Archivi categoria: AUTONOMIA

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Pedagogia dell’infosfera, tra Ucraina e Italia

di Raffaele Iosa

17 marzo 2022 mattina.
Sono online con Reggio Emilia ad un incontro con i dirigenti scolastici e la Provincia sul tema dell’accoglienza dei bambini e ragazzi ucraini profughi. Buone idee, molto impegno. Dico le solite cose che scrivo in questi giorni: sobrietà, empatia, poche feste e tv all’arrivo (le faremo quando torneranno a casa), no a compassione svenevole, no a domande pettegole, ma molto ascolto e comprensione, serenità e amicizia vera senza fronzoli. Prima di tutto dare continuità e connessione alla loro esperienza scolastica in patria e adesso da noi. Non devono perdere l’anno. Ma soprattutto prepararli per il ritorno, che tutti vogliono. Hanno il padre che combatte in Ucraina, l’ ansia quotidiana è la telefonata da laggiù. Qualcuno potrebbe restare orfano. A loro va quindi offerta una pedagogia del ritorno, non un’accoglienza qualsiasi.
Una preside, tra gli interventi, racconta una cosa sorprendente: due studenti ucraini da poco arrivati chiedono un orario che permetta loro di collegarsi con l’insegnante ucraina che li aspetta…per una Dad. Funziona così: un quarto d’ora prima un sms per dire che l’insegnante è pronta e poi…. Non ne sapevo nulla e mi commuovo: stupefacente, solo dopo tre settimane di guerra.
Ma c’è di più: altri sei presidi confermano che anche da loro succede così. Sta dunque accadendo qualcosa?

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A scuola si va come si deve e non come ci pare

di Raimondo Giunta

A scuola, nei rapporti quotidiani, capita che sul modo in cui debbano vestirsi e parlare gli alunni ci possa scappare l’incidente.
Per evitare umilianti controversie e penose campagne di stampa, considerando come si è diventati, credo che debbano essere dettate delle norme precise al riguardo.
Una volta francamente non ce n’era bisogno.
Però bisogna dirlo. A tanti sembra indebito che la scuola stabilisca un minimo di regole sul modo di comportarsi e anche sul modo di vestirsi.
Per alcuni e forse per molti è importante solo che i giovani a scuola ci vadano e ci restino.
Sinite parvulos venire ad me…
E’ un’idea senz’altro accattivante, ma non credo che sia seria.
La scuola è altro rispetto alla vita e lo deve essere proprio per preparare alla vita; una realtà che deve avere le proprie regole: quelle che sembrano essere le più efficaci per mantenere le promesse che fa a chiunque entri dal suo portone d’ingresso.
Si dice in chiesa con i santi e in taverna con i briganti.
Si potrebbe citare Machiavelli che cambiava abito, quando si metteva a leggere e a scrivere.
Questa condiscendenza, ai limiti dell’irresponsabilità, non aiuta i giovani.

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Dove va il futuro e dove va la scuola

di Stefano Stefanel

La storia ci racconta che dopo il passaggio di Napoleone sulla storia europea ci fu un tentativo molto autorevole e anche molto popolare di rimettere le lancette indietro attraverso il famoso Congresso di Vienna.
L’innovazione napoleonica aveva stravolto l’Europa, ma si pensò di far finta che non ci fosse stata. La pandemia sta finendo (così ci dicono) o, comunque, viene percepita come riconducibile dentro sistemi di convivenza più normali di quelli in cui abbiamo vissuto negli ultimi due anni e, dunque, bisogna ripartire e bisogna farlo tenendo conto di quanto è successo. Il PNRR, la transizione digitale ed ecologica, ma anche l’incredibile guerra in Ucraina dicono che il mondo di domani dovrà essere diverso da quello di ieri e dunque dobbiamo attrezzarci al meglio per capire quale direzione prendere.

In questo scenario ci sono un futuro incerto ma pieno di occasioni, innovazioni necessarie e cambiamenti da cui non si può più tornare indietro. Banalmente, osservo che lo sviluppo del digitale ha portato alla nostra nuova identità (digitale) e lo SPID, piaccia o non piaccia, è il nostro futuro. E anche le battaglie ecologiste, partite con grande clamore prima della pandemia, tornano ora sotto le spoglie di una radicalmente modificata sensibilità ecologica che non viene contestata da nessuno e trova grandi finanziamenti e grandi progetti.

