culturali, organizzativi ed operativi da presidiare. L’aver svolto questo tipo di funzioni, precisando le modalità di reclutamento, le competenze e le responsabilità di tali figure, può diventare elemento qualificante di un curriculum professionale dell’aspirante dirigente scolastico (un prerequisito per essere ammesso al percorso). Questa ipotesi, secondo alcuni, potrebbe rappresentare una valida alternativa all’istituto della reggenza (fortemente criticato a tutti i livelli).

L’ipotesi del sorteggio viene evocata solo da alcuni per mettere in evidenza i paradossi e gli aspetti di aleatorietà insite anche nelle attuali procedure concorsuali.

Preparazione culturale, esperienza o attitudine?

Nella selezione a qualifiche di pregio l’accertamento delle caratteristiche culturali di un soggetto (da affidarsi anche a step della procedura concorsuale) dovrebbe essere affiancata dall’apprezzamento delle potenziali competenze operative e professionali (il saper fare del dirigente) da acquisire attraverso l’esperienza sul campo o, meglio, il tirocinio guidato e assistito. Qualche perplessità viene manifestata verso l’idea di valorizzare l’esperienza svolta a scuola, anche perché non sempre oggetto di verifica e di valutazione. Ci si riferisce ai ruoli di collaboratore e simili, che sembrano appannaggio di pochi eletti.

Viene richiesta, da molti, anche una valutazione delle qualità psico-attitudinali allo svolgimento di una funzione che si traduce in larga parte in una azione di relazione e di dialogo professionale. Si è però consapevoli della fragilità di tali strumentazioni psico-diagnostiche e della difficoltà ad inserirle in procedure pubbliche di reclutamento (perché dovrebbero essere affidate ad agenzie specializzate).

L’esperienza di carattere professionale dovrebbe assumere un maggiore peso, attraverso un adeguato riconoscimento in termini di punteggio complessivo che si affianca a quello delle prove d’esame, piuttosto che come soglia di sbarramento iniziale. In questo caso affiorano divergenze tra i partecipanti al forum: qualcuno propone una salomonica quota di accesso (ad esempio, un terzo dei posti) destinata, senza prove preselettive, a coloro che hanno svolto documentate attività di supporto organizzativo e professionale all’interno delle scuole di provenienza. I più giovani, in questo modo, non sarebbero penalizzati.

Come ridurre la platea dei partecipanti e rendere gestibile il concorso

Al di là della tempestività e regolarità dei concorsi, e alla presenza di altre modalità (carriera) di riconoscimento di professionalità è assai probabile che ai concorsi pe dirigenti scolastici si presentino platee sempre assai ampie (contram, la difficoltà a reclutare dirigenti scolastici che sta emergendo in molti paesi europei). Questo dislivello richiede comunque una qualche forma di vaglio selettivo iniziale, che potrebbe basarsi su un mix di curriculum strutturato (e rigorosamente certificato) e di prove preselettive di tipo culturale. Secondo alcuni, l’ammissione dovrebbe basarsi su una graduatoria nazionale per titoli ove apprezzare sia esperienze di tipo professionale ed organizzativo svolte a scuola, sia di carattere culturale e formativo. Viene portato come esempio “sostenibile” il modello trentino, con una prima scrematura centrata sulla documentazione di titoli valutabili, seguita da una procedura preselettiva basata su testing, elaborazione di un portfolio professionale, colloquio-intervista.

Occorre assolutamente evitare che l’accesso al concorso vero e proprio sia affidato a test preselettivi di carattere meramente mnemonico.

E prova preselettiva sia….

Di fronte allo “stato di necessità” dell’alto numero di candidati in partenza (da ridurre con varie modalità) si prospetta l’esigenza di organizzare prove di carattere preselettivo, una volta trovato il dosaggio tra esperienze sul campo e preparazione culturale. In genere si chiede di restringere il campo dei contenuti culturali (giuridici, organizzativi, professionali) eliminando la pretesa enciclopedica che caratterizza l’attuale programma del concorso. Andrebbero evitati dettagli relativi alle diverse branche del diritto, precisazioni sulle teorie dell’organizzazione, minuziose ricostruzioni dei sistemi scolastici europei, per concentrarsi invece sugli elementi portanti dell’ordinamento scolastico, della funzione del dirigente scolastico, sui riferimenti significativi di diritto e di legislazione.

Alcuni richiederebbero anche la presenza di item relativi a conoscenze di carattere logico, o di tipo attitudinale-proiettivo.

Prevale l’idea che il rendere pubblico con un congruo anticipo l’intera batteria di test (banca-dati) aumenti gli aspetti di studio mnemonico sui dettagli, a scapito della comprensione approfondita dei quesiti. La pubblicazione di tutti i test utilizzabili trova però anche qualche estimatore.

Qual è il profilo di dirigente scolastico necessario alla scuola di oggi?

