La progettazione di istituto ai tempi del PNRR

disegno di Matilde Gallo, anni 10

di Clara Alemani

Come è noto, le scuole stanno ricevendo cospicui finanziamenti legati al PNRR. Appare quindi necessario che la progettualità di istituto (ri)trovi spazi e modi adeguati agli investimenti, così da scongiurare il rischio di spese poco oculate e creare invece le condizioni per utilizzare al meglio quanto viene assegnato.

 

 

La progettualità, intesa come attività del progettare[1], deve innanzi tutto assumere la trasparenza come riferimento imprescindibile, non soltanto per quanto attiene gli atti amministrativi e contabili, ma soprattutto come principio per documentare quanto via via si realizza. Tradizionalmente nella scuola si lavora molto, ma si documenta poco: in parte perché gli strumenti adottati sono percepiti come appesantimenti burocratici da molti docenti (e da alcuni DS); in parte perché spesso le scuole sono chiamate a operare in situazioni cosiddette di emergenza, in cui conta agire rapidamente e appare quasi impossibile ricavare spazi e tempi per progettare e pianificare le azioni che verranno realizzate.  C’è inoltre una ragione culturale, retaggio di una visione di scuola in parte romantica, in parte legata alla cultura gentiliana, che identifica qualunque documento ufficiale redatto dentro la scuola come una indebita perdita di tempo, un’attività che deve essere compiuta, un dovere da adempiere, che, nei fatti, non interessa a nessuno. Il pensiero ancora prevalente per molti docenti identifica il buon insegnante come colui (solo in parte colei) che, dotato di una solida cultura (rigorosamente umanistica), di carisma personale e di una certa dose di istrionismo, è capace di improvvisare le proprie lezioni affascinando e incantando alunni e alunne. Redigere il piano di lavoro o un’unità di apprendimento rappresenta, in questa visione, un tempo sottratto ad attività considerate più nobili. Anche molti tra i nuovi giovani docenti non sfuggono a questa logica dell’adempimento e non sembrano disponibili a interrogarsi su altre ipotesi possibili. Al contrario, la capacità di documentare può diventare una risorsa professionale per i/le docenti, con funzioni diverse e variegate, come illustra Barbara Balconi[2].

Anche i documenti di istituto ricadono spesso nella medesima logica dell’adempimento, configurandosi così, non come risorse operative utili per chi lavora a scuola, bensì come atti da chiudere in un cassetto fino alla scadenza successiva. Riesaminare la progettualità di istituto può servire proprio ad avviare una riflessione collettiva sui documenti della scuola, sulla loro struttura, sulle modalità con cui vengono redatti, sulla scelta delle persone che se ne occupano.

È necessario, preliminarmente, interrogarsi sul significato che in ogni scuola si attribuisce al termine progetto: sotto questo comodo e rassicurante umbrella term abitano iniziative molto diverse tra loro che variano da incontri di poche ore, di una o più classi, con esperti su tematiche specifiche, a iniziative che negli anni hanno perso il loro carattere prototipico e si sono strutturate come articolazioni della didattica ordinaria. Sarebbe utile allora che le scuole definissero con chiarezza i criteri per classificare le diverse attività e attribuire a ciascuna di esse uno spazio meglio definito all’interno del curricolo di istituto, del PTOF, nonché del Programma Annuale. Sarebbe ugualmente utile interrogarsi sul valore di tali iniziative, inteso come coerenza con gli obiettivi educativi e didattici individuati come prioritari dall’istituto, sui risultati ottenuti nel tempo grazie a esse (ammesso che vengano effettivamente misurate), ma anche sulle metodologie promosse e sui tempi di realizzazione. La questione dovrebbe riguardare soprattutto le iniziative che le scuole intendono mettere in campo contro la dispersione scolastica. È chiaro che gli interventi, soprattutto quelli che le scuole definiscono di recupero, non possono essere la riproposizione, seppure destinata a gruppi di alunni/e più ristretti, di metodologie e modalità di conduzione delle lezioni tradizionali, in cui il modello prevalente è ancora la lezione frontale. È altresì evidente che le scuole potrebbero opportunamente aprirsi a realtà esterne, come previsto anche dal decreto del Ministero, che già agiscono in molti territori, per co-progettare iniziative in grado di valorizzare anche e soprattutto gli apprendimenti informali e non formali, in aggiunta a quelli formali proposti dalla scuola stessa.

Qualunque sia l’indirizzo che la scuola si darà, è necessario scongiurare alcuni rischi, primo fra tutti quello di mettere in pista un numero sproporzionato di iniziative / progetti, difficili da governare e pertanto poco organici alla scuola stessa. Un altro rischio, come già accaduto in passato, è quello di importare esempi e pratiche, più o meno buone, in maniera acritica, senza cioè il necessario adattamento al proprio contesto di scuola, compresa la cultura professionale delle persone che vi lavorano. C’è infine il rischio che le scuole improvvisino, realizzando azioni non sorrette dalle necessarie competenze professionali, intese come

  • adeguata formazione dei soggetti chiamati a realizzarle (sapere);
  • necessaria pianificazione delle azioni da realizzare (saper fare);
  • solida cultura professionale e organizzativa (saper essere).

In questo particolare momento di questo particolare anno scolastico, in cui devono prendere avvio le iniziative del PNRR contro la dispersione, quelle del Piano Scuola 4.0, la rendicontazione sociale, il nuovo rapporto di autovalutazione, il piano di miglioramento e il PTOF, è necessario mantenere una visione di insieme (uno sguardo unitario) sulle diverse azioni che già si realizzano dentro le scuole, per evitare, da un lato la duplicazione di rassicuranti pratiche dall’esito incerto (o forse solo mai misurato),  dall’altro per differenziarne la tipologia e arrivare magari ad aggredire uno stesso problema da molteplici e variegati fronti.

Spetta a chi dirige il compito di mantenere la rotta, cogliendo ogni utile opportunità per garantire unitarietà all’organizzazione, ma anche per sollecitare la consapevolezza di tale unitarietà nei docenti, in tutto il personale della scuola, nelle famiglie, nei partner e nei portatori di interesse più significativi. Il messaggio deve essere chiaro e inequivocabile: la scuola ha selezionato i propri obiettivi, di miglioramento e di sviluppo, e agisce in maniera consequenziale, per favorirne il raggiungimento attraverso processi, azioni, iniziative e progetti coerenti con gli obiettivi stessi. È un messaggio che deve arrivare in maniera diretta dal PTOF stesso, cioè dal documento di pianificazione strategica dell’istituto, in cui le diverse iniziative sono portate a sistema in maniera coerente e organica, visibili all’interno e all’esterno della scuola, sostenute dalle necessarie risorse, a dimostrazione dell’impegno di tutte le persone che lavorano nella scuola.

Affinché si componga un disegno organico, è necessario che lo sguardo di chi dirige mantenga il fuoco su tre diverse prospettive, di cui sappia cogliere e far cogliere la complementarietà:

  • i risultati dei progetti, in coerenza con le azioni e gli obiettivi definiti (gli output, per così dire);
  • i risultati di apprendimento degli/delle alunni/e, destinatari per i quali quelle iniziative sono state messe in atto (gli outcome);
  • i risultati di apprendimento organizzativo, inteso come apprendimento che si sviluppa all’interno della scuola attraverso momenti collettivi di riflessione, di confronto e di agire effettivo e diventa patrimonio professionale dell’intero istituto (risultati in termini di impatti).

