Archivi categoria: AUTONOMIA

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La scuola che in tanti sognano, ma che non avremo

Stefaneldi Mario Maviglia

Questa campagna elettorale sta facendo sognare tutti gli operatori scolastici: tra aumenti salariali (fino ad arrivare all’equiparazione con la media degli stipendi dei docenti UE), il tempo pieno su tutto il territorio nazionale ed altre importanti promesse, c’è motivo di essere ottimisti rispetto al futuro della scuola italiana.

Non vogliamo offuscare questa immagine idilliaca della scuola che verrà; segnaliamo però che ci sono anche altri problemi che oggi sono sul tappeto e che meriterebbero di essere affrontati. Ne citiamo solo alcuni, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo.

Ormai è invalso l’uso di considerare l’istituzione scolastica come una comunità che interagisce con la più vasta comunità esterna. L’ultimo CCNL Scuola ha introdotto, a questo proposito, l’espressione di “comunità educante” (art. 24). Visione suggestiva e intrigante. Ma perché la scuola possa riconoscersi come “comunità” occorre che vi siano i presupposti, come dire?, materiali perché ciò avvenga. In una comunità, ad esempio, ci si aspetta che i componenti si conoscano tra loro in modo non superficiale, ci si attende che possano interagire al loro interno e condividere idee e progetti; insomma ci si aspetta che vi sia una rete relazionale e comunicativa viva e continua sia in senso orizzontale (tra colleghi) che in senso verticale (con la dirigenza e viceversa). A fronte di ciò, vi sono istituti scolastici che contano più di 2000 studenti ed oltre 200 addetti tra docenti e personale ATA.

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Caro futuro Ministro dell’Istruzione, chiunque tu sia…

di Mario Maviglia

(Attenzione! Questo intervento contiene affermazioni a forte impatto emotivo e pertanto se ne sconsiglia la lettura ai soggetti fragili, depressi o impressionabili. Non tenere a portata di mano pistole d’ordinanza o altre armi, anche bianche).
Nel testo il termine “Ministro” viene usato al maschile ma comprende anche il femminile.

Caro futuro Ministro dell’Istruzione, chiunque tu sia (c.t.s.), siamo convinti che sarai scelto non in seguito a incomprensibili e imperscrutabili beghe di potere o per mantenere equilibri politici precari. No! Tutto ciò fa parte della liturgia del passato. Questa volta sarai scelto per le tue acclarate competenze generali e di politica scolastica in particolare. Tu conosci in modo puntuale i problemi che affliggono la scuola ed elaborerai un piano di interventi tempestivo, efficace e definitivo. Finalmente la scuola sarà rivoltata come un calzino e potrà realizzare la sua importante funzione senza intoppi o titubanze, proiettata verso un futuro radioso di sviluppo, crescita e ricchezza.
La scuola sarà posta al centro dell’agenda politica e dell’opinione pubblica e tutti ne riconosceranno il suo insostituibile e fondamentale ruolo che svolge per il bene del Paese. Eccetera…

Ma, prima che tu inizi questa catartica e rivoluzionaria operazione di innovazione e trasformazione, vogliamo richiamare la tua attenzione su alcuni preliminari aspetti della macchina che andrai a dirigere nella convinzione che ciò ti possa tornare utile e possa imprimere una accelerazione ai tuoi disegni riformatori.

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Il fantasma delle carriere, ma già oggi ogni scuola ha il suo organigramma

di Antonio Fini

Si sta facendo una gran confusione relativamente alle “carriere” dei docenti e alle figure del cosiddetto “middle managament”.
L’ultima surreale proposta del “docente esperto”, da proclamare tra dieci anni, sta contribuendo massicciamente al caos.

Non servono premi per “esperti”; ciò che serve alla scuola (OGGI, non nel 2032!) è semplicemente (si fa per dire…) la definizione di una normativa che ufficializzi la situazione di fatto.