Tutti gli interventi chiedono di prestare una attenzione specifica alle caratteristiche del lavoro di un dirigente, che non può essere assimilato tout court alla dirigenza amministrativa “pura” (che ha come modello la dirigenza ministeriale). Semmai esiste il problema del riconoscimento giuridico ed economico delle accresciute responsabilità dei dirigenti scolastici. Il dirigente è garante della efficacia dell’azione della scuola e della correttezza dei comportamenti di tutti i soggetti che vi operano, ma questo richiede di estendere il raggio di azione ad aspetti squisitamente relazionali, pedagogici, organizzativi, gestionali che mettano al centro i compiti istituzionali affidati al sistema formativo. Questo significa che non è sufficiente la conoscenza puntuale delle leggi, ma che occorre coglierne il senso evolutivo, lo spirito, il valore culturale ed educativo.

Occorre tenere in equilibrio l’esercizio della leadership educativa (che è fatta prevalentemente di relazioni con le persone) con lo svolgimento di funzioni di indirizzo organizzativo e gestionale, anche attraverso la presenza di una rete di figure di collaborazione.

Sotto il profilo strettamente giuridico il quadro delineato nel D.lgs. 165/2001 è considerato esauriente (anche con talune precisazioni apportate dalla Legge 107/2015, come quelle contenute nei commi 78 e 93), anche se alcuni vorrebbero comunque rafforzare la dimensione educativa. Il dirigente dovrebbe presidiare i luoghi della didattica e non solo la correttezza delle procedure amministrative. Il questionario, però, non chiedeva di esprimersi direttamente sugli eventuali effetti distorsivi della qualifica dirigenziale all’interno di una organizzazione culturale, ispirata a valori comunitari e con ampi margini di discrezionalità professionale negli addetti (la c.d. libertà di insegnamento).

Quale profilo emerge dalla procedura concorsuale?

Si è alla ricerca di un equilibrio tra la dimensione educativa e culturale del profilo del dirigente e quella gestionale e manageriale, perché considerate entrambe necessarie, ma da dedurre non da un profilo astratto, ma da una effettiva ricerca sul campo del lavoro quotidiano del dirigente. Qualcuno si spinge fino a quantificare il rapporto tra dimensione educativa (60%) e amministrativa (40%): ma i confini tra le due aree non sono così netti. Occorre comunque rafforzare la dimensione educativa-organizzativa (contenendo quella giuridico-astratta) attraverso la formazione iniziale ed in servizio e con un diverso bilanciamento della procedura concorsuale.

Nella composizione delle commissioni bisognerebbe evitare di inserire professionalità avulse dal contesto scolastico (come ad esempio, presenze accademiche di discipline lontanissime dal mondo della scuola), privilegiando l’appartenenza al campo educativo, come ad esempio le figure di dirigenti tecnici (quasi assenti) o di dirigenti scolastici di comprovata esperienza o autorevolezza.

Anche la composizione del paniere dei quesiti dovrebbe rispecchiare una diversa idea della dirigenza scolastica, mentre si ha l’impressione che l’apparato ministeriale (responsabile del concorso) sia piuttosto preoccupato delle incombenze di minuta gestione che i dirigenti devono spesso disbrigare a fronte delle carenze delle segreterie o dei numerosi compiti ad esse delegate.

Prove scritte short o narrative?

La struttura dei quesiti brevi a molti non appare soddisfacente per mettere alla prova competenze operative. Alcuni, tuttavia, la ritengono una soluzione efficace, che però dovrebbe disporre di un maggior tempo a disposizione (ad esempio, il doppio di quello attualmente previsto), per consentire approfondimenti più mirati. Si fa strada l’idea di ricorrere ad analisi più narrative di dossier che comportano la comprensione e la ponderazione di situazioni complesse, come quelle che in genere deve affrontare un dirigente (dispersione, inclusione, valutazione, organizzazione). Non mancano i suggerimenti mediati: la prova scritta potrebbe comprendere una serie di quesiti puntuali in cui testare la padronanza di strumenti giuridici e amministrativi, ma anche un caso più articolato, con il quale mettere alla prova il “senso pratico” del futuro dirigente nell’affrontare i problemi che si incontrano a scuola.

Il peso delle lingue straniere appare eccessivo (magari da sostituire con la presentazione di certificazioni adeguate), da potenziare invece le tematiche dell’e-leadership.

Orale a quiz o colloquio approfondito?

Anche le prove orali dovrebbero evitare la strada stretta dei quesiti puntuali a sorteggio (che tra l’altro non rappresentano l’intero spettro dei contenuti del bando di concorso) e soffermarsi su una più distesa analisi di questioni professionali, ove mettere alla prova le intuizioni e la visione prospettica e progettuale dei futuri dirigenti con la padronanza di strumentazioni operative, gestionali ed amministrative.