Per facilitare il compito e mantenere uno sguardo vigile, può essere utile elaborare o riesaminare, se già in uso, strumenti che

  • siano una risorsa per la pianificazione, la realizzazione, il monitoraggio, la valutazione e la messa a sistema complessiva delle azioni che si intende realizzare;
  • consentano di governare in maniera più agevole la complessità delle iniziative e dei progetti che le scuole realizzano e realizzeranno;
  • documentino le scelte e le strategie messe in atto dall’istituzione scolastica;
  • rendano possibile far dialogare fra loro i diversi documenti in corso di elaborazione (RAV, PdM, PTOF, Programma Annuale, Contratto di Istituto, …);
  • facilitino le azioni di monitoraggio e rendicontazione, non soltanto quelle che verranno richieste dal Ministero, bensì quelle necessarie alla scuola per valutare il proprio operato.

Ci sono elementi che, qualunque sia lo strumento adottato, devono essere presenti nel momento in cui si pianifica un’iniziativa o un progetto. Occorre

  • individuare obiettivi misurabili e coerenti con quelli di istituto riportati nel PTOF;
  • definire indicatori e target;
  • definire la sequenza delle azioni, anche di quelle apparentemente meno significative;
  • individuare i responsabili;
  • stabilire, per ogni azione, il piano temporale (quando e per quanto tempo);
  • indicare le risorse necessarie per la realizzazione;
  • definire un sistema di monitoraggio, in cui siano indicate le scadenze e le modalità di raccolta e diffusione dei dati.

Sarebbe inoltre opportuno definire un piano appropriato di comunicazione interna ed esterna, in cui indicare quando, cosa, a chi e come comunicare lo stato dell’arte delle varie iniziative.

Quanto riportato più sopra dovrebbe concretizzarsi in uno strumento a cui facciano riferimento tutti coloro che collaborano alle diverse iniziative, siano esse parte del Piano di Miglioramento, dei progetti del PNRR e del Piano Scuola 4.0, di ogni altro progetto realizzato dalla scuola. Un foglio excel o una tabella word possono essere altrettanto funzionali di strumenti più sofisticati che solitamente scoraggiano i/le docenti.

È certo che la definizione di uno strumento omogeneo per iniziative diverse comporta una riflessione che riguarda non soltanto la scelta delle attività, la loro pianificazione, realizzazione e monitoraggio, bensì un ripensamento più complessivo sul significato dell’azione educativa e didattica dell’istituto, sulla professionalità di chi ci si impegna, sul fare scuola. Una riflessione di questo genere deve trovare nella scuola uno spazio adeguato per svilupparsi, prendere forma e diventare così un elemento della cultura professionale di quell’istituto. È importante che non sia solo il risultato della riflessione (o dell’intuizione o persino dell’ostinazione) di una persona (o di un ristretto gruppo) , ma che possa diventare patrimonio di tutta la comunità professionale, come risultato di una riflessione condivisa e di un apprendimento sociale. Si parte dagli strumenti, ma si arriva inevitabilmente alle persone, ai protagonisti delle azioni educative e didattiche.

La rilettura della progettualità di scuola assume quindi le caratteristiche di un ripensamento complessivo del fare scuola e può condurre a ulteriori, interessanti spunti di riflessione. È possibile infatti che le diverse iniziative da realizzare richiedano anche aggiustamenti, correzioni, interventi su aspetti che riguardano i processi organizzativi (la necessità, ad esempio, di condensare alcuni interventi in un particolare arco temporale, con la conseguente necessità di rimodulare gli orari). È altresì possibile (auspicabile) che la necessità di pianificare azioni, variegate ma organiche, contro la dispersione promuova una riflessione sulle metodologie didattiche, sui modelli di lezione, sulla laboratorialità, sul significato stesso di dispersione. Ne potrebbe addirittura nascere un’esigenza di formazione su temi che derivano proprio dall’esperienza di quella scuola, in quel particolare contesto spazio-temporale! Ecco dunque che, partendo dagli strumenti, necessari per governare le azioni progettate, si toccano i nodi di una organizzazione complessa come la scuola: le persone, i processi, la cultura professionale, la dimensione sociale dell’apprendimento organizzativo.

La scuola valorizzerebbe in questo modo la propria dimensione di comunità professionale, con quelle connotazioni che Antonio Valentino richiama in un suo scritto[3]. Anche il profilo del/della dirigente ne uscirebbe rafforzato proprio in quelle dimensioni di leader per l’apprendimento di cui scrive, tra gli altri, lo stesso autore: capace di motivare le persone, sviluppare consapevolezza, orientare le scelte del collegio, creare le condizioni per favorire il confronto e la mediazione, delegare senza tuttavia smettere di presidiare le aree di propria competenza, adoperarsi per promuovere apprendimento per tutti i soggetti della scuola.

[1] SI veda il vocabolario Treccani on line, consultabile al seguente indirizzo web: https://www.treccani.it/vocabolario/progettualita/

[2] Barbara Balconi, Documentare a scuola – Una pratica didattica e formativa, Carocci, Roma, 2020.

[3] Antonio Valentino, Investire sulle Comunità professionali nelle istituzioni scolastiche. Condizioni e approccio
https://www.gessetticolorati.it/dibattito/2022/10/06/investire-sulle-comunita-professionali-nelle-istituzioni-scolastiche-condizioni-e-approccio/

 




Ripensare la riapertura delle scuole in presenza

di Aluisi Tosolini

Qualche giorno in 15 dirigenti scolastici abbiamo rivolto un appello al Presidente Draghi e al Ministro Bianchi chiedendo loro di ripensare la decisione di riaprire le scuole in presenza dal 7 gennaio.
In 12 ore l’appello è stato firmato da 2200 colleghi.
Non era e non è un invito a 15 giorni di vacanza in più.
Credo che in questi ultimi due anni abbiamo dimostrato nei fatti quanto la Didattica Digitale Integrata sia e possa essere un significativo strumento di interazione educativa.
Di certo molto meglio della situazione cui stiamo assistendo in questi tre giorni con un aumento impressionante di casi di studenti e docenti positivi e contatti stretti di positivi.
Le regole per la gestione dei casi positivi, e dei contatti stretti, a scuola sono poi semplicemente NON applicabili.


Da dirigente dello stato applico le norme e faccio di tutto, assieme agli insegnanti, agli studenti e al personale, perché la scuola che dirigo possa offrire la migliore esperienza educativa possibile e da giorni assieme a tutti i colleghi stiamo lavorando senza sosta per applicare le norme.
Ma, sempre da dirigente dello stato, è mio dovere parlare quando reputo che le scelte fatte siano illogiche e controproducenti.
Il Collega Di Terlizzi, commentando la situazione, ha ripreso giorni fa una famosa frase attribuita al filosofo tedesco Hegel: “Wenn die Tatsachen nicht mit der Theorie übereinstimmen, um so schlimmer für die Tatsachen” (Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti).
Credo sia quello che sta succedendo: i fatti (l’evoluzione del covid) non vanno d’accordo con la teoria che sostiene che la scuola deve restare in presenza a tutti i costi e che la Didattica Digitale Integrata sia il peggiore dei mali possibile.
In risposta i neo hegeliani dicono: PEGGIO PER I FATTI.
Ma la realtà ed i fatti sono cocciuti.
Ne riparliamo fra qualche giorno.
Buona scuola a tutti e tutte




C’era una volta il (vice)preside

di Rosolino Cicero

Ho sempre chiamato PRESIDE i miei 6 capi di istituto incontrati da quando, nel lontano 2007, ho messo piede nella scuola statale.