Basta consultare il sito web di qualsiasi istituto per imbattersi nella voce “Organigramma”.
Ohibò, ma se nella scuola non ci sono altro che docenti, tutti uguali, tutti con le stesse mansioni, a che servirà mai un organigramma?
Al contrario, se nell’organigramma risultano così tante funzioni specializzate, come mai non vi è traccia di tutto ciò nella normativa o, se c’è, risulta tutto precario e fumoso?
Un esempio su tutti: la figura del coordinatore di classe, fondamentale da sempre e ultimamente di più, letteralmente NON ESISTE. Non è prevista da alcuna norma!

Allora, vogliamo liberare una volta per tutte QUESTI FANTASMI dai pietosi lenzuoli (ad esempio l’annuale rito della contrattazione del FIS) che ancora li rendono invisibili?

VAI ALLA PAGINA DEDICATA AL TEMA DEL DOCENTE ESPERTO

Ecco la mia proposta.

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Lo specchio e la fotografia: a proposito di autovalutazione

di Franco De Anna

La cultura sociale del nostro Paese è singolarmente percorsa da un costrutto di lutto e mancanza. Il Risorgimento è una “rivoluzione mancata”; la Vittoria è “mutilata”, la Resistenza è “tradita”; la Costituzione è “irrealizzata”…
E’ un costrutto che in parte proviene da una (datata) riflessione storica, ma viene rielaborato nel senso comune dalla vulgata della riproduzione politica e dell’informazione. Non è questa la sede per approfondire, ma certo questo costrutto sembra proiettare l’intera collettività in una dimensione di irrealizzato che, scontando il riflesso del lutto e dell’abbandono della memoria dolorosa, consente alla cultura politica un paio (almeno) di abusati strumenti di comunicazione di massa.
Il primo è il lusso di predicare come sempre nuove (di moda il termine “epocale”) ipotesi riformatrici in realtà già esplorate e di cui si tralascia sia la memoria, sia la necessità di valutarne rigorosamente i fallimenti e le loro ragioni. Ne viene favorito un opportunismo implicito, variamente interpretato, nei caratteri del “nuovismo”.
Il secondo vantaggio politico di tale opportunistica elaborazione è che “tutti sono riformatori”; anzi, quale che sia il colore politico ciascuno proclama la propria autenticità e radicalità riformistica. In questo paese, sostanzialmente e prevalentemente conservatore, nessuno (pochissimi) dichiara di esserlo.

Potremmo offrire a qualche lacaniano, che pare interessato alla scuola, il destro per una riflessione psicanalitica sul rapporto tra tale paradigma della mancanza e dell’irrealizzato, e il fatto che la psicologia collettiva del nostro Paese non abbia mai rielaborato la “patria” (il padre) ma la sua consistenza collettiva sia da “matria”. Il “collettivo nazionale” è in realtà “mai nato”. Un cordone ombelicale mai reciso.

Una dannazione ed una salvezza congiuntamente, operanti nelle fasi più critiche della storia nazionale: ci aiutò ad uscire dalla “morte della patria” nel 1943; ci impedisce di costruire un assennato sistema di welfare di cittadinanza, “paterno e non materno” …
Al precedente elenco dei lutti storici potremmo aggiungere (si parva licet…) l’Autonomia delle Istituzioni scolastiche che è congiuntamente normata da strumenti di legge (dalla 59/97 al Regolamento) e richiamata della Costituzione (titolo V, art. 117).

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Due o tre cose su Invalsi, 100 e lode, competenze e dintorni

di Stefano Stefanel

L’estate porta sempre con sé il dibattito sui risultati Invalsi e sugli esiti degli esami di Stato facendo emergere l’inesistente cultura della valutazione italiana propria dell’opinione pubblica e di troppe componenti della scuola. Inoltre l’estate fa emergere anche la stucchevole polemica sulle competenze, sui voti alti, sulla scuola figlia e vittima del sessantotto. Il tutto visionato da un punto di vista solo liceale, con commentatori che boccerebbero tutti gli studenti che non scelgono di studiare a fondo greco e latino. Poiché, però, l’indignazione non serve a nulla provo qui con “due parole”, ammesso che queste, invece, possano servire in una società e in un mondo che brucia tutto con la velocità di Instagram.