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Didattica a distanza e setting fluttuanti

di  Mario Maviglia e Laura Bertocchi

La scenografia nella didattica a distanza (M. Maviglia)

 Uno dei tanti effetti che la pandemia ha avuto in campo scolastico è stato quello di aver prodotto un radicale cambiamento nell’allestimento del setting educativo, intendendo con questo termine “l’insieme delle variabili che definiscono il contesto entro cui si svolge la relazione formativa”[1] (M. Castoldi, 2016) .
Tra queste variabili generalmente vengono ricomprese il tempo, lo spazio, le regole, gli attori, i canali comunicativi, ma anche le forme relazionali. La didattica a distanza ha cambiato le caratteristiche di tali variabili, anche se finora non si è molto approfondito e discusso questo aspetto che pure influenza in modo non secondario l’impresa educativa. Se ad esempio consideriamo le coordinate spazio-temporali si può facilmente constatare che un conto è fare scuola avendo come riferimento un setting strutturato con spazi ben identificabili (aule, laboratori, atelier, palestre ecc.) e dove il “controllo” del docente è ben delineato, un altro è gestire la lezione in spazi virtuali, come nella DaD, dove l’”aula” si scompone in tanti spazi individuali (l’immagine sullo schermo di ogni singolo studente) e la tradizionale scenografia scolastica (fatta di banchi, cattedra, lavagna o LIM, pareti più o meno addobbati, angoli, attrezzature ecc.) risulta completamente trasformata. Peraltro, va sottolineato che mentre nei tradizionali setting d’aula sono i docenti a definire – consapevolmente o meno – l’allestimento della scenografia in modo che sia funzionale al tipo di attività che vi si svolge e agli obiettivi che si vogliono conseguire, nella scenografia dettata dalle contingenze della DaD il “controllo” dei docenti risulta molto più labile e indefinito e comunque fortemente influenzato alla tecnologia.

Un altro aspetto da considerare è che nella “scenografia DaD” entra prepotentemente in campo il contesto familiare dei singoli studenti, sebbene attraverso il particolare e limitato occhio della webcamera.
Di fatto si entra nelle case degli studenti (e gli studenti entrano in quella dell’insegnante, se il collegamento avviene dalla casa di costui), si spia dentro. Questa deformazione dei confini del setting educativo determina problemi del tutto nuovi rispetto alla tradizionale gestione delle attività didattiche.

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Ripensare la scuola e le sue responsabilità

di Raimondo Giunta

Le polemiche roventi scoppiate sull’alternanza/scuola lavoro, in seguito alla tragica morte di un giovane nel suo ultimo giorno di stage in un’azienda friulana, devono essere colte come una seria occasione per ripensare il rapporto tra il sistema di istruzione e formazione e la società. Una questione che deve partire per forza dalla ricognizione dei compiti e delle responsabilità del sistema scolastico alla luce di ciò che ne costituisce l’identità.

La scuola nel corso della storia progressivamente ha dovuto svolgere tutti i compiti che la società le ha dato di volta in volta per sostituire le agenzie formative che avevano portato a termine la propria missione o che non sono state più in grado di affrontarla: la chiesa, la famiglia, la bottega artigiana, le associazioni di mestiere, etc. . Compiti di cultura e di educazione; compiti di formazione professionale. Una situazione inevitabile che si è posta da sempre come condizione della sua legittimità sociale: non è comprensibile, oggi, l’esistenza di un sistema scolastico al di fuori di questa responsabilità.

Scuola e società fino all’altro ieri hanno avuto un rapporto di reciproca fiducia e di scambio alla pari: si sono sostenute a vicenda assicurando un servizio efficace e con qualche grado di qualità. Il loro sodalizio entra in crisi negli anni in cui lo sviluppo economico, le dimensioni e l’intensità dello sviluppo delle scienze e delle tecnologie creano le condizioni di un distacco sempre più ampio tra esigenze complessive della società e capacità di adeguamento della scuola. Il compito di dare una risposta alle richieste della società non è facoltativo e non può essere disatteso anche se è diventato sempre più difficile poterlo svolgere.