E dall’anno scolastico 2010/2011 – individuato dal ds protempore nel ruolo di collaboratore (primo?….vicario?…) – non mi sono mai sentito pienamente un “vice”.

Già perché mentre con il preside esisteva formalmente riconosciuto il vicepreside, con l’istituzione del dirigente scolastico il legislatore non ha previsto un vicedirigente ma nessuno può negare che comunque nella realtà un “vice…qualcuno” c’è.

Nonostante la scuola abbia assunto – in forza dell’attribuzione dell’autonomia – una propria personalità giuridica, tutti i miei dirigenti hanno continuato a sentirsi presidi e nelle relazioni mi hanno riconosciuto un loro “vice”.

Il conferimento della qualifica dirigenziale al capo d’istituto è stata una innovazione giuridica monca che ha fatto emergere prepotentemente una specie di debolezza che nei fatti ha lasciato il dirigente attorniato da mura che ne circoscrivono l’azione propria.

Il legislatore ne ha connotato la natura con un peccato originale: non ha previsto per la prova concorsuale di accesso – unitamente all’anzianità di servizio nella funzione docente di almeno 5 anni – la necessità di un’esperienza di almeno pari durata nella governance scolastica. Entrambe le condizioni avrebbero potuto dare piena identità al preside transitato al ruolo dirigenziale.

E’ il caso di ricordare che l’incipit di questa funzione lo si trova nel comma 16 art. 21 della Legge 59/1997 dove si legge “Nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e in connessione con l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l’unicità della funzione, ai capi d’istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all’acquisto della personalità giuridica e dell’autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche……”. Il legislatore, dunque, ha inteso disegnare un quadro giuridico chiaro che però è rimasto in questi 25 anni incompleto proprio perché si è voluto mantenere un vulnus giuridico che per ragioni ideologiche e per indiscutibile sottomissione alla cultura dell’egualitarismo professionale di matrice sindacale ha di fatto reso il dirigente scolastico una “monade disconnessa” con la sua comunità scolastica.

L’assenza di un anello intermedio nella comunità scolastica, capace di mediare e fare sintesi, giuridicamente riconosciuto e contrattualmente definito, ha ingenerato l’idea del dirigente scolastico quale figura autocratica spesso detestata e incompresa, temuta per la sua autorità ma non apprezzata per la sua autorevolezza, quale burocrate giudicante piuttosto che un “capo” necessario e riconosciuto per una leadership funzionale alla crescita e allo sviluppo della comunità scolastica.

E in questa relazione alterata tra dirigente e operatori scolastici – in una via di mezzo – si ritrovano dei docenti, privilegiati a detta di tanti, che operano in un territorio accidentato senza confini definiti, con una funzione dall’identità offuscata, che vivono e lavorano in una “precarizzazione” di sistema che ogni anno scolastico rischia di far disperdere risorse professionali, competenze acquisite, formazione specifica conseguita.

Al dirigente scolastico manca quanto il legislatore ha previsto nel lontano 1997: la connessione con le nuove figure professionali di sistema, con una propria identità che ne avrebbero completato la funzione e dato senso alla visione (utopica?) dell’autonomia scolastica.

Nella scuola dell’autonomia abbiamo un dirigente scolastico con “oneri speciali” e “responsabilità severe” e dei docenti diversamente impegnati che, nella reciproca condizione di precarietà cui si aggiunge per i secondi un riconosciuto spirito di collaborazione e di servizio, portano avanti il progetto pedagogico, il piano didattico, il funzionamento organizzativo e – ove necessario – anche l’azione amministrativa.

Il dirigente scolastico della scuola dell’autonomia ha, dunque, sempre fruito di una governance efficiente ma precaria, non formalmente riconosciuta che ha retto però da subito l’impatto storico del cambio di identità.

Cosa fare allora?

Occorre dare al dirigente scolastico piena identità professionale, completare il quadro della governance scolastica liberandola dalla condizione di strutturale precarietà, affrontare la complessità della scuola con strumenti giuridici e contrattuali moderni ed efficaci che possano ricompensare il lavoro che ben conosciamo, duro ma entusiasmante.

Sì, è vero, occorre riportare fiducia e forti motivazioni in chi si fa carico di guidare una comunità scolastica; occorre altresì riconoscere valore secondo regole condivise alla funzione docente e alle professionalità a diverso titolo espresse.

Occorre rigenerare un “comune interesse” per risvegliare la consapevolezza che si parla della nostra scuola, non come un luogo di lavoro ma quale realtà complessa e dinamica nella quale essere un bravo docente e riconoscersi in un competente docente diversamente impegnato non è una contraddizione di ruoli ma una proficua e intelligente integrazione di professionalità.

Pienamente riconosciute, a cominciare dal…vice!




C’era una volta il preside

di Raimondo Giunta

Ho fatto sempre una grande fatica a immedesimarmi nel mestiere di preside e siccome non me l’ha prescritto il medico, ho cercato di farlo nel modo migliore possibile.
L’ho praticato con dedizione e sempre l’ho vissuto con un certo distacco. Il mio disagio è cresciuto in modo esponenziale con la dirigenza scolastica, che tra i pochi non desideravo per vari motivi che cercherò di esporre. In nessun modo, poi, avrei cambiato un nome così bello e pregnante di significato, come quello di preside (prae-sedes, prae-sidium=chi sta davanti, chi è presidio etc) per uno dei tanti participi presenti che pretendono di diventare sostantivi…

La dirigenza, peraltro, di tipo prevalentemente amministrativo, seppur colorata con tutte le forme di retorica aziendalistica, era l’espediente che si era trovato per sfuggire al contratto unico della scuola e dare ai presidi l’agognato, meritato e giustificato riconoscimento economico per le responsabilità che erano e sono in capo al ruolo di chi dirige e rappresenta una scuola.


C’erano altre vie? Se c’erano non si è tentato di trovarle. Nello stato giuridico del dirigente scolastico il ruolo è duraturo, ma l’incarico è temporaneo, soggetto a rotazione secondo criteri che, se non vengono ben definiti, potrebbero lasciare molta discrezionalità alle scelte del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale.
In qualche modo ne ho fatto le spese e sono stato costretto alle dimissioni.
Il preside inamovibile (salvo incapacità o negligenza nella gestione), gli organi collegiali e la libertà di insegnamento hanno garantito decenni di civiltà dentro la scuola: il pluralismo, il confronto, la libertà di movimento.
Si è voluto sottovalutare questo evidente risultato della storia della scuola italiana, come un prodotto secondario di fronte ai problemi dell’efficienza, della rispondenza alle richieste immediate e pressanti della società e del mercato.
Se dovesse entrare a pieno regime e nel suo vero e costitutivo significato “la temporaneità” dell’incarico di dirigenza, alle singole scuole non verrebbe alcun beneficio. Potrebbe determinare nel dirigente scolastico un eccesso di interventismo, di zelo, di attivismo, a prescindere dalla ragionevolezza delle singole azioni, o innescare processi fittizi di adesione alle iniziative dell’amministrazione o del poter politico locale.
La scuola perderebbe di fatto la sua autonomia e il controllo e la gestione del curricolo. Sicuramente nessun dirigente potrebbe operare con il respiro e la serenità di cui poteva godere il preside che sceglieva volontariamente e definitivamente una sede di lavoro come luogo ideale per l’espletamento delle proprie responsabilità e per l’espressione della propria professionalità.