Esiste la consapevolezza che non basta una sola domanda (o una sola tipologia di prova) per verificare le competenze potenziali di un futuro dirigente scolastico. Nel reclutamento di “alte” professionalità si combinano diverse metodologie, che vanno dia colloqui attitudinali alle simulazioni, dalle interviste ai giochi di ruolo, ma è evidente che una procedura pubblica pone numerosi vincoli, oltre alla questione tempo e numerosità dei partecipanti. Inoltre, occorre disporre di un “corpo” professionale di valutatori o selezionatori del personale.

Nell’attuale contesto, comunque le domande della prova orale dovrebbero essere più aperte, rappresentare le diverse aree di competenza del dirigente, essere minimamente contestualizzate alle effettive condizioni di operatività di un dirigente. Una soluzione potrebbe prevedere di raggruppare i quesiti in tre grandi aree (aspetti organizzativi, aspetti amministrativi, aspetti pedagogici), da sondare con tre diverse domande in sede d’esame. Qualcuno propone di rendere pubblica l’intera banca-dati dei quesiti potenziali. L’elaborazione delle domande andrebbe affidata ad un livello nazionale, o comunque con una validazione nazionale.

In prospettiva, la prova orale si dovrebbe presentare come conclusiva di un percorso di tirocinio e di stage formativo, perché allora si potrebbe evitare il sorteggio dei quesiti, per collegare invece il colloquio a quanto avvenuto nella fase di tirocinio e nella discussione di un portfolio professionale.

Le regole del gioco dovrebbero essere conosciute con largo anticipo dai partecipanti e non essere soggette a cambiamenti durante lo svolgimento del concorso, ma diventare stabili nel tempo.

Quale credibilità per i membri delle commissioni?

E’ giudizio condiviso che la mancanza di un tempo equo per il lavoro delle commissioni (che ha portato alla frettolosità e approssimazione che spesso si leggono in alcune verbalizzazioni), l’assenza di esonero dal servizio per gli stessi membri, la mancanza di un dignitoso riconoscimento economico, sono tutti fattori che rendono fragile la composizione delle commissioni d’esame e la loro piena funzionalità. Già si è segnalato l’esigenza di un riequilibrio nella composizione delle stesse, con la presenza di effettive competenze pedagogiche, amministrative e professionali.

Emerge l’idea di affidare ad una struttura dedicata (una sorta di board permanente per il reclutamento del personale) le procedure concorsuali, nella duplice opzione di:

  1. Un comitato scientifico permanente di elevata levatura professionale e di inattaccabile autorevolezza, che svolga funzioni di preparazione di quadri di riferimento, griglie, tracce dei quesiti e delle prove (una sorta di gruppo di regia nazionale);
  2. L’istituzione di un albo cui attingere le diverse professionalità necessarie per l’espletamento delle operazioni concorsuali.

Emergono, tuttavia, diversità di opinioni sul tema della discrezionalità delle commissioni: secondo alcune va radicalmente contrastata attraverso la esplicita “proceduralizzazione” di tutti i passaggi, la formulazione nazionale di quesiti, al limite la correzione sulla base di algoritmi inoppugnabili (di qui la preferenza per saggi brevi); altri rivendicano una maggiore discrezionalità da parte dei diversi soggetti implicati nella gestione del concorso, controbilanciata tuttavia dalla rendicontazione dei risultati ottenuti e dal principio di responsabilità (che è cosa diversa dagli esiti di un contenzioso giurisdizionale).

L’esperienza della “randomizzazione” nella correzione delle prove e nello svolgimento dei colloqui sembra aver dato qualche esito significativo, in termini di maggiore equità. Tuttavia la sede di lavoro delle commissioni dovrebbe essere unica.

Un solo concorso (nazionale) o tanti concorsi (regionali)?

La procedura nazionale è largamente preferita, anche se alcuni preferirebbero un significativo decentramento a livello regionale. Occorre però professionalizzare le commissioni attraverso un reclutamento mirato, una attività formativa preventiva ed efficaci forme di coordinamento tra le diverse commissioni. Le commissioni dovrebbero disporre di strumenti di lavoro comuni e introiettare comuni criteri di valutazione. Al di là delle criticità formali dell’attuale concorso (su cui si dovrà esprimere la magistratura amministrativa) ciò che ha fatto scalpore è la notevole difformità nei comportamenti valutativi delle commissioni, sia nelle prove scritte, sia nelle prove orali, nonostante il possibile effetto “calmieramento” della randomizzazione delle assegnazioni di correzioni e colloqui. Ma si tratta di valutazioni di merito non sindacabili in un contenzioso giurisdizionale.

Ogni quanti anni bandire il concorso?