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Pedagogia della cura ai tempi del Covid

di Raffaele Iosa

E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa
che ha fatto la tua rosa così importante
Saint Exupery, il piccolo principe

Ho letto il messaggio di Dario Missaglia, presidente di Proteo,  attorno a questa terribile fase di espansione del COVID e di come la scuola sembri  aver perso il senso pedagogico del suo agire, travolta da aspre discussioni solo sulle  incertezze sanitarie, il caos gestionale, le tifoserie tra “presenza” e “distanza”,  e così via.

Condivido in pieno il suo messaggio per ri-mettere al centro del nostro impegno lo sguardo pedagogico,  che rifletta  su  come stanno i nostri bambini e ragazzi e cosa servirebbe loro  come priorità educativa in questa epoca così drammatica.

Già a settembre 2020 ho condiviso il suo Protocollo Pedagogico, rimasto per molti una vox clamans in deserto, che richiamava ad un diverso impegno per fronteggiare gli effetti psicologici, emotivi, cognitivi  dati da una scuola diventata balbettante, semiaperta o più semichiusa. Raccoglievo commenti del tipo “belle parole, ma oggi il problema è un altro”. Un “altro” che si riduceva, poi, alle sedie a rotelle, o alla Dad come fosse il demonio, scordando che spesso la mitica “presenza” è, seguendo il canone della tradizione,  noiosa aria fritta, distanza fino all’ estraneità.

Ma oggi la situazione educativa, a due anni dall’inizio della pandemia,  è quanto mai peggiorata.
Dunque, è necessario il coraggio di riprendere e rilanciare un pensiero pedagogico.
Rispondo qui alla sua proposta superando d’un colpo  le mie opinioni  su quarantene, mascherine, Dad e così via. Mi soffermo invece sul cuore della scuola rimettendo  al centro la voce pedagogica. Di questo qui scrivo,  anche con alcune proposte operative.

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La nuova emergenza Covid: riparare le ferite dell’infanzia e dell’adolescenza volgendo lo sguardo al futuro

di Antonio Valentino

Tra dati di fatto e percezioni fondate

Sulla questione ‘nuova emergenza Covid’, considererei soprattutto i seguenti aspetti:

  1. Il dato di fatto con cui anche la scuola è costretta a confrontarsi in queste settimane – con la variante ‘Omicron’ che impazza – è che l’uscita dal Covid non ci è ancora dato di vederla all’orizzonte, come si pensava fino ad alcune settimane fa grazie alla vaccinazione di massa in atto da mesi.
  2. Comunque la crescita percentuale del contagio nelle ultime due settimane (10-16 e 17-22 gennaio) ha continuato a scendere: vi sono ormai “evidenze certe di una decelerazione della curva epidemica, in linea con quanto osservato in altri Paesi” (Franco Locatelli, Coordinatore del CTS)
  3. È percezione fondata che il contagio con l’ultima variante non sembra comportare i rischi gravissimi (persone in terapia intensiva e esiti letali) delle prime ondate, a seguito delle misure adottate.
  4. Le consapevolezze dell’attuale situazione – a. la convivenza obbligata col virus però depotenziato nei suoi esiti più dolorosi (il riferimento è alla variante ultima, la più contagiosa); b. gli strumenti di difesa dal Covid sempre più disponibili e mirati – è condizione di un diverso sguardo anche sul futuro prossimo del mondo scolastico.

Proviamo, con i ragionamenti che seguono, a riavvolgere il nastro di questa storia degli ultimi due anni con riferimento alla scuola, per individuare qualche direzione di marcia sensata e possibile, per gestire al meglio la fase sulla base dei dati e delle consapevolezze di cui ai punti precedenti.

A tal proposito, è opportuno richiamare in prima battuta che il blocco delle attività didattica in presenza nel 2020 – e l’avvio della Didattica a Distanza (DaD), è stato certamente l’evento tra i più drammatici che il mondo della scuola abbia vissuto dal secondo dopo guerra.

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