C’è qualcos’altro che va detto. Il preside era consunstanziale ad un preciso ordine e grado di istruzione nel quale aveva prestato servizio e per il quale doveva avere perlomeno l’abilitazione all’insegnamento, in caso di passaggio di presidenza.
Per alcuni istituti era necessaria addirittura la titolarità di un insegnamento delle discipline professionali. Principi organizzativi di elementare razionalità ed efficacia, che davano(..e darebbero ancora) per scontato il fatto che il preside debba avere la padronanza culturale del curriculum, della cui gestione deve essere il responsabile e che questa padronanza non possa venire se non dall’esperienza vissuta in rebus e da specifiche competenze professionali.
Si pensava, forse ingenuamente(?), che un istituto agrario con tanto di azienda agricola sarebbe stato governato bene da un agronomo; un tecnico industriale con tanto di reparto di lavorazione (non semplice laboratorio) da un ingegnere e che gli eventuali uffici tecnici non sarebbero sufficienti a surrogare le competenze che deve avere chi dev e dirigere quel tipo particolare di scuola.
Un dirigente che non sa di filosofia, di greco e di latino che ci fa in un liceo classico? Un laureato in pedagogia, ex-maestro, che ci fa in un istituto agrario o in un istituto industriale? E quando c’è da fare qualche grosso investimento “aziendale”, si affiderà ai responsi della Provvidenza?
Se il vecchio preside era legato ad una specifica tipologia di scuola, il dirigente scolastico è stato, invece, inventato universale; va bene per le elementari(primaria) e per i professionali; per i commerciali e per i classici: può non esserci mai entrato in quell’istituto, né da alunno, né da insegnante, ma sapendo di gestione, di management, di diritto scolastico, di comunicazione e soprattutto di reperimento di risorse finanziarie..sicuramente condurrà quella scuola verso traguardi inimmaginabili di profitto e di risultati educativi.
Si trascura, però, un fatto elementare; la scuola è una comunità di pratiche professionali che si costituiscono e si sviluppano nel tempo per l’intreccio di dialoghi, scambi, assimilazioni delle competenze ed esperienze in essa presenti, e se non si possiede la logica che le tiene in vita è molto facile portarle al dissolvimento. Se uno si fa un giro per le scuole si rende conto che i fatti non stiano dando ragione a chi ha voluto questo tipo di dirigenza scolastica.
Connessa a questa vicenda è la rideterminazione della rete scolastica.
C’è dirigenza se c’è autonomia e c’è autonomia se l’istituzione scolastica supera determinati parametri numerici.
Conseguenza: istituzioni scolastiche a volte con una decina di sedi.
Di fatto e per necessità lasciate al proprio destino. Saranno bravissimi i dirigenti scolastici, ma non ubiqui ..come i santi o il Padreterno. Sedi di diversa tipologia e di diverso grado di istruzione: un coacervo di curricoli, di collegi, di aspettative che nessuna logica può condurre ad unità.
E anche in questo caso si è fatto strame dell’esperienza del passato e in modo particolare di quella degli istituti professionali, che una volta erano costituiti da una pluralità di sedi territoriali, ma dello stesso indirizzo, affidate alle cure del Direttore della sede coordinata.

Oggi, al netto delle chiacchiere, per ridurre i costi di gestione si elemosinano gli esoneri o i semi-esonero al collaboratore vicario del dirigente o ai responsabili di una sede coordinata di un’istituzione scolastica con più di 1000 alunni.
Non ci vuole molta fantasia per immaginarne facilmente tutte le conseguenze .
Basta avere un’idea approssimativa di come si svolga una giornata scolastica: assenze, ritardi, giustificazioni, sostituzioni, permessi etc ,etc.
Credo che ci sia da ripensare tutta la questione della dirigenza scolastica e dell’autonomia per eliminare i guasti che sono davanti agli occhi di tutti e non è un problema solo di risorse.
E’ anche un problema di democrazia interna alle singole scuole, di stato giuridico e di carriera degli insegnanti.
Tornare al preside non ha senso anche perché fra qualche anno a scuola gli insegnanti non sapranno nemmeno che siano esistiti.
Ci sono diversi modi di intendere la direzione di una scuola, di renderla efficace; diversi modi di aggregare le istituzioni scolastiche e di farle funzionare.
Ma non con le regole, l’organizzazione e le risorse disponibili oggi.
Per più di un decennio si è fatto della dirigenza il problema principale tra i problemi della scuola. Ma non era e non è vero.
Il problema è quello di definire ruolo e funzione della scuola nella società, il suo rapporto con le nuove generazioni e con i saperi. Se non si viene a capo di queste vere emergenze, non ci sarà nessuna soluzione di tipo organizzativo e gestionale che possa trarre la scuola dalla sua condizione evidente di crisi.
E poi da sempre una scuola funziona, se quelli che la fanno funzionare in ogni singola classe sono messi in condizione di farlo serenamente.
Parlo degli insegnanti …




Figure di sistema e questione organizzativa. Farci i conti

di Antonio Valentino

Perché parlare delle “figure di sistema” [1]

C’è un problema oggi – tra i tanti del nostro sistema scolastico – di cui spesso si parla, ma che si fa difficoltà ad aggredire: la demotivazione di larga parte dei docenti, che spesso non li fa sentire dentro il ‘progetto culturale ed ‘educativo’ delle proprie scuole; e li spinge verso una visione vicina a quella impiegatizia del proprio lavoro.

Sono considerati sostanzialmente come optional attività come: coltivare competenze e ed esercitare responsabilità (nel senso di aggiornare e sviluppare capacità professionali e di dar conto dei processi che si mettono in atto e dei risultati in rapporto a quello che si progetta); o vivere positivamente la dimensione collegiale del proprio lavoro.

Per capire meglio il problema dall’interno, è opportuno allargarne il quadro di riferimento alla più larga e impegnativa questione organizzativa delle nostre scuole che, su questo aspetto specifico, si lega al tema – anch’esso ancora problematico – dell’Autonomia scolastica.

Da richiamare per quest’ultima che la legge istitutiva (L. 59/1997, art 21), non a caso, in vista dei processi impegnativi da essa richiesti, ha previsto l’introduzione di ‘nuove figure” (comma 16).
Sarà il CCNL scuola di due anni dopo a introdurre in ordinamento e a regolare contrattualmente le figure dei collaboratori del DS e quelle per le ‘funzioni obiettivo’ , trasformate in funzioni strumentali con il CCNL del quadriennio 2002-2005. Ma – va sottolineato – questo passaggio, se ha apportato semplificazioni positive nelle procedure di adozione, ha indebolito queste figure sul terreno delle responsabilità e della formazione: requisiti previsti per esse nel precedente contratto[2].