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Con grande voluttà e gran spregio del senso del ridicolo vengono messe in estate in correlazione alcune considerazioni che nascono da contesti diversi:

  • i dati Invalsi fotografano un sud in ritardo rispetto al nord e mostrano i dati Invalsi in linea con le rilevazioni Ocse-Pisa;
  • all’esame finale del secondo ciclo (che qualcuno ancora si ostina a chiamare “maturità” anche se con la maturità delle persone con c’entra nulla) non viene bocciato nessuno o quasi;
  • al sud fioccano 100 e 100 e lode in controtendenza rispetto ai risultati Invalsi.

Alcuni colleghi dirigenti del nord (con una certa malcelata tendenza allo sciacallaggio) si buttano estivamente sui dati per rimarcare la serietà delle scuole del nord di fronte alla leggerezza di quelle del sud. Le scuole del sud, per lo più compostamente, si sottraggono a questo dibattito estivo e poi tutto torna come prima.

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Autonomia scolastica: ha ancora senso parlarne?

Stefaneldi Nicola Puttilli

Nel recente dibattito congressuale dell’ANDIS, come sempre interessante e ricco di stimoli, pochi e tutto sommato fuggevoli i richiami all’autonomia scolastica, quasi si trattasse di un argomento minore o appartenente a un passato neanche troppo vicino. Eppure autonomia e dirigenza erano le due idee-forza su cui nacque l’associazione dei dirigenti scolastici più di un trentennio fa.

La sensazione, palpabile anche se mai dichiarata, è quella di un fallimento senza ritorno. A vent’anni di distanza siamo a un simulacro di autonomia, mentre la dirigenza piena, che si misura anche in termini di reddito e che doveva essere conseguita entro pochi mesi (chi ricorda le promesse di Aprea e Bassanini nella campagna elettorale del 2001?) è rimasta una pia illusione a cui nessuno più crede.

E’ del tutto verosimile che la classe politica dell’epoca fosse in buona fede e che, anche con un certo coraggio, credesse veramente in un progetto complessivo di rinnovamento e trasformazione (penso a personaggi come Luigi Berlinguer, De Mauro, gli stessi Aprea e Bassanini, non certamente Gelmini che tagliò le prime significative risorse a ciò destinate).

Quello che è clamorosamente mancato è, come quasi sempre accade nei tentativi di riforma avviati nel nostro Paese, la necessaria continuità e coerenza tra il dettato legislativo e i provvedimenti applicativi, tra il dichiarato e l’agito.

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Le scuole parallele

di Giovanni Fioravanti

Non c’è niente di più costituzionale dell’istruzione per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, eccetera, eccetera. È l’istruzione, dunque, che può fare la differenza. Eppure, nonostante il ministero dell’istruzione, di istruzione si parla poco nel nostro paese, come se l’istruzione fosse un accidente e su tutto dovesse prevalere l’educazione, che resta termine ambiguo e non identificato.

Lo Stato, invece, una sua idea di istruzione ce l’ha, avendo per dettato costituzionale (art. 117, com.1, lett. n) legislazione esclusiva relativamente alle norme generali dell’istruzione. Questa idea è addirittura prescrittiva ed organicamente sancita dalle Indicazioni Nazionali relative al Primo Ciclo e al Secondo Ciclo dell’Istruzione.

Per fare solo un esempio il nostro Stato ritiene prescrittivo che al termine del primo ciclo di istruzione le nostre ragazze e i nostri ragazzi, in uscita dalla terza media, siano in grado di leggere testi letterari di vario tipo (narrativi, poetici, teatrali), di scrivere correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo) adeguati a situazione, argomento, scopo, destinatario. Di produrre testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori.
Di padroneggiare e applicare in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; di utilizzare le conoscenze metalinguistiche per comprendere con maggior precisione i significati dei testi e per correggere i propri scritti.

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