Il ritmo torrentizio nell’indizione dei concorsi per dirigenti (con lunghi periodi di silenzio alternati ad improvvise tornate concorsuali per decine di migliaia di partecipanti) è una delle cause della gestione faticosa degli attuali concorsi. La norma prevede l’indizione triennale dei concorsi, ma negli ultimi vent’anni è sempre stata disattesa anche se rilanciata con scadenzari precisi all’interno di leggi più recenti. Esiste la positiva esperienza dei concorsi a direttore didattico, biennali, che hanno egregiamente funzionato per decenni. L’esperienza trentina insegna che è possibile gestire in toto una procedura di reclutamento in un anno solo, ed alcuni discussant si sono appellati a questo precedente.

E’ evidente che una rigorosa scansione programmata pluriennale (ad esempio, ogni due anni) sarebbe un elemento di regolazione della procedura concorsuale evitando molte delle attuali distorsioni. A maggior ragione se, come chiedono alcuni, la partecipazione non potesse essere “reiterata” per più di tre volte, oppure dopo periodi “sabatici” tra un insuccesso e l’altro. Alcuni ritengono che l’amministrazione dovrebbe provvedere ad organizzare momenti formativi per aspiranti alle nuove posizioni, oltre che incentivare la documentazione e la certificazione delle competenze acquisite da docenti sul posto di lavoro e spendibili per la nuova carriera.

Ma, allora, chi dovrebbe far parte delle commissioni?

Occorre evitare la presenza di giuristi puri, non in grado di contestualizzare le conoscenze giuridiche con il loro uso effettivo. Si fa preferire, per il coordinamento delle commissioni la figura del dirigente tecnico (meglio se anche in possesso di esperienza di conduzione di istituzioni scolastiche). Da evitare la presenza della componente accademica o da circoscrivere a settori educativi o di ricerca attinenti alla dimensione scolastica. Minoritaria la posizione di chi vorrebbe solo dirigenti scolastici. Inoltre, sarebbe utile la presenza di valutatori nel campo delle dinamiche relazionali e comunicative.

Come garantire una efficace formazione sul campo, durante il concorso?

Il periodo dedicato alla formazione ed al tirocinio pratico nella scuola, inizialmente previsto dal Bando, è stato “cassato” dal legislatore, a giochi in corso, nella convinzione di accelerare le procedure concorsuali e assicurare con tempestività la nomina dei dirigenti sulle numerose sedi vacanti. Tuttavia, la scomparsa di questo segmento dell’iter concorsuale (che forse era eccessivamente macchinoso, dovendo poi pensare ad una successiva prova orale e scritta, con una diversa commissione) è quasi unanimemente considerata un vulnus ad un modello di reclutamento professionalizzante-

Quasi tutti i partecipanti ritengono che il tirocinio dovrebbe essere oggetto di specifica valutazione all’interno del percorso concorsuale ed avere un suo peso rilevante. Secondo alcuni potrebbe anche sostituire la prova orale, diventando un tutt’uno, come riflessione sulla pratica.

La durata di un tirocinio formativo dovrebbe essere di almeno 6 mesi, fermo restando poi la prosecuzione di una forma di tutoring all’interno di un più lungo periodo di prova. Decisivo il ruolo dei mentor, cioè di colleghi dirigenti esperti che si affiancano ai neo-dirigenti in formazione (alcuni prevedono rotazioni di queste figure).

E come accompagnare i nuovi dirigenti nel loro ”ambientamento” nella dirigenza?

La richiesta è di non ripetere attività di formazione e informazione sui molteplici contenuti culturali previsti nel programma del concorso o nell’astratta disamina del profilo richiesto al dirigente. Servirà, piuttosto, una formazione personalizzata, ritagliata sugli specifici bisogni formativi dei neo-dirigenti, alla luce del loro curriculum professionale. E’ comunque importante, al di là dei seminari formativi, affiancare il neo-assunto con un dirigente “mentor” in grado di accompagnarlo e consigliarlo nei passaggi più critici della nuova professione. La costituzione di piccoli gruppi di confronto, scambio, mutuo-aiuto (con la guida di un dirigente esperto) potrebbe poi incentivare il lavoro collaborativo.

Al centro dovrebbero stare situazioni concrete, come le capacità relazionali e comunicative, il presidio della didattica, il rapporto con il territorio, le molteplici questioni della valutazione, la gestione delle innovazioni e i processi di rete.

 [1] La redazione del documento è a cura di Giancarlo Cerini, che si è avvalso dei contributi scritti di: Beatrice Aimi, Lisetta Bidoni, Franco De Anna, Vanna D’Onghia, Paolo Fasce, Antonio Giacobbi, Rosalba Marchisciana, Emanuela Marguccio, Elisabetta Nanni, Mauro Piras, Mariella Spinosi, Maria Teresa Stancarone, Stefano Stefanel, Antonio Valentino, Maria Rosaria Villani, Lorella Zauli.