Da allora, come è noto, la questione delle ‘nuove figure’ non è stata più ripresa nelle contrattazioni governi / sindacati, nonostante i livelli di complessità del sistema scuola continuassero a crescere, e il tema della responsabilizzazione dei docenti e della loro valorizzazione sul fronte didattico-organizzativo diventasse più stringente.
Tuttavia il dibattitto sulle tematiche connesse a tale questione ha continuato comunque ad attraversare, anche se   a intermittenza, il mondo della scuola e della ricerca universitaria, e soprattutto delle associazioni professionali dei DS.

  1. La questione organizzativa tra Figure Intermedie e valorizzazione delle risorse professionali

Il dibattito sulle figure intermedie (Middle Management).  

Ha insistito su di essa, così da farne un suo cavallo di battaglia, l’Associazione Nazionale Presidi (ANP), ma con motivazioni e proposte considerate sbagliate soprattutto dal sindacalismo confederale.
Recentemente (inizi gennaio 2021), come è noto, è intervenuta sul tema, nel suo ultimo atto di indirizzo, l’allora ministra Azzolina, con una proposta che trae spunti evidenti dall’elaborazione dell’ANP.

Di essa è utile richiamare (v. box 1) i tratti essenziali anche per cogliere le distanze rispetto a posizioni di tutt’altro segno che, sotto la stessa denominazione, si sono sviluppate sull’argomento in questi anni (v box 2). Posizioni che qui si si assumono e si sviluppano in ragione dell’idea di scuola e del tipo di relazioni tra docenti e DS, che si ritengono più promettenti per un buon funzionamento delle istituzioni scolastiche.

Box 1. Il Middle Management: la proposta dell’ex Ministra Azzolina

L’ex Ministra colloca il Middle Management dentro il discorso più generale della “valorizzazione del personale”, da prevedere – nelle sue aspettative – nel prossimo Contratto collettivo nazionale di Lavoro. Ipotizza allo scopo due percorsi di carriera per gli insegnanti:

  • Il primo rivolto alla funzione docente in senso stretto, per la quale prevedere “un vero e proprio percorso di carriera professionale che connoti il ruolo, (…), su base meritocratica”.
  • Un secondo – prefigurato dentro la proposta sul Middle Management – basato sul conferimento di incarichi fiduciari da parte del dirigente scolastico.

Su questo specifico aspetto – che è quello che qui più interessa – tre sono i punti che mi sembra caratterizzano la proposta dell’ex ministra:

  • la previsione di una apposita area da inserire tra gli insegnanti e il DS: quella dei ‘collaboratori’, per i quali soltanto si prefigura un ruolo a parte;
  • l’accesso a tale area è riservata ai docenti capaci, per esperienza, professionalità e vocazione;
  • il compito previsto è gestire attività complesse di competenza del DS, sulla base di una delega formale da parte dello stesso, che rinvia a una posizione organizzativa di dipendenza dal DS dei docenti collaboratori

Finalità dell’operazione proposta è anche quella di permettere a questi docenti di sviluppare “nuove e più compiute professionalità che possano successivamente concorrere al ruolo della dirigenza scolastica con un bagaglio di esperienza organizzativa e di sensibilità amministrativa maturato in tale nuova area professionale”.

Box 2. L’ ipotesi alternativa in campo[3].

Questi gli aspetti caratterizzanti e le differenze rispetto alla proposta dell’ex ministra:

  • Le funzioni intermedie vanno ben oltre quella di ‘collaboratore’ del DS. I livelli di complessità crescente delle nostre scuole richiedono una pluralità di figure, oltre a quelle di collaboratore o per le funzioni strumentali già previste dal nostro ordinamento. Per tutte va prevista una chiara e solida configurazione giuridica e contrattuale – e riconoscimenti conseguenti -;
  • Funzioni specifiche da riconoscere giuridicamente e contrattualmente sono quelle che contribuiscono al funzionamento didattico e organizzativo delle scuole e al miglioramento della loro qualità. Sono quindi, in primo luogo, quelle di coordinamento (dei vari organismi in cui si articola il Collegio), di progettazione e sostegno all’autonomia e di presidio dei diversi luoghi e spazi dell’Istituto scolastico…;
  • Per il loro esercizio vanno richieste competenze organizzative e relazionali, ma anche professionali (progettuali, valutative, tecniche-tecnologiche …). Sono chiamate a coprirle i docenti che acquisiscono le diverse competenze, sia con la formazione tradizionale, sia soprattutto sul campo, con la pratica quotidiana di insegnamento;
  • Tali figure non operano sulla base di deleghe da parte del DS, ma esercitano funzioni per conto del Collegio Docente;
  • Gli incarichi sono a tempo determinato, ma rinnovabili. Si tratta comunque di incarichi duraturi, per i quali è orientamento diffuso è che la durata minima sia triennale (allineata con i tempi dei documenti strategici delle scuole, a partire dal POFT).

Le perplessità dei Sindacati. Le ragioni e le voci contrarie

Va richiamato a questo punto che le Organizzazioni sindacali, soprattutto confederali, non hanno mai visto di buon occhio il riconoscimento giuridico delle figure ‘intermedie’. Unica eccezione, come si è visto, la sottoscrizione del Contratto del ’99, in cui si definiscono, come si è visto, le nuove figure per le Funzioni obiettivo e per i Collaboratori del DS.
Dichiarazioni anche recenti – e comuni ai dirigenti sindacali più accreditati – mettono soprattutto l’accento sul fatto che le articolazioni della funzione docente previste per queste figure configurerebbero una scuola tipo verticistico e autoritario.
La motivazione di fondo è comunque che il riconoscimento di articolazioni del ruolo docente (con quello che può comportare sotto il profilo della differenziazione retributiva e degli sviluppi di carriera) risulterebbero divisive dentro la categoria e non farebbero certamente bene al clima interno delle scuole.
Voci critiche al riguardo sono però emerse anche dentro aree culturali che pure si riconoscono nei valori delle OOSS confederali. Annota ad esempio Franco De Anna, per citare una figura autorevole di quest’area, che l’unificazione della funzione docente, che pure “ha prodotto risultati contrattuali apprezzabili (…)”, ha mostrato nel corso dei suoi 50 anni “tanti difetti realizzativi e (…) scarsissime ricadute sui meccanismi di selezione e reclutamento ….”. E non ha permesso – aggiunge – di “promuovere e consolidare le articolazioni funzionali [del ruolo docente] in rapporto all’organizzazione”; articolazioni funzionali (cioè le figure soprattutto di coordinamento e di presidio) che “oggi hanno una definizione transitoria e contrattualmente non significativa” che intralcia “una possibile traccia di sviluppo professionale per il personale della scuola” [4].

Comunque le preoccupazioni delle OOSS – che riflettono quelle di molti insegnanti (ricordiamo il dibattito acceso – e talora anche i conflitti interni alle scuole sulla questione della premialità introdotta dalla L. 107 (che ha punti evidenti di intreccio con quello delle funzioni aggiuntive) – non possono essere sottovalutate o addirittura ignorate, come dà l’impressione di fare l’ANP.

Sono in ballo questioni importanti, legate a. al modello organizzativo e alla governance interna alle scuole e al ruolo (e quindi ai livelli ci responsabilità e di competenza) che è opportuno prevedere per i docenti); b. alla necessaria rimodulazione   del profilo del DS, oggi schiacciato su una agenda che ben evidenzia il suo progressivo allontanamento dalle funzioni prioritarie che gli sono proprie (v. art. 25 del D.Lvo 165/2001).
Su di esse è pertanto utile qualche approfondimento per mettere meglio a fuoco il tema centrale.

  1. Valorizzazione delle figure di sistema e rimodulazione del ruolo ds. Ragioni e condizioni

Su modello organizzativo e forma di Leadership.  

A proposito del modello organizzativo, non da oggi si conviene da più parti che quello reticolare è certamente il più promettente. E questo perchè più di altri facilita la comunicazione interna, e con essa la cooperazione e il confronto tra i soggetti coinvolti.
Il nostro sistema solo sporadicamente ha sperimentato tale modello – che implica coordinamento tra le sue articolazioni (consigli, dipartimenti, gruppi di progetto…) e relazioni professionali strutturali e coese; oltre che una organizzazione interna a sostegno. Però, a ben vedere, il nostro sistema prevede organismi collegiali che potrebbero ben diventare nuclei portanti di una rete interna, se funzionasse effettivamente come rete. Il riferimento è ai Consigli di classe e ai dipartimenti disciplinari, ma anche ad altri organi che, per quanto non previsti formalmente dal nostro ordinamento, sono di fatto operativi, come ognuno sa, nella maggior parte delle nostre scuole (gruppi di progetto, commissioni di lavoro…).

Occorre tuttavia mettere nel conto che trasformare le diverse articolazioni del nostro sistema in unità operative che si vivano come comunità di pratica, per usare la formula di Wenger [5] – come luogo cioè di riflessione sul proprio lavoro, di confronto, di proposte e di ricerca, partendo dalle difficoltà e dai problemi concreti del fare scuola – richiede figure preparate e motivate, che abbiano cultura organizzativa e si sentano dentro al progetto della loro scuola.

È In questa prospettiva che diventa condizione importante il riconoscimento giuridico e contrattuale delle diverse figure intermedie: dargli infatti valore e appeal porta a favorire – tra gli insegnanti con attitudini e preparazione riconosciute tra i pari – disponibilità a impegnarsi anche su compiti e funzioni qualificanti e necessarie per la scuola come organizzazione. Senza queste disponibilità – che per altro sono sempre più rare proprio per la mancanza delle condizioni di cui sopra – è difficile prevedere il rinnovamento auspicato. (Anche se rimane ancora aperto il problema il problema di conciliare il lavoro di insegnante con le funzioni di ‘figura’).

Ma parlare di un modello organizzativo per la didattica coerente con i ragionamenti precedenti significa anche misurarsi – e qui lo si fa prendendo a riferimento le elaborazioni di Angelo Paletta – con una idea di Leadership: a. “condivisa con gli insegnanti e distribuita nei punti nevralgici del fare scuola (…)[6]”, b.  che guardi alle figure intermedie come alle risorse su cui strutturarsi; c. la cui “fonte” – punto fondamentale – “non promana unilateralmente dal dirigente scolastico”[7].

Ovviamente, Leadership per (in funzione del) l’apprendimento.  Essendo l’apprendimento, nei suoi molteplici ‘oggetti’ e nei suoi diversi livelli, la ragione sociale del fare scuola.

Anche alla luce di questa idea di Leadership, non può essere considerata un optional  la costituzione di un’èquipe di direzione (avvicinabile allo staff del DS allargato ai collaboratori, ai coordinatori delle diverse Unità operative – i diversi nuclei della rete –, alle ‘funzioni strumentali’ ), che si viva anch’essa però come comunità di pratica, con un ruolo prevalente di osservatorio e cabina di regia.

Sul DS: compiti e funzioni di cui riappropriarsi.

Ma una partita come questa, che vuole sollecitare e mettere al centro il protagonismo degli insegnanti, richiede anche, se non soprattutto, una rimodulazione del ruolo DS, in grado di dare chance più elevate alla  prospettiva di una Leadership distribuita che sia anche stabile e coesa.
Rimodulazione che richiede una condizione preliminare: liberare il lavoro del DS dalle varie e pesanti distorsioni che su di esso gravano, sottraendogli tempo e energie, per permettergli di concentrarsi su funzioni e compiti coerenti con ciò che dovrebbe più contare nella sua ‘missione’.
E tra questi, sono particolarmente importanti quelli che poggiano sulla consapevolezza – che è anche convinzione diffusa – secondo la quale “la scuola la fanno essenzialmente gli insegnanti, nel bene e nel male”, e che quindi sono gli insegnanti la risorsa da sviluppare e valorizzare, ‘curare’.

Diventa allora fondamentale, alla luce di questa consapevolezza, tendere a costruire un modello di scuola in cui le prerogative del ruolo DS siano quelle di dirigente di una organizzazione di docenti professionisti, responsabili e competenti per le funzioni del loro profilo (Giuseppe Bagni)[8]. E che pertanto, rispetto a tale funzione, il principio che vale è quello di reciprocità e in nessun caso di subalternità o sottomissione.
Principio che comporta relazioni in cui le ragioni del verificare e del controllare (che sono dentro al ruolo DS di responsabile del servizio scuola) si bilancino con quelle dell’attenzione continua e fondamentale allo sviluppo professionale dei suoi insegnanti. 

Sulla scorta di queste argomentazioni, rimodulerei così, anche sulla base delle suggestioni presenti nell’articolo di Bagni, citato in nota, compiti e funzioni riguardanti la valorizzazione della risorsa insegnanti e il loro coordinamento:

Uno, sostenere come impegno prioritario la dimensione collegiale del lavoro scolastico (il funzionamento delle articolazioni funzionali del CD) e il collegamento di tale dimensione con le attività individuali dei docenti. Che significa, tra l’altro: preoccuparsi di organizzare ambienti funzionali, curati, ospitali; e farsi carico dei bisogni professionali che esprimono gli insegnanti come singoli e come gruppi; ma anche garantire condizioni volte a dare forza e tono alla terza gamba dell’autonomia scolastica: quella della “ricerca, sperimentazione e sviluppo”, generalmente trascurata.

Due, favorire l’interazione continua delle figure con i colleghi del gruppo e ‘l’adattamento reciproco sul campo’, che sono modalità specifiche della funzione di coordinamento; che esclude, per sua stessa natura, qualsivoglia gerarchizzazione dei ruoli.

Tre, “valorizzare le competenze degli insegnanti nel costruire e governare il progetto / processo di insegnamento /apprendimento”. Che concretamente significa: essere attenti a scoprire/far emergere e sviluppare – anche attraverso percorsi formativi – attitudini e competenze del personale, e valorizzarle in modo mirato.

[1] Si è utilizzata questa denominazione (anche se non del tutto appropriata) perché la più comune nel mondo della scuola. Si utilizza anche, e sempre più frequentemente, “Figure di sostegno all’autonomia”. Un’altra denominazione che si incontrerà nel testo è quella di ‘articolazioni funzionali’. Particolarmente diffusa è anche Middle Management.

[2] Sull’ esperienza delle figure per le ‘funzioni obiettivo, richiamo un saggio del 2002 del compianto Giancarlo Cerini, Funzioni obiettivo: una storia “dentro” l’autonomia, https://www.edscuola.it/archivio/riformeonline/fo2002.htmln, che si legge ancora con interesse per l’efficacia delle linee di ragionamento interessanti anche per le considerazioni che qui si svolgono.

[3] Qui si farà riferimento soprattutto agli studi e alle elaborazioni di Angelo Paletta (Dirigenza scolastica e middle management. Distribuire la leadership per migliorare l’efficacia della scuola, Bononia University Press, 2020). Cfr anche Ivana Summa, Middle Management e Comunità Professionale in Rivista dell’istruzione 1/20211, Maggioni editore.

[4] Franco De Anna, Visto da fuori. Note e pensieri sul contratto della scuola, febbraio 2018, in https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.aspera-adastra.com.

[5] Sulle Comunità di pratica, si rinvia a E. Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità, Raffaello Cortina 2006 e a T. Sergiovanni, Costruire comunità nelle scuole, LAS 2000

[6] Punti nevralgici sono ovviamente le articolazioni del Collegio Docenti.

[7] V. Angelo Paletta, Dirigenza scolastica e middle management. Distribuire la leadership per migliorare l’efficacia della scuola, cit.

[8] V. Giuseppe Bagni, Professionalità docente e organizzazione del lavoro in “Idee per la formazione degli insegnanti”, a cura di Massimo Baldacci, Elisabetta Nigris, Maria Grazia Riva) – Franco Angeli Editore. In questo saggio Bagni richiama con accenti preoccupati il fenomeno della deresponsabilizzazione (che è cosa altra rispetto a ‘non responsabilità) della classe insegnanti), che ha offerto spunti per questo contributo.




Reprimere, tollerare, valorizzare. A proposito del ds veneto sottoposto a procedimento disciplinare

di Mario Maviglia

Qualche tempo fa avevamo dato conto su questo stesso sito della vicenda di un dirigente MIUR (USR Marche) che in una nota indirizzata agli studenti in occasione della ricorrenza del 4 novembre aveva usato toni di esaltazione della guerra per ricordare i Caduti della Prima Guerra Mondiale, riprendendo, peraltro, un discorso tenuto da Mussolini il 23 marzo 1919 in cui il Duce diceva “L’adunata rivolge il suo primo saluto e il suo memore e reverente pensiero ai figli d’Italia che sono caduti per la grandezza della Patria…”; il dirigente in questione aveva scritto nella sua nota: “In questo giorno il nostro reverente pensiero va a tutti i figli d’Italia che dettero la loro vita per la Patria…”. (Dirigenza pubblica e comportamenti anomali, 7 novembre 2020).

In quell’occasione avevamo osservato che nessuno vuole coartare la creatività espressiva di un dirigente; si poneva però l’esigenza di tenere ben distinte le proprie aspirazioni “espressive” (in questo caso ideologiche) da quelle dell’istituzione, che deve essere preservata da ogni contaminazione personalistica. Aggiungevamo che se il registro comunicativo protocollare dell’istituzione viene vissuto come troppo stretto, rigido e inibente, il dirigente può dedicarsi alla scrittura letteraria, nel suo tempo libero; oppure può rimettere il suo incarico per meglio seguire la sua vena poetico-ideologica e magari fondare un movimento politico basato sul valore della guerra e della morte come aspirazione di ogni vero patriota. Inoltre segnalavamo che ciò che non è ammissibile è il coinvolgimento dell’Ufficio in panegirici dal netto sapore reazionario e fascistoide. Non ci risulta che sia stato avviato alcun procedimento disciplinare nei confronti di tale dirigente di prima fascia.

Adesso il quotidiano Repubblica del 23/12/2020 (Il preside di Vo’ sotto inchiesta disciplinare per le critiche ad Azzolina, a firma di Corrado Zunino) dà notizia di un procedimento disciplinare avviato dal MIUR nei confronti di un dirigente scolastico che avrebbe utilizzato sui social alcune espressioni considerate irriguardose nei confronti della Ministra. Ovviamente quanto stiamo per esporre si basa sulla ricostruzione fatta dal giornalista, ricostruzione che appare comunque molto documentata, astenendoci in ogni caso dall’assumere una posizione in un senso o in un altro. Il senso di questo intervento è quello di fare alcune riflessioni sul diritto della libertà di espressione e di come questo diritto va contemperato con il dovere di una leale collaborazione nei confronti dell’Amministrazione. Non va inoltre trascurato il fatto che l’avvio di un procedimento disciplinare con la produzione di una contestazione di addebiti non significa che l’interessato sia colpevole, come talvolta si legge nei social. Anzi, la procedura disciplinare, nella sua ritualità definita dalla legge, nel nostro ordinamento giuridico risponde all’esigenza di garantire il diritto alla difesa dell’incolpato attraverso l’istituto del contraddittorio e/o della produzione di memorie scritte. Sarà quindi l’UPD-Ufficio Procedimenti Disciplinari a stabilire se quanto contestato assuma rilievo disciplinare, dopo aver seguito una precisa procedura che prevede il coinvolgimento dell’interessato in fase difensiva.

Da quel che è dato capire, sono almeno tre le contestazioni che vengono mosse al DS: aver violato il principio di leale collaborazione nei confronti dell’Amministrazione (art. 14 CCNL 2006-2009: “Il dirigente … conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire la Repubblica con impegno e responsabilità e di rispettare i principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’attività amministrativa nonché quelli di leale collaborazione, di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 del codice civile, anteponendo il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati propri ed altrui”); aver violato il Codice di comportamento dei pubblici dipendenti (DPR 16/04/2013 n. 62, presumibilmente art. 10 co 1 “Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, il dipendente … non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione”, e art. 13 co 9 “Il dirigente, nei limiti delle sue possibilità, evita che notizie non rispondenti al vero quanto all’organizzazione, all’attività e ai dipendenti pubblici possano diffondersi”; aver violato l’art. 26 del CCNL, che richiama gli obblighi del dirigente scolastico.

Da quanto riportato dal quotidiano le espressioni censurate, apparse sul profilo Facebook del DS, sarebbero le seguenti:

  • Aver definito la Ministra Azzolina “una che ci crede, ma è debole”;
  • Aver ribattuto che “questo numero non vuole dire nulla” a fronte della dichiarazione MIUR “Il numero degli studenti positivi nelle scuole è dello 0,08 per cento”;
  • Aver espresso dubbi sulla decisione della Ministra di convocare trenta DS, senza un preciso criterio di rappresentatività, per raccogliere notizie e dati sulla situazione delle scuole. Il DS in questione ha postato “Esprimo perplessità su come vengono scelti questi dirigenti scolastici. Chi si ascolta? Gli amici?”;
  • In un’altra occasione lo stesso DS ha scritto, sempre sui social, “”Banchi sì, banchi no, quando è che iniziamo a parlare di scuola?”.

Ribadiamo ancora una volta che ci stiamo basando su quanto riportato da Repubblica; può darsi che vi siano altre contestazioni di diverso tipo e peso. In ogni caso, qui si tratta di dirimere una questione di fondo, ossia se le espressioni usate dal DS rientrino nella sfera dei diritti di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost), o se siano meritevoli di attenzione sul piano disciplinare in quanto considerate ingiuriose nei confronti dell’Amministrazione e dei suoi rappresentanti. Prendiamo l’espressione usata nei confronti della Ministra Azzolina (“una che ci crede, ma è debole”): a ben vedere, questa espressione sarebbe stata più offensiva, in quanto sarcastica, se il DS avesse detto “una che ci crede ed è molto forte”, se si tiene conto del contesto generale causato dalla pandemia e degli innumerevoli problemi sorti nella gestione della stessa, soprattutto in campo scolastico. Anche l’espressione usata in occasione della scelta di trenta DS per uno scambio di idee con la Ministra, (“Esprimo perplessità su come vengono scelti questi dirigenti scolastici. Chi si ascolta? Gli amici?”), appare alquanto castigata e semmai non tiene conto della facoltà discrezionale che la Ministra può usare nell’acquisire dati, informazioni, punti di vista, stati d’animo interpellando chi ritiene che le possano fornire tali informazioni.

Come si vede, tutte le espressioni riportate sopra si prestano almeno a una duplice interpretazione e la loro valenza va contestualizzate nella specifica situazione, come peraltro sempre dovrebbe avvenire in campo disciplinare. En passant, si sottolinea che proprio la scuola diretta dal DS in questione è stata scelta dal MIUR per l’inaugurazione ufficiale del corrente anno scolastico, alla presenza del Presidente della Repubblica e della stessa Ministra Azzolina. Difficile immaginare che il Ministero abbia scelto una scuola guidata da un DS facinoroso o così poco leale nei confronti dell’Amministrazione, anche se le espressioni contestate sembra siano successive a questo evento.

Più in generale, si è indotti a pensare che all’Amministrazione non siano molto gradite le critiche espresse dai propri dirigenti anche perché – aggiungiamo noi – quando ci si contorna di yes-man o yes-woman (usiamo volutamente espressioni anglofone, meno pesanti di quelle italiane…) l’angolo visuale diventa quello della piena e acritica adesione alla volontà del capo di turno, in una sorta di comportamento più realista del re/Ministro. Tutto ciò a fronte di comportamenti (comportamenti, non opinioni, come nella fattispecie) non sempre irreprensibili che molti DS mettono sovente in campo. Ci riferiamo, ad esempio, al ricorso allo smart working personale di alcuni DS anche in periodi non strettamente emergenziali che rendevano ingiustificata l’assenza dalla sede di servizio; o al fatto che molti DS si negano ad incontrare genitori degli alunni, e spesso anche gli stessi docenti, costruendo intorno a loro una cintura di sicurezza che in confronto quella del Capo dello Stato appare alquanto labile e perforabile. In tutti questi casi l’Amministrazione non ha avviato procedimenti disciplinari preferendo “gettare la spugna con gran dignità” (De Andrè). E, ripeto, qui si parla di comportamenti, non di opinioni.

(Riguardo allo smart working un giorno o l’altro bisognerà specificare il significato semantico-comportamentale che questa espressione assume nell’ambito della PA).

Ma quand’anche volessimo maturare la convinzione che quelle espressioni siano le manifestazioni espressive di un dirigente particolarmente critico nei confronti dell’operato dell’Amministrazione e dei suoi vertici, rimane il fatto che va considerato se queste espressioni siano state accompagnate da conseguenti comportamenti omissivi, scorretti o addirittura contra legem; altrimenti, ancora una volta, ci si riferisce all’ambito delle opinioni. Ma anche in questo caso, si coglie l’incapacità dell’Amministrazione di far tesoro delle voci critiche ed anzi di valorizzarle per assumere decisioni quanto più ponderate possibili. Stiamo facendo un discorso generale che prescinde dal caso specifico, ma ci sembra che ancora una volta il bisogno di trovare adesioni acritiche al proprio operato fa perdere di vista il valore vitale, ancorché defatigante, del punto di vista diverso, della critica. Eppure ogni Amministrazione sana e matura dovrebbe individuare al proprio interno quei dirigenti che si assumono il disagevole compito di andare “in direzione ostinata e contraria” (sempre De Andrè) per cercare di capire più in profondità le ragioni del dissenso e per apportare (perché no?) eventuali modifiche migliorative. Spesso ci si priva di questi contributi perché è più facile, ed anche più comodo, oltre che più narcisisticamente appagante, avere intorno collaboratori proni e ubbidienti, anche quando l’evidenza porta a dire che il re (ministro) è nudo. In fondo anche Nietzsche consigliava: “Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te.”

Se invece si vuole vietare l’espressione delle opinioni critiche dei DS verso il management politico e amministrativo del sistema scolastico italiano, la strada c’è: basta modificare il Codice di comportamento dei pubblici dipendenti (DPR 62/2013) ed inserire una esplicita postilla in tal senso. Il pensiero unico ne guadagnerebbe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Lo sceriffo e l’insegnante

di Raimondo Giunta

Sceriffi a scuola si diventa da dirigenti, perchè l’ultima manomissione del sistema scolastico a questo tendeva, anche se si è provveduto ultimamente a fare qualche cambiamento.
Un passaggio che a molti dirigenti sembra naturale compiere, perchè di fatto nell’autonomia sono prevalenti i tratti amministrativi su quelli culturali e pedagogici; amministrativi, non gestionali.
E in amministrazione si finisce per amare il potere gerarchico e il potere di vigilanza…A tanti di questi amministrator/dirigenti scolastici sfugge che la scuola appartiene ad un territorio, ad una comunità con cui deve mettersi in rapporto e che questo fatto cancella l’autoreferenzialità del capo che ogni giorno dirama gli ordini di servizio ai propri dipendenti.
Quel che è grave è il disconoscimento praticato e a volte esibito della particolare struttura collegiale della gestione della scuola, attenuata, ma non cancellata.
Nella collegialità il dirigente non è il primus inter pares, ma solo uno dei tanti come viene sottolineato da Mario Maviglia.


Per un’istituzione che eroga saperi e formazione in una società democratica la collegialità non è un’opzione, ma una sua interna necessità, perchè il lavoro che vi si svolge può dare frutti solo se ogni insegnante, collaborando con gli altri insegnanti e con il dirigente, lavora con scienza, con coscienza e in libertà.
L’autonomia non è il luogo in cui può scorrazzare il dirigente, ma lo spazio in cui deve potersi esprimere per il bene degli alunni la responsabilità e la professionalità di ogni docente, aspetto che gode ancora della tutela della Costituzione.
L’autonomia non funziona spesso non solo per colpa dei piccoli autocrati che non hanno senso delle istituzioni, ma anche per mancanza di “autonomia ” dei docenti, che non conoscono la propria forza o che si lasciano trascinare nella corsa sgradevole al premio che il dirigente vorrebbe elargire, senza alcuna trattativa.
La scuola è un’istituzione pubblica, forse l’unica, che ancora conserva le stimmate della grande stagione della democratizzazione della pubblica amministrazione, ma anche l’unica nella quale chi ha qualche potere spesso svicola per non esercitarlo.
Solo dirigenti che amano l’autonomia professionale dei docenti e insegnanti che ci tengono a dare il proprio contributo potranno salvare la scuola e darle un futuro.